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giovedì 22 novembre 2012

Benzina e tasse - un aggiornamento


Certi italiani, probabilmente quelli che ci badano meno, alla fine dell’estate erano arrivati a pagare 2 euro per avere un litro di benzina. Tra fine agosto e inizio settembre applicavano questo prezzo strabiliante le stazioni di rifornimento più piccole, vecchie e rigorosamente senza il fai-da-te. Un pieno sotto i 2 euro al litro, in realtà, è sempre stato disponibile in ogni città d’Italia. In queste settimane chi dà un’occhiata attenta ai listini dei distributori prima di entrarci può trovare benzinai che vendono la verde a 1,7 euro al litro, o anche a meno, e il gasolio attorno agli 1,65 euro al litro.
Con la benzina funziona così: quando il prezzo sale fa molto rumore, quando scende se ne parla appena. Dalle rilevazioni del ministero dello Sviluppo economico – l’ultima è del 19 novembre – emerge che il prezzo medio della benzina negli ultimi tre mesi è sceso di 15 centesimi, da 1,89 a 1,74 euro al litro, quello del gasolio è calato della metà, da 1,78 a 1,70 euro al litro. Queste diminuzioni si spiegano con il miglioramento del cambio tra euro e dollaro e un calo delle quotazioni internazionali. Non tanto quelle del petrolio grezzo – il Brent europeo è sempre attorno ai 115 dollari al barile – quanto quelle del Platts, il mercato su cui si scambiano i prodotti raffinati. Su questa piattaforma il prezzo della benzina in euro è sceso dalla media di 67 centesimi al litro di agosto ai 55 centesimi attuali, quello del gasolio è passato da 68 a 63 centesimi al litro. Anche a guardare lo “stacco”, cioè la differenza tra il prezzo della benzina in Italia e la media europea, al netto delle tasse, la tendenza è positiva: sia per la benzina che per il gasolio siamo attorno ai 2,5 centesimi al litro, cioè sotto i 4 centesimi considerati “strutturali”.
Ma ne ha di strada da scendere, la benzina, prima di tornare a valori sensati. Nei 27 Stati dell’Unione europea la verde costa in media 1,61 euro al litro, il gasolio 1,46, cioè rispettivamente 15 e 24 centesimi in meno dei prezzi italiani, che sono entrambi al secondo posto nella classifica europea. Tutta colpa delle tasse, mostruosamente salite dal 2011 ad oggi fino a pesare più di 1 euro su un litro di benzina e 91 centesimi su un litro di gasolio. Nessun Paese della zona euro tassa i carburanti come l’Italia. Nell’intera Unione europea, e solo per l’effetto cambio, solo il fisco inglese è più esoso del nostro. L’ultimo aumento, subdolo, è nella legge di stabilità, con una norma che rende stabile il rincaro delle accise dicirca 4 centesimi al litro introdotto in agosto per finanziare la ricostruzione delle zone terremotate dell’Emilia. Doveva durare fino a fine anno, invece - come è successo fin dai tempi della guerra di Abissinia - resterà per sempre. In questo contesto l’unico che ci guadagna è lo Stato: nei primi 10 mesi dell’anno, calcolano dal Centro studi promotor, i consumi di carburanti sono scesi del 10% (a 32,8 miliardi di litri), la cifra spesa dagli italiani per fare il pieno è però aumentata del 6,9% (a 56,8 miliardi) e l’incasso dell’erario ha segnato un +15,5%, a 26 miliardi di euro.
I benzinai sono infuriati, ed è difficile non capirli. Già fanno un’attività a bassissimo margine, dato che guadagnano in media 3-5 centesimi ogni litro venduto (gli utili grossi, nella filiera del petrolio, si fanno ormai solo con i pozzi), adesso stretti tra le pressioni del fisco e quelli delle compagnie rischiano di fallire uno dopo l’altro. Non si oppongono al piano di riduzione della rete di distribuzione, troppo grande e costosa, ma non vogliono stare zitti mentre vengono soffocati. Ieri le organizzazioni dei gestori Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc/Anisa hanno annunciato che spegneranno le pompe dal 12 al 14 dicembre e per una settimana, a fine mese, non accetteranno i pagamenti con le carte di credito. Accusano il governo di non avere mantenuto le promesse fatte questa estate e le compagnie petrolifere di non rinnovare gli accordi collettivi. Il governo, per convincerli a rinunciare alla protesta, ha convocato un tavolo per il 4 dicembre. Un taglio di quelle tasse che pesano per più della metà di ogni pieno, però, sembra improbabile.
da Avvenire di oggi

martedì 16 ottobre 2012

Definitivo il rialzo dell'accisa sulla benzina

L'articolo 12, comma 13, del ddl stabilità stabilisce che gli aumenti dell'accisa sulla benzina legati alle emergenze di Emilia e Abruzzo «restano confermati» dal primo gennaio prossimo. «Resi stabili», chiarisce la Relazione tecnica della Ragioneria. Che poi quantifica questa "stabilizzazione" in entrate aggiuntive per 947 milioni nel 2013, 840 nel 2014 e 863 dal 2015. Si tratta di 2 centesimi e 37 in più su ogni litro di benzina o gasolio: 2 centesimi per l'Emilia e 37 per Abruzzo e gestori.
da Repubblica

giovedì 24 maggio 2012

Raffinerie a secco


"Lo scorso anno la libica Tamoil ha definitivamente spento la raffineria di Cremona. A fine gennaio la Erg è scesa al 20% nell'isab di Priolo, ora in mano a Lukoil per 1'80%. Il gruppo della famiglia Garrone, in un'audizione alla Camera, ha calcolato che se non avesse ceduto a fine 2008 una prima metà della raffineria
ai russi avrebbe bruciato 600 milioni di euro nei tre anni successivi, «probabilmente causando ti fallimento dell'intera azienda». Nel complesso il sistema italiano pub «lavorare» oggi un centinaio di milioni di tonnellate l'anno di greggio (erano 180 nei 1976) ma i consumi superano di poco i 70 milioni. in questo spazio, si fa
spesso notare, potrebbero «ballare?? (cioè sparire)  4-5 medie raffinerie. Oggi sul territorio nazionale ce ne sono 15, e da un paio di anni a questa parte il toto-chiusura è diventato un gioco un po' funereo ma molto attuale. Non che in Europa lo scenario sia molto diverso. L'ultimo schianto è stato quello di Petroplus cinque raffinerie tra Svizzera, Belgio, Francia, Germania e Regno Unito".

Stefano Agnoli sul Corriere

lunedì 26 marzo 2012

Cosa spinge i prezzi della benzina e chi ci guadagna

da Avvenire del 25 marzo 2012


1.Perché la benzina a­desso costa quasi 2 euro al litro?

Gli attuali prezzi dei carburanti (1,87 cente­simi al litro in media la benzina, 1,78 il ga­solio, se si considerano i listini al 'servito') sono il risultato di due fattori. Quello do­minante è il fattore fiscale. Lo scorso anno il governo Berlusconi ha alzato per quattro volte le accise su benzina e gasolio, portan­dole rispettivamente da 56,4 e 42,3 a 62,2 e 48,1 centesimi al litro. Il governo Monti ha aggiunto un quinto e più sostanzioso aumento, che ha portato l’accisa sul­la
 benzina a 70,4 centesimi al litro e quella sul gasolio a 59,3 centesimi al li­tro. A settembre, i­noltre, l’Iva (che si calcola sia sul prez­zo industriale della benzina che sull’accisa) è stata portata dal 20 al 21%, producendo così un rialzo linea­re dell’1%. E a gennaio 5 giunte regionali hanno fatto scattare le addizionali locali, o­ra applicate in 10 Regioni su 20. In breve: durante il 2011 le tasse nazionali sul carbu­rante sono salite di 16 centesimi al litro per la benzina e di 20 per il gasolio. L’altro fat­tore dietro gli aumenti è il costo della ma­teria prima, che si è impennato ne­gli ultimi mesi. Il Platts cif Med, l’in­dice delle quotazioni dei carburan­ti sui mercati europei, tra novembre scorso e oggi è salito per la benzina da 52 centesimi a 67 centesimi al li­tro, per il gasolio da 62 a 69 centesi­mi.

1.34


2.
Come mai questo Platts au­menta
 tanto?

La quotazione Platts – elaborata dal­l’omonima agenzia internazionale sulla base degli scambi quotidiani di prodotti petroliferi tra le varie a­ziende della filiera del petrolio – e­sprime il prezzo 'all’ingrosso' della benzina e del gasolio. Su questi va­lori incidono sia la normale dinami­ca della domanda e dell’offerta (di prodotti già raffinati) che la quota­zione
 del prodotto da raffinare, cioè il pe­trolio. La quotazione del petrolio 'europeo', il Brent, tra dicembre e oggi è salito da 104 a 125 dollari al barile (in euro il passaggio è da 75 a 94 euro al barile). La quotazione è e­levatissima, tanto che ieri l’Agenzia inter­nazionale dell’energia ha lanciato l’allarme: a questi prezzi si rischia la recessione. Le tensioni iraniane pesano ma non spiegano questa impennata. Non si capisce cosa ci sia dietro. Lo stesso ministro del Petrolio saudita, Alì al Naimi, ha detto che non ca­pisce cosa stia spin­gendo il prezzo. L’U­nione petrolifera ha detto qualche setti­mana fa che le ban­che stanno facendo salire i prezzi perché investono anche sui

futures
 petroliferi i 1.000 miliardi di eu­ro avuti in prestito agevolato dalla Bce. I tempi dei rialzi, in effetti, coincidono.

3.
Chi sta guadagnando da questi rincari?


Sicuramente ci guadagnano i Paesi espor­tatori che, secondo i calcoli dell’Aie, que­st’anno guadagneranno dal petrolio la cifra più alta di sempre: 1.200 miliardi di dollari. Anche le compagnie petrolifere, che estrag­gono
 e raffinano il greggio più o meno con gli stessi costi di prima, vedono sali­re i loro margini. Fe­steggiano anche al­l’Erario: nei primi due mesi del 2012, secondo i calcoli del centro studi Promo­tor, il Tesoro ha già incassato 5,5 miliar­di dai carburanti, con un aumento del 19,8% rispetto a un an­no fa. E questo nonostante i consumi nel frattempo siano diminuiti del 9,6%. Chi ci perde, infatti, sono evidentemente gli ita­liani, che per fare meno rifornimento han­no comunque già speso in due mesi 10,1 miliardi quest’anno, l’11% in più nel con­fronto con il 2011. Senza contare che i rincari dei trasporti provocano un aumento generalizzato dei prezzi de­gli altri beni che si devono spostare per il Paese. E ci perde anche il ben­zinaio, che ha un margine fisso al li­tro (tra i 4 e i 5 centesimi) ma sta ven­dendo meno carburante di prima.

4.
Anche nel resto d’Europa i prezzi salgono tanto?


Quasi, nel senso che tra lo scorso no­vembre e oggi in Europa il prezzo me­dio della benzina è salito del 9% e quello del gasolio dell’11%, mentre in Italia gli aumenti sono stati del 14% in entrambi i casi. Questo, però, se si considerano le tasse. Al netto delle imposte, il rialzo europeo è del 18% per la verde e del 9% per il diesel, quello italiano è del 15% sulla benzi­na e dell’8% per il gasolio. Senza le nuove tasse, che ci hanno 'regalato' la benzina più cara d’Europa e il se­condo gasolio più costoso, saremmo vicini alla media Ue. Difatti il cosid­detto 'stacco', cioè la differenza, tas­se escluse, tra il prezzo al litro del car­burante italiano e la media europea (calcolato dall’Unione petrolifera) si è ridotto dai 3,6 centesimi medi del 2011 agli attuali 2,5 centesimi. La ten­denza al rialzo è comunque globale. Gli Usa, ad e­sempio,
 sono in al­larme perché in al­cuni Stati la benzi­na ha superato la soglia di 4 dollari al gallone (che ai cam­bi attuali sono 81 centesimi al litro).

5.
Cosa si può fare per fermare gli aumenti?


Sul lato fiscale, se non si vogliono tagliare le tasse, si potrebbe almeno ritentare la strada della sterilizzazione dell’Iva: un meccanismo che riduce l’accisa (e quindi l’imposta) per un certo periodo quando il prezzo della materia prima supera una cer­ta quota. Sperimentata nel 2000 e nel 2008,
 la sterilizzazione ha permesso risparmi modesti, nell’ordine dei 2 centesimi al li­tro. Sul lato industriale si può agire solo su quei 15-16 centesimi al litro che sono il margine lordo di gestori e compagnie. U­na loro riduzione di un terzo vale al mas­simo 5 centesimi. Le liberalizzazioni ap­pena approvate permettono ai benzinai di vendere altri prodotti e di restare sempre aperti, così i gestori hanno una base di gua­dagno più larga e sono meno 'benzina-di­pendenti'. Questo permette loro un con­tenimento del prezzo. Ma tra sconti, fai da te e 'pompe bianche' è inutile sperare in risparmi che vadano oltre i 10-15 centesi­mi al litro.

Pietro Saccò
  

venerdì 23 marzo 2012

La benzina impazzita e l'Eni

Dal 7 dicembre dell’anno scor­so che gli italiani pagano la benzina più cara d’Europa e il secondo gasolio più costoso, dopo quello inglese. Quel giorno il governo fece scattare in anticipo il quinto au­mento delle accise sui carburanti del 2011: un rialzo di 8,2 centesimi per la benzina e di 11,2 centesimi per il ga­solio. Tra accise e Iva il carico fiscale sui carburanti l’anno scorso è salito di 20 centesimi per il gasolio e 16 per la benzina. Quel 7 dicembre la verde volò a 1,68 centesimi al litro, il gaso­lio a 1,67. Ma gli italiani non avevano ancora vi­sto tutto. Nelle settimane seguenti il prezzo del petrolio si è impennato: la quotazione dei contratti futures del Brent (il greggio 'europeo') è passa­ta da 105 a oltre 120 dollari al barile. Colpa delle tensioni sull’Iran e colpa delle banche, che non sapendo dove piazzare i mille miliardi di euro rice­vuti in prestito a prezzi stracciati dal­la Banca centrale europea hanno pensato di investirne un po’ sul pe­trolio. Anche Ali al Naimi, anziano mi­nistro del Petrolio saudita, è rimasto interdetto: «Non riusciamo a capire perché i prezzi del petrolio si com­portino in questo modo – ha spiega­to da Doha lo scorso martedì – gli at­tuali valori non sono giustificati dal rapporto tra domanda e offerta». Il rialzo della materia prima, la cui qu­o­Ètazione in euro è sui massimi storici, si è ovviamente scaricato anche sui carburanti. Il risultato, certificato dal­le ultime rilevazioni europee, è che oggi gli italiani pagano la benzina in media 1,82 euro al litro, 15 centesimi in più della media europea, e il gaso­lio 1,73 euro al litro, 20 centesimi so­pra la media dell’Ue. È una brutta si­tuazione. I dati del Centro studi Pro­motor dicono che gli automobilisti hanno reagito tagliando i consumi (-9,6% nei primi due mesi nel confron­to con un anno fa) ma comunque hanno finito per spendere 10,1 mi­liardi, cioè l’11% in più. Di questi, 5,5 (+19,8%) se li è intascati il Tesoro.

Senza un intervento fiscale il prezzo del carburante difficilmente scen­derà. Se si escludono le tasse, il costo della benzi­na italiana è di soli 2 cen­tesimi superiore alla me­dia Ue, quello del gasolio di 4 centesimi. Anche an­nullando i due 'stacchi' i listini resterebbero a li­velli molto elevati. Il de­creto liberalizzazioni, ap­provato in via definitiva dalla Camera ieri, con­sente però qualche piccolo spazio di risparmio. «Considerate che il margi­ne totale della compagnia petrolife­ra e del gestore è di circa 15 centesi­mi al litro. Noi possiamo agire solo su quello» spiegava ieri Paolo Grossi, vi­ce presidente esecutivo per il 'retail' della divisione Refining & Marketing di Eni. Grossi ha presentato la strate­gia con cui il gruppo petrolifero con­trollato dal Tesoro intende migliora­re la sua offerta sfruttando al massi­mo le opportunità concesse dalle li­beralizzazioni. Le 4.500 stazioni di servizio Eni, ribattezzate 'eni station', saranno gradualmente trasformate. Intanto sarà potenziato il self service, con l’offerta iperself (che offre scon­ti tra i 5 e i 10 centesimi al litro ed og­gi
 è scelta da un cliente su tre) non più limitata agli orari di chiusura ma proposta 24 ore su 24 per sette giorni la settimana. In molte stazioni arri­veranno macchinette automatiche per vendere prodotti di largo consu­mo, come latte fresco, rasoi o aurico­lari per gli stereo (presto arriveranno anche i tabacchi). I 550 bar delle sta­zioni, gli 'eni cafè', resteranno aper­ti più a lungo e offriranno connessio­ne WiFi ai clienti. L’obiettivo è au­mentare le entrate dal cosiddetto 'non oil', unica strada 'industriale' per ammorbidire il rincaro figlio di tasse e mercato. 


da Avvenire del 23 marzo 2012

lunedì 12 marzo 2012

E i soldi della Bce spingono il barile



 da Avvenire, 10 marzo 2012, di Pietro Saccò
Chi volesse sapere dove sono quei mille miliardi  di euro che la Banca centrale europea ha prestato a un prezzo stracciato alle grandi banche con le aste di dicembre e febbraio sbaglierebbe se li cercasse nella malmessa "economia reale". Imprese e famiglie, come potrebbe confermare chiunque sia costretto in queste settimane a passare dalla filale in cerca di credito, continuano a doversi finanziare da sole. Molto di quel denaro è finito certamente sul mercato secondario dei titoli di Stato: in particolare sui Btp italiani e i Bonos spagnoli. Se gli interessi chiesti all'Italia sui suoi titoli decennali sono scesi dal 7% di fine dicembre
all'attuale 4,8% – con un risparmio per il nostro governo quantificabile in 16 miliardi di euro solo quest'anno – è proprio perché le banche stanno comprando molti di quei titoli. È un ottimo affare: gli istituti hanno preso in prestito i soldi stampati dalla Bce pagando un tasso annuo dell'1%, se li investono su qualsiasi cosa garantisca un tasso superiore possono guadagnare sulla differenza. Uno spread più basso (ieri il differenziale tra Btp e Bund ha toccato i 283 punti, il minimo da agosto, per poi chiudere di nuovo sopra i 300) riduce i costi del nuovo indebitamento per tutti, istituti di credito compresi, e quindi queste operazioni che tecnicamente si definiscono di "carry trade" hanno un doppio vantaggio.
Altri miliardi sono sicuramente finiti nelle Borse, che infatti dall'inizio dell'anno stanno segnando recuperi impressionanti. Per esempio Milano, nonostante un gennaio estremamente turbolento, in questo 2012 ha guadagnato il 6,1%. Altri miliardi ancora restano nelle casse elettroniche delle banche, tenuti fermi per rafforzare il patrimonio. Sono spesso gli stessi miliardi che, di notte, vengono parcheggiati nei depositi della Bce, il luogo finanziariamente più sicuro d'Europa, piuttosto che essere scambiati tra una banca e l'altra (il timore di fallimenti improvvisi non è ancora morto). Nella notte tra mercoledì e giovedì le casse della Bce hanno ospitato 827 miliardi di euro, il massimo storico, nella notte successiva altri 816 miliardi.
Quello che però la Bce forse non aveva previsto è che le banche potessero usare quei mille miliardi anche per ostacolare la ripresa mondiale. Invece è proprio quello che stanno facendo, perché coperti di denaro a basso costo gli istituti di credito si sono messi a comprare contratti futures sul petrolio. Lo ha spiegato ieri l'Unione Petrolifera, che ha elencato le ragioni dell'ultima impennata dei prezzi: «Le tensioni geopolitiche legate soprattutto alla vicenda iraniana, qualche rigidità dal lato dei fondamentali e l'enorme liquidità a disposizione del sistema bancario, prevalentemente impiegata sui mercati delle commodities e del petrolio in particolare». Come nota l'Up, i problemi "di mercato" sono contenuti: a causa della crisi è da 8 mesi che l'Agenzia internazionale dell'energia taglia ripetutamente le stime sulla domanda globale di greggio. C'è la questione iraniana, ma non basta. Soprattutto, ci sono le banche, che non sapendo dove mettere il mare di liquidità ricevuto cercano profitti sul caro vecchio petrolio. Il grafico del prezzo del petrolio "europeo", il Brent, lascia pochi dubbi: dopo avere oscillato tra i 100 e i 110 dollari per tutto il 2011, con la fine dello scorso dicembre (la prima asta Bce è stata il 21 dicembre) la quotazione del greggio ha iniziato a salire fino a toccare gli attuali 125 dollari. Paradossalmente i soldi con cui la Bce ha fermato quello che era il principale nemico della ripresa mondiale, la crisi del debito europeo, stanno finendo per creare, nel barile, un nuovo, temibile, avversario.

                                                                     

giovedì 9 febbraio 2012

Dal pozzo alla pompa: come si forma il prezzo del pieno

DA MILANO PIETRO SACCÒ (Avvenire, 9.2.2012)

P
rendiamo il prezzo di un litro di ben­zina. Togliamo le tasse, il costo del tra­sporto, i margini dei petrolieri e quel­li dei benzinai. Quello che ci resta è il valore del carburante per chi lo scambia sui mer­cati all’ingrosso. Par­liamo di una cifra che, a gennaio, ammonta­va in media a 985 dol­lari alla tonnellata per la benzina e 974 per il gasolio. Tradotti in più concreti euro al litro sono 58 centesimi per la verde e 64 per il die­sel. «D’accordo, ma chi ha deciso che i prezzi sono questi?» si chie­de giustamente l’auto­mobilista meno docile, che da sempre mentre riempie il serbatoio ha la netta sensazione che qualcuno lo stia fregando.

Chi gli risponde indi­cando le quotazioni internazionali del pe­trolio in realtà lo sta depistando. Lo testi­moniano per esempio i numeri di gennaio: a un +2,25% del prezzo in dollari del barile di
petrolio europeo (la quotazione Brent) è cor­risposto un +7,4% del prezzo all’ingrosso del­la benzina e un +2,1% di quello del gasolio. Infatti è vero che benzina e gasolio si rica­vano dal petrolio, ma un conto è la materia prima e un altro è il prodotto raffinato, che ha invece una sua domanda e una sua of­ferta, e quindi un mercato autonomo. Il mer­cato dove si stabilisce il prezzo all’ingrosso della benzina preso in considerazione dagli operatori in tutto il mondo, si chiama Platts, ed è ormai abituato ad essere accompagna­to da aggettivi tipo 'opaco', 'oscuro', 'so­spetto'. Il fatto di appartenere al colosso del­l’informazione finanziaria McGraw-Hill (quello che controlla anche l’agenzia di ra­ting Standard & Poor’s e ha tra i suoi azioni­sti fondi speculativi e grandi banche d’affa­ri) non contribuisce al buon nome del Platts, un’azienda nata più di un secolo fa quando con 2.500 dollari avuti in prestito da una compagnia assicurativa il venticinquenne Warren Cumming Platt si è messo a pubbli­care laNational Petroleum News, una pub­blicazione periodica sui prezzi del greggio negli Stati Uniti da distribuire ai proprietari dei pozzi e ai loro clienti.

Quello del fondatore non è solo un aned­doto, ma anche un da­to importante: prima ancora che mercato, Platts è infatti ancora oggi un’agenzia di informazione econo­mica. È a questa agen­zia che i responsabili di oltre 280 aziende at­tive nel mercato del­l’energia (tra gli italia­ni ci sono produttori come l’Eni, raffinatori come Saras o Erg, banche d’affari come UniCredit) comunica­no il prezzo a cui sono disposti a comprare o vendere un carico di carburante attorno a un’area precisa, che per l’Italia è il porto di Genova. La trattativa si svolge sulla piat­taforma elettronica eWindow, dove tutti gli operatori abbonati al Platts possono vedere le singole offerte e­conomiche, chi le ha fatte e quali sviluppi ha l’affare. Mettiamo che una compagnia petrolifera abbia una nave con un carico 30 mila tonnellate di carburante che interessa a due compagnie di distribuzione. Il detta­glio del carico, il prezzo fissato dal vendito­re e quelli offerti dai possibili compratori compaiono su eWindow. Si parte, di solito,
da cifre relativamente distanti (nell’ordine di pochi dollari per tonnellata) che si avvi­cinano gradualmente attraverso piccoli rial­zi e ribassi sempre pubblicati sulla piat­taforma elettronica. Si va avanti così fino al raggiungimento di un accordo, che natural­mente può anche non arrivare. Il tutto av­viene davanti agli occhi degli altri operato­ri, che possono intervenire nella trattativa in qualsiasi momento. Quando a Londra so­no le quattro e mezza del pomeriggio Platts considera chiusa la giornata di scambi, quin­di calcola il prezzo medio di giornata per i vari prodotti nei diversi porti e lo trasmette ai suoi abbonati. Ed è tenendo conto di quel­la quotazione che le compagnie firmano i loro contratti e aggiornano i listini. Anche quando vendono carburanti che non han­no acquistato, perché sono loro fin dall’ini­zio (come capita a chi copre tutta la filiera, come l’Eni). Non lo fanno per obbligo, ma semplicemente perché non possono per­mettersi di ignorare quello che succede sul mercato. Per questo sul prezzo 'all’ingros­so' del nostro pieno sembra esserci poco margine di risparmio.

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Avvenire:

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martedì 31 gennaio 2012

I consumi di carburante in calo dell'1,3%. Lo Stato ha incassato 32,5 miliardi


 Nel 2011 i consumi in Italia di benzina
e gasolio per autotrazione sono calati dell'1,3%, ma la spesa
complessiva è aumentata del 15,8%, mentre il carico fiscale è
aumentato del 9%. Questi dati emergono dalla banca dati sui
consumi e sui prezzi dei carburanti per autrotrazione elaborata
dal Centro Studi Promotor GL events, sulla base dei dati
ufficiali del Ministero dello Sviluppo Economico. In valori
assoluti la spesa nel 2011 è stata di 64,3 miliardi con un
incremento di 8,8 miliardi, mentre le imposte sono salite a
32,5 miliardi con una crescita di 2,7 miliardi.
Tra l'inizio e la fine del 2011 il prezzo industriale della
benzina è aumentato del 7,3%, mentre la componente fiscale ha
avuto un incremento del  23,8% e il prezzo alla pompa è salito
del 16,7%. Ancora più forte i rincari per il gasolio e in
particolare per la componente fiscale. Sempre tra l'inizio e la
fine del 2011 il prezzo industriale del gasolio è aumentato
del 15,4%, la componente fiscale addirittura del 37,1% e il
prezzo al consumo del 26%. E la tendenza alla crescita delle
componenti del prezzo alla pompa non si è certo arrestata nel
2012.

lunedì 23 gennaio 2012

Riforma della benzina, alcuni numeri

Oggi l'Unione petrolifera chiarisce che: gli impianti in Italia sono 23.000, e di questi 4.000 sono di proprietà di gestori indipendenti che, in qualche caso, ne controllano più di uno. L'Up precisa anche che il 52% degli impianti (cioè 12mila) appartiene a compagnie petrolifere, il 39% (9400) appartiene a retisti indipendente che hanno contratti di esclusiva, il 9% (2.200 impianti) sono pompe bianche.