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venerdì 16 marzo 2012

Il testo (quasi) completo del convegno di Confindustria

Dice Raffaele Bonanni: la crescita si fa rimettendo in sesto i valori di sviluppo starati in Italia. Quindi fatto l’accordo sul lavoro bisogna dimostrare di avere buona volontà nel fare l’accordo. Perché è possibile farlo. Ieri i partiti della maggioranza si sono mossi grosso modo nello stesso modo. Sono soddisfatto. C’è la consapevolezza che la politica non serve per dividere, ma per unire. Così sveleniamo la questione. Spero che però dopo l’accordo si possa vero un patto per la crescita. Le immagini che abbiamo davanti, dalla Val di Susa a Brindisi e tanti altri nodi chiedono un intervento in cooperazione di tutti i sogetti che hanno autorevolezza nel nostro paese. Serve una discussione trasparente sul da farsi per unire le forze del paese. Diversamente rimettiamo in piedi le stesse cose già viste. Ogni occasione è buona per trovare succedanei invece di risolvere il problema. Gli dice Roberto Napoletano: e la Cisl cosa deve fare? Noi dobbiamo trovare l’accordo. L’articolo 18: norme per proteggere i lavoratori esistono anche in altri paesi europei. In Spagna non ci sono, dice qualcuno. Sì, ma lì fanno solo servizi ed edilizi. Noi dobbiamo ispirarci ai tedeschi, che fanno manifattura. Bene, l’obiettivo è far sì che quando i casi sono gravi il giudice deve procedere con la reintegra, in quelli meno gravi potrebbe bastare l’indennizzo. Prenderemmo due piccioni con una fava. L’altra questione per rendere efficace l’articolo 18 è togliere tutta la parte dei licenziamenti cosiddetti “economici individuali”. Vanno trattati diversamente, ordinariamente, perché se il lavoratore si sente leso può ricorrere al giudice, ma attraverso la via ordinaria. Mi pare che una proposta del genere possa funzionare. Grosso modo su una proposta del genere ci siamo messi a discutere. Spero che abbia un esito e che come industria ci aiuti anche a otgliere di mezzo una cosa fastidiosa per i lavoratori. Hai voglia a sentirti dire giovani, giovani, giovani. Molti dicono che fosse Biagi ad avere creato la flessibilità. Noi pensiamo che tutto ciò che si fa per il lavoratore dipendente, costringere la partita Iva, è un modo per pagare meno la gente. Finché ci sono centinaia di migliaia di persone fuori regola i giovani sono fuori. Io chiedo che questa storia si chiuda esattamente come si deve chiudere la partita del 18. Teniamo la cig ordinaria però la sosta si deve fare. La mobilità vorremmo restasse in qualche modo, soprattutto per le fasce alte d’età. Basta mettersi in testa che per trovare lavoro a chi lo perde ci sia l’agenzia del lavoro. Un’agenzia del lavoro può funzionare se ha gente dentro le imprese, se sa chi sta facendo cosa, e può sapere dove c’è un posto vuoto da coprire. Noi abbiamo proposto al tavolo di mettere gli elenchi dei disoccupati in mano alle agenzie di outplacement, che sanno fare quesot lavoro, è un fatto positivo. Se il lavoratore rifiuta un lavoro con la stessa qualifica si può perdere l’indennità. Però dico a Passera che la riforma delle pensioni che ha tanto alzato l’asticella dell’uscita (il mio problema è tra lavoratori che possono stare a lungo e altri no) noi con la mobilità dobbiamo stare attenti a chi ha 57-60 anni. Se dovessimo procedere in questo modo l’accordo è fatto. Ma dopo dobbiamo fare il patto. Io non credo che un accordo così mette a posto l’Italia. Che brutta Italia ho visto per cantieri che non possono partire, per una pubblica amministrazione che non funziona, per riforma delle istruzioni di cui nessuno discute.ù Dice Giuseppe Mussari. Abbiamo visto certe classifiche. Bisognerebbe dire quali sono i parametri. la questione della riforma del lavoro sta dietro la logica di attrarre investimenti e rendere più convenienti gli investimenti. Sta come la riforma delle pensioni stava al nostro rischio sovrano. Noi non eravamo sull’orlo del baratro, ma dentro, quando i tassi dei nuovi titoli superavano il 6%. Il merito di avere uno spread a 279, tanti ma molto meno di 550, è del governo e del parlamento. La riforma del lavoro diventa fondamentale in quesot senso. Abbiamo un modello con arretratezze nella flessbilità di entrata e di uscita: false partite Iva e altre cose che occultano rapporti di lavoro reali, ma non si può rendere meno flessibile e meno utilizzabile il lavoro a termine. Il tema è proteggere individuo e lavoratore traun passaggio e l’altro, non rendere più rigido l’ingresso, che sennò non avviene. E in uscita: una norma nata negli anni ‘70 che serviva a tutelare discriminazioni per chi faceva attività sindacale. Chi discrimina deve essere punito e obbligato a reintegrare. Ma chi non discrimina non può essere costretto alla reintegra, né per ragioni economiche né per ragioni disciplinari. Questo è il modello europeo. Ammortizzatori sociali: ci aspetta un tempo di ristrutturazioni, riduzione di lavoro, necessità di recuperare lavoratori fuori dal tessuto produttivo. Il nostro modello copre alcuni e non altri, oggi un passaggio brusco lascerebbe per strada troppa gente, e gente dell’età di cui parlava Bonanni. Serve tempo per un modello di assicurazione universalistico che protegga il maggior numero di persone possibili. In questo sistema chi aiuta il lavoratore a trovare un nuovo lavoro va privatizzato. Sennò iol rifiuto di un nuovo lavoro si gioca in un sistema in cui la convenienza spesso non è solo del lavoratore. Dice Giovanni Castellucci: le riforme sono indispensabili per gli investimenti, non esistono scorciatoie. A lungo sembrava che per la crescitabastasse spendere o bastasse consumare. Non è così, e la competitività del lavoro è fondamentale. Noi dove c’è flessibilità in uscita assumiamo più a cuor leggero e possiamo investire sulle competenze. Poi c’è il problema che la tassazione grava troppo sul lavoro. Devo dire che sono stati fatti tanti esempi di Paesi di successo. Noi siamo in tre di quelli, ogni Paese ha le sue storie, il suo contesto, ma tutti hanno avuto la volontà di fare politica industriale, cioè una visione di come il settore di quel paese può competere a livello globale. Penso anche che il ministro sappia e sia consapevole se e dove abbiamo bisogno di più competenze. È bello essere il paese del bello, della moda, ma abbiamo anche un know how di alto livello in tanti settori. Le infrastrutture possono rendere il paese più competitivo. Da un lato sul manifatturiero, dall’altro sul turismo. Qui c’è da dire che se con l’euro non possiamo svalutare, possiamo però finanziarci a basso costo.In Brasile si finanziano al 7%, in India al 7,5%, noi possiamo investire in infrastrutture con meno sforzo, ma dobbiamo essere selettivi. Non basta spendere per spendere. Poi spesso c’è il problema del problema di fare cantieri. Abbiamo un piano di invesitmenti da 5,7 miliardi all’anno, se non fossimo nell’euro non potremmo avere un piano del genere. Dice Michele Boldrin: c’è molta schizofrenia. L’Economic Forum ci dice state male ma potete migliorare. Queste classifiche sono spesso fatte male. Scusate se sono un po’ professorino. Paolazzi ha datto dati che sembrano coincidere con quello che l’opinione pubblica sente. Quello che la crisi ha fatto è stato colpire un animale che già stava molto male. Questo fissarsi sullo spread, adesso siete lì che siete pronti a stappare lo champagne. Vi ricordate il 1992? È sucessa la stessa cosa: abbiamo passato la seconda metà degli anni ‘90 ad aumentare la pressione fiscale nel nostro paese. È cambiato qualcosa? No, e il debito saliva. Mi sembra evidente e trasparente che i piccoli passi non funzionano. Io sono dell’opinione che questo paese abbia già perso l’occasione di riformare il mercato del lavoro. Non è fatto solo dai dipendenti, il lavoro, ma anche dagli statali e dal lavoro autonomo. Le liberalizzazioni non hanno toccato certi privilegi. O rimettono in discussione anche questa parte della trattativa. Non si può pestare da un lato solo. Prendiamo i numeri seriamente: alcune misure sono state prese. Dice Enrico Letta: è meglio essere molto secchi e sintetici. Ieri sera sul mercato del lavoro c’è stata una grande spinta positiva e importante. La direzione di marcia è molto chiara. L’accordo si deve fare. Su questo punto devono esserci scelte molto nette e molto forti. Quello che noi stiamo facendo, come Pd, lo facciamo non perché siamo obbligati, ma perché siamo convinti. Sostenere questo governo in modo convinto è un’altra cosa rispetto a farlo per chissà quali convenienza. Se noi non facciamo arrivare il messaggio significativo di avere fatto un buon passo avanti allora siamo già in un’altra situazione. Steinmeier mi ha colpito. Finalmente un leader tedesco ha amesso che la Germania è il Paese che più si è avvantaggiato dall’euro. Ci sono state storture in Europa. Dobbiamo cominciare sapendo che l’Europa non è sexy, oggi non fa scattare applausi, anzi, spesso maledizioni. Questa crisi è nata negli Usa anni fa, ma ne stanno uscendo perché hanno quelle istituzioni unitarie per aiutare la politica che l’Europa non ha. Abbiamo avuto oltre 100 vertici europei, ma molte decisioni non sono state prese. La non-Europa noi la paghiamo ancora molto. L’Europa non c’è, finché non la faremo “politica” non andiamo da nessuna parte. Poi le infrastrutture, che sono una questione chiave. Il governo ha fatto alcune scelte, sottolineo quella sui porti, che mi sembra molto utile. Ma a Milano siamo nel centro di una delle aree più ricche d’Europa, 500 chilometri da Ventimiglia a Trieste, ci sono 20 milioni di europei ricchi, un mercato enorme, ci sono 16 aeroporti, da Albenga a Ronchi. Scali che dovrebbero fare profitti perché c’è un mercato enorme, ma per non scelte di politica e sistema, e invece gli aeroporti si fanno concorrenza nel favorire gli scali di Francoforte, Monaco e Parigi. Per certe scelte i nostir aeroporti non fanno quello che dovrebbero. Ci siamo tutti in questa vicenda. È un’Italia in cui si dice sempre di sì a tutti, e invece bisogna dire più no e meno sì. In un tempo di globalizzazione come il nostro non si va da nessuna parte con tanto localismo. Credo che nulla sarà più come prima dopo le elezioni del 2013. Se la politica non può nemmeno cambiare la legge elettorale, allora può suicidarsi ed essere messa da parte. Spero che invece riesca ad autoriformarsi e fare le scelte che ha bisogno di fare. Dice, concludendo tutto, Corrado Passera. Lasciatemi dire che anche quando ero qui seduto sulle poltroncine, gli anni scorsi, sentivo una grande responsabilità. Ora la sento anche più forte. Condivido la ricerca del Csc. Prende tutti i pezzi dell’economia e della società e mostra come tutto si tenga e su tutto si debba intervenire. Ciascuno nella propria aizenda lo fa, anche i Paesi devono: dobbiamo confrontarci con chi ha fatto meglio e capire perché altri ci sono riusciti e noi no. Ci fa piacere vedere in certe conclusioni molto del lavoro che stiamo facendo in questi primissimi mesi di lavoro del governo. Vogliamo creare le condizioni della crescita, tirare fuori quel potenziale di crescita che il Paese può avere e non si è ancora espresso. Siamo cresciuti meno degli altri e le ragioni sono tante e molto diffuse, possono e devono essere affrontate per rigirarle nella direzione opposta. Non dobbiamo concentrarci sullo spread come fine in sé, ma lo spread come indicatore è funzione della nostra capacità di risolvere tutti i problemi strutturali alla base della scarsa crescita. Quando ci siamo visti a dicembre, era la prima uscita, a Confindustria, a Roma, ci siamo detti: dobbiamo comunque mettere subito in sicurezza i conti, perché senza quelli il mondo non ci aspetterbebe, poi affrontare in maniera contingente i problemi che abbiamo, poi mettere insieme un piano che tocchi tutti gli aspetti, tutti i motori della crescita e della competitività. Il governo si è subito impegnato sulla messa in sicurezza dei conti. Lo avevamo detto: dobbiamo mettere qualcosa che sostenesse quello che ci stava cadendo in testa. La determinazione con cui tutti assieme abbiamo fatto un piano così inaspettato per il mondo. Contemporaneamente si è messo in modo un piano articolato, che ora vediamo insieme,per la crescita. È un piano di investimento e creazione delle condizioni. Alcune riforme importanti e che adesso si stanno mettendo in moto. Molte di queste idee ci sono venute dal continuo confronto con le parti sociali, le associazioni di cateogria, l’attitudine di andare a vedere in giro per il mondo quello che è stato fatto in altri campi. Come risalire la graduatoria del Wef? Vediamo le cose fatte o che stanno per venire fuori. 1. Abbiamo detto che le aziende che fanno crescita sono quelle che innovano e vanno nel mondo. Ci sono tante leggi elegigne per innovazione e ricerca. Facciamo un repulisti, vogliamo fare meccanismi facili e automatici che mettano assieme risorse rilevanti per chi mette insieme persone e macchinari per fare ricerca e innovazione. Ci mettiamo anche il capitolo molto pervasivo dell’agenda digitale, prerequisiti per fare innovazione. Poi internazionalizzazione: un nostro difetto frequente è di avere tante entità non coordinate. Vogliamo ricreare attorno a un’Ice più asciutto ma attento a formazione, ricerca e organizzazione, organizzato attorno alle ambasciate e combinato con le camere di commercio. Così può aiutare le aziende che non possono internazionalizzare da sole. Poi serve un finanziamento dell’export più forte. Ci sono Sace, Cdp, potremmo fare uno strumento più rapido ed efficace. Già nel salva-Italia abbiamo messo un inizio di riforma fiascale (6 miliardi di Irap e Acep) per le aziende che fanno qualità e cercano la crescita, non sono tutto ciò che servirebbe ma lo abbiamo voluto mettere. Ci saranno altre iniziative, ma parliamo di cose fatte. Poi il credito: si sono accumulate tutte le criticità per peggiorare la situazione del sistema creditizio. La Bce è riuscita a gestire la situazione e le cose possono migliorare. Ci sono poi i debiti dello Stato, una malattia grave che dobbiamo curare da un lato applicando regole europee e poi andando a recuperare velocemente l’accumulato di non pagato, in linea con gli obiettivi di finanza pubblica. 2. Oltre al costo del credito cè il grande tema dell’energia. Capitolo che prenderà forme molto concrete. È un punto di debolezza e dobbiamo risolverlo. Dobbiamo lavorare sull’efficienza energetica, diventare un vero e proprio hub del gas, e quindi mettere in contastto la reteitaliana con le principali reti europee, poi le rinnovabili, dovremo avere il coraggio di prendere atto di errori che ci sono costati tanto. Vogliamo non solo confermare gli obiettivi europei e possiamo superarli. Non è in discussione l’importanza delle rinnovabili, ma non sprecando i soldi di aziende e famiglie in eccesso di investimento che nulla portano alla ricchezza italiana. Nel fotovoltaico si è andati oltre. 3. Poi la burocrazia. Dobbiamo tagliare quelle procedure estremamente costose. Sono tutti elementi importanti per fare produttività. Anche sul lavoro: abbiamo accumulato ritardi, qui c’è la possibilità di fare un bel passo avanti, con contrattualistica, flessibilità, ammortizzatori e politiche di impiego. Abbiamo una riforma a cui manca l’ultimo miglio. 4. Cè poi il tema della giustizia, non sono Severino ma avete sentito che stiamo lavorando al Tribunale delle imprese. 5. Infrastrutture: quelle giuste, dobbiamo investire. Semplificazione delle procedure, meccanismi per rendere più attraente, fatti già oggi, investimenti sulle infrastrutture. I cantieri presto saranno sul nostro sito così si potrà vedere se una cosa va avanti o no e se non va perché no. Poi il tema del coinvolgimento profondo, regolato, anticipato ma non infinito dei territorio coinvolti, che sennò diventa spesso una causa di allungamenti di lavori non flessibili e aumento di costi non accettabili. Quei 20 miliardi di euro iniziali che abbiamo trovato e che rischiavano di essere anche persi possono essere raddoppiati per fare quei grandi impegni che servono. Almeno il 3% del Pil. 6. Non basta la competitività di imprese e sistema.

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