A Londra il prezzo medio delle case in vendita è salito del 10% solo a settembre. La crescita – registrata da Rightmove, primo portale immobiliare inglese – è davvero incredibile: a questi ritmi le quotazioni immobiliari della City raddoppierebbero entro la prossima estate. Ma anche se si guarda il dato del trimestre, meno volatile, si ottiene un dato fenomenale: +5,6%. E non parliamo di proprietari avidi che hanno fissato prezzi stellari facendo fuggire gli acquirenti. Tutt’altro: a Londra le case vanno via con il pane.
Spiega Miles Shipside, direttore del portale: «Alcuni agenti riferiscono che c’è una febbre da acquisto in certe zone del centro di Londra, con una disponibilità di case da comprare così scarsa che spesso loro rimangono senza niente da vendere». Londra non è l’Italia, dove l’immobiliare è in pessima forma, ma non è nemmeno il Regno Unito. Nel senso che fuori dalla capitale l’aumento dei prezzi richiesti c’è ma è un più tranquillo +3,8% (in un anno, non in un mese). In alcune regioni come il Galles o West Midlands le quotazioni sono addirittura in calo, e questo nonostante il governo, attraverso il programma “Help to Buy”, aiuti i cittadini a comprare casa.
C’è un motivo. Non sono solo gli inglesi a fare shopping del mattone londinese, ma soprattutto gli oligarchi russi, gli emiri arabi e gli imprenditori cinesi. Tutti in cerca dell’appartamento di lusso tra Chelsea e Notting Hill anche come bene rifugio davanti a un futuro incerto in cui una delle poche certezze è che la City rimarrà la capitale della finanza europea. In questo la bolla immobiliare londinese non è troppo diversa da quella che si sta gonfiando altrove. Per esempio a Shanghai, dove i prezzi delle case nuove – ha scritto Bloomberg – sono saliti del 12% solo in una settimana.
È chiaro che se non vivessimo negli anni dei soldi facili (per chi può averli), cioè quelli in cui le Banche centrali di Stati Uniti, Europa e Giappone tengono i tassi a zero e riversano ogni mese miliardi sul sistema finanziario, mancherebbero i denari che possono spingere la pazza corsa delle quotazioni. Ed è altrettanto chiaro che, in assenza di altra aria finanziaria capace di gonfiare l’immobiliare, queste bolle rischiano di interrompere bruscamente il loro allargamento. Possono anche scoppiare. Sicuramente l’inizio delle “exit strategy” con cui le banche centrali riporteranno la loro politica monetaria a una situazione più normale metterà alla prova molti mercati immobiliari.
Rischia anche la Germania. «I bassi tassi di interesse stanno alimentando la domanda per la proprietà immobiliare» ha scritto la Bundesbank la settimana scorsa. La Banca centrale tedesca è preoccupata perché «i prezzi delle case nelle città tedesche sono saliti così fortemente dal 2010 che una possibile sopravvalutazione non può essere esclusa». Secondo i calcoli dell’istituto centrale nelle città della Germania i prezzi delle case sono superiori del 10% rispetto ai valori che sarebbero giustificati da fattori demografici ed economici.
Nei grandi centri come Berlino, Amburgo o Monaco 'l’esagerazione” delle quotazioni raggiunge il 20%. Pesa anche in questo caso l’investimento che arriva dall’estero, ma è forte soprattutto la componente locale: i tedeschi, tradizionalmente legati all’affitto, da quando i tassi sono azzerati si trovano molti più soldi a disposizione di prima e quindi li investono anche nel mattone.
La formazione di bolle è una delle possibili controindicazioni delle politiche monetarie espansive e non può stupire che sia proprio la Bundesbank a lanciare l’allarme: se c’è una Banca centrale che non si trova a suo agio con le politiche più ardite della Bce di Mario Draghi è sicuramente la vecchia Buba. È un’altra rogna per il banchiere romano.
Le bolle si formano dove l’economia si riprende: infatti mentre il mattone inglese e tedesco si sta rivalutando spaventosamente, quello spagnolo resta in agonia (i prezzi medi sono sotto del 40% rispetto al 2007) e quello italiano è al quarto anno di stallo (il prezzo medio è sceso del 5,9% nel secondo trimestre, terzo peggior risultato nella zona euro). La Bce — che dovrebbe nello stesso tempo favorire con politiche espansive la ripresa della “periferia” d’Europa e proteggere con politiche restrittive la Germania dalla frenesia immobiliare — non può permettersi ancora tanti anni di Unione monetaria a due velocità.