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sabato 17 agosto 2013

La grande fuga dai titoli Usa

È bastato che Ben Bernanke suggerisse con molta cautela che forse, se l’economia americana continuerà a migliorare, la Federal Reserve nei prossimi mesi potrebbe iniziare a ridurre il suo massiccio rifornimento mensile di denaro fresco al sistema finanziario (sono 85 miliardi di dollari al mese) per provocare una storica sbandata dei titoli di Stato americani. A giugno, ha comunicato nel giorno dell’Assunta il dipartimento del Tesoro, la quantità di titoli di Stato in mani straniere è diminuita di 57 miliardi di dollari, a 5.600 miliardi totali. Non è stato solo il terzo mese consecutivo di uscita degli investitori internazionali dal debito americano: da quando il ministero diffonde le cifre (e sono 36 anni) una fuga dai titoli del Tesoro come quella di giugno non si era mai vista.

A vendere, e questo è ancora più preoccupante per Washington, sono i suoi due maggiori creditori: la Cina, il cui portafoglio di titoli americani si è ridotto da 1.297 a 1.276 miliardi, e il Giappone, che ha tagliato i suoi investimenti a stelle e strisce da 1.103 a 1.083 miliardi. Da soli i due colossi asiatici valgono il 70% delle vendite di titoli del debito pubblico americano. Peggiora ulteriormente lo scenario il fatto che le vendite non siano concentrate solo sui titoli pubblici. Gli investitori internazionali hanno iniziato quella che sembra una fuga da tutti i tipi di titoli statunitensi: le azioni delle imprese (-26,8 miliardi), le loro obbligazioni (-5 miliardi), i titoli delle agenzie governative (-5,2 miliardi).

Non si può dire che questi numeri siano stati una sorpresa per Bernanke. Già sui mercati secondari i titoli del Tesoro avevano scontato subito l’apertura a una possibile riduzione delle politiche ultra-aggressive. Anche a Wall Street le cadute degli indici azionari erano state fragorose. Per fermare l’emorragia (e qualcuno sospetta su pressione governativa), nelle settimane successive il presidente della Fed ha corretto le posizioni della banca centrale, facendo capire che c’è fretta di uscire dal piano di stimolo. I dati di luglio, che saranno diffusi il mese prossimo, mostreranno se il passo indietro avrà riportato gli investitori a puntare sugli Usa. Se i numeri indicassero che la fuga va avanti, per Lawrence Summers e Janet Yellen, i due candidati alla successione di Bernanke alla guida della Fed, si prospetterebbe un debutto da incubo.


da Avvenire

martedì 9 luglio 2013

Saccomanni chiama i banchieri per fare ripartire i prestiti

Scrive Fubini che Fabrizio Saccomanni martedì prossimo incontrerà a Roma i banchieri italiani per elaborare un sistema di rilancio dei prestiti per le imprese.

Il ministro dell'Economia e del Tesoro Fabrizio Saccomanni spedirà domani gli inviti per un vertice ristretto previsto il 16 luglio a Roma, parteciperanno una trentina di personaggi chiave del sistema finanziario italiano. Obiettivo: superare il crollo dei prestiti alle aziende, allargando il numero dei soggetti che possono elargire credito oltre alle banche. Si pensa ai fondi pensione, assicurazioni e Fondazioni bancarie.

martedì 20 marzo 2012

I derivati del Tesoro


Il ministero dell'Economia italiano ha
aperto posizioni in derivati su circa 160 miliardi di debito
pubblico, l'8% del totale. 
      In base ai dati forniti in Parlamento dal governo giovedì
15 marzo 2012, circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36
miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi sono
swap stipulati in origine da Infrastrutture spa (Ispa) e poi
trasferiti a fine 2006 alla Repubblica italiana. 
    "I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap
corrispondono alla quasi totalità dei titoli emessi nel corso
degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni
internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni
estere sono state coperte dal rischio valutario", ha spiegato il
governo rispondendo a un'interpellanza presentata dall'Italia
dei valori alla Camera. 
     
    DA DERIVATI MAGGIORI INTERESSI PER OLTRE 6 MLD 2006-2010 
    Il Tesoro ricorre ai derivati per cercare di ridurre gli
interessi sul debito o per sterilizzare il rischio di cambio.
L'evoluzione dei mercati può però essere sfavorevole e il saldo
dei flussi di cassa porta in quel caso a maggiori oneri e non a
risparmi di spesa. 
    È anche possibile che i derivati siano volutamente
strutturati per produrre saldi positivi nei primi anni e saldi
negativi a partire da un certo periodo in poi. 
    Nel 2011 l'operatività in derivati si è tradotta in maggiori
interessi sul debito per circa 2 miliardi, in base ai dati
parziali anticipati da Istat a inizio marzo che si riferiscono
al totale delle amministrazioni pubbliche, quindi non solo al
Tesoro ma anche a regioni, province e comuni.  
    Istat non fornisce dati disaggregati tra amministrazione
centrale ed enti locali ma la parte preponderante delle
operazioni in derivati fa capo al Tesoro. 
    Le più recenti serie storiche di Istat non indicano effetti
sul bilancio prodotti dai derivati fino al 1997. Dal 1998 al
2010 il saldo dei flussi ha generato un risparmio complessivo
per l'Erario di 3,239 miliardi. 
    I derivati hanno prodotto risparmi di spesa fino al 2005,
poi i diversi contratti in essere hanno cominciato ad aumentare
gli interessi sul debito, producendo un onere complessico di
oltre 6 miliardi tra 2006 e 2011. 
    Ecco l'intera serie storica disponibile (in milioni di
euro), dove un valore positivo indica minori interessi e un
valore negativo maggiori interessi: 
  
 1998                             3.015 
 1999                               490 
 2000                             1.023 
 2001                               610 
 2002                               883  
 2003                               474 
 2004                               498 
 2005                               608 
 2006                              -260 
 2007                              -568 
 2008                              -595 
 2009                            -1.166 
 2010                            -1.773 
     
    IL CASO MORGAN STANLEY 
    Il 3 gennaio 2012 Morgan Stanley ha ottenuto dal Tesoro la
chiusura di due interest rate swap e di due swaption in
conseguenza di una clausola di "Additional termination event"
presente nel contratto quadro (Isda master agreement). 
    Per chiudere la posizione l'Italia ha dovuto versare alla
banca 2,6 miliardi di euro circa, pari al valore dei flussi
futuri scontati al presente (mark to market). 
    "Tale clausola, risalente alla data di stipula del
contratto, nel 1994, era unica e non presente in nessun altro
contratto quadro vigente tra il ministero e le sue controparti,
e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni,
rinegoziare la stessa. In virtù di tale clausola, si è proceduto
alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley,
regolandone il controvalore in 2,567 miliardi senza il
coinvolgimento di terze parti", ha reso noto il governo nell a
risposta all'interpellanza di giovedì scorso. 
    La notizia, emersa per la prima volta a inizio febbraio,
alimenta polemiche da settimane per l'impatto che l'operazione
ha avuto sul bilancio pubblico. 
    L'Italia dei valori, come in altre occasioni la Lega Nord,
ha insinuato alla Camera che nell'operazione vi sia stato un
potenziale conflitto di interessi.   
    "L'idea che ci sia stata una chiusura volontaria anticipata
della posizione può dare adito a qualche riflessione che tiene
conto anche dei soggetti interessati da questa operazione. Per
carità, nessuno pensa che sia un delitto il fatto che il figlio
del presidente del Consiglio lavori per Morgan Stanley e che il
capo country manager per Morgan Stanley in Italia sia Domenico
Siniscalco, che è stato ministro dell'Economia e delle Finanze
in un precedente governo [di Silvio] Berlusconi. Lei esclude che
ci sia una terza parte, qualcuno parlava di Banca Intesa il cui
amministratore delegato oggi è ministro di questa Repubblica",
ha detto il deputato Idv Antonio Borghesi riferendosi anche al
titolare dello Sviluppo economico, Corrado Passera. 
     
    TESORO NON DIFFONDE DATI SU MARK TO MARKET COMPLESSIVO 
    Per capire quanto rischia potenzialmente l'Italia dal suo
portafoglio in derivati bisognerebbe avere il mark to market
complessivo dei contratti, che indica in un dato momento quanto
una parte dovrebbe pagare all'altra per chiudere tutte le
posizioni in essere. 
    Il Tesoro non intende tuttavia diffondere questa
informazione. 
    Il mark to market "varia continuamente al variare sia del
livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva
dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un
valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato
sovrano risulta essere limitata", ha sostenuto il governo alla
Camera. 
     
    ITALIA FA PEGGIO DI PRINCIPALI STATI UE 
    L'Italia non sembra ottenere buoni risultati nella sua
gestione dei derivati se paragonata agli altri principali Stati
europei. 
    Infatti, in quei Paesi dove i derivati producono maggiori
interessi, gli importi sono molto inferiori a quanto registra
l'Italia. 
    Ecco la tabella con i dati Eurostat aggiornati ad ottobre
2011 ed elaborati da Reuters (in milioni di euro, anche qui un
valore positivo indica minori interessi e un valore negativo
maggiori interessi):  
                      2007     2008     2009     2010  Cumulato  
Italia                -568     -595   -1.166   -1.773    -4.102  
Germania               220      -20     -150      140       190  
Francia                342      326      549      386     1.603  
Spagna                   9      -27      -45       52       -11  
Regno Unito (CY)  *    284     -538     -936     -274    -1.464  
Regno Unito (FY) **    187     -850   -1.060      200    -1.523  
    * Anno di calendario 
    ** Anno finanziario 
     
    LE CARTOLARIZZAZIONI 
    Il Tesoro ha realizzato numerose operazioni di
cartolarizzazione tra gli anni Novanta e i primi anni del 2000
per ridurre deficit e debito pubblico. La maggior parte delle
operazioni ha avuto fine nel 2005, a causa delle nuove regole
imposte da Eurostat. 
    Con le cartolarizzazioni il Tesoro ha "attualizzato" ricavi
attesi negli anni a venire da varie operazioni: cessione di
immobili (Scip), recupero di crediti contributivi (le varie
tranche di Inps, Scic Personal loans), incentivi alla
ricerca(Scic research), gettito atteso dal gioco del lotto
(Lotto). 
    A fine 2005, secondo un documento depositato dal Tesoro in
Senato il 25 febbraio 2009, le operazioni di cartolarizzazione
hanno prodotto incassi complessivi per 39,84 miliardi. 
    La stima dei ricavi non coincide con l'effetto di riduzione
di deficit e debito per via delle regole di contabilità pubblica
fissate in sede europea. Le cartolarizzazioni si sono tradotte
infatti in 27,3 miliardi di minor debito e in 6,59 miliardi di
minor indebitamento netto, dopo che, nel luglio 2002, Eurostat
ha imposto all'Italia di riclassificare due cartolarizzazioni,
azzerandone l'effetto positivo sui conti pubblici di Roma. 
    Non tutte le operazioni si sono chiuse con un saldo
positivo. Nella primavera del 2009 il Tesoro ha rimborsato le
tranche residue di Scip con un onere complessivo per le casse
dello Stato pari a 1,735 miliardi di euro. 
    Di seguito i dati ufficiali del Tesoro per le sole
operazioni di cartolarizzazione, in base al documento del 25
febbraio 2009 (in milioni di euro): 
                                  EFFETTO RIDUZIONE:          
 ANNO              OPERAZIONI     DEBITO   DEFICIT    RICAVI 
 1999                   INPS1          0         0     4.647 
 2000                   INAIL          0         0     1.348 
 2001                   INPS2      1.190         0     1.706 
                        LOTTO          0         0     2.996 
                        SCIP1          0         0     1.994 
 2002                   INPS3      1.959         0     2.999 
                        SCIP2      6.596     6.596     6.596 
 2003                   INPS4      2.998         0     2.998 
             SCIC PERS. LOANS      4.227               4.227 
       SCIC LOCAL AUTHORITIES        539                 539 
 2004           SCIC RESEARCH      1.243         0     1.243 
                        INPS5      3.548         0     3.548 
 2005                   INPS6      4.999         0     4.999 
 TOTALE GENERALE                  27.301     6.596    39.844 
     
    Eurostat ha adottato, soprattutto nel 2007, una serie di
indirizzi che hanno limitato la possibilità di ricorrere alle
cartolarizzazioni. 
    "A partire dal 2007, qualsiasi cartolarizzazione realizzata
secondo gli standard di questo mercato avrebbe comportato un
aumento del debito secondo le regole comunitarie", ha spiegato
il Tesoro nel documento depositato in Senato. 
    (Giuseppe Fonte)
    
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