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lunedì 27 febbraio 2012

Qualche numero sul petrolio

:: Selpress - MEDIAWARE (Articolo formato testo): " Ma è l'eurozona oggi il fronte più vulnerabile di una nuova crisi energetica. Basta ricordare che in Italia la super è ormai a quota due euro al litro. Le ragioni sono molteplici: dall'incognita-Iran fino alle politiche fiscali e di bilancio, la nuova inflazione da greggio ha le sue origini in America e in Cina ma si ripercuote in modo amplificato sull'anello debole della crescita globale, il Vecchio continente. Cominciando dall'Iran: volendo reagire all'ultimo inasprimento delle sanzioni intemazionali, il regime di Teheran ha colpito là dove poteva, cioè in Europa. I ltaglio dell'exportdaTeheran hainciso per 550.000 barili al giorno sui due clienti maggiori, Europa e Cina. Sesi aggiungono le crisi in atto in Siria, Sudan meridionale e Yemen, mancano all'appello più di 700.000 barili al giorno."

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Benzina: da tre anni scendono i consumi ma la spesa sale

Il censimento degli statali


mercoledì 22 febbraio 2012

Qualche numero sull'art. 18

Secondo l'Istat in Italia ci sono circa 23 milioni di lavoratori attivi.
Tolti i liberi professionisti, ne restano 21.
Di questi, 3 sono impiegati pubblici, quasi 10 milioni sono occupati in Pmi con meno di 15 addetti contro i quasi 8 in aziende medio grandi a cui si applica pienamente il regime protettivo dell'art.18.
Quindi quando Marcegaglia e Camusso litigano lo stanno facendo su una platea di circa la metà del totale dei lavoratori italiani.
Se poi analizziamo i reintegri in azienda a seguito di contenziosi aperti sulla base dell'art.18, si tratta di numeri infinitesimali: tra le 300 e le 500 posizioni ogni anno rispetto al mare magnum delle 160 mila causa di lavoro totali che ingolfano a getto continuo i nostri tribunali.


Marco Alfieri sulla Stampa di oggi
http://www.swas.polito.it/services/Rassegna_Stampa/dett.asp?id=4028-150880585

martedì 21 febbraio 2012

Il documento riservato europeo sulle sorti della Grecia

L'introduzione spiega bene come stanno le cose.

There are notable risks. Given the high prospective level and share of senior debt, the prospects for Greece to be able to return to the market in the years following the end of the new program are uncertain and require more analysis. Prolonged financial support on appropriate terms by the official sector may be necessary. Moreover, there is a fundamental tension between the program objectives of reducing debt and improving competitiveness, in that the internal devaluation needed to restore Greece competitiveness will inevitably lead to a higher debt to GDP ratio in the near term. In this context, a scenario of particular concern involves internal devaluation through deeper recession (due to continued delays with structural reforms and with fiscal policy and privatization implementation). This would result in a much higher debt trajectory, leaving debt as high as 160 percent of GDP in 2020. Given the risks, the Greek program may thus remain accident-prone, with questions about sustainability hanging over it.

More on leaked Greek debt report | Brussels blog | News on the European Union from the Financial Times – FT.com:

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La tempistica del salvataggio della Grecia


Timeline: Second financing package for Greece

BRUSSELS | Mon Feb 20, 2012 3:20pm EST

(Reuters) - Euro zone finance ministers are expected to approve a second financing package forGreece on Monday, which aims at reducing Greek debt towards 120 percent of gross domestic product by 2020 from 160 percent now.

Approval of the new, 130-billion-euro ($170 bln) financing package, which will come on top of a 110-billion-euro bailout granted in May 2010, will set in motion a debt restructuring that aims to halve Greece's privately held debt.

Below are some of the critical dates and key events coming up that policymakers hope will draw a line under the more than two-year European sovereign debt crisis, which began in Greece.

Feb 20

- Euro zone finance ministers (the Eurogroup) to take a decision whether to grant Greece the second financing program.

- This decision will open the way for euro zone countries to approve higher guarantees for the euro zone's temporary bailout fund, the European Financial Stability Facility (EFSF), which will need to raise money on the market to finance the bailout.

- Preliminary Eurogroup discussion of whether to allow the 440-billion-euro EFSF and the 500-billion-euro permanent bailout fund, the European Stability Mechanism, to run in parallel, nearly doubling the euro zone's bailout capabilities.

Feb 21-22

- If the Eurogroup gives its go-ahead on Monday, Greece will be able to launch a debt restructuring offer, inviting private investors to swap around 200 billion euros of Greek government bonds they hold for new ones worth around half as much.

Feb 23-24

- Finnish parliament likely to debate package in order to approve higher EFSF guarantees.

Feb 24-26

- Finance ministers and central bank governors from the world's 20 biggest economies, meeting in Mexico, to discuss providing more funds for the International Monetary Fund. G20 countries have signaled that they will only agree to increase IMF funds if euro zone countries allow the ESM and the EFSF to run alongside to boost the euro zone's bailout capacity.

Feb 27

- German parliament to vote on bailout package and use of the EFSF to secure new Greek bonds.

March 1-2

- EU summit, which will decide, among other things, whether to allow the ESM and EFSF to run in parallel, boosting the bailout capacity of the euro zone. Leaders may also be give their imprimatur to the second Greek package.

March 8

- The last day to sign up for Greek bond swap offer.

March 9

- Responses from investors concerning the bond swap offer are processed.

March 10-11

- The actual swapping of Greek bonds for new, longer-dated securities with a lower coupon takes place.

March 12-13

- Euro zone and EU finance ministers meet.

March 20

- Greece is due to repay 14.5 billion euros of debt. If the bond swap goes ahead, this would be covered, meaning Athens will avoid defaulting on this payment.

March 30-31

- Informal meeting of euro zone and EU finance ministers and central bank governors in Copenhagen.

April 20-22

- IMF meeting in Washington on bigger IMF resources.

(Reporting By Jan Strupczewski. Editing by Jeremy Gaunt.)





Timeline: Second financing package for Greece | Reuters:
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domenica 19 febbraio 2012

giovedì 16 febbraio 2012

Evasione carosello

"Come spiegano dal Comando generale della Guardia di finanza, le frodi carosello rappresentano un vero e proprio cancro per la società economica: «negli ultimi cinque anni, sottolinea il generale Bruno Buratti, Capo del III reparto operazioni della Gdf, le Fiamme gialle hanno denunciato in media ogni anno 5.500 persone, responsabili di frodi ogni anno per circa 2,5 miliardi di euro di Iva. Si tratta di circa il 40% del totale dell'imposta sul valore aggiunto evasa scoperta annualmente dal Corpo».
"

martedì 14 febbraio 2012

Il flop delle Unioni di fatto

Avvenire, 14.2.2012
​Il caso di Gubbio è l’ultimo finito sotto i riflettori, e bene rappresenta la realtà dei registri delle unioni civili in Italia. Nel comune umbro lo scorso 25 gennaio il registro (attivo dal 2002) è stato cancellato con un voto bipartisan sostenuto dal sindaco, Diego Guerrini (Pd). Il motivo? L’inutilità: dopo quasi dieci anni risultava iscritta soltanto una coppia.

I registri delle unioni civili, a ben guardare, sono soprattutto questo: pezzi di carta spesso intonsi e tuttavia dotati di valore simbolico e politico enorme per chi sostiene la necessità che le “nuove famiglie” siano equiparate a quelle tradizionali. Non a caso la lista di chi li ha (formalmente) istituiti è lunga: basta fare un giro sul sito dell’Arcigay per scoprire che i comuni in cui è stato attivato un registro delle unioni civili sono molti e dislocati un po’ in tutta Italia. E così, cercando comune per comune, è facile imbattersi in plausi e congratulazioni per la decisione di «avvicinarsi all’Europa» aprendo alle coppie di fatto.

La realtà, però, dice che sono pressoché vuoti quasi ovunque. Alcuni casi sono addirittura clamorosi, come quello di Bologna: registro attivo dal lontano 1999, numero di iscritti zero. Lo ha scoperto recentemente una consigliera comunale del Pdl, spulciando nell’anagrafe del comune (sul cui sito, peraltro, il registro è ben sponsorizzato). Dal Pd comunale hanno risposto che è il «valore simbolico» a contare.

Scarse adesioni anche in Trentino Alto Adige: a Trento il registro, attivo dal 2006, conta 23 coppie (solo due si sono iscritte nell’anno passato); a Bolzano (dove le coppie di fatto possono registrarsi all’anagrafe dal 2003) dal Comune fanno sapere che si viaggia su una media di «3 o 4 all’anno», ma la cifra è «ottimistica, visto che non se ne parla e nessuno sa che esista»; nel Comune di Arco (registro attivo dal 2005) resiste una sola coppia, visto che le altre tre hanno deciso di cancellarsi (due si sono sposate, una si è separata). Pisa conta su un registro che ha ormai 15 anni, ma vi aderiscono (il dato è dell’estate 2011) appena 32 coppie, Firenze arriva a 73 in dieci anni, Padova si ferma a 50 (di cui 10 – viene fatto sapere – sono formate da omosessuali).

Torino vede la presenza di un registro, approvato nel 2010, al quale sono iscritte 120 coppie. Numeri che i comuni che hanno istituito il registro in Sardegna nemmeno intravedono: Atzara (mille anime in provincia di Nuoro) e Porto Torres aspettano rispettivamente da sei e due anni domande di iscrizione, e anche Sassari, che si è dotata della lista all’anagrafe l’anno scorso, non ha registrato alcun assalto. Sull’isola sono le stesse sigle omosessuali che lamentano l’assoluta inutilità dei registri che – a detta loro – sono un atto «meramente amministrativo». Ciò non ha scoraggiato il piccolo comune di Tissi (2.300 abitanti), che ha detto sì al registro appena 4 giorni fa. La notizia ha fatto meno rumore di quella di Napoli: nelle prossime settimane sarà curioso confrontare le rispettive, ed effettive, iscrizioni.

Ma le liste rimangono vuote ovunque | Cronaca | www.avvenire.it:

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lunedì 13 febbraio 2012

Il lavoro nella prima metà dell'anno scorso


Spiegano Inps, Istat e ministero del Lavoro che dei 5,3 milioni di nuovi posti di lavoro dipendente nel primo semestre 2011 il 19% è a tempo indeterminato, il 67% sono a tempo determinato, l'8,6% sono contratti di collaborazione e solo il 3% apprendistato.

sabato 11 febbraio 2012

Balle danesi


DI CARLA SIGNORILE COPENAGHEN - Per la riforma del lavoro il premier Mario Monti è stato molto chiaro: «Ci muoveremo con moderazione verso modelli che esistono con successo in Nord Europa a partire dalla Danimarca, che è la più celebrata in termini a flexsecurity (mix tra flessibilità e sicurezza), anche se non diventeremo necessariamente danesi». Quindi tutti a Copenhagen a studiare questo modello di successo, peccato che, negli ultimi anni, sia notevolmente peggiorato e non garantisca più i migliori lavoratori. A dirlo è un italiano che in Danimarca c'è da più di 40 anni, Bruno Amoroso, economista e professore emerito della storica università di Roskilde, a 35 chilometri dalla capitale danese. Partiamo da un punto fermo: il licenziamento in Danimarca avviene senza protezione (non esiste l'articolo 18 che impone il reintegro del lavoratore), ma, subito dopo la perdita del posto di lavoro, interviene la sicurezza sotto forma di sostegno sociale. Che, nel corso degli ultimi anni, è però stato pesantemente eroso. «Fino a otto anni fa il lavoratore poteva godere dell'assegno di disoccupazione fino a 5 anni, praticamente fino a quando non ritrovava una condizione di lavoro per lui soddisfacente», spiega a ItaliaOggi Amoroso, «quindi aveva la libertà di rifiutare proposte non in linea con il curriculum». Già ma quanto prende un disoccupato danese? «Specifichiamo che non è vero che quando si è licenziati si prende il 90% del proprio stipendio, bensì il 90% dello stipendio medio di un lavoratore dell'industria e oggi si parla di 1.600 euro lordi al mese. Quindi semmai è vero che i lavoratori che hanno salari medio-bassi ricevono una quota che si avvicina al loro precedente stipendio, ma indubbiamente per tutti gli altri è una forte riduzione». L'altro aspetto negativo è negli ultimi anni è diminuito l'arco temporale durante il quale si percepisce l'assegno di disoccupazione. «Al massimo si può restare disoccupati per tre anni», ha specificato Amoroso, «dopo il primo anno, però, scattano forti pressioni per accettare nuovi lavori o fare corsi di riqualificazione. Tuttavia, se il lavoratore rifiuta gli viene tolto il sussidio e finisce su quello sociale che equivale alla pensione minima, ovvero un livello molto basso. Facciamo un esempio: un professore universitario oppure un impiegato bancario che resta disoccupato, dopo il primo anno gli viene offerto un qualunque lavoro, per esempio come si usa in Danimarca portare il giornale la mattina nelle case, e se uno rifiuta perde il contributo di disoccupazione». Il peggio è che queste regole non hanno niente a che vedere con il sistema di sicurezza che la Danimarca vantava fino a un decennio fa. «La flexsecurity danese funzionava fino alla fine degli anni '80, poi il concetto è stato ripreso dalle autorità europee e lo hanno completamente stravolto, peggiorandolo», ha proseguito il professore emerito dell'Università di Roskilde. «La flessibilità in Danimarca era considerata come libertà dei lavoratori di scegliere il lavoro che preferivano a seconda delle loro capacità. Gli imprenditori finivano per farsi concorrenza tra loro offrendo migliori condizioni lavorative per attrarre i più capaci. La sicurezza, invece, consisteva nel fatto che durante questi passaggi tra un lavoro e l'altro, oltre a godere dei vantaggi di un sistema efficiente di servizi, il disoccupato veniva indennizzato in modo soddisfacente. Negli ultimi anni è stato ridotto il periodo di disoccupazione, ma è stata tolta anche la scelta del lavoro che si vuole fare». Ma si può importare in Italia questo modello? Questo sistema che oggi funziona in modo zoppo costa in Danimarca circa il 4.5% del pil, mentre in Italia si usa circa 1'1% del pil per gli ammortizzatori sociali. Certo che la Danimarca parte avvantaggiata, in quanto G non esiste il 30-35% del mercato del lavoro e delle attività produttive sommerse, si sa chi lavora e quanto guadagna esattamente. II problema, ha concluso Amo- roso, è che esistono in Italia condizioni obiettive perché molte aziende restano nel sommerso in quanto se emergessero finirebbero per scomparire. O si fanno emergere creando condizioni di crescita economica e di domanda che le facciano sopravvivere, oppure al limite è meglio che esista anche il nero.


Italia Oggi - L'art. 18 in Danimarca non c'è. A chi perde il posto 1.600 € per un anno, poi si deve adeguare - L'articolo 18 non c'è in Danimarca:

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venerdì 10 febbraio 2012

La riforma del lavoro spagnola


(Di Francesco Cerri)
   (ANSA) - MADRID, 10 FEB - Va avanti a passo di carica verso
il risanamento il nuovo governo spagnolo di Mariano Rajoy, che
oggi, a 52 giorni dall'insediamento, ha varato la sua terza
grande riforma strutturale, quella del mercato del lavoro, per
far fronte a una disoccupazione ormai al 22,85%.
   La riforma approvata dal consiglio dei ministri è stata
definita "storica" dalla vicepremier Soraya de Santamaria, la
più importante dalla fine del franchismo: "segna un prima, e
un dopo, nella legislazione del lavoro di questo paese". Il
risultato del lungo braccio di ferro fra l'ala 'socialè del
governo guidata dal ministro delle finanze Cristobal Montoro e
quella 'liberal' che fa capo al titolare dell'economia Luis de
Guindos, ha visto prevalere quest'ultima. L'aspetto di maggior
rilievo è il netto abbassamento del costo dei licenziamenti.
L'indennità passa dagli attuali 45 a 33 giorni per anno di
lavoro, per un massimo di 24 mesi invece di 42. Viene inoltre
semplificata ed estesa la facoltà di ricorrere ai licenziamenti
economici 'low cost', 20 giorni per anno di lavoro per un
massimo di 12 mesi. Potranno farvi ricorso le imprese che
abbiano registrato per nove mesi un calo delle vendite, o lo
prevedano per questo periodo, anche se continua a fare benefici.
    L'obiettivo principale della riforma, ha detto de
Santamaria, è fare diminuire l'esercito dei 5,3 milioni di
disoccupati ereditato dal governo socialista di Josè Luis
Zapatero, e aumentare la flessibilità e la competitività delle
imprese spagnole per rilanciare la crescita. Con le Pmi, che
creano il 90% dell'occupazione in Spagna, in prima linea: la
riforma crea  un contratto a tempo indeterminato per le imprese
con meno di 50 lavoratori, con agevolazioni fiscali di 3mila
euro per l'assunzione di giovani sotto i 30 anni e la facoltà
per il primo anno di usare il 25% dell'indennità di
disoccupazione per completare la retribuzione. Il governo Rajoy
mette in campo anche uno sconto annuale di 3600 euro per tre
anni nei contributi dell' impresa alla Sicurezza Sociale per
l'assunzione di giovani fra 16 e 30 anni e di 4500 euro per i
disoccupati di lungo periodo di più di 45 anni.
   La riforma punta a introdurre la massima flessibilità negli
accordi collettivi. In caso di crisi le imprese potranno
'sganciarsì dagli accordi di categoria e modificare tempi di
lavoro, funzioni dei dipendenti, nelle retribuzioni. Inoltre gli
accordi d'impresa prevarranno su quelli collettivi nazionali o
regionali, e alla scadenza saranno validi ancora solo due anni.
Ieri a Bruxelles de Guindos aveva detto ai colleghi dell'
Eurogruppo che questa riforma sarebbe stata "molto
aggressiva". E all'ultimo Consiglio europeo lo stesso Rajoy
aveva previsto che gli sarebbe costata uno sciopero generale. Le
prime reazioni dell'opposizione socialista e dei sindacati sono
molto negative. Ma Rajoy ora può dire ai partner europei di
avere "fatto i compiti" fino in fondo - fra manovra da 15
miliardi e aumento dell'Irpef a Natale, poi le riforme del
'deficit zerò, del risanamento del mercato bancario, ora del
lavoro - e a tempi di record, in 52 giorni: in cambio chiede
elasticità sull' obiettivo di deficit 2012 (per ora previsto al
4,4%) per disporre di più risorse per fare ripartire l'economia
de paese. (ANSA).

Veh chi c'è, Davide Serra

Last fall, as worries about Europe's banks mounted, Davide Serra fretted over the fate of Algebris Investments LLP, his $700 million hedge-fund firm.

Algebris had one-third of its money tied to stocks and bonds of European banks likeBanco Santander SA and Intesa Sanpaolo SpA. The investments tumbled in the final months of 2011, as Spain and Italy were engulfed in Europe's sovereign-debt crisis.

A former bank analyst at Morgan Stanley, Mr. Serra resolved to stand firm—even though his firm's performance was plunging and some clients wanted to exit. On Dec. 1, Mr. Serra told investors at a New York hedge-fund conference that he was confident that "by Christmas, we will have a solution" to Europe's debt troubles.

Three weeks later, the European Central Bank doled out nearly a half-trillion euros in loans to Europe's banks—a striking move that some investors thank for averting a global market crash.

"Things were hard, but we kept saying they won't let the system fail," Algebris's 41-year-old, London-based co-founder recalled.

This year's market rally has caught many investors by surprise. But a few traders who ramped up risky bets while others headed for the exits last year are seeing outsize gains. Their growing confidence suggests Europe's outlook could be improving—at least for now. In the latest sign of progress, Greek political leaders Thursday agreed on key steps that should pave the way for a second bailout from the European Union and International Monetary Fund, and the euro reached its highest level since early December.

Mr. Serra is part of the band of fund managers who bet on Europe during the depths of its financial crisis and survived to tell the tale. The group of contrarian investors, a minority when compared with the large swaths of fund managers who steered well clear of the Continent, is reaping the benefits of the bold moves now.

Algebris, for example, lost 30% in 2011, partly thanks to its European bets. But its flagship fund, which buys stocks of European and global banks, is up 9.7% this year, while a separate fund specializing in risky bank bonds—about one-third European—has gained 24.3%. By comparison, the Standard & Poor's 500-stock index is up 7.5% this year, and the Stoxx Europe 600 index, measured in euros, has climbed 7.8%.

It isn't just Mr. Serra. Last summer, portfolio manager Michael Hasenstab at Franklin Templeton Investments, a U.S. money manager with more than $670 billion in assets, began buying Irish bonds in the belief that the government wouldn't default on its debt. According to Franklin, the bet totaled around €5.5 billion, or about $7.2 billion, as of the end of last year—a large wager given the size of Ireland's bond market, observers said.

Things were hard, but we kept saying they won't let the system failDavide Serra, cofounder of a London hedge fund

Ireland has made more progress dealing with its debt problems than other struggling euro members, Mr. Hasenstab said. Irish 10-year-bond yields, which move inversely to their prices, were at 7.08% on Thursday, from more than 14% at their peak in July.

Sohail Malik, lead portfolio manager of European Credit Management's Special Situations Credit Fund, says a successful bet last December was buying the short-term senior debt of euro-zone banks. Such bonds in Portugal were especially attractive, giving investors yields of 15% to 18%, a level that dropped to 9% in January before rising back to about 11% recently. Mr. Malik said he has been trying to profit from the "momentum" generated by the ECB's recent measures.

Such trades are the latest sign that Europe's banking and debt woes are easing enough for money managers to start picking through the rubble for bargains. Last week, Italy's Intesa Sanpaolo became the first bank from a financially stressed euro-zone country to sell senior, unsecured debt in many months, helping relieve fears of a credit crunch for European banks. In late January, Ireland's government impressed investors by successfully entering the capital markets to extend the maturity of its loans.

Other investors remain on the sidelines or hold negative bets on the euro because of concerns over a European recession and Greece's ability to avoid a disorderly default.

Currency-focused hedge funds, for instance, are unconvinced by the euro's recent rally and have been slow to move their cash out of U.S. dollars—considered a safe haven—into riskier investments. "This has moderately hurt their performance in January," said Luca Avellini of JW Partners, a research and advisory firm that invests in 23 funds with a combined $20 billion under management in currency strategies.

For every George Soros, whose family fund bought about $2 billion in European bonds late last year, there is a Highland Capital Management LP, a $23 billion alternative-investment firm whose co-founder and president, James Dondero, believes Europe will avoid a banking crisis and a euro breakup, but that the Continent's financial assets are too risky.

Instead, he is championing U.S. stocks and high-yield "junk" bonds, risky financial assets whose prices could rise in lock step with European assets but that don't carry the stigma of European investments.

Highland's main credit hedge fund, Highland Diversified Credit Fund, ended last year up 6.4%, according to Hedge Fund Research Inc.

At Algebris, Mr. Serra is placing bets on riskier "subordinated" bonds of European banks. These bonds are riskier because, in the event of a default, holders recoup cash only after senior-bond investors are paid back. In September, Mr. Serra, who in the 1990s took a macroeconomics course from Italy's current prime minister, Mario Monti, bought a two-year bond from Spain's Banco Santander that offered a 16% yield. He also is holding a "contingent convertible" bond from Britain's Lloyds Banking Group PLC. Such "CoCo" bonds are risky because they turn into equity if the bank issuing them depletes a specific amount of capital. While the U.K. government is Lloyds's biggest shareholder, the country isn't part of the euro.

Investors increasingly believe Europe's rally could continue, although many of the region's economic problems remain unsolved. The ECB will offer more loans to banks at the end of the month.

Before the ECB's move last year, "you were guaranteed to have an accident somewhere," Mr. Serra said. "Now the accident is very unlikely to happen."

Write to Neil Shah at neil.shah@dowjones.com


Contrarians Bet Boldly on - WSJ.com:

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La conversazione che oggi non piace ai mercati.



Durante il vertice dell'Eurogruppo Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble spiega al collega portoghese Vitor Gaspar che, se serve, Berlino può muoversi per aiutare Lisbona. Ma solo dopo che sarà approvato il nuovo piano per la Grecia.

E bravo Pertini

"Una verità difficile da riconoscere, nel caso di Porzûs. Perché in quell'angolo di confine la Resistenza ebbe un doppio volto: uno legato al movimento operaio molto influenzato dai comunisti sloveni (che manovravano il Pci italiano), l'altro rappresentato da uomini delle forze democratiche, laiche, socialiste e cattoliche confluite nel Cln. I primi tendevano a ispirare le loro scelte a quelle dei compagni titini, più che guardare agli interessi nazionali. È in questo contesto di feroce scontro ideologico che Mario Toffanin, il comandante «Giacca» ordinò l'attacco contro i partigiani bianchi acquartierati nelle malghe e nelle cui file c'erano anche Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, e Francesco De Gregori, zio e omonimo del cantautore. A incarico eseguito, «Giacca», condannato in contumacia all'ergastolo per quel «crimine di guerra», fuggì in Jugoslavia e Cecoslovacchia, prima d'essere graziato da Pertini. E mentre un velo di ambigui silenzi calò sulla strage, lui non si pentì mai".
(Marzio Breda, Corriere, 10.2.2012)

Foibe, Napolitano andrà a Porzûs, il luogo del tabù - Corriere.it:

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La risposta di Draghi a Deutsche Bank

Draghi Slams Virility Statements as Bankers Shun ECB Loans - Businessweek: "(Updates with professor comment in ninth paragraph.)

Feb. 10 (Bloomberg) -- European Central Bank President Mario Draghi lashed out at bankers who said tapping the ECB’s three-year-loan program carries a stigma, after executives including Deutsche Bank AG’s Josef Ackermann said they shunned the loans.

“There is no stigma whatsoever on these facilities,” Draghi said at a press conference in Frankfurt yesterday. “Some have made some sort of statements that I would call statements of virility, namely it would be undignified for a bank, a serious bank, to access these facilities. Now let me say that the very same banks that made these statements access facilities of different kinds -- but still government facilities.”"

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I programmi di Squinzi e Bombassei

Libero Quotidiano di venerdì 10 febbraio 2012, pagina 20
Intervista a Giorgio Squinzi - Bombassei e Squinzi: sfida per Confindustria - «Cerco il dialogo con tutti ma non sono una colomba»
di De Stefano Tobia

LE INTERVISTE Bombassei e Squinzi:

sfida per Confindustria TOBIA DE STEFANO e NINO SUNSERI alle pagine 20-21 La corsa atdopo Marcegagtia Giorgio Squinzi «Cerco il dialogo con tutti ma non sono una colomba» L'uomo della chimica si propone per un'associazione più europea, senza articolo 18, con nuove pensioni e un canale aperto pure con Marchionne • Il problema della disoccupazione giovanile trova radici e colpe nelle criticità complessive del nostro sistema, da un collegamento tra scuola e lavoro che andrebbe radicalmente ripensato, anche alla luce di quanto sta accadendo in tutte le economie occidentali. La scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la crisi economica ne ha acutizzato le conseguenze. Le imprese hanno da sempre tutto l'interesse a giovarsi di una forza lavoro giovane GIORGIO SQUINZI ::: TOBIA DE STEFANO Partiti gli endorsement (gli ultimi danno Rocca con Bombassei e la Bracco con Squinzi), avviato il lavoro dei saggi (dovranno sottoporre i nomi dei candidati alla giunta deI 22 marzo), non resta che scoprire i programmi dei due sfidanti allo scranno più alto di Confindustria. Giorgio Squinzi (patron dellaMapei ed ex presidente di Federchimica) è vicino alla Marcegaglia, viene definito una colomba, per i suoi rapporti da sempre dialoganti con i sindacati, e nei pronostici è visto come il portatore degli interessi delle piccole imprese. Nell'intervista a «Libero» racconta la Confindustria che vorrebbe. Da oggi affine marzo il tema nell'agenda del governo è lariforma del mercato dellavoro. Qualè la sua posizione su riforma dell'articolo 18? «La flessibilità in uscita e gli ammortizzatori sociali sono, insieme alla flessibilità in entrata, due temi della riforma strettamente legati tra di loro. Sull'art. 18 condivido la posizione che Confindustria ha espresso ufficialmente: mantenere la possibilità del reintegro solo nel caso di licenziamenti discriminatori o nulli. Confermo però che perla crescita delle nostre imprese al momento abbiamo anche altri importanti problemi da risolvere». Poi c'è il tema degli ammortizzatori sociali? «Nel tempo abbiamo costruito un sistema, largamente finanziato dalle imprese, che in questi annidi crisi ha consentito di dare adeguate risposte ai diffusi problemi occupazionali. Tale sistema deve ora essere implementato e razio - nalizzato in relazione alle nuove esigenze e alla necessità di realizzazione di efficienti ed efficaci politiche attive di ricollocamento». Si è molto discusso anche della riforma delle pensioni». «Relativamente all'innalzamento dell'età pensionabile, sarà opportuno prevedere specifiche misure perii personale "anziano" tenuto in forza e tutele per lo stesso personale che sarà oggetto di crisi occupazionale. Questo tema non deve essere sottovalutato perchè rischia di diventare, se già non lo è, la nuova emergenza sociale dopo quella dei giovani».

*** Il dibattito sulla corsa confindustriale la dipinge come la colomba che ha buoni rapporti con i sindacati contrapposta al falco Bombassei. Cosa significa avere buoni rapporti con la Cgil? Secondo lei in questi anni la Fiom ha rappresentato un freno allo sviluppo industriale del Paese? «Non mi considero né un falco né una colomba: in realtà cerco sempre di essere una perso -narigorosa ed equilibrata. Nelle relazioniindustriali ho sempre rifiutato approcci o scelte che non fossero strettamente legati alla sostanza e al merito dei problemi che erano in gioco. Ho imparato sul campo che è meglio dialogare in modo leale e costruttivo. Ritengo che le relazio - ni industriali debbano essere un fattore di competitività, un veicolo di innovazione, di crescita culturale, di responsabilità sociale. Devono essere uno strumento efficace, utile non solo a risolvere i problemi ma possibilmente a prevenirli. Sono convinto che questo sia il tipo di approccio corretto e utile per realizzare un dialogo capace di conciliare gli interesse delle imprese e quelli dei lavoratori. Questo per me significa avere buoni rapporti con tutti». I buoni rapporti con la Cgil potrebbero precludere un rientro della Fiat nell'associazione confindustriale? «Non vedo come le due questioni siano coincidenti. La vita del sindacato è indipendente dalle scelte interne di un'organizzazione di rappresentanza di interessi generali e viceversa». Ha già un piano per convincere Marchionne a rientrare? «Qualora i miei colleghi mi assegnassero il ruolo di primusinterpares in Confindustria, certamente mi porrò il problema». Una delle grandi questioni evidenziate dalla crisi è la galoppante disoccupazione giovanile (al 30%). Quali sono le colpe delle imprese? «Il problema della disoccupazione giovanile trova radici e colpe nelle criticità complessive del nostro sistema, da un collegamento tra scuola e lavoro che andrebbe radicalmente ripensato, anche alla luce di quanto sta accadendo in tutte le economie occidentali. La scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la crisi economica ne ha acutizzato le conseguenze. Le imprese hanno tutto l'interesse a giovarsi di una forza lavoro giovane, dinamica, altamente motivata e adeguata ai cambiamenti in atto». Cosa dovrebbe chiedere il sistetnaindustriale al governo per migliorare la situazione?

«Il governo dovrebbe garantire ed agevolare le condizioni utili all'ingresso nel mercato del lavoro dei giovani con politiche di incentivazione strutturali, a cominciare da un apprendistato più facilmente fruibile». Confindustria ha bisogno di cambiare? Da anni si dice che dovrebbe uscire dai salotti e dalla politica per tutelare ma ormente gli interessi degli associati, soprattutto delle piccole e medie imprese. Come si fa? «La mia idea di Confindustria è un'idea sobria, centrata sui contenuti. L'Italia ha bisogno di sobrietà e da noi deve arrivare un chiaro esempio. Nella mia vita di industriale ho sempre avuto come obbiettivo primario il perseguimento della crescita Confindustria ha la responsabilità di fare inmodo che siano intantissimi a tornare ad averlo. Sono convinto che l'efficienza del sistema Paese debba diventare ancor di più la priorità di Confindustria nel mercato globale la competitività delle nostre imprese dipende anche dalla competitività del sistema Italia. Per questo ho la certezza che tutte le imprese abbiano bisogno di un sistema asso - ciativo forte come interlocutore, propositivo e ascoltato da parte delle istituzioni». Il suo avversario, Bombassei, ha stilato un decalogo per sintetizzare la Confindustria che vorrebbe. Mi può indicare le sue tre priorità? «Senza una semplificazione normativo-buro - cratica profondissima l'Italia avrà un futuro difficile. Questa è la mia convinzione che si traduce in una priorità che assorbe la quasi totalità dei temi: contribuire a dare efficienza al sistema Paese perché la competitività delle nostre imprese dipende sempre più da questo. Dobbiamo adeguarci agli standard europei, soprattutto nelle normative, nella pubblica amministrazione, nel fisco, nelle infrastrutture, nel credito, nell'energia, nella scuola, nella giustizia e nella ricerca. Non si può richiamare l'Europa solo quando fa comodo». A proposito. Che giudizio ha del governo Monti? Su fisco, liberalizzazioni e semplificazioni si poteva fare di più? «Si può sempre fare meglio ma sono certo che il Presidente Monti ha aperto un lungo cammino che non possiamo abbandonare per il bene e il futuro del nostro Paese. Il mio auspicio è che lo faccia insieme a Confindustria perché ilvissuto quotidiano degli imprenditori può dare alla politica il know-how per prowedimenti concreti e mirati».

*** GIORGIO SQUINZI Sull'operato del governo dice: si può sempre fare meglio ma sono certo che il Presidente Monti ha aperto un lungo cammino che non possiamo abbandonare per il bene del nostro Paese OL Y ***


LE INTERVISTE Bombassei e Squinzi:

sfida per Confindustria TOBIA DE STEFANO e NINO SUNSERI alle pagine 20-21 La corsa atdopo Marcegagtia Alberto Borbassei «Imprenditori, non politici Solo così può salire il Pil» Mr Brembo ha la sua ricetta per il futuro. In Confindustria serve autonomia di rappresentanza perché le aziende costruiscano interessi convergenti • L'apprendistato è un contratto a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed all'occupazione dei giovani. Continua a non passare nell'opinione pubblica l'idea che l'apprendista non è più il "ragazzo di bottega': L'apprendistato è invece una garanzia di lavoro, di tutele, di stabilità e di crescita professionale.

ALBERTO BOMBASSEI ::: NINOSUNSERI Da oggi a fine marzo il grande tema nell'agenda del governo è la riforma del lavoro. Che ne pensa Alberto Bombassei di riforma dell'articolo 18 e di ammortizzatori sodali «La mia posizione è quella che abbiamo condiviso in Confindustria, negli organi direttivi e con gli esperti del sistema associativo: il tema di una riforma del mercato del lavoro è urgente e complesso. Per questo va affrontato senza tabù e con la chiara consapevolezza. Credo allora che ogni ipotesi di riforma debba affrontare i nodi che l' Europa pone quasi quotidianamente all'attenzione del Paese. Dovremo andare verso un'accurata revisione delle norme sulle forme di assunzione, per evitare fenomeni di abuso e situazioni di precarietà. E dovremo anche rivedere le regole per il licenziamento prevedendo, al tempo stesso, un sistema di assicurazione dalla disoccupazione ed un insieme di politiche attive, compresa una formazione vera, in grado di facilitare la ricollocazione delle per-sone». Su un punto sono tutti d'accordo: potenziare l'apprendistato come contratto di ingresso per i giovano nel mondo del lavoro. E' &accordo? In che modo è possibile incentivarne l'utilizzo? «Non c'è dubbio che deve essere la forma principale di ingresso al lavoro per i giovani. Non per niente l' anno scorso, con Governo e sindacati, abbiamo definito un testo unico che rappresenta un significativo passo in avanti. Forse a molti sfugge che, per legge, l'apprendistato è un contratto a tempo indeterminato, fina-lizzato alla formazione ed all'occupazione dei giovani. Di tutti i giovani, anche laureati e diplomati. Continua a non passare nell'opinione pubblica l'idea che l'apprendista non è più il "ragazzo di bottega". L'apprendistato è invece una garanzia di lavoro, di tutele, di stabilità e di crescita professionale. Adesso vedremo nel confronto in corso, come rendere questo contratto immediatamente utilizzabile superando gli ultimi ostacoli procedurali. Certo se si trovasse anche il modo di estendere il regime di totale decontribuzione oggi a favore delle sole imprese con meno di IO dipendenti, si darebbe un ul *** teriore stimolo alle assunzioni di giovani» il dibattito sulla corsa confindustriale la dipinge come un falco nei rapporti sindacali. Cosa ne pensa? «Io sono prima di tutto un imprenditore e mi creda, cinquant'anni di confronto con la competizione internazionale e questi ultimi otto annidi dialogo costante con i miei colleghi grazie al ruolo in Confindustria, mi hanno insegnato una regola fondamentale: stare fermi vuol dire necessariamente perdere posizioni. Per cui c'è sempre il momento in cui, in azienda o in associazione, occorre prendere una decisione. E specie chi fa rappresentanza deve essere capace non già di limitarsi a mediare interessi ma essere in grado di comporre interessi concorrenti verso interessi generali. Ciò non toglie che il dialogo rimane una componente fondamentale, ma alla fine si deve pur trovare il punto di sintesi». I suoi rapporti con la Cgil potrebbero preludere un rientro della Fiat nell'associazione confindustriale? Ila già un piano per convincere Marchionne a rientrare? «Penso che le condizioni per un rientro si possano creare naturalmente nella misura in cui la Fiat riterrà che il nostro sistema di regole sul lavoro e di relazioni sindacali sia in grado di rispondere alle sfide che il mercato mondiale pone loro ogni giorno. Non dimentichiamo che questo è uno dei fattori che contribuiscono a rendere più o meno attrattivo il Paese. Ma la riforma del mercato del lavoro non è la sola su cui concentrarsi; sarà necessario procedere con altre riforme nel solco, doloroso ma necessario, che il governo Monti ha avviato». Uno dei problemi evidenziati dalla crisi è la galoppante disoccupazione giovanile (al 30%). Quali sono le colpe delle imprese? Cosa dovrebbe chiedere il sistema industriale al governo per migliorare la situazione? «Ciclo economico e occupazione sono ovviamente elementi strettamente connessi. Lo sono stati nella "discesa" della crisi economica, in tutta l'Eurozona, e lo devono essere anche nell'inversione della curva. Le misure per sostenere il sistema occupazionale devono quindi essere necessariamente sorrette da interventi per favorire la crescita. In altre parole, i passi verso una ma; ore flessibilità e tutela del lavoro non avrebbero effetti sull'occupazione, se non si supportano gli investimenti e lo sviluppo. Confindustria ha bisogno di cambiare? Da anni si dice che dovrebbe uscire dai salotti e dalla politica per tutelare maggior-men te gli interessi degli associati, soprattutto delle piccole e medie imprese. Lei vorrebbe andare in questa direzione? In che modo? «Ritengo sia semplicemente miope pensare alla posizione dell'Associazione in termini di sostegno o contrasto alla politica, come è accaduto in passato. La base della vera attenzione agli associati è proprio quell'autonomia che consente il dialogo, ma soprattutto la chiara visione delle necessità delle imprese. E il cambiamento, come detto, deve passare anche per il sistema di rappresentanza» Il suo avversario ha stilato quattro punti per sintetizzare la Confindustria che vorrebbe. Mi può indicare le sue 4 priorità? «Stimo Giorgio Squinzi, e mi viene difficile definirlo "avversario". Circa le priorità, oltre quella rappresentata da una nuova "visione" e da un nuovo assetto dell'Associazione, ne indicherei almeno quattro fra le tante che comunque metterei tutte al primo posto: credito, fisco, infrastrutture e internazionalizzazio-ne». Che giudizio ha del governo Monti? Su fisco, liberalicracionie semplificazioni si poteva fare di più? «Il governo ha dovuto fare una manovra sui conti pubblici necessaria ma inevitabilmente recessiva Sta comunque generando una grande spinta riformatrice che spero riesca a ridurre spesa pubblica e debito. Questi sono i presupposti per politiche espansive concrete».

IALBERTO BOMBASSEI Dell'incontro in Assolombarda dice: «è andata benissimo l'atmosfera era assolutamente positivacon un confronto, domande e risposte stimolanti. Penso sia stato positivo per tutti» OLY ***

giovedì 9 febbraio 2012

Dal pozzo alla pompa: come si forma il prezzo del pieno

DA MILANO PIETRO SACCÒ (Avvenire, 9.2.2012)

P
rendiamo il prezzo di un litro di ben­zina. Togliamo le tasse, il costo del tra­sporto, i margini dei petrolieri e quel­li dei benzinai. Quello che ci resta è il valore del carburante per chi lo scambia sui mer­cati all’ingrosso. Par­liamo di una cifra che, a gennaio, ammonta­va in media a 985 dol­lari alla tonnellata per la benzina e 974 per il gasolio. Tradotti in più concreti euro al litro sono 58 centesimi per la verde e 64 per il die­sel. «D’accordo, ma chi ha deciso che i prezzi sono questi?» si chie­de giustamente l’auto­mobilista meno docile, che da sempre mentre riempie il serbatoio ha la netta sensazione che qualcuno lo stia fregando.

Chi gli risponde indi­cando le quotazioni internazionali del pe­trolio in realtà lo sta depistando. Lo testi­moniano per esempio i numeri di gennaio: a un +2,25% del prezzo in dollari del barile di
petrolio europeo (la quotazione Brent) è cor­risposto un +7,4% del prezzo all’ingrosso del­la benzina e un +2,1% di quello del gasolio. Infatti è vero che benzina e gasolio si rica­vano dal petrolio, ma un conto è la materia prima e un altro è il prodotto raffinato, che ha invece una sua domanda e una sua of­ferta, e quindi un mercato autonomo. Il mer­cato dove si stabilisce il prezzo all’ingrosso della benzina preso in considerazione dagli operatori in tutto il mondo, si chiama Platts, ed è ormai abituato ad essere accompagna­to da aggettivi tipo 'opaco', 'oscuro', 'so­spetto'. Il fatto di appartenere al colosso del­l’informazione finanziaria McGraw-Hill (quello che controlla anche l’agenzia di ra­ting Standard & Poor’s e ha tra i suoi azioni­sti fondi speculativi e grandi banche d’affa­ri) non contribuisce al buon nome del Platts, un’azienda nata più di un secolo fa quando con 2.500 dollari avuti in prestito da una compagnia assicurativa il venticinquenne Warren Cumming Platt si è messo a pubbli­care laNational Petroleum News, una pub­blicazione periodica sui prezzi del greggio negli Stati Uniti da distribuire ai proprietari dei pozzi e ai loro clienti.

Quello del fondatore non è solo un aned­doto, ma anche un da­to importante: prima ancora che mercato, Platts è infatti ancora oggi un’agenzia di informazione econo­mica. È a questa agen­zia che i responsabili di oltre 280 aziende at­tive nel mercato del­l’energia (tra gli italia­ni ci sono produttori come l’Eni, raffinatori come Saras o Erg, banche d’affari come UniCredit) comunica­no il prezzo a cui sono disposti a comprare o vendere un carico di carburante attorno a un’area precisa, che per l’Italia è il porto di Genova. La trattativa si svolge sulla piat­taforma elettronica eWindow, dove tutti gli operatori abbonati al Platts possono vedere le singole offerte e­conomiche, chi le ha fatte e quali sviluppi ha l’affare. Mettiamo che una compagnia petrolifera abbia una nave con un carico 30 mila tonnellate di carburante che interessa a due compagnie di distribuzione. Il detta­glio del carico, il prezzo fissato dal vendito­re e quelli offerti dai possibili compratori compaiono su eWindow. Si parte, di solito,
da cifre relativamente distanti (nell’ordine di pochi dollari per tonnellata) che si avvi­cinano gradualmente attraverso piccoli rial­zi e ribassi sempre pubblicati sulla piat­taforma elettronica. Si va avanti così fino al raggiungimento di un accordo, che natural­mente può anche non arrivare. Il tutto av­viene davanti agli occhi degli altri operato­ri, che possono intervenire nella trattativa in qualsiasi momento. Quando a Londra so­no le quattro e mezza del pomeriggio Platts considera chiusa la giornata di scambi, quin­di calcola il prezzo medio di giornata per i vari prodotti nei diversi porti e lo trasmette ai suoi abbonati. Ed è tenendo conto di quel­la quotazione che le compagnie firmano i loro contratti e aggiornano i listini. Anche quando vendono carburanti che non han­no acquistato, perché sono loro fin dall’ini­zio (come capita a chi copre tutta la filiera, come l’Eni). Non lo fanno per obbligo, ma semplicemente perché non possono per­mettersi di ignorare quello che succede sul mercato. Per questo sul prezzo 'all’ingros­so' del nostro pieno sembra esserci poco margine di risparmio.

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mercoledì 8 febbraio 2012

Perché a Berlino conviene una debole periferia d’Europa - Corriere.it

Perché a Berlino conviene
una debole periferia d’Europa

Le nuove regole di bilancio europee, il cosiddetto fiscal compact , sono state volute soprattutto da Berlino. L'importanza che la Germania attribuisce all'accordo appena raggiunto non è il risultato di un'analisi sbagliata, come spesso afferma la stampa anglosassone, ma è coerente con i suoi interessi strategici come potenza economica globale.

Secondo i critici del fiscal compact, le nuove regole sono sbagliate perché ispirate da una cattiva diagnosi, quella secondo cui la crisi dell'euro sarebbe dovuta a una mancanza di disciplina di bilancio quando, invece, il vero problema sarebbe lo squilibrio della bilancia commerciale all'interno della zona euro che vede Germania e periferia come immagini riflesse in uno specchio: in sistematico surplus la prima e in sistematico deficit la seconda. Questo squilibro, secondo le analisi più ascoltate, sarebbe causato da una minore competitività del Sud dell'Europa e da una domanda di consumi e investimenti troppo debole in Germania. Sono quindi questi i problemi che andrebbero affrontati con nuove regole comuni. Di conseguenza, la ricetta dovrebbe prevedere non, o almeno non esclusivamente, il rigore di bilancio ma, nella periferia, la prescrizione di riforme strutturali volte all'aumento della produttività accompagnata dalla moderazione salariale e, in Germania, il rilancio della domanda per i consumi. La correzione dello squilibrio che ne deriverebbe sarebbe nell'interesse della stabilità dell'euro e quindi sia del Nord che del Sud dell'Unione.

Se guardiamo ai numeri, tuttavia, la storia appare più complessa e suggerisce piuttosto un'altra interpretazione: gli interessi economici della Germania sono sempre più diversi da quelli del resto dell'Europa. La chiave per capirlo è pensare all'area euro non come a un'economia chiusa agli scambi intra Unione, ma come a un'economia aperta al commercio con il resto del mondo.

Ricordiamo qualche fatto. Il primo è che per la Germania solo il 40% delle esportazioni sono verso l'area dell'euro e, dal 1999, il suo surplus commerciale si è accresciuto soprattutto grazie all'export verso i Paesi extra Unione: Cina, Paesi del Centro ed Est Europa e Paesi produttori di petrolio. Secondo, la perdita di competitività di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (i cosiddetti Giips) rispetto al resto del mondo è dovuta soprattutto all'apprezzamento del tasso di cambio nominale più che alla dinamica dei prezzi. Terzo, dal 1999, il deficit commerciale di questi Paesi si è accresciuto soprattutto nei confronti dei Paesi fuori dall'area euro.

Questi dati suggeriscono che il problema dell'instabilità dell'euro non sia dovuto agli squilibri interni, ma ad una diversa capacità dei Paesi dell'Unione di competere nel mondo. Ma come saranno quindi gli equilibri che si delineeranno nella nuova Europa del fiscal compact? Se con le regole di bilancio e l'aggressivo ruolo della Banca centrale europea sul piano della liquidità si scongiurerà una crisi finanziaria, si può prefigurare una Germania esportatrice sempre più proiettata verso il mondo esterno all'euro e che beneficerà di un tasso di cambio nominale più basso che nel decennio passato. Allo stesso tempo, i Giips saranno condannati ad un tasso di crescita anemico dovuto al drastico aggiustamento di bilancio imposto dalle nuove regole del fiscal compact , ma la minore domanda di importazioni che deriverà dalla contrazione dei consumi che ne consegue non peserà necessariamente sull'export tedesco poiché la Germania è sempre meno dipendente dal mercato dell'Unione. Quella che si prospetta è dunque un Europa sempre più eterogenea al suo interno, con interessi economici e politici potenzialmente divergenti.

Naturalmente i Giips potrebbero anch'essi beneficiare della svalutazione dell'euro, ma per competere sul mercato globale questi Paesi dovrebbero fare anche un salto di competitività, sviluppo tecnologico, aumento della dimensione di impresa. Solo questo li aiuterebbe a recuperare quote di export a scapito di Paesi che tradizionalmente hanno reddito pro capite più basso e quindi anche più basso costo del lavoro. Questo dovrebbe avvenire attraverso politiche nazionali ma anche europee: politiche ambiziose per la crescita e l'innovazione. Ma queste ultime non sono di grande interesse per la Germania, poiché essa trae vantaggi da una periferia dell'euro debole purché naturalmente ne venga preservata la stabilità finanziaria.

Questa è una delle tante ragioni per cui l'Europa deve uscire dalla logica intergovernamentale, che vede il dominio del punto di vista tedesco. Per tornare a pensarsi insieme in negoziati multilaterali. Con incentivi diversi tra Stati membri è difficile immaginare come questo possa accadere.

8 febbraio 2012 | 12:07



Perché a Berlino conviene una debole periferia d’Europa - Corriere.it:

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