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venerdì 22 marzo 2013

Il mattone muore di vecchiaia


Ogni mese che passa le case degli italiani valgono un po’ meno. È così ormai da cinque anni, ma ancora non ci si è fatta l’abitudine.Era stato più facile abituarsi a vedere le quotazioni salire, qualche anno fa, anche se – come è successo in Italia tra il 1998 e il 2008 – la salita era la più lunga e la più potente di sempre. Altri tempi. L’Italia oggi si trova con quotazioni immobiliari sopravvalutate e un mercato del mattone bloccato: i 444 mila acquisti del 2012 sono il livello più basso dal 1985.
La Banca d’Italia dal 2009 ha iniziato a guardare con molta attenzione il mercato della casa, raccogliendo ogni tre mesi le impressioni degli agenti immobiliari. Le loro ultime risposte, consegnate a gennaio e riferite agli ultimi tre mesi del 2012, confermano che il mercato è impantanato: per un’agenzia su due sono aumentati gli incarichi di case da vendere, ma una su tre non è riuscita a piazzare nemmeno un appartamento. Perché non si vende? Per quattro ragioni, rispondono gli agenti: non ci sono offerte perché i prezzi sono troppo alti; quando le offerte ci sono non sono all’altezza delle aspettative dei venditori; chi vuole comprare non riesce ad avere un mutuo; chi vuole vendere quando può permetterselo prende tempo in attesa che le quotazioni risalgano. Il fatto è che secondo 7 agenzie immobiliari su 10 i prezzi non risaliranno. Almeno nonnel breve termine. Ma probabilmente nemmeno nel lungo. Nel mercato immobiliare italiano oggi non c’è nessun elemento che faccia intravedere una risalita delle quotazioni, che sono scese del 16% tra il 2007 e il 2011, secondo le rilevazioni di Scenari immobiliari, e del 4,3% solo l’anno scorso, secondo i calcoli di Nomisma.
Mancano i mutui, ma ancora di più mancano i soldi che in altri tempi finivano nel mattone. Pochi giorni fa la Banca d’Italia ha mostrato che il tasso di risparmio degli italiani, cioè la quota di reddito che le famiglie mettono da parte, negli ultimi 30 anni ha subito una caduta progressiva ma pesante: era al 25% a metà degli anni ‘80, si era ridotta sotto il 15% un decennio dopo e nel 2011 è crollata all’8,6%. Se negli ultimi 15 anni la ricchezza degli italiani è quasi raddoppiata – da 75 mila a quasi 150 mila euro pro-capite – quel denaro è però quasi tutto bloccato nelle abitazioni, che rappresentano l’86% della ricchezza complessiva. E le abitazioni appartengono agli italiani più anziani: un quarto dei proprietari ha più di 70 anni, due su tre sono oltre i 50.
Un mercato immobiliare in equilibrio si muove perché le giovani generazioni comprano le case: o quelle nuove o quelle che erano abitate dalle generazioni precedenti. Ma i giovani, in Italia, non sono mai stati così poveri. Non lavorano (la disoccupazione giovanile è al 38,7%, il massimo di sempre) e non guadagnano: una recente ricerca di Almalaurea mostra che un giovane italiano laureato se trova un lavoro a 5 anni dal titolo incassa in media 1.440 euro netti al mese, cioè poco più dei 1.510 euro lordi della pensione di anzianità media. Questo crescente squilibrio generazionale è ancora più evidente in un’altra indagine della Banca d’Italia, dove si spiega che nel ’91 gli italiani sotto i 35 anni avevano il 17% della ricchezza nazionale e quelli sopra i 65 anni il 19,3%. Nel 2010 la quota di ricchezza in mano ai giovani è crollata al 5,2%, quella controllata dagli anziani è volata al 33,1%.
L’impoverimento dei giovani italiani alla fine ha presentato il conto al mercato immobiliare, dove con la fine dei mutui facili dei primi anni dell’euro la domanda e l’offerta sono diventate inconciliabili. Adesso il mercato del mattone deve trovare da solo un nuovo punto di incontro 'generazionale'. La discesa dei prezzi continuerà finché non sarà riuscito a trovarlo.
da Avvenire di oggi

giovedì 10 maggio 2012

La casa si rivaluta sempre? Bugia

I calcoli di Scenari Immobiliari dicono che posto 100 il prezzo medio delle case in Italia nel 1992  la sua variazione reale (cioè quella che tiene conto dell'inflazione) è stata in discesa per 10 anni, con punte di ribasso a 73 nel 1999. Per le case di lusso, che secondo il luogo comune "si rivalutano sempre" il calo è durato sempre 10 anni, la risalita le ha portate a toccare una punta di 115 nel 2007, ma ora valgono 103. Cioè in 20 anni si sono rivalutate del 3%. Quelle "normali" oggi valgono invece 87: hanno perso il 13% del valore.


sabato 7 aprile 2012

La panflazione


L'Economist evidenzia i rischi della panflazione, che è poi l'aumento generalizzato di ogni cosa. Le taglie dei vestiti, oggi più capienti di un tempo (la 42 di oggi è la vecchia 44 etc.), le porzioni dei cibi e delle bevande, che non esistono più, nel nome, in versione "piccola", e poi le classi degli hotel, i voti degli studenti, i titoli lavorativi (sono tutti manager, sotto diverse forme). La panflazione serve solo a fare sentire meglio clienti. Ma "ogni inflazione svaluta ciò che infetta. Oscura l'informazione e quindi distorce i comportamenti". Diceva Karl Otto Pöhl, un tempo alla guida della Bundesbank: l'inflazione è come il dentifricio, è facile spingerlo fuori dal tubetto, quasi impossibile da rimettere dentro.

venerdì 23 marzo 2012

La benzina impazzita e l'Eni

Dal 7 dicembre dell’anno scor­so che gli italiani pagano la benzina più cara d’Europa e il secondo gasolio più costoso, dopo quello inglese. Quel giorno il governo fece scattare in anticipo il quinto au­mento delle accise sui carburanti del 2011: un rialzo di 8,2 centesimi per la benzina e di 11,2 centesimi per il ga­solio. Tra accise e Iva il carico fiscale sui carburanti l’anno scorso è salito di 20 centesimi per il gasolio e 16 per la benzina. Quel 7 dicembre la verde volò a 1,68 centesimi al litro, il gaso­lio a 1,67. Ma gli italiani non avevano ancora vi­sto tutto. Nelle settimane seguenti il prezzo del petrolio si è impennato: la quotazione dei contratti futures del Brent (il greggio 'europeo') è passa­ta da 105 a oltre 120 dollari al barile. Colpa delle tensioni sull’Iran e colpa delle banche, che non sapendo dove piazzare i mille miliardi di euro rice­vuti in prestito a prezzi stracciati dal­la Banca centrale europea hanno pensato di investirne un po’ sul pe­trolio. Anche Ali al Naimi, anziano mi­nistro del Petrolio saudita, è rimasto interdetto: «Non riusciamo a capire perché i prezzi del petrolio si com­portino in questo modo – ha spiega­to da Doha lo scorso martedì – gli at­tuali valori non sono giustificati dal rapporto tra domanda e offerta». Il rialzo della materia prima, la cui qu­o­Ètazione in euro è sui massimi storici, si è ovviamente scaricato anche sui carburanti. Il risultato, certificato dal­le ultime rilevazioni europee, è che oggi gli italiani pagano la benzina in media 1,82 euro al litro, 15 centesimi in più della media europea, e il gaso­lio 1,73 euro al litro, 20 centesimi so­pra la media dell’Ue. È una brutta si­tuazione. I dati del Centro studi Pro­motor dicono che gli automobilisti hanno reagito tagliando i consumi (-9,6% nei primi due mesi nel confron­to con un anno fa) ma comunque hanno finito per spendere 10,1 mi­liardi, cioè l’11% in più. Di questi, 5,5 (+19,8%) se li è intascati il Tesoro.

Senza un intervento fiscale il prezzo del carburante difficilmente scen­derà. Se si escludono le tasse, il costo della benzi­na italiana è di soli 2 cen­tesimi superiore alla me­dia Ue, quello del gasolio di 4 centesimi. Anche an­nullando i due 'stacchi' i listini resterebbero a li­velli molto elevati. Il de­creto liberalizzazioni, ap­provato in via definitiva dalla Camera ieri, con­sente però qualche piccolo spazio di risparmio. «Considerate che il margi­ne totale della compagnia petrolife­ra e del gestore è di circa 15 centesi­mi al litro. Noi possiamo agire solo su quello» spiegava ieri Paolo Grossi, vi­ce presidente esecutivo per il 'retail' della divisione Refining & Marketing di Eni. Grossi ha presentato la strate­gia con cui il gruppo petrolifero con­trollato dal Tesoro intende migliora­re la sua offerta sfruttando al massi­mo le opportunità concesse dalle li­beralizzazioni. Le 4.500 stazioni di servizio Eni, ribattezzate 'eni station', saranno gradualmente trasformate. Intanto sarà potenziato il self service, con l’offerta iperself (che offre scon­ti tra i 5 e i 10 centesimi al litro ed og­gi
 è scelta da un cliente su tre) non più limitata agli orari di chiusura ma proposta 24 ore su 24 per sette giorni la settimana. In molte stazioni arri­veranno macchinette automatiche per vendere prodotti di largo consu­mo, come latte fresco, rasoi o aurico­lari per gli stereo (presto arriveranno anche i tabacchi). I 550 bar delle sta­zioni, gli 'eni cafè', resteranno aper­ti più a lungo e offriranno connessio­ne WiFi ai clienti. L’obiettivo è au­mentare le entrate dal cosiddetto 'non oil', unica strada 'industriale' per ammorbidire il rincaro figlio di tasse e mercato. 


da Avvenire del 23 marzo 2012