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venerdì 22 febbraio 2013

E Grillo diventa lo spauracchio dei mercati

Ogni mattina sul sito del Financial Times un gruppo di giornalisti finanziari chiac­chiera pubblicamente sulle notizie de­stinate a muovere le Borse. Ieri la loro chiacchie­rata si apriva con una foto di Beppe Grillo. Se­guiva una analisi pubblicata su Euro Intelligen­ce (un servizio di informazione finanziaria sem­pre legato al quotidiano inglese) in cui si raccon­tava che in un’intervista concessa a Euronews il leader del Movimento 5 Stelle ha spiegato tra l’al­tro che intende «ridiscutere» il debito pubblico i­taliano e introdurre sanzioni sulle importazioni. «Quest’uomo – scrive Euro Intelligence citando i sondaggi che danno Grillo al 20% – propone le mi­sure più anti-euro, anti-Ue e mercantiliste della recente storia elettorale europea e lo fa senza il razzismo dei tradizionali partiti dell’estrema de­stra ».Grillo è oggi uno dei grandi spauracchi degli in­vestitori europei, che guardano al voto italiano con una certa ansia perché te­mono che da lunedì sera la ter­za maggiore economia dell’eu­ro sarà, di fatto, ingovernabile. Le analisi diffuse in questi gior­ni da Credit Suisse, Morgan Stanley, Mediobanca Securities, Ig, Allianz Gi e Standard & Poor’s insistono tutte sullo stesso pro­blema: se dal voto uscirà una maggioranza debole l’Italia ri­schia di mancare gli obiettivi di finanza pubblica che si è data e di abbandonare in partenza o­gni tentativo di riforma della sua economia. In una zona eu­ro dove la Germania rallenta (e anch’essa dovrà votare, in au­tunno), la Francia è in evidenti difficoltà e la Spagna resta in pessima forma l’Italia imprigionata dall’incer­tezza politica è proprio la novità meno desidera­bile.
Gli analisti chiaramente non fanno il tifo per qual­che partito specifico. Vogliono più che altro mi­sure capaci, almeno secondo i loro calcoli, di ri­mettere l’Italia in grado di crescere quando l’e­conomia europea troverà la ripresa. Scrive Neil Dwane, di Allianz Gi, che Monti «sebbene sia par­tito col piede giusto, non ha affrontato le più am­pie, e forse più importanti, questioni relative al­l’attrattività dell’Italia per gli investitori istituzio­nali. Se non vengono affrontate a fondo tali questioni, l’Italia ri­schia di rimanere relegata a un futuro molto simile al passato degli ultimi 20 anni: bassa cre­scita, economia debole ed espo­sta alle pressioni regionali e glo­bali, con l’ulteriore aggravio di un pesante debito pubblico». Quasi identica l’analisi di Moritz Kraemer di Standard & Poor’s: «Nonostante le riforme intro­dotte dal governo tecnico di Ma­rio Monti nell’ultimo anno, le prospettive di crescita dell’eco­nomia italiana restano com­presse dalle rigidità sul mercato del lavoro, da un settore dei ser­vizi molto protetto e dall’eleva­to carico fiscale su lavoro e in­dustria ».
Qualche analista si sbilancia di più. Filippo Dio­dovich e Vincenzo Longo di Ig partono dai son­daggi e tra gli esiti più probabili spiegano che quello di una vittoria di Bersani alla Camera e non al Senato, con una situazione che però lo costringa a un’alleanza con Monti e conseguente uscita di Vendola dalla maggioranza «è lo scenario prefe­rito dai mercati e dagli investitori esteri».
E quello scenario – nonostante le ripetute pub­bliche smentite – è anche quello preferito dai te­deschi, che ovviamente non vogliono rischiare nulla sui soldi (soprattutto tedeschi) che l’Euro­pa ha 'prestato' all’Italia. La Banca centrale eu­ropea ieri ha comunicato ufficialmente il detta­glio della sua spesa nel Securities Market Pro­gramme, il piano di acquisti di titoli pubblici del­le nazioni a rischio chiuso all’inizio del 2012: l’i­stituto guidato da Mario Draghi ha in cassaforte titoli per 218 miliardi di euro (ma se a prezzi di mercato valgono 209 miliardi). Di questi poco meno della metà – 102,8 miliardi di valore uffi­ciale, 99 alle quotazioni attuali – sono Btp italia­ni, con una scadenza media di 4,5 anni. Nella mi­gliore delle ipotesi politiche Francoforte avrà il suo rimborso prima della fine della prossima le­gislatura. 

da Avvenire di oggi

giovedì 21 febbraio 2013

La straordinaria lettera di Maurice Taylor al governo Hollande

Fra qualche anno la lettera con cui Maurice M. Taylor Jr., presidente e amministratore delegato di Titan, spiega a Arnaud Montebourg, ministro dello Sviluppo economico del governo Hollande, che non ha nessun interesse a comprare la fabbrica di pneumatici di Amiens potrà essere una pietra miliare emblematica delle ragioni della crisi industriale ed economica della Francia e dell'Europa.

sabato 16 febbraio 2013

Declassata Standard and Poor's

Standard & Poor’s doveva aspettarselo, perché nel mondo spietato dei 'rating' non esistono amici e nemmeno sorelle. E allora sarai anche la regina dei votacci, quella che si è potuta togliere lo sfizio di levare la tripla A agli Stati Uniti e di tenere in ansia i governi di mezzo mondo, ma puoi essere declassata anche tu. Succede.
Moody’s ha annunciato di avere tagliato di due gradini il suo giudizio su McGraw-Hill – la società che controlla la rivale Standard & Poor’s – da A3 a Baa2 e ha aggiunto che continuerà a tenere sotto controllo l’azienda, perché potrebbe annunciare presto un’altra sforbiciata. Una settimana fa su S&P era caduta la mannaia di Fitch, l’altra sorella del rating: taglio del voto da A- a BBB+. Siamo a livelli bassi, un paio di gradini sopra il terribile declassamento a junk, che significa spazzatura. Può l’azienda che controlla Standard & Poor’s rischiare un rating spazzatura? Sì, se gli Stati Uniti d’America le hanno fatto causa e chiedono 5 miliardi di dollari. Sia Fitch e Moody’s hanno infatti giustificato i tagli con la causa che il dipartimento della Giustizia di Washington ha intentato contro S&P lo scorso 4 febbraio. Dovesse perdere, McGraw-Hill difficilmente sarebbe in grado di tirare fuori quei 5 miliardi: il gruppo fattura ogni anno più o meno 4,8 miliardi di dollari, fa utili per 1,3 miliardi e ha 761 milioni di liquidità. Le serviranno avvocati convincenti, perché una sentenza negativa potrebbe mandarla in bancarotta. È una pessima situazione, il declassamento della regina del 'rating' è inevitabile e le due agenzie rivali, inflessibili, ne hanno preso atto. Ma la sorte potrebbe essere ancora più ironica. I giudici di mezza America infatti stanno studiando a fondo le carte per capire se S&P era davvero l’unica a dare giudizi che, come sostiene l’accusa, erano volutamente menzogneri. Anche Fitch e Moody’s prima dell’esplosione della crisi assegnavano rating a tripla A a derivati strutturati che poi si sono rivelati immondizia o ad aziende clamorosamente fallite in una notte.
Se Washington dovesse chiedere conto anche a loro di quei voti sballati, allora tra le tre sorelle del rating sarà tutto un forsennato declassarsi a vicenda.

da Avvenire di oggi

mercoledì 13 febbraio 2013

Il Giappone chiede alle aziende di alzare gli stipendi


Nella sua lotta alla deflazione il primo ministro Shinzo Abe ha tentato una nuova arma: scrive il Wsj che il premier ha invitato le maggiori aziende ad alzare gli stipendi, così da rompere il ciclo di pessimismo e calo delle aspettative che ha peggiorato la crisi. Gli stipendi dei giapponesi sono diminuiti in 8 degli ultimi 10 anni.

lunedì 11 febbraio 2013

La Dodge Dart (made in Fiat) vende poco


La Dodge Dart, basata sulla Giulietta e prima Chryser derivata da una piattaforma Fiat, non vende bene. Secondo Autodata nel 2012 ne sono state vendute 25.303. Le previsioni indicavano 100 mila immatricolazioni. Chrysler resta conosciuta tra i clienti per le Jeep, i pick up e le auto grosse, convincere i clienti a scegliere le sue auto piccole è più difficile di quanto di pensasse. La Dart costa dai 16 mila dollari in su. Le sue concorrenti sono la Honda Civic (che vende 5 volte tanto) e la Chevrolet Cruze (vende il quadruplo). 

La Robin Tax: rubare ai ricchi per dare a Robin


Con la Robin Hood tax – introdotta nel giugno del 2008 – lo Stato italiano prometteva di agire come il celebre eroe di Nottingham: sarebbe andato a "rubare" i soldi dei ricchi petrolieri per darli ai poveri italiani. A quanto pare però i ricchi petrolieri si stanno facendo restituire dai poveri italiani i soldi che gli mancano, nessuno ha il potere per farci niente e in questa favola venuta male l'unico che ci guadagna è Robin Hood. Questo sgradevole racconto è contenuto nelle 28 pagine di relazione che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha consegnato al Parlamento il 24 gennaio. L'Autorità ha il compito di verificare ogni anno che le aziende dell'energia non scarichino sui clienti il costo della tassa, che dal 2011 è una maggiorazione di 10,5 punti dell'aliquota Ires (prima l'addizionale era di 6,5 punti). Si parla di molti soldi: l'aliquota Ires per le aziende dell'energia con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro con questa tassa sale dal 27,5 al 38%, nel 2011 il gettito dell'addizionale per il Tesoro è stato di 1,46 miliardi di euro. Secondo le verifiche dell'Autorità 199 imprese dell'energia, sulle 476 controllate, nel 2010 hanno alzato i loro margini. Da qui il sospetto dell'organismo incaricato di vigilare: «È ragionevole supporre – si legge nella relazione – che, a seguito dell'introduzione dell'addizionale Ires, gli operatori recuperino la redditività sottratta dal maggior onere fiscale, aumentando il differenziale tra i prezzi di acquisto e i prezzi di vendita». La "traslazione" dei costi della Robin Hood tax sui clienti – espressamente vietata dalla legge – quindi sembra regolarmente messa in pratica. Le stime dell'Autorità arrivano a calcolare in circa 1,6 miliardi di euro i margini aggiuntivi accumulati nel 2010 dalle imprese dell'energia (0,9 miliardi quelle dell'elettricità, 0,7 quelle del petrolio) proprio per "compensare" il pagamento della Robin Tax. Assoelettrica si difende. «Le imprese elettriche non hanno scaricato la Robin tax sui consumatori – ha detto il presidente Chicco Testa –. Prima di gridare al ladro sarebbe opportuno verificare che sia stato davvero commesso il furto».Se un ladro c'è, comunque, nessuno può farci niente. Le aziende fin dall'inizio hanno fatto ricorso contro la legge, rivolgendosi prima al Tar e poi al Consiglio di Stato. E proprio il Consiglio di Stato ha stabilito che l'Autorità ha tutto il diritto di ottenere dalle aziende i documenti che le servono per condurre il suo lavoro di vigilanza, però la legge le dà solo un potere di «segnalazione». L'organismo presieduto da Guido Bortoni deve quindi limitarsi a segnalare al Parlamento i risultati delle sue indagini sui comportamenti delle aziende che pagano la Robin Hood Tax, ma non può multare le imprese che si comportano in maniera scorretta. E dalla sentenza del Consiglio di Stato emerge anche che se l'Autorità potesse sanzionare le imprese allora la tassa potrebbe rivelarsi incompatibile con la Costituzione. Le associazioni dei consumatori sono comprensibilmente infuriate e promettono esposti all'Antitrust, ma analisi di giuristi diversi confermano che non sembra esserci una via d'uscita da questo stallo legale capace di favorire solo le entrate dirette del Tesoro, che nel frattempo ci rimette pure qualcosa sull'incasso dei dividendi di Enel ed Eni, sue controllate e prime due "vittime" della Robin Tax.
da Avvenire

sabato 9 febbraio 2013

:In Svizzera la bolla immobiliare è più vicina

Del rischio di una bolla immobiliare svizzera avevamo scritto qualche mese fa. Oggi quel rischio è più concreto. Ne scrive il Sole 24 Ore, citando un modello matematico del Politecnico di Zurigo. "Se non un imminente scoppio della bolla immobiliare, sarà almeno una frenata a dominare l’anno in corso del real estate residenziale, che vive oggi un clima da attesa della tempesta perfetta. È innegabile infatti che la corsa delle quotazioni delle case in Svizzera nell’arco dell’ultimo decennio metta oggi in discussione la tenuta del settore".

venerdì 8 febbraio 2013

Bruxelles chiede all'Agcom di tagliare di più i costi della rete fissa

La Commissione europea giovedì ha bocciato la proposta dell'Agcom italiana sul "pedaggio" della rete fissa che Telecom - proprietaria dell'infrastruttura - fa pagare alle altre compagnie. Qualche giorno fa Ibarra, numero uno di Wind, aveva spiegato che aveva intenzione di chiudere Infostrada perché, con questi costi, fare concorrenza a Telecom sul fisso non è possibile. Bruxelles conferma che le tariffe previste dall'Agom - 0,272 centesimi di euro/minuto nel 2012 a 0,043 centesimi di euro/minuto nel 2015 - pur essendo più basse di quelle attuali sarebbero «nettamente più alte rispetto a quelle di qualsiasi altro Paese Ue». Liberalizzato male, il mercato delle telecomunicazioni in Italia è uno di quei settori in cui aziende para-monopoliste possono drenare denaro dei consumatori più o meno indisturbate.

Lo Stato francese Francia pensa di entrare in Peugeot

Gira voce che il governo francese voglia entrare nel capitale di Psa Peugeot Citoren. "E' possibile, questa azienda non dve sparire e noi dobbiamo fare il possibile perché l'azienda sopravviva" ha detto il ministro del Bilancio, Jérôme Cahuzac. L'intervento potrebbe avvenire tramite il Fsi, il fondo sovrano francese. Successivamente fonti interne al ministero hanno ridimensionato il progetto.

 Lo Stato francese è già socio di Renault, dalla seconda guerra mondiale, con una quota del 15%. Nel suo ultimo bilancio Psa - che è controllato al 25% dalla famiglia Peugeot, ha svalutato per 4,1 miliardi di euro il valore degli impianti e di altri asset collegati all'auto. L'azienda perde 200 milioni di euro al mese e sta tagliando 8 mila posti di lavoro.

martedì 5 febbraio 2013

Nissan assume in Spagna, ma taglia gli stipendi


Mentre il mercato dell’auto europea vive il momento peggiore dell’ultimo ventennio, le fabbriche lottano per restare aperte. Lo stabilimento Nissan nella Zona Franca di Barcellona – 3 mila dipendenti – rischiava la chiusura. Ha invece ottenuto nuovi investimenti e assunzioni (preziosissime in un Paese dove la disoccupazione è al 26%) in cambio di un taglio dei salari.
L’accordo, arrivato dopo 6 mesi di trattative, è stato annunciato ieri. Dal luglio del 2014 Nissan produrrà nella Zona Franca un nuovo modello – dovrebbe essere un’auto compatta – in 80 mila esemplari all’anno. La fabbrica catalana, che oggi produce dei furgoni e un’auto elettrica, lavorerà così a pieno regime. L’azienda giapponese alleata di Renault assumerà mille persone (se si considera anche l’indotto i nuovi posti di lavoro sono 4 mila) e investirà 130 milioni di euro. I nuovi assunti, però, prenderanno 19.900 euro lordi all’anno, il 20% in meno dei 25 mila euro incassati da chi già sta nella fabbrica. I sindacati Ccoo e Ugt, che all’inizio avevano respinto l’accordo siglato solo dal sindacato Usoc, hanno accettato la riduzione dei salari dopo avere ottenuto una clausola che impedisce alla Nissan di licenziare gli attuali dipendenti per sostituirli con i nuovi.
Affamata di posti di lavoro (anche a poco prezzo) più di altre nazioni europee, la Spagna continua a conquistare gli investimenti delle case automobilistiche. A ottobre la Ford ha deciso di spostare dallo stabilimento belga di Genk a quello di Valencia la produzione dei suoi nuovi monovolume (con un costo del lavoro ridotto da 40,6 a 22 euro all’ora). La Renault a novembre ha annunciato 1.300 assunzioni per la fabbrica di Palencia, mentre a gennaio Volkswagen ha ufficializzato un piano di investimenti da 1 miliardo per costruire anche le future Polo a Pamplona. Secondo i dati dell’Oica, l’associazione mondiale dei produttori di auto, nel 2011 la Spagna ha costruito 1,8 milioni di automobili, l’Italia 485 mila.
da Avvenire di oggi

sabato 2 febbraio 2013

Il 2012 della Fiat, una cronologia


Il 5 gennaio, Fiat ha annunciato che è stato raggiunto l’“Ecological Event” (il terzo performance event contemplato dal "Amended and Restated LLC Operating Agreement", dalla cui realizzazione è derivato un ulteriore incremento del 5% della partecipazione in Chrysler. La partecipazione di Fiat in Chrysler è quindi pari al 58,5%. Il rimanente 41,5% di Chrysler è posseduto dallo UAW Retiree Medical Benefits Trust (“VEBA”).
Durante il primo trimestre, Fiat ha completato l’emissione di due prestiti obbligazionari, il primo emesso in data 7 Marzo per 425 milioni di franchi svizzeri (con cedola fissa del 5,00%, scadenza a settembre 2015) e l’altro emesso in data 23 Marzo per 850 milioni di euro (con cedola fissa del 7,00%, scadenza a marzo 2017). I titoli emessi da Fiat Finance and Trade Ltd SA - società interamente controllata da Fiat S.p.A. – e garantiti da Fiat S.p.A. nell’ambito del programma di Global Medium Term Note (GMTN), hanno ottenuto l’assegnazione di un rating pari a Ba3 da Moody’s, BB da Standard & Poor’s e BB da Fitch.
Il 25 aprile, Chrysler ha comunicato ad Ally Financial, Inc. (“Ally”) la sua intenzione di non rinnovare l’attuale “Auto Finance Operating Agreement” alla scadenza del 30 aprile 2013. Chrysler sta discutendo con istituzioni finanziarie in merito a diverse opzioni al fine di garantire le necessità di finanziamento della rete di vendita e dei clienti del Gruppo Chrysler.
Il 27 aprile, Standard & Poor’s ha ridotto il rating sul debito a lungo termine di Fiat S.p.A. da “BB” a “BB-”, con outlook stabile. Il rating a breve termine è confermato a “B”.
Il 2 maggio, Fiat e Tata, con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il marchio Fiat in India, hanno
concordato il trasferimento della gestione delle attività commerciali e di distribuzione relative al marchio Fiat ad una società indipendente di proprietà Fiat. Lo sviluppo della nuova rete di concessionari Fiat sta avvenendo in modo progressivo. I concessionari Tata affiliati Fiat saranno incoraggiati a costituire le basi della futura rete di vendita.
Il 21 maggio, Fiat S.p.A., in attuazione della delibera dell’assemblea straordinaria del 4 aprile 2012, ha dato corso alla conversione obbligatoria di tutte le azioni privilegiate e di risparmio in azioni ordinarie. Il capitale sociale è salito a 4.476.441.927,34 euro, suddiviso in n. 1.250.402.773 azioni ordinarie del valore nominale unitario pari a 3,58 euro.
Il 28 giugno, nello stabilimento GAC-Fiat di Changsha (Cina), si è svolta la cerimonia di inaugurazione del nuovo impianto e per celebrare l’avvio produttivo della Fiat Viaggio, il primo modello Fiat prodotto in Cina dalla joint-venture.
Il 3 luglio, Fiat ha comunicato a VEBA la volontà di esercitare la sua opzione di acquisto di una quota della partecipazione detenuta da VEBA in Chrysler che rappresenta circa il 3,3% del capitale di Chrysler.
Il 16 luglio Fiat ha emesso un prestito obbligazionario da 600 milioni di euro (con cedola fissa del 7,75% e scadenza a ottobre 2016). I titoli, emessi da Fiat Finance and Trade Ltd S.A. e garantiti da Fiat S.p.A.
Il 26 luglio, Fiat Group Automobiles S.p.A. (FGA) e PSA Peugeot Citroën hanno siglato l’accordo per il trasferimento a PSA Peugeot Citroën della quota detenuta da FGA nella joint venture SevelNord. In base all’accordo, SevelNord continuerà a produrre veicoli commerciali leggeri per
entrambi i gruppi fino alla fine del 2016. Tale progetto non avrà alcun impatto sugli altri accordi di
collaborazione attualmente esistenti tra FGA e PSA Peugeot Citroën, inclusa la joint venture Sevel in Val di Sangro, che continuerà ad operare come da contratti in essere.
Il 13 settembre, per il quarto anno consecutivo Fiat S.p.A. è stata confermata nei Dow Jones Sustainability Indexes (DJSI) World e Europe con un punteggio di 91/100 rispetto a una media di 74/100 delle aziende del settore Automobile analizzate da SAM, società specializzata nel campo della sostenibilità. Il DJSI World e il DJSI Europe sono prestigiosi indici borsistici ai quali accedono solo le società giudicate migliori dal punto di vista economico-finanziario sia da quello sociale e ambientale.
Il 19 settembre, Fitch ha confermato il rating sul debito a lungo termine di Fiat S.p.A. a “BB” e quello sul debito a breve termine a “B”. Il 10 ottobre, Moody’s ha ridotto da “Ba2” a “Ba3” il Corporate Family Rating di Fiat S.p.A. e conseguentemente, secondo la propria metodologia, da “Ba3” a “B1” il rating delle obbligazioni emesse da Fiat Finance & Trade Ltd. S.A. e da Fiat Finance North America, Inc. Per entrambe le agenzie l’outlook è negativo.
Il 26 di settembre Fiat S.p.A., attraverso la sua controllata Fiat North America, ha avviato un giudizio di accertamento dinnanzi al Court of Chancery del Delaware per ottenere conferma del prezzo che dovrà essere corrisposto per la partecipazione, in considerazione del mancato accordo tra le parti sul prezzo stesso.
Il 7 novembre, è stato assegnato allo stabilimento Fiat di Pomigliano D’Arco il prestigioso riconoscimento internazionale “Automotive Lean Production 2012” nella categoria OEM, dopo un processo di analisi e valutazione da parte di una commissione di esperti selezionati dalla rivista tedesca “Automobil Produktion” e da una società di consulenza.
Il 23 novembre, Fiat ha completato l’emissione di un prestito obbligazionario da 400 milioni di franchi svizzeri con cedola fissa del 5,25% e scadenza a novembre 2016. I titoli, emessi da Fiat Finance and Trade Ltd S.A. e garantiti da Fiat S.p.A. nell’ambito del programma GMTN, hanno ottenuto un rating pari a B1 da Moody’s, BB- da Standard & Poor’s e BB da Fitch.
Il 29 novembre, a seguito della riapertura del prestito obbligazionario da 600 milioni di euro con cedola fissa del 7,75% e scadenza a ottobre 2016 (inizialmente emesso il 16 luglio 2012), è stata completata l’emissione di obbligazioni per 400 milioni di euro, che ha portato a 1 miliardo di euro l’ammontare complessivo del prestito. I titoli, emessi da Fiat Finance and Trade Ltd S.A. e garantiti da Fiat S.p.A.
Il 20 dicembre, presso lo stabilimento di Melfi, il Presidente della Fiat John Elkann e l’Amministratore Delegato Sergio Marchionne, alla presenza del Primo Ministro Mario Monti, hanno presentato i piani per la produzione dal 2014 di un nuovo modello a marchio Jeep uno a marchio Fiat. A seguito di investimenti per un miliardo di euro, Melfi sarà uno dei più avanzati stabilimenti al mondo per la produzione di automobili, dotato delle tecnologie più avanzate e gestito secondo i principi e gli standard del World Class Manufacturing.

(dalla relazione sul Bilancio del Cda del 30 gennaio)

venerdì 1 febbraio 2013

Le indennità di disoccupazione in Europa

In Francia bastano 4 mesi di lavoro per avere diritto, per due anni, a un'indennità di disoccupazione pari al 67% dell'ultimo stipendio. In Germania dopo 12 mesi si può avere il sussidio per altri 12 mesi, al 62%, in Italia dopo 12 mesi si può avere, per 8 mesi, un assegno che vale il 47% dello stipendio.
dal Wsj



martedì 29 gennaio 2013

La Germania si prepara al caos

Secondo un rapporto di Phoenix Capital la Germania ha passato gran parte degli ultimi due anni a prepararsi per il caos finanziario globale. In particolare:

  1. Ha introdotto la possibilità legale di lasciare l'euro rimanento nell'Ue
  2. Ha modificato il suo fondo Soffin, per la stabilizzazione dei mercati, con 480 milardi di euro a disposizione.
  3. Ha introdotto la possibilità di chiudere le frontiere per 30 giorni (per impedire a cittadini o capitali di lasciare il paese).
  4. Ha creato un gruppo di lavoro che studia l'impatto economico di un'uscita della Grecia dall'euro.
  5. Sta ritirando il suo oro dalla Francia e dagli Stati Uniti.


lunedì 28 gennaio 2013

Perché Infostrada potrebbe chiudere


Ha spiegato a Repubblica l'amministratore delegato di Wind, Maximo Ibarra: «Il problema è che in Italia la regolamentazione dei rapporti tra Telecom Italia e i suoi concorrenti sulla rete fissa va in un certo modo. Abbiamo un costo di unbundling, l’affitto che paghiamo a Telecom per l’ultimo miglio, che è attualmente di 9,28 euro al mese, tra i più alti in ambito Ue. Questo valore crea a noi e a tutti gli altri operatori alternativi forti difficoltà di cassa. Infatti, il nostro margine di gestione operativa non ha mai superato il 15-16% (mentre per l’incumbent va oltre il 43%). Se da questa voce togliamo gli investimenti che stiamo realizzando sulla rete per accrescere la nostra copertura, già oggi del 62% della popolazione italiana, andiamo in negativo: la rete fissa per noi brucia cassa. E questo dopo aver pagato una bolletta a Telecom Italia che oggi è di 500 milioni netti di euro l’anno, tanto che siamo il loro miglior cliente».
Tradotto: la posizione dominante di Telecom (ex statale e proprietaria della rete) impedisce di farle concorrenza.

Toyota torna il primi produttore di auto al mondo


Toyota Motor ha riconquistato la corona di primo produttore in termini di vendite, nel 2012, battendo i rivali General Motors e Volkswagen. Toyota ha venduto 9,75 milioni di auto nel mondo, toccando un livello record, in rialzo del 22,6% rispetto al 2011. Gm ha venduto 9,28 milioni di veicoli, +2,9% su anno, Volkswagen 9,07 milioni +11,2%.

giovedì 17 gennaio 2013

Le vendite di Apple in Cina vanno male davvero

Per risollevarle l'azienda ha deciso di avviare dei piani di finanziamento per i cinesi che fanno acquisti sull'Apple on line store. Un finanziamento a 12 mesi è gratuito, a 18 ha un interesse del 6,5%, a 24 mesi dell'8,5%. Si possono finanziare fino a 30 mila yuan (4.800 dollari).
dal Ft

venerdì 11 gennaio 2013

Il salvataggio di Aig (o quello di Goldman Sachs)


La storia di Aig che faceva causa al governo americano perché salvandola l’aveva imbrogliata era troppo brutta per essere vera. Infatti la clamorosa richiesta di risarcimento è stata scartata: il consiglio di amministrazione della più grande compagnia di assicurazioni del pianeta ha chiarito mercoledì che ha deciso di rifiutare «interamente» la proposta di unirsi alla causa intentata la scorsa estate contro Washington dalla Starr, la società di investimento che era il maggiore azionista del gruppo assicurativo prima che il governo, il 16 settembre del 2008, nazionalizasse Aig prendendo il controllo dell’80% delle azioni.
Denunciare il governo sarebbe stato paradossale, considerato che dal 1° gennaio Aig ha lanciato una campagna pubblicitaria con lo slogan "Thank you America". Negli spot la società, a nome dei suoi 62 mila dipendenti, ringrazia il Paese per avere salvato il gruppo con 182 miliardi di dollari e segnala che si è sdebitata: lo scorso 14 dicembre il Tesoro americano ha finito di vendere le sue azioni Aig, in tutto ha incassato 204 miliardi. Il salvataggio, in sostanza, ha fruttato al governo 22 miliardi.
Rinnegata dalla Aig di oggi, la causa anti-governativa resta comunque in piedi, sulle gambe della Aig che fu. La Starr è infatti la società che il fondatore di Aig, Cornelius Vander Starr, lasciò in eredità al suo pupillo Maurice "Hank" Greenberg nel 1968. Greenberg – classe 1925, figlio di un negoziante di caramelle morto quando lui aveva 7 anni, soldato ebreo per l’esercito americano nella II Guerra mondiale – ha guidato Aig dal 1968 al 2005, quando è stato costretto ad andarsene per accuse di frode (poi mai dimostrate) partite dalla procura di New York. È stato lui a fare della compagnia assicurativa un gigante di Wall Street ed è stato ancora lui, nel 1987, ad ideare la divisione "prodotti finanziari" che 21 anni dopo porterà questo gigante a un passo dalla bancarotta.
Greenberg è la storia di Aig, e adesso vuole indietro i soldi – 25 miliardi di dollari – che, secondo la sua versione, lo Stato gli ha rubato. Ecco, la versione di Greenberg è un racconto intrigante di quello che avvenne nel drammatico settembre del 2008. Non tanto perché il vecchio finanziere accusa il governo di avere violato il 5° emendamento – dove si sancisce che «la proprietà privata non può essere presa per farne un uso pubblico senza un giusto compenso» – o di avere applicato al prestito un tasso del 15%, quasi da usura, ma soprattutto perché Greenberg sostiene che Washington salvò formalmente Aig, ma in realtà stava salvando la solita Goldman Sachs.
La faccenda è intrigante. Il 15 settembre 2008 era fallita Lehman Brothers e il 16 stava per fallire Aig. La compagnia assicurativa falliva per un rapido succedersi di eventi: le agenzie di <+corsivo>rating<+tondo> erano nel panico e le avevano tagliato bruscamente il voto, questo declassamento la costringeva a procurarsi immediatamente 20 miliardi di capitale come garanzie per i contratti di assicurazione contro l’insolvenza (i Cds) che aveva venduto a Goldman Sachs. Goldman infatti era il suo principale partner dal 2002: Aig la proteggeva dal rischio di insolvenza su 20 miliardi di titoli che sembravano sicurissimi. Invece quei titoli si stavano rivelando spazzatura, e nessuno sarebbe stato così pazzo da prestare ad Aig i 20 miliardi di dollari che le servivano per onorare i contratti e non dichiarare bancarotta. Se Aig fosse fallita, Goldman si sarebbe dovuta mettere in fila con gli altri creditori per avere indietro qualche briciola di quei miliardi. Probabilmente sarebbe fallita anche lei. Ma intervenne il governo che nazionalizzò la compagnia assicurativa e la riempì di denaro. Tra le condizioni del salvataggio Washington inserì il rimborso dei Cds a prezzo pieno e la rinuncia ad avviare azioni legali contro una serie di banche. Goldman naturalmente era in quella lista e dalla compagnia assicurativa ottenne il rimborso più ricco, quasi 13 miliardi. Le condizioni del salvataggio, insomma, le garantirono di superare illesa i mesi da incubo di Wall Street. A pensare quel piano fu Henry Paulson, segretario al Tesoro. Fino al 2006 aveva fatto il presidente e l’amministratore delegato di Goldman Sachs. Difficile non capire la rabbia del vecchio Greenberg.
da Avvenire di oggi

mercoledì 9 gennaio 2013

I conti dei bond periferici

L'Italia quest'anno deve raccogliere sul mercato 410 miliardi di euro. La Spagna 121,3 miliardi, l'Irlanda 10.

Aig vuole i soldi indietro


Robert Benmosche, dal 2009 capo di American International Group, mercoledì scorso ha portato al consiglio di amministrazione la proposta di una causa legale contro il governo per le condizioni del salvataggio dell'azienda. La causa è stata preparata da Starr International, ex grande azionista di Aig nonché società di Maurice R. "Hank" Greenberg, 88enne amico di Benmosche e storico ex amministratore delegato di Aig. L'azienda vuole la restituzione di 25 miliardi di dollari. Aig questa settimana ha fatto partire una campagna di stampa per ringraziare i cittadini americani per l'aiuto pubblico ricevuto e sottolineare che il salvataggio ha fatto guadagnare al governo 22 miliardi di dollari. Starr sostiene che il governo ha applicato al salvataggio un tasso di interesse del 15%, violando la proprietà privata e i diritti costituzionali degli azionisti. Il salvataggio di Aig, iniziato nel settembre del 2008, costò alla Fed e al Tesoro Usa 182 miliardi di dollari.
dal Wsj


martedì 8 gennaio 2013

Come sta Alitalia


Alitalia era partita nel gennaio del 2009 con in cassa 1.169 milioni di euro di capitale. Di questi 323 li aveva versati AirFrance-Klm, gli altri 847 i soci italiani. Nei primi 3 anni ha perso 678 milioni, nei primi nove mesi del 2012 altri 173. Per migliorare il capitale sono state fatte tre cose: si punta sullo scorporo dell'attività delle Millemiglia (con l'ingresso di un nuovo socio); due Boeing 777 sono stati utilizzati per rifinanziamenti (l'azienda aveva quasi chiuso il mutuo e lo ha riaperto per avere liquidi); 3 slot a Heatrhrow sono stati venduti lo scorso settembre (dovrebbero valere 20-30 milioni di euro l'uno). In cassa dovrebbero essere rimasti circa 300 milioni di euro.



Il vaso di Pandora del Libor


«Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti! Ascolta amico, loro sono...sono i tipi...sono quelli che mettono la gente in galera! Perché diavolo vuoi parlargli?». Cominciava a spaventarsi davvero, Tom Hayes: era fine marzo del 2011 e un suo collega trader di Ubs gli stava raccontando che degli investigatori americani avevano contattato la banca per fissare un appuntamento. Volevano interrogarlo, per capire com’è che funzionavano le comunicazioni sui tassi Libor inviate dagli uffici di Ubs a Tokyo, dove i due avevano lavorato insieme. Sospettavano che quelle comunicazioni fossero bugiarde, truccate per aiutare i trader della banca svizzera a guadagnare di più. Il sospetto era fondato, Hayes aveva ragione ad avere paura: a 32 anni e con un figlio in arrivo a breve avrebbe dovuto chiudere la sua strepitosa carriera nella grande finanza per passare alla condizione di carcerato. L’11 dicembre scorso la polizia britannica lo è andato a prendere nella sua villa nell Surrey, appena fuori Londra, per portarlo in galera. Gli Stati Uniti hanno chiesto la sua estradizione ma gli inglesi non lo lasceranno partire: il primo ministro David Cameron ha promesso che il Regno Unito dimostrerà ai suoi cittadini che sa punire con durezza anche i criminali della finanza.
Hayes, assieme a due colleghi della società di brokeraggio RP Martin, Terry Farr e Jim Gilmour, è il primo arrestato nel colossale scandalo del Libor, esploso la scorsa estate e ancora agli inizi. Il Libor è un tasso interbancario che indica, con scadenze che vanno da 1 giorno a 12 mesi, gli interessi a cui le banche si stanno prestando reciprocamente denaro (in particolare sterline, dollari e yen). È un indicatore chiave della finanza mondiale, perché su questo tasso si basano contratti per un valore complessivo stimato attorno ai 350mila miliardi di dollari, cifra pari a cinque volte il Prodotto interno lordo mondiale. Sono contratti di tutti i tipi, dai più banali mutui e prestiti a derivati complessi. Nonostante l’indice sia così delicato, il valore del Libor è fissato secondo un meccanismo rozzo: l’associazione delle banche inglesi ogni giorno chiede a 15 istituti a che tasso contano di ottenere denaro in prestito dalle altre banche il giorno dopo, quindi fa la media e fissa l’indice. Queste modalità presto cambieranno, lo scandalo ha costretto le autorità a studiare una riforma di un meccanismo che si è rivelato pieno di buchi. Perché se gli addetti delle banche si accordano per dare informazioni sballate, il tasso si allontana dalla realtà e favorisce speculazioni sleali. Come quelle di Hayes. Secondo le accuse, già dal 2006 (quando aveva appena 27 anni) il trader d’accordo con Roger Darin, che per Ubs comunicava il Libor sullo yen, e assieme a decine di colleghi di altre banche tentava quasi tutti i giorni di muovere il tasso in maniera anomala per favorire le sue strategie speculative. Gli investigatori americani sostengono che un movimento del Libor di 0,01 punti percentuali a suo favore valesse 2 milioni di dollari di profitti sul suo portafoglio di investimenti. Grazie a questo sistema nei tre anni passati in Giappone Hayes avrebbe fatto guadagnare a Ubs 260 milioni di dollari. Non si sa quanto la banca svizzera abbia premiato il suo ragazzo prodigio – che nel 2009 è passato a Citigroup –, ma visto che nella finanza i bonus sono legati ai risultati è presumibile che Hayes incassasse qualche milione di dollari all’anno. Certo, non era solo.
Sullo scandalo Libor stanno indagando tribunali e organismi di controllo di 10 nazioni diverse, tra America, Asia ed Europa. Le banche coinvolte sono quasi 20 (non ci sono italiane), gli indagati sono decine. Inchieste simili riguardano anche l’Euribor, l’interbancario della zona euro su cui si basano contratti per 150 mila miliardi di euro (compresi i mutui e le linee di credito delle nostre imprese). Sull’Euribor indagano anche a Trani, nella procura dove l’attivissimo pm Michele Ruggiero a novembre ha chiesto il rinvio a giudizio per 7 ex dirigenti delle agenzie di <+corsivo>rating<+tondo> Fitch e Standard & Poor’s. Ma l’Euribor però si forma con le indicazioni di quasi 40 banche, non 15, e quindi è più difficile da manipolare.
Le indagini sul Libor, condotte dalla Fsa inglese e dalla Sec americana, hanno già dato risultati eclatanti. La banca inglese Barclays a giugno è stata la prima ad arrivare a un accordo con le autorità britanniche e americane per chiudere il caso: ha ammesso le sue responsabilità e ha pagato multe per 290 milioni di sterline. Il presidente Marcus Agius e l’amministratore delegato Bob Diamond sono stati costretti ad andarsene. A dicembre è arrivato il turno di Ubs, la banca di Hayes, che ha pagato 940 milioni di sterline. La prossima a "costituirsi" dovrebbe essere Royal Bank of Scotland, che tratta da mesi con le autorità. Poi potrebbe toccare ad altri: in fila ci sono anche i colossi Hsbc, JPMorgan, Deutsche Bank, Citigroup, Lloyds.
Stavolta però le banche rischiano di non riuscire a cavarsela pagando solo una multa, per quanto miliardaria. Perché mentre i loro addetti imbrogliavano rastrellando milioni grazie alle anomali e del Libor c’era qualcuno che quegli strani andamenti del tasso li subiva. Fannie Mae e Freddie Mac, le disgraziate agenzie dei mutui controllate da Washington, dicono di averci perso 3 miliardi di dollari e vogliono un indennizzo. Vogliono rimborsi anche il Comune di New York e quello di Baltimora. E anche Annie Bell Adams, 65enne dell’Alabama che per colpa della crisi dei mutui ha perso la casa e in estate ha avviato una class action. In tanti l’hanno seguita. Le richieste di partecipare alle nuove cause miliardarie contro le banche dell’imbroglio Libor sono così numerose che gli avvocati americani, sempre a caccia di preziose vittime, stanno pubblicando manuali sul contenzioso. Il fatto è che quando chi imbroglia ha giocato con un pilastro della finanza mondiale praticamente chiunque può avere diritto di essere risarcito. Nel caso, i giudici quantificheranno il danno. Ma per certi imperi del denaro l’eccesso di potenza rischia di rivelarsi fatale.
da Avvenire di oggi 

lunedì 7 gennaio 2013

Gestire la bancarotta di Stato

Il Ft oggi ricorda che una legge per gestire il fallimento di uno Stato, in teoria, esiste. Si chiama Sovereign Debt Restructuring Mechanism e lo ha ideato il Fondo monetario internazionale nel 2002. Il suo Chapter 11 prevede proprio il ricorso volontario alla bancarotta. Ma non è mai stato concretizzato perché gli Stati Uniti si sono sempre opposti. I problemi dell'Argentina lo stanno riportando di moda.

domenica 6 gennaio 2013

Gli investimenti del Fondo Italiano

Il fondo di private equity Fii (Fondo Italiano d'investimento) è un classico strumento "di sistema": nell'azionariato lo Stato ha il 25% (12,5 il Tesoro, 12,5 la Cassa depositi e prestiti), l'altro 75% è diviso in 6 quote, sempre da 12,5 punti percentuali, che appartengono a: Abi, Confindustria, Istituto centrale delle Banche popolari, Mps, Intesa Sanpaolo, Unicredit. I soci hanno versato 1,2 miliardi, il fondo ha investito in 48 operazioni. Dieci sono state realizzate nell'ultimo mese del 2012: 11 milioni per avere il 15% di Surgital (piatti pronti), poi ingresso in società in Marsili (macchine bobinatrici ), Turbocoating (deposizione a spruzzo termico), Tecnam (velivoli leggeri), Mesgo (gomma), Sofinnova (venture capitl nel settore biomedico).
dal Corriere

sabato 5 gennaio 2013

Per la Napoleoni la ripresa così è impossibile

Travolti dall’enormità dei loro debiti, certi Stati dell’euro hanno rinunciato a governarsi e si sono affidati ad altri, che li ge­stiscono badando ai propri – legittimi – interessi. Ora sono in un tunnel di recessione il cui sbocco saranno pesanti tensioni sociali. Tra quei Pae­si c’è anche l’Italia. L’econo­mista Loretta Napoleoni lo ha scritto in Democrazia vende­si , un libro che esce oggi ed è un’analisi cupa della crisi del­l’euro. «Non sono cose che penso solo io – avverte subi­to–. Le dicono in tanti, e tra questi ci sono molti premi Nobel. Ad esempio Paul K­rugman o Joseph Stiglitz» Leggerla non è un bel modo per cominciare l’anno che, nelle previsioni, dovrebbe chiudersi con l’inizio di una debole ripresa. 
Il fatto è che per l’Italia, co­me per la Spagna o per la Gre­cia, una ripresa in queste condizioni non è possibile. Il 'fiscal compact' ci impone una ingessatura inevitabil­mente recessiva. Per rincor­rere obiettivi di finanza pub­blica decisi a Bruxelles noi stiamo strozzando le piccole e medie e imprese, l’unico motore rimasto alla nostra e­conomia. Qui a meno di una straordinaria innovazione tecnologica non abbiamo più nulla che possa farci riparti­re. Andiamo verso un impo­verimento che ci riporterà u­na condizione che non vede­vamo dalla fine della guerra. Con un debito pubblico al 120% del Pil l’Italia aveva al­ternative all’austerità? 
Le alternative ci sono ancora, e credo che finiremo per u­sarle, perché ridurre il debito in questo modo è impossibi­le e socialmente insostenibi­le. Abbiamo bisogno di un ta­glio netto e forzato che coin­volga le banche, come quel­lo applicato alla Grecia. Dal punto di vista finanziario è possibile farlo. Lo dovrebbe fare l’Italia ma ne avrebbero bisogno quasi tutti, la Spagna ma anche la Francia... Queste insolvenze non ucci­derebbero l’euro? 
Lo costringerebbero a cam­biare. La moneta unica è sta­ta fatta male, perché tratta al­lo stesso modo sistemi eco­nomici nazionali che sono molto diversi. Favorisce solo i tedeschi e le nazioni del Nord. Dopo questi tagli del debito si dovrebbe ripartire da un 'euro a due velocità', un’ipotesi che infatti già cir­cola da diverso tempo. Le economie in difficoltà però hanno anche problemi che non riguardano i conti pubblici... 
I Paesi della periferia dell’eu­ro hanno da molti anni pro­blemi di competitività che sono peggiorati rapidamen­te dopo la perdita dell’indi­pendenza monetaria. Non è solo 'svalutare la lira'...una moneta è una componente dinamica di un sistema eco­nomico, deve potersi muo­vere assieme agli altri ingra­naggi. Con l’euro abbiamo bloccato la moneta per ade­guarla a esigenze altrui. Stia­mo vedendo che non funzio­na. Lo scenario che descrive as­somiglia a una rivolta del Sud Europa contro la Ger­mania. È realistico?
Ovvio, è difficile. Il problema è che i politici dei Paesi della periferia dell’euro hanno u­na debolezza psicologica che gli impedisce di mettersi as­sieme e condurre le loro bat­taglie; gli manca l’orgoglio degli inglesi, gli unici capaci di non farsi guidare dagli al­tri. In Italia, poi, c’è molta i­deologia e questo ci impedi­sce di metterci assieme an­che al nostro interno quan­do dobbiamo difendere gli interessi nazionali. E io cre­do che l’impoverimento del Paese sia un tema di interes­se nazionale da contrastare mostrandoci uniti. Se la po­litica continuerà a non capir­lo rischiamo pericolose ten­sionisociali. 

da Avvenire

venerdì 4 gennaio 2013

La Spagna si compra Bonos col fondo pensioni

La Spagna sta facendo comprare titoli di Stato anche anche al fondo pubblico con cui garantisce le pensioni.  Il fondo ha investito in Bonos circa il 90% dei 65 miliardi di euro del suo patrimonio. A settembre, per la prima volta nella storia, il governo ha prelevato 3 miliardi dal fondo per pagare le pensioni. A novembre lo ha fatto di nuovo, prelevando 4 miliardo. I due prelievi hanno superato il limite legale annuo, per cui il governo ha dovuto alzare il tetto. Quest'anno Madrid dovrà raccogliere 207 miliardi sui mercati (186 miliardi nel 2012).