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sabato 31 marzo 2012

Il contributo dell'Italia all'Esm


Isabella Buffacchi, Sole 24 ore 
L'Italia quest'anno contribuirà al "capitale versato" del fondo di stabilità permanente Esm con una quota pari a 5,7 miliardi che sarà versata in due rate da 2,85 miliardi, pagate l'una in luglio e l'altra entro ottobre. Questi due importi saranno coperti con emissione di titoli di Stato a medio e lungo termine, con caratteristiche che saranno stabilite per decreto dal ministero dell'Economia.
Questi 5,7 miliardi andranno a sommarsi ai 10,3 miliardi già erogati dall'Italia alla Grecia tramite prestiti bilaterali intergovernativi e all'aumento del debito pubblico per 3,974 relativamente ai prestitiEfsf già concessi a Portogallo e Irlanda tra il febbraio 2011 e il gennaio 2012. Il conto della "crisi del debito europeo", sotto il profilo contabile senza nessuna perdita secca per le casse dello Stato, sale così a circa 20 miliardi. E salirà ancora. L'Italia verserà in tutto, entro la prima metà del 2014, cinque rate di capitale "paid-in" nell'Esm, per un totale di 14,25 miliardi: questa liquidità verrà raccolta, stando a fonti bene informate, tramite emissione di BTp o altri titoli a medio-lungo termine.

Più chiarezza sui "redditi degli italiani"


Franco Bechis su Libero del 31 marzo 2012
"Gli imprenditori raramente sono dipendenti della loro azienda. Il loro reddito viene dalle azioni in loro possesso. Tassate in origine, quelle ricchezze non debbono essere inserite nella dichiarazione dei redditi. E quindi non entrano in quella statistica e nella cifra dei 18.170 euro. Se si tratta di partecipazioni non qualificate (meno del 5 per cento in una società quotata o del 25 per cento in una non quotata), i dividendi che li fanno ricchi sono tassati con la cedolare secca nel momento stesso in cui li ricevono: era del 12,5 per cento, ora è al 20 per cento. Se l’imprenditore invece ha una partecipazione qualificata, quindi più del 25 per cento in una qualsiasi società non quotata e più del 5 per cento in una quotata, ad entrare nella dichiarazione dei redditi è solo il 49,72 per cento dei redditi effettivamente ricevuti. Il motivo è semplice: gli utili vengono distribuiti dalle società quando sono netti, e cioè già tassati a reddito di impresa. Quindi per capirci, anche se le statistiche sembrano bugiarde, non è vero che gli imprenditori sono più poveri dei loro dipendenti, perché il reddito reale medio è circa il doppio di quei 18.170 euro censiti dal dipartimento delle politiche fiscali.


http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=82248339

Altri numeri dello shale gas

Tra il 1978 e il 1992 il governo federale americano ha speso ben 137 milioni di dollari per sviluppare le tecnologie che permettono l'estrazione dello shale gas. Robert Hefner, imprenditore del gas naturale e autore di The grand energy transition, fa notare che con il gas naturale si risparmiano 20 milioni di dollari ogni anno per riscaldare 65 milioni di famiglie americane. La Russia può chiedere fino a 17 dollari per 300 metri cubi di gas dai Paesi confinanti, come l'Ucraina e le nazioni europee. Gli Stati Uniti producono gas naturale a 2,5c dollari per 300 metri cubi e dispongono della tecnologia di liquefazione più avanzata ed economica al mondo.


"Si passerà da un mondo in cui pochi Paesi Russia, Iran, Qatar e Arabia Saudita controllano il prezzo e le forniture di gas naturale a un mondo in cui questa fonte energetica sarà molto più diffusa. (Per il momento, l`Iran non ha alcun accesso alle tecnologie indispensabili per sfruttare i propri giacimenti)".


Fareed Zakaria
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=82260622

I debiti dell'america

"Nel suo ultimo giorno da presidente, il 19 gennaio 2009, Bush junior lasciava al paese un debito (Total Public Debt) di 10.626 miliardi, circa il 70% del Pil, dopo averne aggiunto in otto anni 4.899, cioè un raddoppio. Al 15 marzo 2012, in soli tre anni e due mesi scarsi, Obama superava d'un balzo, causa crisi finanziaria ed economica, i 4.900 miliardi in più. Di questo passo prima di Pasqua verrebbero doppiati i 15.600 (15.589 al 27 marzo), il 105% sul Pil 2011. Mantenendo la velocità media di crescita registrata in un anno, i 16.300 verrebbero superati entro metà ottobre, al più tardi. Entro settembre, cioè entro la fine dell'anno fiscale 2012, dice il Bilancio (Omb)."


Mario Margiocco, il Sole 24 Ore


http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-31/compiti-casa-stati-uniti-081054.shtml?uuid=AbK9whGF

venerdì 30 marzo 2012

I tedeschi lasciano senza atomo il Regno Unito

Altro brusco passo indietro nel rinascimento nucleare globale. Le tedesche Rwe e E.on hanno deciso di uscire dalla joint venture Horizon Nuclear Power che avrebbe dovuto progettare e realizzare nuovi impianti nucleari in Gran Bretagna. Le due società hanno spiegato che la crisi economica le ha private di molte risorse e il ritiro dei tedeschi del nucleare ha messo ulteriore pressione su di loro.


http://www.nytimes.com/2012/03/30/business/global/Britains-Nuclear-Plans-Suffer-Setback.html

giovedì 29 marzo 2012

I sauditi: "Prezzi del petrolio insensati"

Ali al Naimi, ministro del petrolio saudita, stavolta ha scritto direttamente al Financial Times per ribadire che "non c'è un motivo razionali per cui i prezzi del petrolio debbano rimanere ai livelli attuali" e chiarire che "l'Arabia Saudita vorrebbe vedere un prezzo più basso. Un prezzo giusto e ragionevole che non danneggi la ripresa mondiale, specialmente nelle economie emergenti e in via di sviluppo, e che generi un buon ritorno per le nazioni produttrici, e che attragga investimenti sull'industria petrolifera"


http://www.ft.com/intl/cms/s/0/9e1ccb48-781c-11e1-b237-00144feab49a.html#axzz1qLSeiWul

Il ritorno dei sukuk

Secondo Dealogic nel 2011 le vendite di bond che seguono la legge islamica hanno raggiunto un nuovo record, a 32,6 miliardi di dollari. Dall'inizio di quest'anno sono stati piazzati 10,4 miliardi di sukuk: il 2012 sta cioè andando a un ritmo doppio rispetto allo scorso anno. La crisi di Dubai, nel 2010, aveva indebolito questo mercato.

mercoledì 28 marzo 2012

Gli effetti dell'aumento del prezzo del petrolio

Goldman Sachs calcola che un aumento del prezzo del petrolio del 10% tende a spingere al ribasso la crescita del Pil degli Stati Uniti dello 0,2% dopo un anno e dello 0,4% dopo due. In Europa la riduzione è dello 0,2% per il primo anno. 

Lo shale gas alla cinese

Nel suo discorso alla nazione il premier cinese Wen Jiabao ha per la prima volta parlato dello shale gas (yeyanqi, in cinese). Secondo gli studi del ministero del Territorio e delle Risorse cinese, Pechino ha riserve per 25 mila miliardi di metri cubi di gas, 200 volte il consumo annuale del Paese. Ma Wen ha ammesso che ci sono grossi problemi: le compagnie cinesi non sono ancora capaci di estrarlo. Per questo hanno investito molto in alleanze con le società americane (ad esempio Sinopec ha puntato 2,5 miliardi sulla Devon Energy). L'obiettivo della Cina è produrre 6,5 miliardi di metri cubi di metri cubi di gas all'anno dal 2015 e 60 miliardi dal 2020.

http://www.ft.com/intl/cms/s/0/3fcc49a4-71de-11e1-90b5-00144feab49a.html#axzz1qLSeiWul

Il punto sui livelli produttivi delle fabbriche Fiat


scheda di Reuters

Nei primi due mesi dell'anno, la situazione degli stabilimenti Fiat in Europa si caratterizza per una produzione non a pieno regime anche se con differenze molto elevate.
A Torino l'impianto di Mirafiori è quasi fermo, mentre Cassino viaggia a circa un quarto della sua capacità. Pomigliano, dove è iniziata la produzione della nuova Panda, e Melfi, dove si realizza la Punto, sono circa a metà della capacità produttiva. La Sevel (veicoli commerciali), che generalmente viaggia a pieno regime, ha visto qualche fermata per il maltempo e per lo sciopero delle bisarche.
Cala l'attività anche in Polonia, e in Turchia, che restano però su livelli superiori al 70%.
Il quadro si basa sui dati del sindacato, su alcune cifre Fiat già diffuse e sui dati di vendita dei singoli modelli in Europa (Ue27+Efta) elaborati da Jato Dynamics.
Il riferimento è alla definizione "technical" della capacità produttiva, che considera 6 giorni lavorativi la settimana, su tre turni giornalieri.
A gennaio e febbraio ha pesato lo sciopero delle bisarche e in alcuni casi, come a Chieti, il maltempo.
Anche se l'impatto maggiore dello sciopero si registrerà probabilmente a marzo. Fiat ha parlato di 20.000 veicoli in meno genericamente nel periodo febbraio-marzo. Unrae prevede 60.000 immatricolazioni in meno a marzo di cui 20.000 per Fiat.
Questi due mesi risentono fortemente anche dello shock sulla domanda derivante dalla crisi finanziaria in Europa. Secondo alcuni analisti, potrebbero rappresentare un minimo nel 2012.
I dati e le definizioni di capacità produttiva sono quelle utilizzate da Fiat nel piano industriale del 2010. Il gruppo usa due definizioni: "harbour", 5 giorni lavorativi la settimana, per 235 complessivi annui, su due turni giornalieri; "technical" 6 giorni la settimana per 280 giorni l'anno, su tre turni.

MIRAFIORI - L'attività a basso regime proseguirà fino a ottobre 2013. Nei primi due mesi dell'anno sono state immatricolate 823 Lancia Musa, 1.096 Fiat Idea e 5.943 Alfa MiTo, i modelli realizzati nello stabilimento. Quindi circa 8.000 veicoli in due mesi contro una capacità produttiva di 300.000 veicoli annui (technical) e 200.000 (harbour). Gli operai, a rotazione, lavorano da un minimo di 3 giorni al mese.
A fine 2013 dovrebbe entrare in produzione un Suv compatto Fiat. Un Suv con marchio Jeep verrà prodotto dal secondo trimestre 2014. Gli oltre 5.300 operai della carrozzeria il 2 aprile entreranno in cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione per 18 mesi quindi fino a ottobre 2013, quando dovrebbe partire il primo modello nuovo.
Gli spazi nello stabilimento sono sufficienti ampi da consentire di realizzare le nuove linee produttive, mentre si continua a lavorare sui vecchi modelli. I lavori cominceranno nella prima metà di quest'anno, dice il sindacato con riferimento alla tempistica data da Fiat negli ultimi incontri.
CASSINO - Si usano due giorni di cassa integrazione la settimana, lavorando 3 giorni su due turni. La produzione è di 700 auto al giorno, dice il sindacato, quindi circa 100.000 veicoli su base annua, contro un capacità massima di oltre 400.000 veicoli (technical) e circa 300.000 (harbour). A Cassino si producono Alfa Giulietta (11.796 vetture immatricolate), Fiat Bravo (4.328) e Lancia Delta (2.945) per un totale di immatricolazioni di circa 19.000 veicoli in due mesi.

MELFI - Si lavora per tre giorni a settimana su tre turni producendo circa 3.800 vetture, 180.000 veicoli su base annua contro una capacità a oltre 400.000 (technical) e oltre 250.000 (harbour). Nei primi due mesi dell'anno sono stati venduti 27.949 esemplari della Punto, l'unico modello realizzato a Melfi. Ora, dice il sindacato, i piazzali sono pieni a causa dello sciopero delle bisarche e la produzione è di fatto ferma.
POMIGLIANO - GIANBATTISTA VICO - Sono rientrati dalla cassa integrazione circa 2.100 lavoratori sul totale di circa 4.700 e lavorano su due turni. Si producono circa 630 Panda al giorno e quindi circa 3.000 la settimana che su base annua significa circa 140.000 contro una capacità produttiva di circa 300.000 veicoli (technical), 200.000 (harbour). Il gruppo stima di vendere quest'anno 230.000 esemplari tra vecchia (prodotta a Tychy in Polonia) e nuova Panda. Nei primi due mesi dell'anno sono state vendute 33.134 Panda, tra nuovo e vecchio modello. Una produzione di circa 280.000 nuove Panda consentirebbe il rientro di tutti gli operai, dice il sindacato.

SEVEL (Chieti) - La joint-venture con PSA, produce Fiat Ducato, Citroen Jumper e Peugeot Boxer. La capacità è di oltre 350.000 veicoli (200.000 harbour). Lo stabilimento ne ha realizzati 225.000 nel 2011, non lontano dal record di 251.000 del 2008, occupando tutti i lavoratori, per 5 giorni su tre turni, dice il sindacato. Nel 2011 sono stati richiesti anche alcuni sabati di straodinario. Per quest'anno la neve e poi lo sciopero delle bisarche ha richiesto alcuni giorni di cassa integrazione, oltre all'utilizzo di ferie residue. Secondo il sindacato, da voci informali che provengono dall'indotto, il 2012 dovrebbe essere in lieve calo rispetto al 2011.
GRUGLIASCO - Sono iniziati i lavori per l'allestimento delle nuove linee produttive nello stabilimento ex-Bertone. A metà novembre dello scorso anno è stata firmata la cassa integrazione per ulteriori 12 mesi (a partire dal 19 novembre) per tutti i 1.077 lavoratori. Il piano Fiat prevede investimenti per 500 milioni per una Maserati di classe E. La produzione dovrebbe partire a fine del 2012 e, a regime, si prevedono 50.000 veicoli l'anno.
TYCHY (Polonia) - La produzione dei primi due mesi dell'anno vede un calo dell'11,9% a 75.450 veicoli. Si lavora a ritmi di circa 1.780 veicoli al giorno, per 5 giorni la settimana su tre turni giornalieri, quindi 418.000 su base annua, che comporterebbe un ribasso del 10% rispetto ai 467.760 veicoli del 2011. Si producono il vecchio modello Panda, la 500, la Lancia Y e la Ford Ka. Per quest'anno si attende una contrazione, man mano che la vecchia Panda ridurrà le vendite sostituita dalla nuova realizzata a Pomigliano. Fiat non ha dato indicazioni su quando uscirà dalla produzione la vecchia Panda. Sui volumi 2011, 400.000 sono stati per Fiat, il resto per Ford. Nel 2010 lo stabilimento aveva prodotto 533.455 veicoli, nel 2009, anno record grazie anche agli incentivi, oltre 600.000 veicoli. In quell'anno l'utilizzo della capacità produttiva era al 93% (147% su base harbour). Nel 2011, secondo i dati Fiat, Tychy e la Turchia hanno operato al 74% della capacità produttiva (118% harbour definition). L'AD Sergio Marchionne ha parlato di un nuovo modello per Tychy senza dare ulteriori indicazioni.
BURSA (Turchia) - Tofas joint venture con la conglomerata locale Koc Holding, realizza il Doblò e Fiorino oltre a un veicolo commerciale per PSA, e due vetture Linea. L'utilizzo della capacità produttiva, secondo i dati della società turca, era al 77% in tutto il 2011 e al 74% nell'ultimo trimestre. L'utilizzo era pari all'87% nel secondo trimestre del 2011. La società soffre per il rallentamento del mercato interno atteso in calo del 12% nel 2012, ma conta di chiudere l'anno con un saldo positivo in termini di vendite, grazie alla nuova produzione di un veicolo commerciale da fornire a Opel Vauxhall, in seguito a un accordo di tre anni, siglato a fine 2010.
KRAGUJEVAC (Serbia) - La 500L destinata allo stabilimento in Serbia è stata presentata a marzo al salone dell'auto di Ginevra. La commercializzazione dell'auto è prevista intorno a settembre di quest'anno. Fiat ha acquistato la ex-Zastava nel 2008. L'investimento complessivo è di un miliardo, ripartito tra Fiat,

La Germania rischia il black out

La Germania dopo il disastro di Fukushima ha chiuso 8 centrali nucleari su 17, rinunciando così a 20 Gigawatt di potenza. Lo scorso febbraio la rete elettrica nazionale è andata molto vicino a un blackout. Il problema è che  le centrali sono a sud, dove le industrie di Stoccarda e Monaco hanno bisogno di tanta energia. Adesso quell'energia arriva da nord, ma la rete elettrica tedesca non era pensata per questo enorme trasferimento di elettricità.

http://www.ft.com/intl/cms/s/0/8925115a-6eb7-11e1-afb8-00144feab49a.html#axzz1qLSeiWul

martedì 27 marzo 2012

Il Giappone rimane con una sola centrale nucleare

Lunedì la Tokyo Electric Power Co. ha spento il reattore n. 6 nell'impianto di Kashiwazaki-Kariwa, nel nord del Giappone, per ordinaria manutenzione. Così in Giappone è rimasto un solo reattore nucleare attivo, il n. 3 dell'impianto di Tomari, nell'isola di Hokkaido. Il 5 maggio anche questo sarà chiuso per manutenzione. Il Giappone prima del terremoto era abituato ad ottenere dal nucleare il 30% dell'energia,  quota che lo scorso agosto è scesa all'11% e a febbraio si è ridotta al 2,5%.


http://online.wsj.com/article/SB10001424052702303816504577304763323680918.html?mod=ITP_pageone_4

Monti come la Thatcher. Il testo completo


Il pezzo sul Wsj di oggi.

Italian Prime Minister Mario Monti has walked away from negotiations with Italy's labor unions and announced that he is going to move ahead with reforming the country's notorious employment laws—with or without union consent. If Rome is spared the fate that recently befell Athens, mark this as the week the turnaround began.
Italy's labor laws are some of the most restrictive in the Western world. The totemic Article 18 all but bans companies with more than 15 employees from involuntarily dismissing workers, regardless of the severance offered. Mr. Monti has proposed replacing this job-for-life scheme with a generous system of guaranteed severance when employees are dismissed for "economic reasons."
In most of the free world, this would count as a useful, albeit mild, reform. Among other weaknesses, the new law would not affect a worker's right to challenge his dismissal in court when fired for disciplinary reasons—an unreciprocated gift to the unions.
But standing up to Italy's labor unions takes courage, and not only of the political sort. Ten years ago this month economist Marco Biagi was gunned down by left-wing terrorists for his role in designing a previous attempt at labor reform. Mr. Monti's move has prompted calls for a general strike from CGIL, Italy's largest union confederation.


Since coming to power in November, Mr. Monti has passed some measures by emergency decree, bypassing parliament. On Friday, however, he announced that the labor-law changes would be voted through the National Assembly in the normal way.

This, too, is politically courageous. The center-left Democratic Party—an ally of the CGIL and one of the three main political blocs supporting Mr. Monti's grand coalition—has called the reform unacceptable. A split in the coalition could doom both the reform and Mr. Monti's government. The alternative is to pass the law over Democratic Party opposition, which would saddle Mr. Monti with former Prime Minister Silvio Berlusconi's base of right-of-center support.
That prospect probably doesn't thrill Mr. Monti. But holding a vote is also right. Italy's labor laws have been a fixture of economic life for decades. Successful—and lasting—reform won't be accomplished by decree, but by demonstrating that the changes enjoy a popular mandate.
Mr. Monti has three chief advantages over his recent predecessors. He remains popular in Italy. He also says he doesn't intend to run for re-election. This gives him a chance to maintain control over his reforms as they move toward a parliamentary vote.

More importantly, Mr. Monti—a former economics professor—has a rare opportunity to educate Italians on the consequences of opposing reform. This won't require sophisticated explanations of why employers will still employ people even when the law does not force them to do so. He can merely ask Italians to look across the Ionian Sea. If that doesn't scare them sober, then nothing will help.
Postwar Italian politics has chewed up more than a few would-be reformers while career politicians and union leaders enjoy the spoils of power. The difference with Mr. Monti is that he didn't take this job to be a caretaker PM. If he means to make his current reform the first, not last, step in a more ambitious agenda for reviving Italian growth, he could make his one term in office a great one.

lunedì 26 marzo 2012

Cosa spinge i prezzi della benzina e chi ci guadagna

da Avvenire del 25 marzo 2012


1.Perché la benzina a­desso costa quasi 2 euro al litro?

Gli attuali prezzi dei carburanti (1,87 cente­simi al litro in media la benzina, 1,78 il ga­solio, se si considerano i listini al 'servito') sono il risultato di due fattori. Quello do­minante è il fattore fiscale. Lo scorso anno il governo Berlusconi ha alzato per quattro volte le accise su benzina e gasolio, portan­dole rispettivamente da 56,4 e 42,3 a 62,2 e 48,1 centesimi al litro. Il governo Monti ha aggiunto un quinto e più sostanzioso aumento, che ha portato l’accisa sul­la
 benzina a 70,4 centesimi al litro e quella sul gasolio a 59,3 centesimi al li­tro. A settembre, i­noltre, l’Iva (che si calcola sia sul prez­zo industriale della benzina che sull’accisa) è stata portata dal 20 al 21%, producendo così un rialzo linea­re dell’1%. E a gennaio 5 giunte regionali hanno fatto scattare le addizionali locali, o­ra applicate in 10 Regioni su 20. In breve: durante il 2011 le tasse nazionali sul carbu­rante sono salite di 16 centesimi al litro per la benzina e di 20 per il gasolio. L’altro fat­tore dietro gli aumenti è il costo della ma­teria prima, che si è impennato ne­gli ultimi mesi. Il Platts cif Med, l’in­dice delle quotazioni dei carburan­ti sui mercati europei, tra novembre scorso e oggi è salito per la benzina da 52 centesimi a 67 centesimi al li­tro, per il gasolio da 62 a 69 centesi­mi.

1.34


2.
Come mai questo Platts au­menta
 tanto?

La quotazione Platts – elaborata dal­l’omonima agenzia internazionale sulla base degli scambi quotidiani di prodotti petroliferi tra le varie a­ziende della filiera del petrolio – e­sprime il prezzo 'all’ingrosso' della benzina e del gasolio. Su questi va­lori incidono sia la normale dinami­ca della domanda e dell’offerta (di prodotti già raffinati) che la quota­zione
 del prodotto da raffinare, cioè il pe­trolio. La quotazione del petrolio 'europeo', il Brent, tra dicembre e oggi è salito da 104 a 125 dollari al barile (in euro il passaggio è da 75 a 94 euro al barile). La quotazione è e­levatissima, tanto che ieri l’Agenzia inter­nazionale dell’energia ha lanciato l’allarme: a questi prezzi si rischia la recessione. Le tensioni iraniane pesano ma non spiegano questa impennata. Non si capisce cosa ci sia dietro. Lo stesso ministro del Petrolio saudita, Alì al Naimi, ha detto che non ca­pisce cosa stia spin­gendo il prezzo. L’U­nione petrolifera ha detto qualche setti­mana fa che le ban­che stanno facendo salire i prezzi perché investono anche sui

futures
 petroliferi i 1.000 miliardi di eu­ro avuti in prestito agevolato dalla Bce. I tempi dei rialzi, in effetti, coincidono.

3.
Chi sta guadagnando da questi rincari?


Sicuramente ci guadagnano i Paesi espor­tatori che, secondo i calcoli dell’Aie, que­st’anno guadagneranno dal petrolio la cifra più alta di sempre: 1.200 miliardi di dollari. Anche le compagnie petrolifere, che estrag­gono
 e raffinano il greggio più o meno con gli stessi costi di prima, vedono sali­re i loro margini. Fe­steggiano anche al­l’Erario: nei primi due mesi del 2012, secondo i calcoli del centro studi Promo­tor, il Tesoro ha già incassato 5,5 miliar­di dai carburanti, con un aumento del 19,8% rispetto a un an­no fa. E questo nonostante i consumi nel frattempo siano diminuiti del 9,6%. Chi ci perde, infatti, sono evidentemente gli ita­liani, che per fare meno rifornimento han­no comunque già speso in due mesi 10,1 miliardi quest’anno, l’11% in più nel con­fronto con il 2011. Senza contare che i rincari dei trasporti provocano un aumento generalizzato dei prezzi de­gli altri beni che si devono spostare per il Paese. E ci perde anche il ben­zinaio, che ha un margine fisso al li­tro (tra i 4 e i 5 centesimi) ma sta ven­dendo meno carburante di prima.

4.
Anche nel resto d’Europa i prezzi salgono tanto?


Quasi, nel senso che tra lo scorso no­vembre e oggi in Europa il prezzo me­dio della benzina è salito del 9% e quello del gasolio dell’11%, mentre in Italia gli aumenti sono stati del 14% in entrambi i casi. Questo, però, se si considerano le tasse. Al netto delle imposte, il rialzo europeo è del 18% per la verde e del 9% per il diesel, quello italiano è del 15% sulla benzi­na e dell’8% per il gasolio. Senza le nuove tasse, che ci hanno 'regalato' la benzina più cara d’Europa e il se­condo gasolio più costoso, saremmo vicini alla media Ue. Difatti il cosid­detto 'stacco', cioè la differenza, tas­se escluse, tra il prezzo al litro del car­burante italiano e la media europea (calcolato dall’Unione petrolifera) si è ridotto dai 3,6 centesimi medi del 2011 agli attuali 2,5 centesimi. La ten­denza al rialzo è comunque globale. Gli Usa, ad e­sempio,
 sono in al­larme perché in al­cuni Stati la benzi­na ha superato la soglia di 4 dollari al gallone (che ai cam­bi attuali sono 81 centesimi al litro).

5.
Cosa si può fare per fermare gli aumenti?


Sul lato fiscale, se non si vogliono tagliare le tasse, si potrebbe almeno ritentare la strada della sterilizzazione dell’Iva: un meccanismo che riduce l’accisa (e quindi l’imposta) per un certo periodo quando il prezzo della materia prima supera una cer­ta quota. Sperimentata nel 2000 e nel 2008,
 la sterilizzazione ha permesso risparmi modesti, nell’ordine dei 2 centesimi al li­tro. Sul lato industriale si può agire solo su quei 15-16 centesimi al litro che sono il margine lordo di gestori e compagnie. U­na loro riduzione di un terzo vale al mas­simo 5 centesimi. Le liberalizzazioni ap­pena approvate permettono ai benzinai di vendere altri prodotti e di restare sempre aperti, così i gestori hanno una base di gua­dagno più larga e sono meno 'benzina-di­pendenti'. Questo permette loro un con­tenimento del prezzo. Ma tra sconti, fai da te e 'pompe bianche' è inutile sperare in risparmi che vadano oltre i 10-15 centesi­mi al litro.

Pietro Saccò
  

venerdì 23 marzo 2012

La benzina impazzita e l'Eni

Dal 7 dicembre dell’anno scor­so che gli italiani pagano la benzina più cara d’Europa e il secondo gasolio più costoso, dopo quello inglese. Quel giorno il governo fece scattare in anticipo il quinto au­mento delle accise sui carburanti del 2011: un rialzo di 8,2 centesimi per la benzina e di 11,2 centesimi per il ga­solio. Tra accise e Iva il carico fiscale sui carburanti l’anno scorso è salito di 20 centesimi per il gasolio e 16 per la benzina. Quel 7 dicembre la verde volò a 1,68 centesimi al litro, il gaso­lio a 1,67. Ma gli italiani non avevano ancora vi­sto tutto. Nelle settimane seguenti il prezzo del petrolio si è impennato: la quotazione dei contratti futures del Brent (il greggio 'europeo') è passa­ta da 105 a oltre 120 dollari al barile. Colpa delle tensioni sull’Iran e colpa delle banche, che non sapendo dove piazzare i mille miliardi di euro rice­vuti in prestito a prezzi stracciati dal­la Banca centrale europea hanno pensato di investirne un po’ sul pe­trolio. Anche Ali al Naimi, anziano mi­nistro del Petrolio saudita, è rimasto interdetto: «Non riusciamo a capire perché i prezzi del petrolio si com­portino in questo modo – ha spiega­to da Doha lo scorso martedì – gli at­tuali valori non sono giustificati dal rapporto tra domanda e offerta». Il rialzo della materia prima, la cui qu­o­Ètazione in euro è sui massimi storici, si è ovviamente scaricato anche sui carburanti. Il risultato, certificato dal­le ultime rilevazioni europee, è che oggi gli italiani pagano la benzina in media 1,82 euro al litro, 15 centesimi in più della media europea, e il gaso­lio 1,73 euro al litro, 20 centesimi so­pra la media dell’Ue. È una brutta si­tuazione. I dati del Centro studi Pro­motor dicono che gli automobilisti hanno reagito tagliando i consumi (-9,6% nei primi due mesi nel confron­to con un anno fa) ma comunque hanno finito per spendere 10,1 mi­liardi, cioè l’11% in più. Di questi, 5,5 (+19,8%) se li è intascati il Tesoro.

Senza un intervento fiscale il prezzo del carburante difficilmente scen­derà. Se si escludono le tasse, il costo della benzi­na italiana è di soli 2 cen­tesimi superiore alla me­dia Ue, quello del gasolio di 4 centesimi. Anche an­nullando i due 'stacchi' i listini resterebbero a li­velli molto elevati. Il de­creto liberalizzazioni, ap­provato in via definitiva dalla Camera ieri, con­sente però qualche piccolo spazio di risparmio. «Considerate che il margi­ne totale della compagnia petrolife­ra e del gestore è di circa 15 centesi­mi al litro. Noi possiamo agire solo su quello» spiegava ieri Paolo Grossi, vi­ce presidente esecutivo per il 'retail' della divisione Refining & Marketing di Eni. Grossi ha presentato la strate­gia con cui il gruppo petrolifero con­trollato dal Tesoro intende migliora­re la sua offerta sfruttando al massi­mo le opportunità concesse dalle li­beralizzazioni. Le 4.500 stazioni di servizio Eni, ribattezzate 'eni station', saranno gradualmente trasformate. Intanto sarà potenziato il self service, con l’offerta iperself (che offre scon­ti tra i 5 e i 10 centesimi al litro ed og­gi
 è scelta da un cliente su tre) non più limitata agli orari di chiusura ma proposta 24 ore su 24 per sette giorni la settimana. In molte stazioni arri­veranno macchinette automatiche per vendere prodotti di largo consu­mo, come latte fresco, rasoi o aurico­lari per gli stereo (presto arriveranno anche i tabacchi). I 550 bar delle sta­zioni, gli 'eni cafè', resteranno aper­ti più a lungo e offriranno connessio­ne WiFi ai clienti. L’obiettivo è au­mentare le entrate dal cosiddetto 'non oil', unica strada 'industriale' per ammorbidire il rincaro figlio di tasse e mercato. 


da Avvenire del 23 marzo 2012

giovedì 22 marzo 2012

Il gas dell'Alaska verso la Cina

L'Alaska ha 34.800 miliardi di metri cubi di gas naturale, il 13% delle riserve americane. Molto è shale gas. Le stime dicono che però questa cifra potrebbe essere anche di dieci volte superiore. Per anni si è discusso il progetto di una condotta che potrasse il gas dell'Alaska in Alberta, e quindi negli Usa. Non se n'è fatto nulla. La nuova idea è di costruire un rigassificatore nella costa sud, condurre il gas lì con le tubature, quindi trasportarlo in Asia via nave. In Cina il  prezzo del gas è di 15,5 dollari per British Thermal Unit, negli Usa di 2,2 dollari. Il costo dell'intero progetto è compreso tra i 40 e i 50 miliardi di dollari. Ci stanno lavorando Bp, Exxon e Conoco.

http://www.ft.com/cms/s/0/d9ae9142-7343-11e1-aab3-00144feab49a.html

I numeri della grande distribuzione in Italia

mercoledì 21 marzo 2012

L'Arabia saudita promette più petrolio


Ali al Naimi, ministro saudita del petrolio, martedì a Doha ha fatto capire che le quotazioni alte non piacciono nemmeno a loro:  "I prezzi attuali non sono giustificabili sulla base del rapporto tra rifornimenti e domanda. Non riusciamo proprio a capire come mai i prezzi si comportino in questo modo". L'Arabia oggi produce 9,9 milioni di barili al giorno e potrebbe salire anche fino a 12,5 milioni di barili. Sempre che qualcuno glieli compri, perché non sembrano esserci problemi di mercato. "Siamo pronti a immettere altro petrolio sul mercato, ma servono
compratori" ha detto al Naimi.

Air France rinegozierà tutti i contratti


Air France ha firmato un accordo con le organizzazioni dei lavoratori: prevede la rinegoziazione entro il 30 giugno dei diversi contratti. L'obiettivo è migliorare la produttività e tagliare i costi. La compagnia è in rosso da quattro anni.

Il lusso alla cinese

Jiang Qiong'er, 35 anni, una laurea alla École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi, ha fondato Shang Xia, un brand del lusso che si fa vanto della sua "cinesità". Non è un progetto campato in aria: la maggioranza dell'impresa appartiene a Hermès. Spiega lui: "Durante la nostra storia, lungo le tante dinastie, abbiamo avuto il lusso più raffinato. E' un peccato che in quest'ultimo secolo questa relazione sia stata rotta alla Rivoluzione Culturale". Per ora ha solo un negozio, a Shangai, ma prevede aperture a Pechino e Parigi. Vende abbigliamento, gioielli e oggetti d'arte. Ai clienti offre sempre del tè. 


http://www.ft.com/intl/cms/s/0/d82d1a58-6f49-11e1-9c57-00144feab49a.html#axzz1pgrDz8s5

La Grecia vende un pezzo di Rodi

L'Hellenic Republic Asset Development Fund, il fondo creato nell'ambito del programma di privatizzazioni avviato dalla Grecia, ha pubblicato l'invito per gli investitori istituzionali a presentare manifestazioni di interesse per un'area di 1,86 milioni di metri quadri a Rodi. In vendita ci sono due appezzamenti, uno da 1,5 e uno da 0,3 milioni di metri quadrati, nell'area di Afantou, nel Nordest dell'isola. Il fondo sottolinea che sono a 20 chilometri dal'aeroporto Per i prezzi si vedrà in seguito.. L'isola, tutta intera, è grande 1,4 miliardi di metri quadri.

http://www.milanofinanza.it/giornali/preview_giornali.asp?id=1763308&codiciTestate=7&titolo=Atene%20cerca%20acquirenti%20per%20Rodi

martedì 20 marzo 2012

La bolla immobiliare tedesca

A Monaco i prezzi delle case sono saliti del 20% lo scorso anno. Incrementi a doppia cifra anche a Berlino, Amburgo, Francoforte. In valore assoluto parliamo di cifre relativamente se confrontate con altre grandi città europee: a Monaco in edia siamo sotto i 4 mila al metro quadro, ad Amburgo e Francoforte sotto i 3 mila, 2 mila Berlino. La Bundsbank è preoccupata: "Non è sicuro - ha avvertito - che l'aumento dei prezzi possa sempre essere coperto dai salari dei futuri affittuari"

http://www.ft.com/intl/cms/s/0/de4efd6e-6dbb-11e1-b9c7-00144feab49a.html#axzz1pgrDz8s5

I derivati del Tesoro


Il ministero dell'Economia italiano ha
aperto posizioni in derivati su circa 160 miliardi di debito
pubblico, l'8% del totale. 
      In base ai dati forniti in Parlamento dal governo giovedì
15 marzo 2012, circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36
miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi sono
swap stipulati in origine da Infrastrutture spa (Ispa) e poi
trasferiti a fine 2006 alla Repubblica italiana. 
    "I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap
corrispondono alla quasi totalità dei titoli emessi nel corso
degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni
internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni
estere sono state coperte dal rischio valutario", ha spiegato il
governo rispondendo a un'interpellanza presentata dall'Italia
dei valori alla Camera. 
     
    DA DERIVATI MAGGIORI INTERESSI PER OLTRE 6 MLD 2006-2010 
    Il Tesoro ricorre ai derivati per cercare di ridurre gli
interessi sul debito o per sterilizzare il rischio di cambio.
L'evoluzione dei mercati può però essere sfavorevole e il saldo
dei flussi di cassa porta in quel caso a maggiori oneri e non a
risparmi di spesa. 
    È anche possibile che i derivati siano volutamente
strutturati per produrre saldi positivi nei primi anni e saldi
negativi a partire da un certo periodo in poi. 
    Nel 2011 l'operatività in derivati si è tradotta in maggiori
interessi sul debito per circa 2 miliardi, in base ai dati
parziali anticipati da Istat a inizio marzo che si riferiscono
al totale delle amministrazioni pubbliche, quindi non solo al
Tesoro ma anche a regioni, province e comuni.  
    Istat non fornisce dati disaggregati tra amministrazione
centrale ed enti locali ma la parte preponderante delle
operazioni in derivati fa capo al Tesoro. 
    Le più recenti serie storiche di Istat non indicano effetti
sul bilancio prodotti dai derivati fino al 1997. Dal 1998 al
2010 il saldo dei flussi ha generato un risparmio complessivo
per l'Erario di 3,239 miliardi. 
    I derivati hanno prodotto risparmi di spesa fino al 2005,
poi i diversi contratti in essere hanno cominciato ad aumentare
gli interessi sul debito, producendo un onere complessico di
oltre 6 miliardi tra 2006 e 2011. 
    Ecco l'intera serie storica disponibile (in milioni di
euro), dove un valore positivo indica minori interessi e un
valore negativo maggiori interessi: 
  
 1998                             3.015 
 1999                               490 
 2000                             1.023 
 2001                               610 
 2002                               883  
 2003                               474 
 2004                               498 
 2005                               608 
 2006                              -260 
 2007                              -568 
 2008                              -595 
 2009                            -1.166 
 2010                            -1.773 
     
    IL CASO MORGAN STANLEY 
    Il 3 gennaio 2012 Morgan Stanley ha ottenuto dal Tesoro la
chiusura di due interest rate swap e di due swaption in
conseguenza di una clausola di "Additional termination event"
presente nel contratto quadro (Isda master agreement). 
    Per chiudere la posizione l'Italia ha dovuto versare alla
banca 2,6 miliardi di euro circa, pari al valore dei flussi
futuri scontati al presente (mark to market). 
    "Tale clausola, risalente alla data di stipula del
contratto, nel 1994, era unica e non presente in nessun altro
contratto quadro vigente tra il ministero e le sue controparti,
e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni,
rinegoziare la stessa. In virtù di tale clausola, si è proceduto
alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley,
regolandone il controvalore in 2,567 miliardi senza il
coinvolgimento di terze parti", ha reso noto il governo nell a
risposta all'interpellanza di giovedì scorso. 
    La notizia, emersa per la prima volta a inizio febbraio,
alimenta polemiche da settimane per l'impatto che l'operazione
ha avuto sul bilancio pubblico. 
    L'Italia dei valori, come in altre occasioni la Lega Nord,
ha insinuato alla Camera che nell'operazione vi sia stato un
potenziale conflitto di interessi.   
    "L'idea che ci sia stata una chiusura volontaria anticipata
della posizione può dare adito a qualche riflessione che tiene
conto anche dei soggetti interessati da questa operazione. Per
carità, nessuno pensa che sia un delitto il fatto che il figlio
del presidente del Consiglio lavori per Morgan Stanley e che il
capo country manager per Morgan Stanley in Italia sia Domenico
Siniscalco, che è stato ministro dell'Economia e delle Finanze
in un precedente governo [di Silvio] Berlusconi. Lei esclude che
ci sia una terza parte, qualcuno parlava di Banca Intesa il cui
amministratore delegato oggi è ministro di questa Repubblica",
ha detto il deputato Idv Antonio Borghesi riferendosi anche al
titolare dello Sviluppo economico, Corrado Passera. 
     
    TESORO NON DIFFONDE DATI SU MARK TO MARKET COMPLESSIVO 
    Per capire quanto rischia potenzialmente l'Italia dal suo
portafoglio in derivati bisognerebbe avere il mark to market
complessivo dei contratti, che indica in un dato momento quanto
una parte dovrebbe pagare all'altra per chiudere tutte le
posizioni in essere. 
    Il Tesoro non intende tuttavia diffondere questa
informazione. 
    Il mark to market "varia continuamente al variare sia del
livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva
dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un
valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato
sovrano risulta essere limitata", ha sostenuto il governo alla
Camera. 
     
    ITALIA FA PEGGIO DI PRINCIPALI STATI UE 
    L'Italia non sembra ottenere buoni risultati nella sua
gestione dei derivati se paragonata agli altri principali Stati
europei. 
    Infatti, in quei Paesi dove i derivati producono maggiori
interessi, gli importi sono molto inferiori a quanto registra
l'Italia. 
    Ecco la tabella con i dati Eurostat aggiornati ad ottobre
2011 ed elaborati da Reuters (in milioni di euro, anche qui un
valore positivo indica minori interessi e un valore negativo
maggiori interessi):  
                      2007     2008     2009     2010  Cumulato  
Italia                -568     -595   -1.166   -1.773    -4.102  
Germania               220      -20     -150      140       190  
Francia                342      326      549      386     1.603  
Spagna                   9      -27      -45       52       -11  
Regno Unito (CY)  *    284     -538     -936     -274    -1.464  
Regno Unito (FY) **    187     -850   -1.060      200    -1.523  
    * Anno di calendario 
    ** Anno finanziario 
     
    LE CARTOLARIZZAZIONI 
    Il Tesoro ha realizzato numerose operazioni di
cartolarizzazione tra gli anni Novanta e i primi anni del 2000
per ridurre deficit e debito pubblico. La maggior parte delle
operazioni ha avuto fine nel 2005, a causa delle nuove regole
imposte da Eurostat. 
    Con le cartolarizzazioni il Tesoro ha "attualizzato" ricavi
attesi negli anni a venire da varie operazioni: cessione di
immobili (Scip), recupero di crediti contributivi (le varie
tranche di Inps, Scic Personal loans), incentivi alla
ricerca(Scic research), gettito atteso dal gioco del lotto
(Lotto). 
    A fine 2005, secondo un documento depositato dal Tesoro in
Senato il 25 febbraio 2009, le operazioni di cartolarizzazione
hanno prodotto incassi complessivi per 39,84 miliardi. 
    La stima dei ricavi non coincide con l'effetto di riduzione
di deficit e debito per via delle regole di contabilità pubblica
fissate in sede europea. Le cartolarizzazioni si sono tradotte
infatti in 27,3 miliardi di minor debito e in 6,59 miliardi di
minor indebitamento netto, dopo che, nel luglio 2002, Eurostat
ha imposto all'Italia di riclassificare due cartolarizzazioni,
azzerandone l'effetto positivo sui conti pubblici di Roma. 
    Non tutte le operazioni si sono chiuse con un saldo
positivo. Nella primavera del 2009 il Tesoro ha rimborsato le
tranche residue di Scip con un onere complessivo per le casse
dello Stato pari a 1,735 miliardi di euro. 
    Di seguito i dati ufficiali del Tesoro per le sole
operazioni di cartolarizzazione, in base al documento del 25
febbraio 2009 (in milioni di euro): 
                                  EFFETTO RIDUZIONE:          
 ANNO              OPERAZIONI     DEBITO   DEFICIT    RICAVI 
 1999                   INPS1          0         0     4.647 
 2000                   INAIL          0         0     1.348 
 2001                   INPS2      1.190         0     1.706 
                        LOTTO          0         0     2.996 
                        SCIP1          0         0     1.994 
 2002                   INPS3      1.959         0     2.999 
                        SCIP2      6.596     6.596     6.596 
 2003                   INPS4      2.998         0     2.998 
             SCIC PERS. LOANS      4.227               4.227 
       SCIC LOCAL AUTHORITIES        539                 539 
 2004           SCIC RESEARCH      1.243         0     1.243 
                        INPS5      3.548         0     3.548 
 2005                   INPS6      4.999         0     4.999 
 TOTALE GENERALE                  27.301     6.596    39.844 
     
    Eurostat ha adottato, soprattutto nel 2007, una serie di
indirizzi che hanno limitato la possibilità di ricorrere alle
cartolarizzazioni. 
    "A partire dal 2007, qualsiasi cartolarizzazione realizzata
secondo gli standard di questo mercato avrebbe comportato un
aumento del debito secondo le regole comunitarie", ha spiegato
il Tesoro nel documento depositato in Senato. 
    (Giuseppe Fonte)
    
    Sul sito www.reuters.com altre notizie Reuters in italiano.
Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia

sabato 17 marzo 2012

Il crollo dei prezzi delle case spagnole

I prezzi delle case in Spagna sono calati in media dell'11,2% nell'ultimo trimestre del 2011 rispetto all'anno prima. Nel terzo trimestre la riduzione era stata del 7,4%. Il prezzo delle case usate è diminuito del 13,7%. Sono i dati peggiori da quando, nel 2007, l'Ine ha iniziato a tracciare la statistica. Rispetto al 2007 il calo è compreso tra il20 e il 30%. Le banche spagnole hanno in portafoglio 400 miliardi di euro di prestiti al settore immobiliare, asset basati su titoli che si svalutano se i prezzi immobiliari scendono. Parliamo di una cifra pari al 40% del Pil spagnolo. http://europe.wsj.com/article/SB10001424052702304692804577282790599220690.html?mod=ITP_pageone_0

Cresci l'Italia, gli interventi di sabato 17 marzo

venerdì 16 marzo 2012

Il testo (quasi) completo del convegno di Confindustria

Dice Raffaele Bonanni: la crescita si fa rimettendo in sesto i valori di sviluppo starati in Italia. Quindi fatto l’accordo sul lavoro bisogna dimostrare di avere buona volontà nel fare l’accordo. Perché è possibile farlo. Ieri i partiti della maggioranza si sono mossi grosso modo nello stesso modo. Sono soddisfatto. C’è la consapevolezza che la politica non serve per dividere, ma per unire. Così sveleniamo la questione. Spero che però dopo l’accordo si possa vero un patto per la crescita. Le immagini che abbiamo davanti, dalla Val di Susa a Brindisi e tanti altri nodi chiedono un intervento in cooperazione di tutti i sogetti che hanno autorevolezza nel nostro paese. Serve una discussione trasparente sul da farsi per unire le forze del paese. Diversamente rimettiamo in piedi le stesse cose già viste. Ogni occasione è buona per trovare succedanei invece di risolvere il problema. Gli dice Roberto Napoletano: e la Cisl cosa deve fare? Noi dobbiamo trovare l’accordo. L’articolo 18: norme per proteggere i lavoratori esistono anche in altri paesi europei. In Spagna non ci sono, dice qualcuno. Sì, ma lì fanno solo servizi ed edilizi. Noi dobbiamo ispirarci ai tedeschi, che fanno manifattura. Bene, l’obiettivo è far sì che quando i casi sono gravi il giudice deve procedere con la reintegra, in quelli meno gravi potrebbe bastare l’indennizzo. Prenderemmo due piccioni con una fava. L’altra questione per rendere efficace l’articolo 18 è togliere tutta la parte dei licenziamenti cosiddetti “economici individuali”. Vanno trattati diversamente, ordinariamente, perché se il lavoratore si sente leso può ricorrere al giudice, ma attraverso la via ordinaria. Mi pare che una proposta del genere possa funzionare. Grosso modo su una proposta del genere ci siamo messi a discutere. Spero che abbia un esito e che come industria ci aiuti anche a otgliere di mezzo una cosa fastidiosa per i lavoratori. Hai voglia a sentirti dire giovani, giovani, giovani. Molti dicono che fosse Biagi ad avere creato la flessibilità. Noi pensiamo che tutto ciò che si fa per il lavoratore dipendente, costringere la partita Iva, è un modo per pagare meno la gente. Finché ci sono centinaia di migliaia di persone fuori regola i giovani sono fuori. Io chiedo che questa storia si chiuda esattamente come si deve chiudere la partita del 18. Teniamo la cig ordinaria però la sosta si deve fare. La mobilità vorremmo restasse in qualche modo, soprattutto per le fasce alte d’età. Basta mettersi in testa che per trovare lavoro a chi lo perde ci sia l’agenzia del lavoro. Un’agenzia del lavoro può funzionare se ha gente dentro le imprese, se sa chi sta facendo cosa, e può sapere dove c’è un posto vuoto da coprire. Noi abbiamo proposto al tavolo di mettere gli elenchi dei disoccupati in mano alle agenzie di outplacement, che sanno fare quesot lavoro, è un fatto positivo. Se il lavoratore rifiuta un lavoro con la stessa qualifica si può perdere l’indennità. Però dico a Passera che la riforma delle pensioni che ha tanto alzato l’asticella dell’uscita (il mio problema è tra lavoratori che possono stare a lungo e altri no) noi con la mobilità dobbiamo stare attenti a chi ha 57-60 anni. Se dovessimo procedere in questo modo l’accordo è fatto. Ma dopo dobbiamo fare il patto. Io non credo che un accordo così mette a posto l’Italia. Che brutta Italia ho visto per cantieri che non possono partire, per una pubblica amministrazione che non funziona, per riforma delle istruzioni di cui nessuno discute.ù Dice Giuseppe Mussari. Abbiamo visto certe classifiche. Bisognerebbe dire quali sono i parametri. la questione della riforma del lavoro sta dietro la logica di attrarre investimenti e rendere più convenienti gli investimenti. Sta come la riforma delle pensioni stava al nostro rischio sovrano. Noi non eravamo sull’orlo del baratro, ma dentro, quando i tassi dei nuovi titoli superavano il 6%. Il merito di avere uno spread a 279, tanti ma molto meno di 550, è del governo e del parlamento. La riforma del lavoro diventa fondamentale in quesot senso. Abbiamo un modello con arretratezze nella flessbilità di entrata e di uscita: false partite Iva e altre cose che occultano rapporti di lavoro reali, ma non si può rendere meno flessibile e meno utilizzabile il lavoro a termine. Il tema è proteggere individuo e lavoratore traun passaggio e l’altro, non rendere più rigido l’ingresso, che sennò non avviene. E in uscita: una norma nata negli anni ‘70 che serviva a tutelare discriminazioni per chi faceva attività sindacale. Chi discrimina deve essere punito e obbligato a reintegrare. Ma chi non discrimina non può essere costretto alla reintegra, né per ragioni economiche né per ragioni disciplinari. Questo è il modello europeo. Ammortizzatori sociali: ci aspetta un tempo di ristrutturazioni, riduzione di lavoro, necessità di recuperare lavoratori fuori dal tessuto produttivo. Il nostro modello copre alcuni e non altri, oggi un passaggio brusco lascerebbe per strada troppa gente, e gente dell’età di cui parlava Bonanni. Serve tempo per un modello di assicurazione universalistico che protegga il maggior numero di persone possibili. In questo sistema chi aiuta il lavoratore a trovare un nuovo lavoro va privatizzato. Sennò iol rifiuto di un nuovo lavoro si gioca in un sistema in cui la convenienza spesso non è solo del lavoratore. Dice Giovanni Castellucci: le riforme sono indispensabili per gli investimenti, non esistono scorciatoie. A lungo sembrava che per la crescitabastasse spendere o bastasse consumare. Non è così, e la competitività del lavoro è fondamentale. Noi dove c’è flessibilità in uscita assumiamo più a cuor leggero e possiamo investire sulle competenze. Poi c’è il problema che la tassazione grava troppo sul lavoro. Devo dire che sono stati fatti tanti esempi di Paesi di successo. Noi siamo in tre di quelli, ogni Paese ha le sue storie, il suo contesto, ma tutti hanno avuto la volontà di fare politica industriale, cioè una visione di come il settore di quel paese può competere a livello globale. Penso anche che il ministro sappia e sia consapevole se e dove abbiamo bisogno di più competenze. È bello essere il paese del bello, della moda, ma abbiamo anche un know how di alto livello in tanti settori. Le infrastrutture possono rendere il paese più competitivo. Da un lato sul manifatturiero, dall’altro sul turismo. Qui c’è da dire che se con l’euro non possiamo svalutare, possiamo però finanziarci a basso costo.In Brasile si finanziano al 7%, in India al 7,5%, noi possiamo investire in infrastrutture con meno sforzo, ma dobbiamo essere selettivi. Non basta spendere per spendere. Poi spesso c’è il problema del problema di fare cantieri. Abbiamo un piano di invesitmenti da 5,7 miliardi all’anno, se non fossimo nell’euro non potremmo avere un piano del genere. Dice Michele Boldrin: c’è molta schizofrenia. L’Economic Forum ci dice state male ma potete migliorare. Queste classifiche sono spesso fatte male. Scusate se sono un po’ professorino. Paolazzi ha datto dati che sembrano coincidere con quello che l’opinione pubblica sente. Quello che la crisi ha fatto è stato colpire un animale che già stava molto male. Questo fissarsi sullo spread, adesso siete lì che siete pronti a stappare lo champagne. Vi ricordate il 1992? È sucessa la stessa cosa: abbiamo passato la seconda metà degli anni ‘90 ad aumentare la pressione fiscale nel nostro paese. È cambiato qualcosa? No, e il debito saliva. Mi sembra evidente e trasparente che i piccoli passi non funzionano. Io sono dell’opinione che questo paese abbia già perso l’occasione di riformare il mercato del lavoro. Non è fatto solo dai dipendenti, il lavoro, ma anche dagli statali e dal lavoro autonomo. Le liberalizzazioni non hanno toccato certi privilegi. O rimettono in discussione anche questa parte della trattativa. Non si può pestare da un lato solo. Prendiamo i numeri seriamente: alcune misure sono state prese. Dice Enrico Letta: è meglio essere molto secchi e sintetici. Ieri sera sul mercato del lavoro c’è stata una grande spinta positiva e importante. La direzione di marcia è molto chiara. L’accordo si deve fare. Su questo punto devono esserci scelte molto nette e molto forti. Quello che noi stiamo facendo, come Pd, lo facciamo non perché siamo obbligati, ma perché siamo convinti. Sostenere questo governo in modo convinto è un’altra cosa rispetto a farlo per chissà quali convenienza. Se noi non facciamo arrivare il messaggio significativo di avere fatto un buon passo avanti allora siamo già in un’altra situazione. Steinmeier mi ha colpito. Finalmente un leader tedesco ha amesso che la Germania è il Paese che più si è avvantaggiato dall’euro. Ci sono state storture in Europa. Dobbiamo cominciare sapendo che l’Europa non è sexy, oggi non fa scattare applausi, anzi, spesso maledizioni. Questa crisi è nata negli Usa anni fa, ma ne stanno uscendo perché hanno quelle istituzioni unitarie per aiutare la politica che l’Europa non ha. Abbiamo avuto oltre 100 vertici europei, ma molte decisioni non sono state prese. La non-Europa noi la paghiamo ancora molto. L’Europa non c’è, finché non la faremo “politica” non andiamo da nessuna parte. Poi le infrastrutture, che sono una questione chiave. Il governo ha fatto alcune scelte, sottolineo quella sui porti, che mi sembra molto utile. Ma a Milano siamo nel centro di una delle aree più ricche d’Europa, 500 chilometri da Ventimiglia a Trieste, ci sono 20 milioni di europei ricchi, un mercato enorme, ci sono 16 aeroporti, da Albenga a Ronchi. Scali che dovrebbero fare profitti perché c’è un mercato enorme, ma per non scelte di politica e sistema, e invece gli aeroporti si fanno concorrenza nel favorire gli scali di Francoforte, Monaco e Parigi. Per certe scelte i nostir aeroporti non fanno quello che dovrebbero. Ci siamo tutti in questa vicenda. È un’Italia in cui si dice sempre di sì a tutti, e invece bisogna dire più no e meno sì. In un tempo di globalizzazione come il nostro non si va da nessuna parte con tanto localismo. Credo che nulla sarà più come prima dopo le elezioni del 2013. Se la politica non può nemmeno cambiare la legge elettorale, allora può suicidarsi ed essere messa da parte. Spero che invece riesca ad autoriformarsi e fare le scelte che ha bisogno di fare. Dice, concludendo tutto, Corrado Passera. Lasciatemi dire che anche quando ero qui seduto sulle poltroncine, gli anni scorsi, sentivo una grande responsabilità. Ora la sento anche più forte. Condivido la ricerca del Csc. Prende tutti i pezzi dell’economia e della società e mostra come tutto si tenga e su tutto si debba intervenire. Ciascuno nella propria aizenda lo fa, anche i Paesi devono: dobbiamo confrontarci con chi ha fatto meglio e capire perché altri ci sono riusciti e noi no. Ci fa piacere vedere in certe conclusioni molto del lavoro che stiamo facendo in questi primissimi mesi di lavoro del governo. Vogliamo creare le condizioni della crescita, tirare fuori quel potenziale di crescita che il Paese può avere e non si è ancora espresso. Siamo cresciuti meno degli altri e le ragioni sono tante e molto diffuse, possono e devono essere affrontate per rigirarle nella direzione opposta. Non dobbiamo concentrarci sullo spread come fine in sé, ma lo spread come indicatore è funzione della nostra capacità di risolvere tutti i problemi strutturali alla base della scarsa crescita. Quando ci siamo visti a dicembre, era la prima uscita, a Confindustria, a Roma, ci siamo detti: dobbiamo comunque mettere subito in sicurezza i conti, perché senza quelli il mondo non ci aspetterbebe, poi affrontare in maniera contingente i problemi che abbiamo, poi mettere insieme un piano che tocchi tutti gli aspetti, tutti i motori della crescita e della competitività. Il governo si è subito impegnato sulla messa in sicurezza dei conti. Lo avevamo detto: dobbiamo mettere qualcosa che sostenesse quello che ci stava cadendo in testa. La determinazione con cui tutti assieme abbiamo fatto un piano così inaspettato per il mondo. Contemporaneamente si è messo in modo un piano articolato, che ora vediamo insieme,per la crescita. È un piano di investimento e creazione delle condizioni. Alcune riforme importanti e che adesso si stanno mettendo in moto. Molte di queste idee ci sono venute dal continuo confronto con le parti sociali, le associazioni di cateogria, l’attitudine di andare a vedere in giro per il mondo quello che è stato fatto in altri campi. Come risalire la graduatoria del Wef? Vediamo le cose fatte o che stanno per venire fuori. 1. Abbiamo detto che le aziende che fanno crescita sono quelle che innovano e vanno nel mondo. Ci sono tante leggi elegigne per innovazione e ricerca. Facciamo un repulisti, vogliamo fare meccanismi facili e automatici che mettano assieme risorse rilevanti per chi mette insieme persone e macchinari per fare ricerca e innovazione. Ci mettiamo anche il capitolo molto pervasivo dell’agenda digitale, prerequisiti per fare innovazione. Poi internazionalizzazione: un nostro difetto frequente è di avere tante entità non coordinate. Vogliamo ricreare attorno a un’Ice più asciutto ma attento a formazione, ricerca e organizzazione, organizzato attorno alle ambasciate e combinato con le camere di commercio. Così può aiutare le aziende che non possono internazionalizzare da sole. Poi serve un finanziamento dell’export più forte. Ci sono Sace, Cdp, potremmo fare uno strumento più rapido ed efficace. Già nel salva-Italia abbiamo messo un inizio di riforma fiascale (6 miliardi di Irap e Acep) per le aziende che fanno qualità e cercano la crescita, non sono tutto ciò che servirebbe ma lo abbiamo voluto mettere. Ci saranno altre iniziative, ma parliamo di cose fatte. Poi il credito: si sono accumulate tutte le criticità per peggiorare la situazione del sistema creditizio. La Bce è riuscita a gestire la situazione e le cose possono migliorare. Ci sono poi i debiti dello Stato, una malattia grave che dobbiamo curare da un lato applicando regole europee e poi andando a recuperare velocemente l’accumulato di non pagato, in linea con gli obiettivi di finanza pubblica. 2. Oltre al costo del credito cè il grande tema dell’energia. Capitolo che prenderà forme molto concrete. È un punto di debolezza e dobbiamo risolverlo. Dobbiamo lavorare sull’efficienza energetica, diventare un vero e proprio hub del gas, e quindi mettere in contastto la reteitaliana con le principali reti europee, poi le rinnovabili, dovremo avere il coraggio di prendere atto di errori che ci sono costati tanto. Vogliamo non solo confermare gli obiettivi europei e possiamo superarli. Non è in discussione l’importanza delle rinnovabili, ma non sprecando i soldi di aziende e famiglie in eccesso di investimento che nulla portano alla ricchezza italiana. Nel fotovoltaico si è andati oltre. 3. Poi la burocrazia. Dobbiamo tagliare quelle procedure estremamente costose. Sono tutti elementi importanti per fare produttività. Anche sul lavoro: abbiamo accumulato ritardi, qui c’è la possibilità di fare un bel passo avanti, con contrattualistica, flessibilità, ammortizzatori e politiche di impiego. Abbiamo una riforma a cui manca l’ultimo miglio. 4. Cè poi il tema della giustizia, non sono Severino ma avete sentito che stiamo lavorando al Tribunale delle imprese. 5. Infrastrutture: quelle giuste, dobbiamo investire. Semplificazione delle procedure, meccanismi per rendere più attraente, fatti già oggi, investimenti sulle infrastrutture. I cantieri presto saranno sul nostro sito così si potrà vedere se una cosa va avanti o no e se non va perché no. Poi il tema del coinvolgimento profondo, regolato, anticipato ma non infinito dei territorio coinvolti, che sennò diventa spesso una causa di allungamenti di lavori non flessibili e aumento di costi non accettabili. Quei 20 miliardi di euro iniziali che abbiamo trovato e che rischiavano di essere anche persi possono essere raddoppiati per fare quei grandi impegni che servono. Almeno il 3% del Pil. 6. Non basta la competitività di imprese e sistema.

Lo shale gas americano

Fino a qualche anno fa gli Stati Uniti sembravano pronti per un rinascimento nucleare. C'erano progetti per la costruzione di 29 nuove centrali. Oggi i progetti ancora in piedi sono solo due. A uccidere il rinascimento nucleare è stato lo shale gas, più economico e gestibile. Tra il 2011 e il 2015 saranno realizzati 258 nuovi impianti elettrici basati sullo shale gas. Le stime della Us Energy Administration dicono che una centrale a shale gas costa 978$ per kilowatt di capacità, mentre una centrale nucleare costa 5.339$ per kilowatt. L'Agenzia internazionale per l'energia prevede che il Paese aggiungerà 222 gigawatt di capacità elettrica tra il 2010 e il 2035 (è un aumento del 20%). Il 58% di questo aumento sarà tramite gas naturale, il 31% da fonti rinnovabili (soprattutto idroelettrico) quindi un 8% di carbone e solo un 4% di nucleare.

http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304459804577281490129153610.html 

Lo shale gas cinese


La Cina prevede una crescita della produzione dai suoi depositi di shale gas: oggi non ne estrae niente, nel 2015 punta a ricavarne 230 miliardi di metri cubi. Per il 2020 la previsione è decuplicare questa quantità. La Cina ha appena iniziato le esplorazioni, ma secondo la Us Geological Survey le risorse di shale gas cinese ammontano a 1.275 mila miliardi di metri cubi, cioè il 50% delle risorse stimate per gli Usa. Le compagnie più attive sono Royal Dutch Shell e Petrochina, che hanno già avviato le operazioni. In cerca di alleati Chevron, Total e British. Eni non c'è. Pechino conta di sostituire con lo shale gas parte della sua produzione di energia a carbone. 

giovedì 15 marzo 2012

Il petrolio dell'Iran

La produzione di petrolio iraniano è scesa ai minimi da 10 anni e potrebbe tornare ai livelli della crisi petrolifera dell'inizio degli anni Ottanta. Secondo l'Aie a febbraio la produzione di greggio iraniano si è fermata a 3,38 milioni di barili al giorno, con un calo di 50 mila unità.

La guerra tra le coop

Su Italia Oggi il racconto del durissimo scontro tra la Coop Costruttori, Legacoop, Unipol e Pd...

La crisi esplode tra le coop rosse - PRIMO PIANO - Italiaoggi:

martedì 13 marzo 2012

La storia fiscale (recente) d'italia


La serie storica della pressione fiscale in Italia elaborata dalla Cgia di Mestre su dati Istat (i dati sono in percentuale sul Pil).
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   Anni                Pressione fiscale
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   1980                      31,4
   1981                      31,1
   1982                      34,1
   1983                      36,3
   1984                      34,9
   1985                      34,6
   1986                      35,0
   1987                      35,4
   1988                      36,6
   1989                      37,3
   1990                      38,2
   1991                      39,2
   1992                      41,7
   1993                      42,7
   1994                      40,6
   1995                      40,9
   1996                      41,4
   1997                      43,4
   1998                      42,2
   1999                      41,9
   2000                      41,3
   2001                      41,0
   2002                      40,5
   2003                      41,0
   2004                      40,4
   2005                      40,1
   2006                      41,7
   2007                      42,7
   2008                      42,6
   2009                      43,0
   2010                      42,6
   2011                      42,5

Il caso Mozambico

Un paese con un prodotto interno lordo di 10 miliardi di dollari e che dipende per il 40-45% delle sue entrate dalle donazioni dall'estero sta per ricevere 80 miliardi di investimenti per i progetti su gas e carbone (il gas è quello dell'Eni). Oggi metà degli abitanti del Mozambico vive con meno di 50 centesimi al giorno.

Chi aiuta la Grecia

Nel secondo pacchetto di aiuti alla Grecia, il Fondo monetario mette 20 miliardi, la Germania 32, la Francia 24, l'Italia 21,1, la Spagna 14, l'Olanda 6,7, il Belgio 4,1, l'Austria 3,3 miliardi, la Finlandia 2,1, la Slovacchia 1,2, 600 milioni la Slovenia, 300 l'Estonia e il Lussemburgo , 200 Cipro, 100 Malta.

lunedì 12 marzo 2012

E i soldi della Bce spingono il barile



 da Avvenire, 10 marzo 2012, di Pietro Saccò
Chi volesse sapere dove sono quei mille miliardi  di euro che la Banca centrale europea ha prestato a un prezzo stracciato alle grandi banche con le aste di dicembre e febbraio sbaglierebbe se li cercasse nella malmessa "economia reale". Imprese e famiglie, come potrebbe confermare chiunque sia costretto in queste settimane a passare dalla filale in cerca di credito, continuano a doversi finanziare da sole. Molto di quel denaro è finito certamente sul mercato secondario dei titoli di Stato: in particolare sui Btp italiani e i Bonos spagnoli. Se gli interessi chiesti all'Italia sui suoi titoli decennali sono scesi dal 7% di fine dicembre
all'attuale 4,8% – con un risparmio per il nostro governo quantificabile in 16 miliardi di euro solo quest'anno – è proprio perché le banche stanno comprando molti di quei titoli. È un ottimo affare: gli istituti hanno preso in prestito i soldi stampati dalla Bce pagando un tasso annuo dell'1%, se li investono su qualsiasi cosa garantisca un tasso superiore possono guadagnare sulla differenza. Uno spread più basso (ieri il differenziale tra Btp e Bund ha toccato i 283 punti, il minimo da agosto, per poi chiudere di nuovo sopra i 300) riduce i costi del nuovo indebitamento per tutti, istituti di credito compresi, e quindi queste operazioni che tecnicamente si definiscono di "carry trade" hanno un doppio vantaggio.
Altri miliardi sono sicuramente finiti nelle Borse, che infatti dall'inizio dell'anno stanno segnando recuperi impressionanti. Per esempio Milano, nonostante un gennaio estremamente turbolento, in questo 2012 ha guadagnato il 6,1%. Altri miliardi ancora restano nelle casse elettroniche delle banche, tenuti fermi per rafforzare il patrimonio. Sono spesso gli stessi miliardi che, di notte, vengono parcheggiati nei depositi della Bce, il luogo finanziariamente più sicuro d'Europa, piuttosto che essere scambiati tra una banca e l'altra (il timore di fallimenti improvvisi non è ancora morto). Nella notte tra mercoledì e giovedì le casse della Bce hanno ospitato 827 miliardi di euro, il massimo storico, nella notte successiva altri 816 miliardi.
Quello che però la Bce forse non aveva previsto è che le banche potessero usare quei mille miliardi anche per ostacolare la ripresa mondiale. Invece è proprio quello che stanno facendo, perché coperti di denaro a basso costo gli istituti di credito si sono messi a comprare contratti futures sul petrolio. Lo ha spiegato ieri l'Unione Petrolifera, che ha elencato le ragioni dell'ultima impennata dei prezzi: «Le tensioni geopolitiche legate soprattutto alla vicenda iraniana, qualche rigidità dal lato dei fondamentali e l'enorme liquidità a disposizione del sistema bancario, prevalentemente impiegata sui mercati delle commodities e del petrolio in particolare». Come nota l'Up, i problemi "di mercato" sono contenuti: a causa della crisi è da 8 mesi che l'Agenzia internazionale dell'energia taglia ripetutamente le stime sulla domanda globale di greggio. C'è la questione iraniana, ma non basta. Soprattutto, ci sono le banche, che non sapendo dove mettere il mare di liquidità ricevuto cercano profitti sul caro vecchio petrolio. Il grafico del prezzo del petrolio "europeo", il Brent, lascia pochi dubbi: dopo avere oscillato tra i 100 e i 110 dollari per tutto il 2011, con la fine dello scorso dicembre (la prima asta Bce è stata il 21 dicembre) la quotazione del greggio ha iniziato a salire fino a toccare gli attuali 125 dollari. Paradossalmente i soldi con cui la Bce ha fermato quello che era il principale nemico della ripresa mondiale, la crisi del debito europeo, stanno finendo per creare, nel barile, un nuovo, temibile, avversario.