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martedì 22 ottobre 2013

Lo shale gas passa da Londra per conquistare l'Europa

Lo avevano detto che lo shale gas avrebbe cambiato il mon­do. Due notizie delle ultime settimane: secondo le rilevazioni di Pira, società americana di con­sulenza nel campo dell’energia, grazie al gas non convenzionale gli Stati Uniti quest’anno supereran­no l’Arabia Saudita per diventare il primo produttore di idrocarburi del pianeta; il cartello dell’Opec – che associa i grandi esportatori di pe­trolio – ha annunciato che l’anno prossima la Cina potrebbe scaval­care gli Stati Uniti e diventare il pri­mo importare di greggio al mondo. Sono i primi sorpassi storici dell’e­ra dello scisto: lo sviluppo della tec­nologia che permette di estrarre il gas e il petrolio intrappolati in roc­ce di argilla oltre i tre chilometri di profondità ha permesso agli Stati Uniti di emanciparsi gradualmen­te dalla dipendenza energetica dal­l’estero, tanto che i produttori di petrolio sono stati costretti a rivol­gersi a clienti nuovi. L’evoluzione dello scenario mon­diale dell’energia ha evidenti ri­svolti geopolitici (si potrà più par­lare delle guerre americane per il petrolio quando gli Usa non a­vranno più bisogno di comprare greggio dall’estero? Ed è una pro­spettiva tranquillizzante quella di un rapporto sempre più forte tra Cina e Iran?) ma anche immediate conseguenze pratiche. Con l’ener­gia che in America costa un terzo ri­spetto all’Europa ci sono «le azien­de petrolchimiche produttrici di piastrelle che ora trasferiscono gli impianti nel Texas» ha avvertito qualche giorno fa Paolo Scaroni, con un chiaro riferimento al re­cente passaggio del controllo di Marazzi, colosso emiliano delle piastrelle, al fondo texano Mohawk per 1,5 miliardi di dollari. Da mesi l’amministratore delegato dell’Eni sta facendo pressione perché an­che l’Europa dia il via libera alle e­splorazioni del gas di scisto. È ov­vio che per Eni si tratterebbe di un’occasione in più per fare utili, ma è altrettanto evidente – e il ca­so Marazzi è lì a dimostrarlo – che si tratta soprattutto di una que­stione di competitività.

L’attività di lobbying di Scaroni e delle multinazionali del petrolio fi­no ad oggi non ha ottenuto risulta­ti positivi.«Credo che in Europa continentale oggi sia difficile an­che solo cercare lo
 shale gas. In fu­turo credo sarà più facile perché di­venterà una necessità» ha ammes­so ieri il manager dell’Eni parlando a Londra a un convegno sul gas non convenzionale. L’anno scorso il Parlamento europeo ha approvato due mozioni in cui chiede regole più stringenti sullo shale gas. Lo stesso Parlamento il 9 di ottobre di quest’anno ha votato una modifi­ca alla direttiva sull’impatto am­bientale per estendere l’obbligo di valutare le conseguenze sul terri­torio anche agli idrocarburi non convenzionali. Il fracking,la tecni­ca per spaccare gli scisti di argilla e liberare il gas dal sottosuolo, è si­curamente un processo invasivo e non è ancora chiaro se i liquidi pompati in questo processo pos­sano inquinare le falde acquifere. Ma intanto la linea dura sta facen­do infuriare quei Paesi dell’Est che, almeno secondo i primi studi, po­trebbero avere enormi giacimenti di shale gas. Su tutti la Polonia, che già sta dando lezioni di crescita ai compagni dell’Ue, non è disposta a lasciarsi ostacolare da Bruxelles. Oltre all’opposizione dei legislato­ri il nuovo gas che sta facendo la fortuna del Nuovo Mondo nel Vec­chio Continente incontra spesso l’aperta contestazione della popo­lazione. Le proteste degli abitanti della piccola e povera Pungesti, vil­laggio rumeno da 3mila anime, la settimana scorsa hanno costretto alla ritirata la Chevron. I contadini di Pungesti, ha scritto il quotidiano România Libera «non vogliono la prosperità degli americani, perché vivono di agricoltura e le loro ac­que sarebbero avvelenate».

Ecco che allora lo
 shale gas sta cer­cando di aprirsi una via di ingres­so in Europa passando dal Regno Unito, sempre capace di restare con un piede nell’Ue e l’altro quasi in A­merica. «Non possiamo perdere l’occasione del fracking » ha scritto ad agosto il premier David Came­ron alla popolazione, invitando gli inglesi a non abbandonare la tra­dizione che vede i britannici all’a­vanguardia tecnologica nell’ener­gia. Scaroni e gli altri manager del­l’oro nero ci contano: «Credo che la Gran Bretagna, che il paese più pragmatico d’Europa, possa mo­strare la strada agli altri Paesi eu­ropei nello sfruttamento dello sha­le gas – ha detto ieri l’Ad dell’Eni – . Questa è la mia speranza».
da Avvenire

mercoledì 12 giugno 2013

Le riserve di shale gas

L'Eia ha aggiornato la sua stima sulla riserve globali di shale gas. Calcola che ci siano 7,3 migliaia di miliardi di metri cubi di gas. Gli Stati Uniti, che più stanno sfruttando questa risorsa, ne hanno meno di Cina, Argentina e Algeria. La Polonia, che avrebbe le maggiori riserve europee, non è tra i primi dieci.


venerdì 19 aprile 2013

Shale gas da non esportare

Gli Stati Uniti hanno concesso soltanto una licenza per esportare gas naturale liquefatto in nazioni che non hanno un accordo di libero scambio con gli Usa. Ma altre 16 richieste sono depositate al Dipartimento dell'energia. Le aziende americane, che grazie allo shale gas pagano il gas 4 dollari a metro cubo contro i 12-13 euro dell'Europa, hanno chiesto al governo di non favorire le esportazioni: il prezzo del gas, spiegano, rappresenta un forte vantaggio competitivo senza il quale sono a rischio 100 miliardi di dollari di investimenti.
Ft

giovedì 7 marzo 2013

Lo shale gas mette in crisi la Nigeria

La Nigeria rischia di essere la prima grande vittima dello shale gas americano. Nel 2012 le esportazioni di petrolio nigeriano negli Stati Uniti sono crollate da 1 milione a 405 mila barili al giorno. Bel problema per gli africani, che hanno negli Stati Uniti il loro maggiore acquirente e contano sul petrolio per finanziare il loro sviluppo. Ma la disponibilità di shale gas consente agli Usa di tagliare drasticamente le importazioni. Secondo  gli analisti le difficoltà hanno costretto la Nigeria a vendere qualche cargo di petrolio a prezzi da sconto (40 cent sotto il prezzo ufficiale).
dal Wsj



giovedì 28 febbraio 2013

Giappone e Germania puntano sullo shale gas

All'incontro con Barack Obama il premier giapponese Shinzo Abe ha anche annunciato investimenti da mille miliardi di yen (10,9 miliardi di dollari) per linee di garanzia al credito verso le imprese che investono in progetti per la ricerca di shale gas. In Germania, il 26 febbraio, il governo ha preparato una proposta di legge per permettere, pur con diverse limitazioni, la tecnica del fracking. Le autorizzazioni per le trivellazioni saranno concesse solo dopo una"prova di sostenibilita" e mai vicino alle falde acquifere. Le stime parlano di 1,3-2,3 miliardi di metri cubi di shale gas sotto il territorio tedesco.

martedì 11 dicembre 2012

Il prezzo del petrolio a 50 dollari?

Il prezzo del Brent resta attorno ai 110 dollari al barile.Secondo Deutsche Bank l'anno prossimo la quotazione potrebbe crollare fino anche a 50 dollari. Secondo l'Aie la domanda mondiale salirà di 660 mila barili al giorno da qui al 2020, nel decennio terminato nel 2008 l'aumento medio annuo era di 1,3 milioni di barili. La spare capacity dell'Opec nel 2005 era di un milione di barili al giorno, circa l'1% della domanda. Nel 2011 è salita a 3,1 milioni (il 3,5%) e a 5,9 milioni nel 2017 (cioè il 6,4% della domanda globale). Con l'Iraq che potrebbe arrivare a produrre 4,2 milioni di barili al giorno dal 2015 e la sempre maggiore indipendenza energetica degli Usa (grazie allo shale gas) l'offerta di petrolio rischia di farsi di molto superiore alla domanda, provocando una caduta del prezzo.

giovedì 21 giugno 2012

Il sogno dello shale gas polacco sta morendo

Exxon ha abbandonato i suoi progetti di esplorazioni per la ricerca di shale gas in Polonia. I test condotti non hanno dimostrato la presenza di una quantità di gas sufficiente a giustificare i costi. A marzo il governo polacco ha tagliato le sue riserve si shale gas da 768 a 346 miliardi di metri cubi. Un decimo delle stime iniziali.

giovedì 24 maggio 2012

Lo shale gas taglia le emissioni

Di tutte le nazioni analizzate dall'Agenzia internazionale per l'energia, quella che ha ottenuto la migliore riduzione nelle emissioni di gas serra sono gli Stati Uniti, capace di tagliare le emissioni di 450 milioni di tonnellate in cinque anni. Negli ultimi 12 mesi, secondo il Dipartimento Usa per l'Energia, la produzione di elettricità da carbone è diminuita del 19%, quella da gas è aumentata del 38%. E una centrale a gas in genere produce metà delle emissioni serra di una centrale a carbone.

venerdì 11 maggio 2012

Lo shale gas ucraino a Chevron e Shell

Kiev sta per assegnare i suoi due maggiori giacimenti di shale gas. A quanto pare ne ha vinto uno, quello di Yuzivska, sarebbe toccato a Shell, l'altro, Olesska, a Chevron. Sconfitte nella gara Eni, Exxon e Tnk-Bp.

venerdì 4 maggio 2012

Lo shale gas fa chiudere i pozzi

Le compagnie americane stanno iniziando a tagliare la produzione di gas naturale, perché i prezzi sono scesi troppo. Nel primo trimestre hanno tagliato quasi tutti. Compresi Exxon, Encana e Conoco, che hanno promesso nuovi tagli per questi mesi. I prezzi del gas naturale, che il 19 aprile hanno toccato la quotazione più bassa da settembre 2001, sono aumentati del 18%, a 2,25 dollari per 300 metri cubi (o per British thermal unit).

giovedì 26 aprile 2012

Nuovi elementi sullo shale gas

- Nel suo discorso sullo Stato dell'Unione, Barack Obama ha detto che lo shale gas ha generato 600 mila posti di lavoro negli Stati Uniti.

- Molto del merito dello sviluppo dello shale gas va a George Mitchell, bizzarro imprenditore figlio di un immigrato greco, che ha perfezionato assieme alla sua squadra la tecnica della fratturazione idraulica. Nel 2022, Mitchell ha venduto la sua società alla Devon Energy, specializzata nella perforazione orizzontale. La combinazione delle due tecniche ha permesso il boom dello shale gas.

- Le stime dicono che scavare un pozzo per lo shale gas in Polonia costa tre volte un identico pozzo in America.

lunedì 23 aprile 2012

"Il mondo è già cambiato Usa leader nel nuovo gas "


Il mio pezzo da Avvenire di domenica

N
 Star, la maggiore compagnia elettri­ca del Massachussets, a febbraio ha annunciato un taglio del 34% della bolletta dei suoi clienti industriali: dal 1° a­prile le aziende che rifornisce pagano l’elet­tricità 5,5 invece che 8,3 centesimi di dollaro al kilowattora. La utilitynordamericana ha promesso un taglio anche ai clienti domesti­ci, che per ora dovranno accontentarsi di u­no sconto del 27% sul gas. Qualche settima­na dopo, a Roma, l’Autorità per l’energia e­lettrica ha comunicato agli italiani che il prez­zo dell’elettricità sarebbe salito del 5,8%, a 18,3 centesimi di euro per kWh. Le aziende i­taliane pagano la luce poco meno dei normali cittadini, in media 16 centesimi per kWh. È quasi quattro volte la tariffa garantita da NStar. L’America taglia e l’Italia (ma più in generale l’Europa) stanga. Succede perché nel Nuovo mondo hanno trovato qualcosa che nel Vec­chio mondo ancora non sanno se c’è: losha­le gas . Il gas che si ottiene dagli scisti bitumi­nosi (vedi box a fianco) ha cambiato in pochi anni lo scenario energetico mondiale. Con benefici, almeno per il momento, tutti ame­ricani. Gli Stati Uniti hanno scoperto di ave­re una riserva di gas naturale 'non conven­zionale' da 23 mila miliardi di metri cubi. Ba­sterebbe a coprire il fabbisogno nazionale per più di un secolo. È tanto gas ed è gas a basso prezzo. Se NStar può tagliare le tariffe è per­ché la maggioranza degli impianti di genera­zione di energia elettrica del Massachussets funziona a gas, e il costo del gas in America è crollato dai 14 dollari per 300 metri cubi del 2008 fino sotto ai 2 dollari (-85%). Un prezzo che sta scombussolando l’industria energeti­ca nazionale: gli impianti a carbone ormai non sono più economicamente sostenibili mentre le stesse compagnie che estraggono gas naturale con i vecchi metodi sono co­strette a chiudere quei pozzi che, a questi prez­zi, producono in perdita. Mentre gli americani si godono un mondo che sta cambiando tutto a loro vantaggio, gli altri sono costretti ad aggiornare i loro pro­getti. Senza che la cosa fosse troppo notata, nel 2011 gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore mondiale di gas naturale (con 684 miliardi di metri cubi estratti) rubando il po­sto alla Russia (che si è fermata a circa 634 mi­liardi di metri cubi). Si parla di energia, ma anche di potere. Mosca vende gas naturale ai suoi poco amati 'vicini' – come Polonia e U­craina – con prezzi attorno ai 17 dollari per 300 metri cubi, 8 volte il prezzo americano.

Gli Usa, molto avanti nelle tecniche di liqui­dazione e rigassificazione, potrebbero inter­venire. Ha previsto Fareed Zakaria, uno dei più autorevoli editorialisti economici statu­nitensi, che «alla scadenza dei contratti tra Russia e Paesi europei, Mosca si ritroverà a fronteggiare un drammatico calo nelle en­trate », e presto «si passerà da un mondo in cui pochi Paesi – Russia, Iran, Qatar e Arabia Saudita – controllano il prezzo e le forniture di gas naturale a un mondo in cui questa fon­te energetica sarà molto più diffusa».

Il miglior esempio delle imprevedibili novità nello scenario energetico mondiale viene da un progetto su cui già stanno lavorando in A­laska (Stato in cui si trova il 13% delle riser­ve americane dello
 shale gas): l’idea è realiz­zare una condotta che porti il gas verso sud, dove si dovrebbe costruire un impianto che lo riduca allo stato liquido così da poterlo ca­ricare sulle navi cisterna e trasportarlo fino in Cina, dove oggi il gas naturale si paga 15,5 dollari per 300 metri cubi, 7 volte la quota­zione Anche Pechino però vuole il suo gas a basso prezzo. Le stime dicono che la materia prima c’è: le riserve cinesi di gas non convenziona­le sarebbero di circa 25 mila miliardi di metri cubi, anche maggiori di quelle degli Stati U­niti e i inferiori solo a quelle di Argentina, Mes­sico e Australia, altre regioni ricche di shale gas. Il problema è che estrarre il nuovo gas è molto complicato e oggi nessuna compagnia cinese sa farlo. Difatti il colosso nazionale Si­nopec ha investito 2,5 miliardi in un’alleanza con la statunitense Devon Energy per acqui­sirne le competenze. Anche l’italiana Eni è in cerca di shale gas in Cina. Il suo obiettivo prio­ritario resta però il gas non convenzionale eu­ropeo (le riserve sono stimate in 18 mila mi­liardi di metri cubi): ce ne sarebbe soprattut­to in Piccardia (nella Francia del Nord), in U­craina e in Polonia. Ma prima la Francia, lo scorso novembre, e poi la Bulgaria, a gennaio, hanno deciso di fermare le esplorazioni. Han­no bloccato tutto per ragioni ambientali: la tecnica del fracking che si usa per rompere gli scisti e liberare il gas prevede il pompaggio sotteranneo di liquidi che includono anche sostanze chimiche sospettate di inquinare le falde acquifere. È un sospetto, appunto: solo nell’ultimo mese in America l’autorità am­bientale Epa ha finito per rimangiarsi tre do­cumenti in cui accusava alcune aziende di a­vere inquinato l’acqua. Nuovi test dimostra­no infatti che l’inquinamento non c’è stato. E nel Regno Unito il Dipartimento per l’energia e il cambiamento climatico ha da poco con­cesso il riavvio delle esplorazioni nei mari del Nord.

Nel dubbio, l’Europa vuole limitare le ricerche. Col rischio di danneggiare soprattutto la Po­lonia, che è già in uno stato abbastanza a­vanzato di esplorazione. Varsavia ha già fatto capire che non è disposta a fermarsi. Nem­meno davanti alle prime delusioni: Exxon , tra le prime ad avviare le esplorazioni, a gennaio ha annunciato che i due primi pozzi non so­no in grado di dare gas in quantità che possa giustificare la loro esistenza e l’istituto geolo­gico polacco ha tagliato le stime sulle riserve dell’85%, da 5,3 milioni a 800 mila metri cu­bi. Ma le ricerche vanno avanti. La Polonia vuole essere la prima, in Europa, ad emanci­parsi dagli equilibri geopolitici dell’energia del Novecento.
 

lunedì 2 aprile 2012

L'Epa ritira le accuse sullo shale gas


L'Enviromental Protection Agency ha ritirato la sua dichiarazione con cui accusava Range Resources Corp. di avere inquinato le falde acquifere a Fort Worth, nel Texas, a causa dei gas usati per spaccare gli scisti e ottenere shale gas. A simili conclusioni l'Epa è arrivata anche per pozzi nel Wyoming e in Pennsylvania. 

sabato 31 marzo 2012

Altri numeri dello shale gas

Tra il 1978 e il 1992 il governo federale americano ha speso ben 137 milioni di dollari per sviluppare le tecnologie che permettono l'estrazione dello shale gas. Robert Hefner, imprenditore del gas naturale e autore di The grand energy transition, fa notare che con il gas naturale si risparmiano 20 milioni di dollari ogni anno per riscaldare 65 milioni di famiglie americane. La Russia può chiedere fino a 17 dollari per 300 metri cubi di gas dai Paesi confinanti, come l'Ucraina e le nazioni europee. Gli Stati Uniti producono gas naturale a 2,5c dollari per 300 metri cubi e dispongono della tecnologia di liquefazione più avanzata ed economica al mondo.


"Si passerà da un mondo in cui pochi Paesi Russia, Iran, Qatar e Arabia Saudita controllano il prezzo e le forniture di gas naturale a un mondo in cui questa fonte energetica sarà molto più diffusa. (Per il momento, l`Iran non ha alcun accesso alle tecnologie indispensabili per sfruttare i propri giacimenti)".


Fareed Zakaria
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=82260622

mercoledì 28 marzo 2012

Lo shale gas alla cinese

Nel suo discorso alla nazione il premier cinese Wen Jiabao ha per la prima volta parlato dello shale gas (yeyanqi, in cinese). Secondo gli studi del ministero del Territorio e delle Risorse cinese, Pechino ha riserve per 25 mila miliardi di metri cubi di gas, 200 volte il consumo annuale del Paese. Ma Wen ha ammesso che ci sono grossi problemi: le compagnie cinesi non sono ancora capaci di estrarlo. Per questo hanno investito molto in alleanze con le società americane (ad esempio Sinopec ha puntato 2,5 miliardi sulla Devon Energy). L'obiettivo della Cina è produrre 6,5 miliardi di metri cubi di metri cubi di gas all'anno dal 2015 e 60 miliardi dal 2020.

http://www.ft.com/intl/cms/s/0/3fcc49a4-71de-11e1-90b5-00144feab49a.html#axzz1qLSeiWul

giovedì 22 marzo 2012

Il gas dell'Alaska verso la Cina

L'Alaska ha 34.800 miliardi di metri cubi di gas naturale, il 13% delle riserve americane. Molto è shale gas. Le stime dicono che però questa cifra potrebbe essere anche di dieci volte superiore. Per anni si è discusso il progetto di una condotta che potrasse il gas dell'Alaska in Alberta, e quindi negli Usa. Non se n'è fatto nulla. La nuova idea è di costruire un rigassificatore nella costa sud, condurre il gas lì con le tubature, quindi trasportarlo in Asia via nave. In Cina il  prezzo del gas è di 15,5 dollari per British Thermal Unit, negli Usa di 2,2 dollari. Il costo dell'intero progetto è compreso tra i 40 e i 50 miliardi di dollari. Ci stanno lavorando Bp, Exxon e Conoco.

http://www.ft.com/cms/s/0/d9ae9142-7343-11e1-aab3-00144feab49a.html

venerdì 16 marzo 2012

Lo shale gas americano

Fino a qualche anno fa gli Stati Uniti sembravano pronti per un rinascimento nucleare. C'erano progetti per la costruzione di 29 nuove centrali. Oggi i progetti ancora in piedi sono solo due. A uccidere il rinascimento nucleare è stato lo shale gas, più economico e gestibile. Tra il 2011 e il 2015 saranno realizzati 258 nuovi impianti elettrici basati sullo shale gas. Le stime della Us Energy Administration dicono che una centrale a shale gas costa 978$ per kilowatt di capacità, mentre una centrale nucleare costa 5.339$ per kilowatt. L'Agenzia internazionale per l'energia prevede che il Paese aggiungerà 222 gigawatt di capacità elettrica tra il 2010 e il 2035 (è un aumento del 20%). Il 58% di questo aumento sarà tramite gas naturale, il 31% da fonti rinnovabili (soprattutto idroelettrico) quindi un 8% di carbone e solo un 4% di nucleare.

http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304459804577281490129153610.html 

Lo shale gas cinese


La Cina prevede una crescita della produzione dai suoi depositi di shale gas: oggi non ne estrae niente, nel 2015 punta a ricavarne 230 miliardi di metri cubi. Per il 2020 la previsione è decuplicare questa quantità. La Cina ha appena iniziato le esplorazioni, ma secondo la Us Geological Survey le risorse di shale gas cinese ammontano a 1.275 mila miliardi di metri cubi, cioè il 50% delle risorse stimate per gli Usa. Le compagnie più attive sono Royal Dutch Shell e Petrochina, che hanno già avviato le operazioni. In cerca di alleati Chevron, Total e British. Eni non c'è. Pechino conta di sostituire con lo shale gas parte della sua produzione di energia a carbone.