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martedì 31 luglio 2012

Nuovi allarmi sulla crescita cinese

Le semestrali delle aziende cinesi hanno mostrato cali pesanti. L'80% dei produttori d'acciaio hanno avvertito che i loro risultati saranno inferiori alle previsioni. I ricavi dei colossi statali sono in calo dell'11,6%, quelli del settore industriale privato del 2,2%.

dal Ft

lunedì 30 luglio 2012

Il male cinese di Apple

Quando Apple ha lanciato il suo nuovo iPad in Cina (dopo la risoluzione della disputa sul nome del tablet), la settimana scorsa, non ci sono state le solite code davanti ai negozi. Anche a marzo, quando il nuovo iPad è arrivato in Cina attraverso rivenditori illegali, i negozianti hanno dovuto tagliare il prezzo del 30% perché i clienti non erano entusiasti. La settimana scorsa la trimestrale di Apple ha mostrato un calo nel trimestre del 28% dei ricavi in Cina, a 5,7 miliardi di dollari. Rispetto a un anno prima il dato era superiore del 48%. Gli analisti dicono che i clienti cinesi sono diventati più "price sensitive" e trovano diverse alternative all'iPad.
dal Ft

"L'auto sconta la crisi"

Cercare un’auto nuova, in questi mesi, può essere un’esperienza gratificante. Costruttori e conces­sionari si svenano pur di riuscire a piazzare qual­che macchina in più, mentre il potenziale acquirente, se la crisi non gli ha svuotato troppo il conto in banca, sco­pre sorpreso di potersi permettere modelli che fino a po­co tempo fa sembravano irraggiungibili. «È un bagno di sangue dei prezzi ed è un bagno di sangue dei margini» ha detto Sergio Marchionne all’International Herald Tri­bune, irritando i rivali di Volkswagen. I tedeschi negano, ma la disperata guerra degli sconti non è un’invenzione del manager della Fiat. «Ci sono troppi marchi in Euro­pa che competono a prezzi irrazionali» ha spiegato Arndt Ellinghorst, analista del settore auto del Crédit Suisse. Secondo i suoi calcoli, il 60% delle macchine europee so­no vendute a prezzi inferiori ai costi di produzione.
Tagliare i prezzi e fare offerte davvero pazzesche è l’uni­co modo per conquistare clienti in un mercato dell’auto europea tornato ai livelli del 1994. È paradossale che tut­to questo avvenga nel momento del boom dell’auto mon­diale. Nel 2012 le immatricolazioni di auto nuove a livel­lo globale potrebbero raggiungere il record degli 80 mi­lioni di unità, ma è tutto merito di Cina, India, Russia e Sudamerica, economie emergenti dove ogni anno spun­tano decine di milioni di persone diventate abbastanza ricche da potersi comprare una macchina, e fabbriche di automobili pronte ad accontentarle. In Europa le vendi­te si fermeranno invece sotto i 13 milioni, 3 in meno ri­spetto all’anno migliore (il 2007) e troppo pochi per fare funzionare le fabbriche, se non quelle di 'lusso' che producono per esportare i veicoli lon­tano dal Vecchio continente.
Secondo uno studio di AlixPartners le fabbriche di auto europee stanno la­vorando al 73% della loro capacità pro­duttiva. In genere, sottolineano gli a­nalisti, la soglia di produttività sotto la quale si lavora in perdita è del 75-80%.
Stanno sopra quella quota Germania e Regno Unito (en­trambi all’85%), ci va vicina la Spagna (70%) mentre le fab­briche di Francia (60%) e Italia (54%) sono lontanissime dalla capacità di produrre profitti. Non aspettatevi una ripresa rapida, ha avvertito AlixPartners: i livelli di ven­dite del 2007 non torneranno prima del 2020. E siccome lavorare in perdita non è un grande affare, diversi co­struttori europei stanno studiando il modo per evitare che la disperata guerra al ribasso li faccia fuori. La soluzione che hanno trovato è semplice e brutale: chiudere le fab­briche più problematiche.
Da quando, a dicembre scorso, Marchionne è stato elet­to presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili, l’Acea, il manager della Fiat ha insistito su un unico punto: ottenere dall’Europa un piano per la ridu­zione della produzione di automobili (con l’allegato, non dichiarato, di aiuti comunitari per gestire la chiusura o la riconversione degli impianti). Non ha ottenuto nulla per­ché il problema della sovracapacità produttiva è soltan­
to di alcune case e, come abbiamo visto, non di quelle tedesche.
Così la selezione naturale tra le fabbriche va avanti di­sordinata e spietata. Le 'vittime', per il momento, sono state quattro. La prima è stata la fabbrica di Anversa, do­ve la General Motors, con il marchio Opel, produceva l’A­stra. Ha chiuso a fine 2010, lasciando a casa gli ultimi 2.600 addetti. La seconda è stata Termini Imerese, dove con circa 2 mila operai la Fiat costruiva la vecchia Lan­cia Y. La fabbrica ha chiuso alla fine dell’anno scorso e la ricerca di nuovi investitori pronti a scommettere sullo stabilimento siciliano procede con mol­te difficoltà. La prossima a chiudere sarà Aulnay, la fabbrica vicina a Parigi che oggi costruisce la Citroën C3 ma che al­l’inizio del 2014 sarà abbandonato dal gruppo Peugeot-Citroën, pronto a col­laborare col governo Hollande per tro­vare una nuova occupazione ai 3.200 o­perai. Nel 2016 arriverà il turno dei te­deschi, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non avevano mai vi­sto chiudere una fabbrica di automobili. Capiterà a Bo­chum, lo stabilimento della Opel (3 mila addetti) che og­gi costruisce la Zafira e sperava di aggiudicarsi la nuova Astra. La General Motors, la casa di Detroit che control­la la Opel, ha preferito affidare la futura Astra alla fabbrica inglese di Ellesmere Port e a quella polacca di Gliwice. Bochum sarà chiusa nel 2016.
Non è finita. Gli analisti calcolano che nella necessaria riorganizza­zione
 del settore dell’auto euro­pea ci sono ancora una dozzina di fabbriche di troppo. Marchion­ne ha già chiarito che se le vendite non ripartono sono a rischio altre 2 fabbriche ita­liane su 5. Ford, che usa i suoi impianti al 63%, probabil­mente chiuderà lo stabili­mento inglese di Southampton o quello belga di Genk. Nel se­condo trimestre dell’anno l’a­zienda americana ha fatto 1 mi­liardo di dollari di utili, ma in Europa ha perso 404 milioni e prevede di perderne al­tri 600 da qui a fine anno. L’altra 'Big' di Detroit, Gm, nel Vecchio Continente perde soldi da più di 10 anni. «Ha senso per Gm e Ford continuare a costruire e vendere macchine in Europa?» ha chiesto nel numero di giugno di Automotive News , la rivista di riferimento dell’auto mondiale, il direttore dell’edizione europea, l’i­taliano Come dire: chi è 'straniero' e può tirarsi facilmente fuo­ri dal «bagno di sangue» dell’auto europea farebbe me­glio a non esitare. Gli altri non possono che restare e lot­tare per sopravvivere. Fino all’ultimo sconto.



mio pezzo su Avvenire di sabato

mercoledì 25 luglio 2012

I rating della zona euro

dal Wsj di oggi

Gli interventi al convegno "Il mercato dell'auto al giro di boa del 2012"

Nel mondo l'andamento del mercato dell'auto è positivo. Le immatricolazioni di auto nuove sono infatti cresciute a livello mondiale del 5,7% nei primi 5 mesi del 2012. La crescita però non tocca i paesi dell'area euro, dove, sempre nei primi 5 mesi del 2012 le immatricolazioni di nuove autovetture sono calate del 10,5%.
Gian Primo Quagliano, presidente GlMotors: "In questo quadro il mercato automobilistico italiano dovrebbe
chiudere il 2012 con circa 1.400.000 nuove immatricolazioni, tornando così ai livelli del 1979. Le cause di questa situazione sono molteplici. In particolare c'è da dire che la crisi economica deprime la domanda in due modi: da un lato tagliando le risorse disponibili e dall'altro lato modificando il rapporto tra consumi e risparmio".

Mario Beretta, vice presidente di Federauto: "La situazione delle concessionarie è sempre meno sostenibile. I Concessionari hanno bisogno di un estremo realismo da parte delle Case automobilistiche, che si traduce in minori pressioni e imposizioni, maggiore flessibilità e trasparenza, condivisione di un nuovo percorso focalizzato sulle prospettive di sviluppo del business. L'associazione prevede per il 2017 il dimezzamento degli imprenditori concessionari, il -27% delle imprese e il -25% dei punti vendita.
Loris Casadei, direttore generale di Porsche Italia: "Sparita la Fiat, nessuno ha saputo ricostruire l'importanza politica del mondo dell'auto: manchiamo così di capacità politica di far sentire la nostra voce. Ce l'hanno gli operai di Termini Imerese, ma non i 10.000 addetti della distribuzione automobilistica che hanno perso il lavoro".


Massimo Nordio, ad e dg di Volkswagen Group in Italia: "Il mercato italiano dell'auto è cambiato e non tornerà mai più quello di prima, La crisi economica non è l'unica causa del difficile momento del mercato

dell'auto. Colpa dell'accanimento terapeutico dei governi degli ultimi 50 anni verso il mondo dell'auto, reso sempre più oneroso e oggi insostenibile, ma anche della mutata relazione tra gli italiani e l'automobile. Quindi è ora di mettere in discussione l'intero nostro modello di business.
Il convegno si è svolto il 4 luglio a Bologna







martedì 24 luglio 2012

Quello che ha fatto la Bce

dal Sole24Ore

Nissan produrrà auto in Corea del Sud

Per la prima volta nella storia dell'industria dell'auto giapponese un produttore nipponico realizzerà vetture in Corea del Sud. Nissan ha scelto di costruire a Busan la nuova Rogue, un suv. Le auto saranno vendute, dal 2014, negli Stati Uniti (ci si aspetta 80 mila auto all'anno). E' una mossa quasi obbligata dallo yen forte. L'impianto di Busan appartiene alla Renault (alleata di Nissan) in joint venture con la Samsung, oggi è utilizzato solo al 60% perché l'azienda fatica a fare concorrenza alla Hyundai.
dal Ft

sabato 21 luglio 2012

All'origine del diritto ad avere un'arma negli Stati Uniti

Il diritto è sancito dal Secondo Emendamento della Costituzione americana, ratificato nel 1791. "Recita così: «Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben regolata, il diritto del popolo a possedere e portare armi non dovrà essere infranto». Ci sono dispute accademiche anche sulla posizione delle virgole in queste frasi, ma il senso e l’origine dell’emendamento sono chiari. La rivoluzione contro gli inglesi era stata vinta grazie alle milizie, che non volevano essere smembrate. Inoltre la giovane democrazia americana temeva che Londra tentasse la rivincita, e voleva conservare la possibilità di riarmare in fretta i propri cittadini per difendersi. Col tempo, poi, a questi timori per l’indipendenza si era aggiunta la preoccupazione per l’assenza della legge in molte regioni sperdute degli Usa, e quindi il senso dell’emendamento era stato allargato per giustificare il diritto dei cittadini all’autodifesa".
dalla Stampa

giovedì 19 luglio 2012

"Casa, ora crollano anche i prezzi"

Il valore delle case italiane sta crollando. Il Crif, leader in Italia nell'informazione creditizia, ha analizzato i dati arrivati dai suoi periti, esperti che le banche arruolano per valutare il prezzo degli immobili prima di concedere un mutuo. Se nel 2011 le quotazioni del mattone erano rimaste quasi ferme nel confronto con l'anno precedente, nel primo trimestre del 2012 sono invece cadute del 9,3%. Il dato, contenuto nel primo numero di "Bussola Mutui" - bollettino trimestrale realizzato in collaborazione dal Crif e dal portale MutuiSupermarket.it -, non è una stima, ma è la media di svariate migliaia di perizie indipendenti effettivamente realizzate. Un mese fa un'altra fonte indiscutibile, l'Agenzia del Territorio, aveva comunicato che in questo primo trimestre in Italia sono state comprate 110 mila abitazioni, il 20% in meno rispetto allo stesso periodo del 2011. Precipitano le vendite, scivolano i prezzi. Se non è l'esplosione di una bolla ci assomiglia molto. Non è strano che ora le quotazioni scendano tanto, è strano che ancora non fossero scese. L'Ance, l'associazione dei costruttori, lo aveva fatto presente nel suo ultimo Osservatorio sull'andamento del settore La storia del mercato immobiliare italiano è fatta di fasi cicliche che iniziano con una contrazione e si concludono quando il prezzo degli immobili tocca un picco. L'ultima fase, scriveva l'Ance, è iniziata nel 1992 e si è conclusa nel 2008: ha visto un'iniziale discesa delle quotazioni, più o meno fino al 1999, e una successiva impennata prodotta da due fattori: la riduzione dei tassi consentita dall'euro e l'espansione del mercato dei mutui, che si è aperto anche a clienti che prima non riuscivano ad ottenere credito. Ora, sempre nell'analisi dell'Ance, siamo entrati in una quinta fase, i cui sviluppi sono ancora da definire. Sicuramente i due motori dell'ultima fase, la disponibilità di denaro a basso costo e i mutui facili, si sono spenti bruscamente. Le tendenze demografiche parlano di un aumento della popolazione italiana permesso soltanto dall'arrivo di immigrati e di una larga sproporzione tra i redditi dei giovani e quelli dei più anziani. Non c'è, all'orizzonte, molto denaro che possa finire nel mattone. Eppure, notava l'Ance, c'è qualcosa di strano, un «aspetto nuovo»: «Nelle fasi precedenti dopo il raggiungimento dei picchi (1975, 1981 e 1992) si era registrato un marcato aggiustamento dal lato dei prezzi, un fenomeno che in questi ultimi tre anni non si è avuto». Mancava, insomma, la caduta dei prezzi delle case. La discesa, almeno fino a pochi mesi fa, era sembrata molto più cauta della salita: 5,3% l'aumento medio annuo dei prezzi tra il 2004 e il 2008 (al netto dell'inflazione) secondo l'Ance, -2,7% il calo nei quattro anni successivi. I numeri diffusi ieri dal Crif dicono che la correzione verso il basso del valore degli immobili negli ultimi mesi ha preso una drastica accelerata. Quando il Censis, lo scorso aprile, ha ipotizzato che, anche per effetto della nuova Imu, i prezzi delle case italiane a fine anno potrebbero ridursi anche del 20% diversi operatori del settore hanno invitato il centro di ricerca guidato da Giuseppe De Rita a non fare allarmismo. Nel presentare la prima "Bussola Mutui", i ricercatori del Crif e i manager di MutuiSupermarket non hanno escluso che il crollo delle quotazioni possa raggiungere quei livelli. La caduta delle domande di nuovi mutui (-44% nel primo semestre di quest'anno) non può che promettere ulteriori discese dei prezzi. In un Paese dove i proprietari di immobili sono più numerosi dei lavoratori attivi (24 milioni contro 23 dice l'Istat) e dove la metà della ricchezza delle famiglie è fatta di mattoni (4.950 miliardi di euro su 9.500 secondo la Banca d'Italia) la fine brusca di una lunghissima e potentissima fase di espansione del mercato immobiliare difficilmente non avrà effetti destabilizzanti. Ma la discesa dei prezzi potrebbe restituire ai più giovani la possibilità di comprarsi una casa e, più in generale, ridare ossigeno a un mercato immobiliare in agonia. Dall'ultima indagine della Banca d'Italia in collaborazione con la Fiaip, la federazione degli agenti immobiliari, risultava che nei primi tre mesi del 2012 un'agenzia immobiliare su tre non ha venduto nemmeno un appartamento. Chiamati a giustificare una simile disfatta, gli agenti immobiliari hanno indicato il motivo più elementare: prezzi troppo alti secondo chi doveva comprare e offerte troppo basse secondo chi doveva vendere.
mio pezzo da Avvenire di oggi

martedì 17 luglio 2012

Arabia ed Emirati aggirano lo stretto di Hormuz

Gli Emirati Arabi e l'Arabia Saudita hanno aperto due oleodotti che aggirano lo stretto di Hormuz e rendono l'approvvigionamento di petrolio in Europa più indipendente dall'Iran. La capacità complessiva dei due oleodotti sarà di 3,5 milioni di barili al giorno, e porterà la capacità di aggiramento dello stretto a 6,5 milioni di barili quotidiani, circa il 40% dei 17 milioni di barili che passano dallo stretto. Da ieri è attivo l'oleodotto da 1,5 milioni di barili al giorno che collega il porto di Fujairah, negli Emirati, con Abu Dhabi, aggirando da sotto lo Stretto di Hormuz. L'Arabia Saudia ha invece convertito da gasdotto a oleodotto una condotta da 1.200 chilometri con una capacità di 2 milioni di barili al giorno. 

lunedì 16 luglio 2012

In 12 mesi scadono titoli italiani per 337 miliardi



"Vale 337 miliardi di euro l'importo di tutti i titoli di Stato in scadenza negli ultimi sei mesi del 2012 e nei primi sei del 2013. In totale, si tratta di quasi un quinto dell'intero debito pubblico italiano. Lo scadenziario, preparato dal ministero dell'Economia, parla di grandi numeri soprattutto nella seconda parte del 2012 più che nei sei mesi a seguire. Da luglio a dicembre di quest'anno, infatti, lo Stato deve rimborsare ben 218 miliardi: oltre 1'11% di tutto il debito. Sono soldi che inevitabilmente arriveranno soprattutto da nuove emissioni, quindi dalle prossime aste".
dal Corriere

La Cina taglia le tasse alle società straniere

Il governo di Pechino ha annunciato una riduzione del 50% dell'aliquota fiscale sui profitti cinesi ottenuti dalle imprese straniere basate in nazioni che hanno un accordo sulla doppia-tassazione.con la Cina. L'aliquota era del 10% e ora scenderà al 5%. Si applica anche sui dividendi.
dal Ft

venerdì 6 luglio 2012

Le curiose vicende della crisi della Rim


  • L'azienda ha il suo quartier generale in una città dell'Ontario che si chiama Waterloo.
  • Fino a gennaio Rim aveva due amministratori delegati, il fondatore Mike Lazaridis e Jim Balsillie. I due avevano uffici a 10 minuti di macchina di distanza e non si incontravano quasi mai. Ognuno seguiva una strategia diversa: Lazaridis voleva fare un nuovo BlackBerry con un nuovo sistema operativo, Balsillie puntava a concedere in licenza alcune delle tecnologie dell'azienda.A gennaio se ne sono andati entrambi, sostituiti dall'ex vice di Lazaridis, Thorsten Heins.
  • Oggi l'azienda capitalizza 5 miliardi di dollari, il 70% di un anno fa e un quindicesimo del picco storico. La sua fortuna è che ha in cassa 2 miliardi di dollari e non ha debiti.
  • Lazaridis ha fondato Rim nel 1984 con un prestito da 15 mila dollari ottenuto dai suoi genitori. Nel 2008 la quotazione del gruppo ha toccato gli 80 miliardi.
  • Nel quartier generale, a 70 miglia da Toronto, i dipendenti hanno il gelato gratis ogni venerdì. Li chiamano Frosty Fridays. Nell'attuale politica di tagli i gelati sono salvi.
  • Con i soldi incassati da Rim, Lazaridis ha aperto un centro di ricerca di fisica teorica, Balsillie ha aperto una scuola di governance globale e ha tentato invano di comprare tre squadre di hockey.
  • Le compagnie telefoniche hanno provato ad aiutare Rim a proporre alternative valide per non lasciare che l'iPhone di Apple dominasse il mercato. Il BlackBerry Storm è nato dalla collaborazione con Verizon, il Torch da quella con At&T.

giovedì 5 luglio 2012

Le perdite di Fiat in Europa


"Quest’anno, Europa, Medio Oriente e Africa daranno alla Fiat 19 miliardi di fatturato con un trading profit
negativo per 650 milioni; il Nord America 47 miliardi di fatturato con un margine positivo per 3,1 miliardi;
l’America Latina (principalmente il Brasile), farà 10,6 miliardi di ricavi e quasi un miliardo di margine; l’Asia e il resto del mondo, 3,3 miliardi di ricavi e 350 milioni di trading profit. Partendo da tali previsioni e dai multipli dei concorrenti, l’analista Massimo Vecchio attribuisce all’Europa (Fiat) un valore negativo per 3,4 miliardi, mentre ne assegna di positivi al Nord America (Chrysler) per 16 miliardi, all’America Latina (Fiat) per 10,8, al resto del mondo (Fiat e Chrysler) per 2,4, alla Ferrari per 4 miliardi e così via fino a maturare un valore teorico lordo di 31,6 miliardi che, al netto dei debiti e degli interessi di minoranza (i sindacati Usa in Chrysler), scende a 16 miliardi. La somma delle parti tradizionale, fatta dallo stesso analista, porta a un valore assai diverso, 7,4 miliardi, sempre ottimistico ma molto più vicino alla reale capitalizzazione di Borsa, che corre sui 5 miliardi".
dal Corriere di oggi

mercoledì 4 luglio 2012

I problemi elettrici di JPMorgan

L'autorità americana per l'energia ha multato JPMorgan due volte negli ultimi tre mesi: gli investigatori vogliono capire se la banca ha manipolato i mercati dell'energia elettrica in California e nel Midwest. C'è il sospetto che le operazioni finanziarie della banca abbiano fatto salire il costo dell'energia di almeno 73 milioni.
dal Ft

La crescita del debito pubblico italiano secondo il Censis

Calcola il Censis che nel decennio degli anni '70 il Pil è aumentato in media del 3,8% e il debito era del 56%, nel decennio successivo la crescita è stata del 2,4% e il debito del 94,8%, nel decennio degli anni '90 crescita all'1,6% e debito al 108,5%, tra il 2000 e il 2010 Pil +0,4% e debito al 118,6%.
dal Foglio

Cosa succede alla Barclays

mio pezzo su Avvenire di oggi


Lo scandalo del tasso Libor "truccato" si sta allargando al di là di ogni aspettativa, con un effetto valanga che rischia di travolgere l’intera classe dirigente del sistema bancario del Regno Unito. La prima a pagare è Barclays, che venerdì scorso ha chiuso il caso che la riguarda accettando una multa da 290 milioni di sterline imposta dall’Autorità finanziaria britannica (la Fsa), dal dipartimento di Giustizia americano e dalla Cftc, la commissione statunitense che regola il mercato dei derivati. Le indagini riguardano altre 20 grandi banche internazionali – comprese Citigroup, Deutsche Bank e Hsbc – e coinvolgono direttamente Paul Tucker, il vice governatore della Banca di Inghilterra.
Barclays, 322 anni di storia, è una banca senza più una guida. Lunedì si è dimesso il presidente Marcus Agius, nel tentativo di proteggere l’amministratore delegato, l’americano Bob Diamond. Non è servito: ieri, sotto pressione della politica inglese, si è dimesso anche Diamond e se n’è dovuto andare anche il direttore generale Jerry del Missier. «Spero sia un primo passo verso una nuova cultura della responsabilità nel sistema bancario inglese» ha detto David Osborne, cancelliere dello Scacchiere. Oggi Diamond sarà ascoltato dalla commissione di inchiesta parlamentare voluta dal premier David Cameron. Il banchiere, che avrebbe diritto a una buonuscita di 20 milioni di euro (il Cda lo ha però invitato a rinunciare), potrebbe raccontare storie molto sgradevoli sulla Banca centrale inglese.
Al centro di tutta questa vicenda ci sono i tassi Libor che, con scadenze da 1 giorno ai 12 mesi, indicano gli interessi a cui le banche si stanno prestando reciprocamente denaro (soprattutto sterline e dollari, per l’euro il tasso è l’Euribor). Sono indicatori fondamentali per la finanza globale: si basano sul Libor contratti per un valore totale stimato in 350 mila miliardi di dollari, 5 volte il Pil del pianeta. Per fissare questi tassi, la British Banker Association (la Bba) ogni giorno chiede alle banche a che tasso contano di ottenere denaro in prestito dagli altri istituti il giorno dopo, quindi fanno la media. Barclays è stata punita perché da alcune email scambiate tra i suoi dipendenti emerge che gli addetti comunicavano alla Bba tassi diversi da quelli reali. Lo facevano per due motivi: a volte per favorire i trader interni, che speculavano sulle oscillazioni del Libor e promettevano bottiglie di champagne Bollinger ai colleghi disposti a mentire per aiutarli, altre volte per nascondere la sfiducia che le altre banche avevano sullo stato di salute di Barclays.
Questa seconda esigenza, in particolare, sarebbe stata avvallata dalla Bank of England. In una nota interna del 2008 inviata da Diamond (allora responsabile degli investimenti) all’amministratore delegato John Varley, il manager sottolineava che Paul Tucker, allora direttore generale per i Mercati della Banca di Inghilterra, gli aveva fatto presente che al ministero del Tesoro gli chiedevano perché Barclays comunicasse tassi così alti per il Libor. Scriveva Diamond: «Tucker ha assicurato che le chiamate che ha ricevuto dal governo sono di primo piano, e lui è certo che noi non abbiamo bisogno di consigli, che non deve sempre essere per forza il caso di mostrarci così alti (sui tassi Libor, ndr) come abbiamo fatto ultimamente».
L’agenzia Reuters ieri ha evidenziato come almeno 5 volte tra il 2007 al 2009 da alcuni addetti della Barclays e da dipendenti di altre banche siano stati mandati precisi allarmi sull’inattendibilità delle cifre del Libor alla Banca centrale inglese, alla Bba e alla Fsa. Sirene che, evidentemente, sono state poco ascoltate.
È il coinvolgimento degli stessi "vigili" della City a fare del caso Libor una bomba la cui esplosione può annientare i vertici della finanza londinese. Per il primo ministro Cameron, che si vanta di essere il discendente di una famiglia di banchieri, sarà personalmente difficile gestire la vicenda. Già l’opposizione lo accusa di essere troppo morbido. E certe decisioni che nel frattempo si stanno prendendo oltre la Manica non lo aiutano. «Se le 17 nazioni della zona euro fanno un’unione bancaria, e francamente penso che debbano farla, e se sapremo dotarci di meccanismi di salvaguardia, allora per noi non sarebbe un cambiamento fondamentale» ha assicurato ieri un premier britannico poco abile nel nascondere le sue paure: la prospettiva di un’Unione bancaria europea non può che lasciare Londra più isolata e attaccabile.

lunedì 2 luglio 2012

La straordinaria crescita polacca

Secondo un recente studio dell'istituto di ricerca economica francese Coe-Rexecode i polacchi lavorano 1.975 ore all'anno, più dei tedeschi e molto più dei francesi, che si fermano a 1.679 ore all'anno. I tedeschi hanno un'efficienza doppia dei polacchi, ma i salari dei polacchi sono un quindi di quelli tedeschi.
Secondo una ricerca di Nomura, la Polonia sarebbe l'unico Paese europeo a non finire in recessione anche nel caso di uno scioglimento della zona euro. Tra il 2008 e il 2011 il Pil della Polonia è salito del 15,8%, quello dell'Europa è sceso dello 0,5%.
dal Ft


Il Giappone riattiva il primo reattore

Domenica il Giappone ha riattivato il suo primo reattore, chiudendo così i due mesi senza energia nucleare. Il reattore riattivato è il numero 3 di Oi, gestito dalla Kansai Electric. Il 17 luglio dovrebbe essere riattivato anche il reattore numero 4.

Le case giapponesi fanno le auto all'estero

A causa dello yen forte le case automobilistiche giapponesi progettano di spostare la produzione all'estero per risparmiare. C'è la Toyota che farà la Yaris a Valenciennes per venderla negli Stati Uniti, la Nissan chiuderà due linee nella fabbrica di Oppama e farà le auto (secondo le indiscrezioni) in Thailandia, poi ha annunciato mille assunzioni in Mississipi, dove costruirà la Sentra, Honda ha annunciato che vuole allargare il suo export dalle fabbriche statunitensi a 150 mila auto all'anno.
dal Wsj

Bella scarica di dati sulla crisi del mercato immobiliare


Oltre la metà della ricchezza delle famiglie italiane è rappresentata dal mattone (4.950 miliardi su un totale di 9.525 di patrimonio, fonte la Banca d’Italia). Nove italiani su cento vorrebbero cambiare alloggio nei prossimi cinque anni (fonte il Cresme, Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio). Gino Pagliuca: «Significa una domanda teorica annua di 450 mila abitazioni in acquisto o in locazione. A queste si aggiunge un potenziale di altre 360 mila case da parte di famiglie che hanno al loro interno una persona tra i 18 e i 39 anni che vorrebbe emanciparsi dallo stato di “bamboccione”. Quante di queste intenzioni rimarranno allo stato iniziale di desiderio non è dato saperlo, perché bisogna fare i conti con il nodo del reddito e quindi della possibilità concreta di ottenere un mutuo o un affitto». [1]

Da un’indagine campionaria della Banca d’Italia (dati aggiornati alla fine del 2010 che da allora non possono che essere peggiorati) emerge
che le due fasce più interessanti per il mercato immobiliare della prima casa, quella delle persone tra 19 e 34 anni e quella successiva (35-44 anni) hanno perso nel giro di cinque anni rispettivamente il 7% e l’8% di reddito reale, con la seconda fascia che è tornata ai livelli del 1991, la prima che è andata addirittura sotto. Pagliuca: «Anche nella fascia tra 45 e 54 anni la perdita nel quinquennio è di 8 punti, mentre le persone alla soglia della pensione, tra i 55 e i 64, hanno invece guadagnato 6 punti, ma si tratta di famiglie che di norma non cercano né affitto né mutuo e se comprano casa lo fanno per i figli o in cerca di un miglioramento di status». [1]

«Allarme casa, crollano le vendite», titolava Repubblica di mercoledì nell’apertura della prima pagina. [2] Marco Sodano: «Nei primi tre mesi del 2012 la vendita di abitazioni è crollata, segnando un secco -19,6% (rispetto ai primi tre mesi del 2011) che conferma una sensazione che chiunque può raccogliere passeggiando nei centri storici delle grandi città. I cartelli vendesi si moltiplicano, quelli nuovi sono attaccati sopra a quelli vecchi che ingialliscono in attesa di novità. E di compratori. Dicono all’Agenzia del Territorio (titolare del database da cui provengono i dati) che un dato così negativo per le vendite di case non era mai stato registrato. Non almeno a partire dal 2004, l’anno in cui hanno preso il via le rilevazioni trimestrali». [3]

Nelle otto maggiori città italiane le compravendite immobiliari sono scese nel primo trimestre 2012 del 17,9%. [4] A Roma i tempi di attesada quando si mette sul mercato l’immobile a quando si chiude possono superare anche i 18 mesi. Paolo Foschi: «Via Michele Di Lando, zona Piazza Bologna. Annuncio di maggio 2012: vendesi appartamento ristrutturato, salone con angolo cottura, tre camere, due bagni, balconi, piano alto: 750 mila euro. Stesso annuncio due settimane fa: 630 mila euro. Ancora, via Jenner, Monteverde, dodici mesi fa: salone doppio, cucina abitabile, tre camere, due bagni, ripostiglio cantina, termoautonomo 790 mila euro. Stesso appartamento oggi: 640 mila euro». [5]

«A maggio abbiamo venduto un quarto degli appartamenti costruiti rispetto al maggio 2011. Abbiamo dovuto fermare i programmi di nuove costruzioni, perché, di questo passo, impiegheremmo 4 anni a collocare il costruito. Su scala nazionale, se consideriamo il peso della casa nell'economia, l'Italia sta per bruciare da mezzo milione a un milione di posti di lavoro» (Francesco Gaetano Caltagirone a Massimo Mucchetti) [14]

Il mercato immobiliare residenziale milanese, nel suo complesso, è asfittico. Laura Fugnoli; «Sono state 19.182 le abitazioni totali transate nel 2011, ma nel 2012, nelle previsioni di Luca Dondi, responsabile settore immobiliare di Nomisma, “non saranno più di 18mila”». [6] In provincia di Torino circa 12.673 nuovi alloggi costruiti nell’ultimo decennio risultano invenduti (stime dell’osservatorio immobiliare di Nomisma). [7] A Genova la flessione delle compravendite immobiliari da inizio 2012 arriva al 21,8% (mancano soprattutto gli acquisti di giovani coppie e extracomunitari, con utilizzo di capitali mutuati). [8] A Bologna le compravendite di abitazioni sono calate nel primo trimestre 2012 del 18,4 per cento. Marco Bettazzi: «I dati dicono di un mercato fermo in città da almeno quattro anni». [9]

Mancano gli acquisti dei piccoli investitori, di chi compra la seconda casa per le vacanze, di chi vuole migliorare la propria situazione abitativa, ossia tutto quello che non è un mercato di necessità. Detto che la nuova normativa antiriciclaggio ha deviato una parte del nero che finiva sul mercato immobiliare, c’è poi l’effetto Imu. [4] Confedilizia: «È disastroso, soprattutto in riferimento alla totale scomparsa di chi compra come investimento con l’obiettivo di dare gli appartamenti in affitto». [3] Pagliuca: «L’imposta, oltre a pesare sul portafogli delle famiglie, potrebbe anche avere un effetto psicologico destabilizzante perché infrange un tabù: quello per cui sulla casa in Italia si pagano imposte ridotte e addirittura nulle per l’abitazione in cui si vive». [1]

Affordability: secondo il Cresme per le famiglie si è soprattutto ridotta la concreta possibilità di comprare una casa. Pagliuca: «Rispetto all’epoca della lira i prezzi reali delle case sono saliti (il divario quotazioni/inflazione a Milano e Roma negli ultimi dieci anni è di circa 40 punti) mentre i redditi reali sono scesi; fin quando allo squilibrio si rimediava erogando mutui di lunga durata all’80-90% del valore della casa si poteva trovare un compromesso, oggi invece le possibilità di ripresa del mercato, che anche i più ottimisti datano al 2014, sono legate o alla diminuzione dei prezzi o all’aumento delle disponibilità economiche delle famiglie. Facile immaginare quale delle due ipotesi sia più plausibile». [1]

Oggi il mutuo conviene a chi meno se lo può permettere. Pagliuca: «Anche questa può essere una spiegazione, sia pure parziale, alle difficoltà attuali del mercato immobiliare. Si sta infatti creando un circolo vizioso per cui sono costrette ad andare in locazione famiglie che, pagando una rata di mutuo analoga a quella del canone, riuscirebbero sulla carta a finanziare gran parte dall’acquisto, mentre nella pratica non riescono, con i criteri attuali di valutazione, a ottenere il credito». Fino a cinque anni fa investendo l’equivalente dell’affitto, si arrivava a superare il 100% del valore dell’immobile e in pratica si poteva comprare quasi senza sborsare un euro di contante: «Oggi, invece, quote superiori al 70% del valore immobiliare sono ben rare sul mercato e ottenibili solo con garanzie supplementari». [10]

Il settore delle costruzioni vale, comprendendo l’intera filiera, il 12% del Pil nazionale. [11] Paolo Buzzetti, presidente dei costruttori dell’Ance, assicura che in Italia la bolla immobiliare non c’è (a differenza di Spagna e Stati Uniti): «Qui c’è e c’è sempre stata una domanda di abitazioni superiore all’offerta. A parte qualche eccezione, non vi sono aree dove si sia costruito troppo rispetto alla richiesta. Al contrario ci sono 500 mila domande eccedenti rispetto alle abitazioni a disposizione». Considerato com’è stata trattata l’edilizia negli ultimi tempi («politica incosciente e distruttiva»), la sua idea è che potevamo anche aspettarci di peggio. [12]

Mentre Francia e Germania puntavano sull’edilizia per uscire dalla crisi e varavano aiuti alle coppie giovani o sgravi sulle ristrutturazionidi qualità, in Italia si è fatto di tutto per spingere le famiglie a non comperare. Buzzetti: «Patto di Stabilità e ritardi abissali nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione hanno messo in ginocchio le imprese. Patrimoniali sulla casa, lo shock dell’Imu e il crollo dei mutui concessi hanno spossato e frenato le famiglie. Cosa potevamo aspettarci da tanto clima di sfiducia? Non si comprano le cravatte, figuriamoci le case. Per fortuna ora vedo dei cambiamenti. Se quanto previsto dal decreto Sviluppo passerà, forse ci salveremo dal crinale. Penso soprattutto al taglio dell’Iva sull’invenduto: un’imposta capestro che blocca completamente il mercato, tanto che ai costruttori non conviene nemmeno affittare le case ferme». [12]

A guardare il bicchiere mezzo pieno, l’immobiliare italiano ha retto meglio di altri Paesi alla crisi internazionale che è partita quattro anni fa dalla crisi dei mutui subprime americani. A guardarlo mezzo vuoto, va constatata la concorrenza crescente dei mercati emergenti che toglie spazi ai Paesi più maturi come il nostro. [11] Nonostante il mattone italiano sia il quarto in Europa per importanza, occupa gli ultimi posti nella classifica delle cosiddette transazioni cross border, cioè gli acquisti da parte di investitori provenienti dall’estero: nel 2011 solo il 18% dei 4 miliardi di euro impiegato da investitori istituzionali proveniva da oltrefrontiera: è la quota peggiore da quando c’è l’euro. [13]

Nel primo trimestre del 2012 solo 24 milioni di euro su 400 sono stati spesi da operatori stranieri. Paolo Gasperini: «Che poi tali sono solo dal punto di vista giuridico, perché si tratta di Bnp Paribas, che nel nostro Paese ha rilevato le attività di Bnl, e di Carrefour, presente in Italia con supermercati e ipermercati da decenni». Lo spread del Btp ai livelli attuali relega l’Italia nell’elenco dei Paesi a rischio, ma paghiamo anche l’incertezza normativa. Cesare Ferrero, amministratore delegato di Bnp Paribas Real Estate: «A uno straniero non puoi spiegare che dopo sei mesi dal varo dell’Imu non si sa quanto bisognerà pagare». [13] Se gli stranieri acquistano meno case italiane, gli italiani sono sempre più attratti dal “mattone straniero”: l’acquisto di monolocali all’estero è in crescita del 10,8 per cento. [2]

Note [1] Gino Pagliuca, CorrierEconomia 18/6; [2] Luisa Grion, Rosa Serrano, la Repubblica 20/6; [3] Marco Sodano, La Stampa 20/6; [4] Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 20/6; [5] Paolo Foschi, Corriere della Sera 22/6; [6] Laura Fugnoli, la Repubblica 27/5; [7] Gabriele Guccione, la Repubblica 22/6; [8] Aldo Lampani, la Repubblica 20/6; [9] Marco Bettazzi, la Repubblica 21/6; [10] Gino Pagliuca, Corriere della Sera 4/6; [11] l. d. o., la Repubblica 4/6; [12] l. gr., la Repubblica 20/6; [13] Paolo Gasperini, CorrierEconomia 4/6; [14] Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 22/6.

Il sottoutilizzo delle fabbriche di auto

(ANSA) - ROMA, 29 GIU - Nel continente europeo, il 40% delle fabbriche di automobili non lavora a livelli sufficienti per produrre profitti. Secondo uno studio di AlixPartners, che viene riportato da Autoactu, questo problema di sovraccapacità colpisce soprattutto la Francia, la Spagna e l'Italia. Nel nostro Paese, in particolare, l'utilizzo della capacità produttiva degli impianti è solo del 54%, con 1,4 milioni di unità. Si tratta del tasso di utilizzo più basso rispetto agli altri 4 principali mercati europei che oscillano tra l'85% di Germania e Gran Bretagna e il 60% della Francia. La situazione complessiva - sottolinea AlixPartners - migliorerà solo a medio termine. Nel 2012 è previsto infatti in Europa un mercato a 13,5 milioni di unità, inferiore del 20% rispetto al 2011. E si dovrà attendere il 2020 per toccare di nuovo il livello del 2007, a 16 milioni di unità. Le cifre esposte da AlixPartners - specialista delle ristrutturazioni industriali - sono preoccupanti, ben più negative di quelle fornite dall'ACEA, l'associazione che rappresenta i costruttori europei, che aveva affermato, durante un'audizione del suo presidente Sergio Marchionne, che "il 20% delle capacità produttive installate in Europa sono superflue". La soglia indicata da AlixPartners (40%) si riferisce al numero di impianti che lavora al di sotto del 75-80% della capacità, quindi operano in perdita. La società di consulenza evidenzia che ad essere meno utilizzate, oltre a quelle citate, sono anche le fabbriche in Russia e in Turchia. In dettaglio la capacità in Germania è di 6,4 milioni di unità all'anno e quella in Gran Bretagna di 1,6 milioni, con un tasso di utilizzazione per entrambi i Paesi superiore all'85%. In Spagna questo valore scende al 70% (la capacità complessiva è di 3 milioni di unità), in Francia al 60% (3,3 milioni) ed in
Italia al 54% (1,4 milioni).

domenica 1 luglio 2012

I debiti delle regioni spagnole

Le regioni spagnole hano un debito di 145 miliardi e quest'anno devono raccogliere 35 miliardi di euro. Non sanno come fare, per questo hanno chiesto aiuto allo Stato centrale, che in cambio del sostegno pretende il rispetto di rigorose regole di bilancio. Madrid ha aperto per loro una linea di credito di 5 miliardi e gli ha prestato 17,7 miliardi per pagare i vecchi debiti. Per ora non può fare di più.