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lunedì 26 marzo 2012

Cosa spinge i prezzi della benzina e chi ci guadagna

da Avvenire del 25 marzo 2012


1.Perché la benzina a­desso costa quasi 2 euro al litro?

Gli attuali prezzi dei carburanti (1,87 cente­simi al litro in media la benzina, 1,78 il ga­solio, se si considerano i listini al 'servito') sono il risultato di due fattori. Quello do­minante è il fattore fiscale. Lo scorso anno il governo Berlusconi ha alzato per quattro volte le accise su benzina e gasolio, portan­dole rispettivamente da 56,4 e 42,3 a 62,2 e 48,1 centesimi al litro. Il governo Monti ha aggiunto un quinto e più sostanzioso aumento, che ha portato l’accisa sul­la
 benzina a 70,4 centesimi al litro e quella sul gasolio a 59,3 centesimi al li­tro. A settembre, i­noltre, l’Iva (che si calcola sia sul prez­zo industriale della benzina che sull’accisa) è stata portata dal 20 al 21%, producendo così un rialzo linea­re dell’1%. E a gennaio 5 giunte regionali hanno fatto scattare le addizionali locali, o­ra applicate in 10 Regioni su 20. In breve: durante il 2011 le tasse nazionali sul carbu­rante sono salite di 16 centesimi al litro per la benzina e di 20 per il gasolio. L’altro fat­tore dietro gli aumenti è il costo della ma­teria prima, che si è impennato ne­gli ultimi mesi. Il Platts cif Med, l’in­dice delle quotazioni dei carburan­ti sui mercati europei, tra novembre scorso e oggi è salito per la benzina da 52 centesimi a 67 centesimi al li­tro, per il gasolio da 62 a 69 centesi­mi.

1.34


2.
Come mai questo Platts au­menta
 tanto?

La quotazione Platts – elaborata dal­l’omonima agenzia internazionale sulla base degli scambi quotidiani di prodotti petroliferi tra le varie a­ziende della filiera del petrolio – e­sprime il prezzo 'all’ingrosso' della benzina e del gasolio. Su questi va­lori incidono sia la normale dinami­ca della domanda e dell’offerta (di prodotti già raffinati) che la quota­zione
 del prodotto da raffinare, cioè il pe­trolio. La quotazione del petrolio 'europeo', il Brent, tra dicembre e oggi è salito da 104 a 125 dollari al barile (in euro il passaggio è da 75 a 94 euro al barile). La quotazione è e­levatissima, tanto che ieri l’Agenzia inter­nazionale dell’energia ha lanciato l’allarme: a questi prezzi si rischia la recessione. Le tensioni iraniane pesano ma non spiegano questa impennata. Non si capisce cosa ci sia dietro. Lo stesso ministro del Petrolio saudita, Alì al Naimi, ha detto che non ca­pisce cosa stia spin­gendo il prezzo. L’U­nione petrolifera ha detto qualche setti­mana fa che le ban­che stanno facendo salire i prezzi perché investono anche sui

futures
 petroliferi i 1.000 miliardi di eu­ro avuti in prestito agevolato dalla Bce. I tempi dei rialzi, in effetti, coincidono.

3.
Chi sta guadagnando da questi rincari?


Sicuramente ci guadagnano i Paesi espor­tatori che, secondo i calcoli dell’Aie, que­st’anno guadagneranno dal petrolio la cifra più alta di sempre: 1.200 miliardi di dollari. Anche le compagnie petrolifere, che estrag­gono
 e raffinano il greggio più o meno con gli stessi costi di prima, vedono sali­re i loro margini. Fe­steggiano anche al­l’Erario: nei primi due mesi del 2012, secondo i calcoli del centro studi Promo­tor, il Tesoro ha già incassato 5,5 miliar­di dai carburanti, con un aumento del 19,8% rispetto a un an­no fa. E questo nonostante i consumi nel frattempo siano diminuiti del 9,6%. Chi ci perde, infatti, sono evidentemente gli ita­liani, che per fare meno rifornimento han­no comunque già speso in due mesi 10,1 miliardi quest’anno, l’11% in più nel con­fronto con il 2011. Senza contare che i rincari dei trasporti provocano un aumento generalizzato dei prezzi de­gli altri beni che si devono spostare per il Paese. E ci perde anche il ben­zinaio, che ha un margine fisso al li­tro (tra i 4 e i 5 centesimi) ma sta ven­dendo meno carburante di prima.

4.
Anche nel resto d’Europa i prezzi salgono tanto?


Quasi, nel senso che tra lo scorso no­vembre e oggi in Europa il prezzo me­dio della benzina è salito del 9% e quello del gasolio dell’11%, mentre in Italia gli aumenti sono stati del 14% in entrambi i casi. Questo, però, se si considerano le tasse. Al netto delle imposte, il rialzo europeo è del 18% per la verde e del 9% per il diesel, quello italiano è del 15% sulla benzi­na e dell’8% per il gasolio. Senza le nuove tasse, che ci hanno 'regalato' la benzina più cara d’Europa e il se­condo gasolio più costoso, saremmo vicini alla media Ue. Difatti il cosid­detto 'stacco', cioè la differenza, tas­se escluse, tra il prezzo al litro del car­burante italiano e la media europea (calcolato dall’Unione petrolifera) si è ridotto dai 3,6 centesimi medi del 2011 agli attuali 2,5 centesimi. La ten­denza al rialzo è comunque globale. Gli Usa, ad e­sempio,
 sono in al­larme perché in al­cuni Stati la benzi­na ha superato la soglia di 4 dollari al gallone (che ai cam­bi attuali sono 81 centesimi al litro).

5.
Cosa si può fare per fermare gli aumenti?


Sul lato fiscale, se non si vogliono tagliare le tasse, si potrebbe almeno ritentare la strada della sterilizzazione dell’Iva: un meccanismo che riduce l’accisa (e quindi l’imposta) per un certo periodo quando il prezzo della materia prima supera una cer­ta quota. Sperimentata nel 2000 e nel 2008,
 la sterilizzazione ha permesso risparmi modesti, nell’ordine dei 2 centesimi al li­tro. Sul lato industriale si può agire solo su quei 15-16 centesimi al litro che sono il margine lordo di gestori e compagnie. U­na loro riduzione di un terzo vale al mas­simo 5 centesimi. Le liberalizzazioni ap­pena approvate permettono ai benzinai di vendere altri prodotti e di restare sempre aperti, così i gestori hanno una base di gua­dagno più larga e sono meno 'benzina-di­pendenti'. Questo permette loro un con­tenimento del prezzo. Ma tra sconti, fai da te e 'pompe bianche' è inutile sperare in risparmi che vadano oltre i 10-15 centesi­mi al litro.

Pietro Saccò
  

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