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martedì 26 novembre 2013

La ripresa? Occhio allo shopping di Natale

Attenti agli acquisti, da qui a Natale. Sarà lo shopping delle pros­sime settimane a dirci se l’e­conomia italiana l’anno pros­simo migliorerà in maniera significativa. Parola di Mario Deaglio, uno dei più autore­voli economisti italiani: «Se le cose funzionano dovremo a­vere un miglioramento lieve già nei consumi natalizi». L’indicazione del professore piemontese (un’indicazione, non una previsione, dato che «nell’economia attuale fare previsioni è molto più diffici­le rispetto a vent’anni fa») può essere presa come la massima sintesi del più com­plesso ragionamento conte­nuto nel Diciottesimo rap­porto sull’economia globale e l’Italia, frutto della collabo­razione tra il Centro di ricer­ca Luigi Einaudi e Ubi Banca.
Contano gli acquisti di Nata­le perché al centro della crisi italiana c’è la paura di spen­dere. «Le famiglie sono anco­ra solide dal punto di vista fi­nanziario, ma hanno paura del futuro – spiega Deaglio –. Quindi contraggono i consu­mi e piuttosto comprano Btp». Ecco che allora «supe­rare la paura di compiere ac­quisti necessari e già rinviati» è un passaggio fondamenta­le per fare ripartire la nostra economia, e quindi «è com­prensibile che si ragioni sui 200 euro in più o in meno...». L’acquisto non più rimanda­to può essere il fattore capa­ce di fare girare verso l’alto la curva della crescita italiana. L’alternativa e un lieve recu­pero e un’immediata stabi­lizzazione su bassi livelli. Se­condo l’analisi del Centro Ei­naudi, per dare più forza a questa risalita debole attesa per il primo trimestre del­l’anno prossimo occorrono poi altri due passaggi: il pri­mo è ricominciare a ragiona­re per settori, nel senso di de­cidere su quali punti di forza puntare per i prossimi anni; il secondo è recuperare i soldi pubblici sprecati e usarli per «iniziative produttive». Ba­sterà? No, se l’Europa non ci aiuta e non facciamo le rifor­me: «All’Eurogruppo a Spa­gna e Francia hanno avuto più tempo per aggiustare i conti, noi no. Se la Germania su questo fosse più leggera a­vremmo quei 4-5 miliardi in più che ci aiuterebbero a spingere la ripresa. Se però poi non facciamo le riforme possiamo avere comunque una ripresa, ma una ripresa breve: andiamo a sbattere su­bito contro un tetto molto basso e dopo 6-8 mesi ci tro­veremo di nuovo nelle diffi­coltà di prima, ma senza nes­suno disposto a farci credito»
 Bisogna proteggere i fili d’er­ba della ripresa dalla gelata (e infatti Fili d’erba, fili di ripre­sa è il titolo dello studio del Centro Einaudi). Vale per l’I­talia ma anche per gli altri. A partire dalla Francia, dove, se­condo Deaglio, «hanno per­so il controllo dell’econo­mia ». Non c’è area del mon­do che oggi sia al riparo dal rischio di una crisi economia: non gli Stati Uniti, dove lo Sta­to e i cittadini sono sempre più indebitati (il tasso di in­solvenza sui prestiti per l’u­niversità, nota l’economista, è allo spaventoso livello del 30%); non la Cina, dove si va verso una società «modera­tamente prospera», ma non ricca; non il Giappone, che sta sperimentando politiche mo­netarie 'kamikaze' per com­battere un declino ormai ven­tennale. La vecchia Europa non sta certo meglio, tra na­zioni che cercano di proteg­gere il loro cortile con misu­re protezionistiche e movi­menti di protesta sociale che combattono la stessa idea di Unione Europea. In questo momento, conclude Deaglio, molto dipende da quello che si deciderà a Berlino: «Sono passati due mesi dalle elezio­ni e ancora i tedeschi pren­dono tempo sul nuovo go­verno. Tengono tutto in so­speso. È pericoloso: se la Ger­mania sbaglia l’Europa è ve­ramente a rischio». 

da Avvenire

martedì 19 novembre 2013

Il trio dell'agenda digitale

Dieci anni fa, quando l’Eurostat ha iniziato a raccogliere le statistiche sulla diffusione delle connessioni veloci a Internet, in Europa c’erano un paio di nazioni straordinariamente avanti, una manciata di Paesi innovativi e una larga maggioranza di Stati dove la banda larga non c’era proprio. L’Italia faceva parte dell’ultimo gruppo.
Abbiamo almeno provato a recuperare, all’inizio: nel 2005 la percentuale di famiglie italiane raggiunte da collegamenti veloci era salita al 13%, una quota che ci assegnava il diciottesimo posto in un’Europa dove la banda larga raggiungeva il 23% dei cittadini. Non sarà stato un grande risultato, ma è il migliore che siamo stati capaci di raggiungere. Negli anni successivi ci siamo lasciati sorpassare quasi da tutti e siamo scivolati alle ultimissime posizioni. Gli ultimi dati, quelli del 2012, dicono che con una percentuale di famiglie a banda larga salita al 55% siamo ancora lontani dalla media europea (è al 72%) e siamo più "moderni" solo di Bulgaria, Grecia e Romania. La tecnologia, però, non ci aspetta. Perché in questo decennio si è anche sviluppata la banda ultralarga, con connessioni che vanno almeno a 30 Megabit al secondo, quando non a 100. È in questa tecnologia che l’Italia dà il peggio di sé: la rete superveloce raggiunge il 14% delle nostra famiglie, la media europea è del 53,8%. Siamo ultimissimi in classifica, a 7 punti percentuali di distanza dalla Grecia, penultima, e a 10 dalla Francia, che chiude il terzetto degli "arretrati". In Irlanda, quart’ultima, le famiglie con la banda ultralarga sono il 42,1%.
Ecco perché il lavoro accettato da Francesco Caio, l’ex manager di Omnitel che il governo a giugno ha designato nuovo responsabile dell’Agenda Digitale per l’Italia, è un mestieraccio. Siamo terribilmente indietro e abbiamo pochi soldi da investire per recuperare. Nel testo della legge di Stabilità, per intenderci, continuano ad apparire e scomparire i soldi per completare la diffusione della banda larga nel centro nord. E sono 20 milioni, appena più di niente. Per fortuna che l’Europa ci dovrebbe dare una mano. L’Italia riceverà circa 35 miliardi di euro di fondi strutturali da Bruxelles tra il 2014 e il 2020. Il premier Enrico Letta, alla fine del vertice europeo di fine ottobre che era proprio dedicato all’Agenda Digitale, ha promesso che il 10% di quei fondi sarà investito nello sviluppo della banda larga.
Ieri il presidente del Consiglio, partecipando a una conferenza sull’Italia organizzata a Roma dal Financial Times, ha dato un’accelerata. Ha nominato due esperti internazionali per aiutare Caio ad analizzare lo stato della nostra rete e definire quali investimenti bisognerà fare «perché l’Italia possa essere competitiva». Con l’aiuto dei due esperti – Gerard Pogorel dell’Università ParisTech e Scott Marcus, ex advisor della Federal Communication Commission americana – Caio entro la fine dell’anno consegnerà al governo un rapporto con i risultati dell’indagine. La parte più interessante sarà il conto finale. I tre fisseranno gli investimenti «che qualunque proprietario della rete dovrà raggiungere». Telecom Italia, attuale proprietaria della rete, e Telefonica, suo grande azionista ispanico, sono avvertite.
da Avvenire di oggi

mercoledì 30 ottobre 2013

Huawei, le reti cinesi più usate e temute

 Davvero anche Pechino può ascolta­re le nostre telefonate? Giuliano Ta­varoli – ex brigadiere, poi responsa­bile della sicurezza di Pirelli e quindi di Te­lecom Italia, grande protagonista dello scan­dalo del 'dossieraggio' illegale risolto, nel suo caso, con un patteggiamento a 4 anni e mezzo di reclusione – la settimana scorsa lo ha detto esplicitamente in un’intervista al Mattino : «Nessuno ricorda che Telecom ac­quistava e acquista apparecchiature di rete dalla cinese Huawei, un po’ come mettersi il nemico in casa. Che ci spia da tempo».

Era inevitabile. Emerso lo scandalo della N­sa americana si è aperta la grande caccia mondiale alla spia, e Huawei non poteva sperare di restarne fuori. Se c’è un’azienda sospetta è questo colosso basato a Shenzen, una società da 140mila dipendenti e 27 mi­liardi di euro di fatturato che quest’anno è diventata il primo gruppo mondiale nelle componenti delle reti di telecomunicazione nonché il terzo maggior produttore di te­lefonini al mondo. Un anno fa a Washington l’Intelligence Committee della Camera ha dichiarato che le cinesi Huawei e Zte sono
 una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, quindi ha chiesto di escluderle da ogni collaborazione con il governo e ha scon­sigliato alle aziende di fare affari con loro. Sempre per motivi di sicurezza, pochi mesi prima era stata l’Australia a tenere fuori i ci­nesi dalla gara per la rete a banda larga, e il nuovo governo australiano ha già fatto sa­pere che confermerà quella decisione. Nel 2010 era stata l’India a scegliere di evitare l’acquisto di apparecchiature dai cinesi, ci­tando sempre motivi di sicurezza. Anche nelle Nazioni con cui ha un rapporto privi­legiato, questo colosso è guardato con qual­che timore: la sede centrale di Huawei solo qualche giorno fa è stata visitata da George Osbone, il cancelliere dello Scacchiere, e dal 2011 il responsabile per la sicurezza del grup­po è John Suffolk, ex capo dell’ufficio infor­matico del governo inglese; eppure a luglio l’esecutivo di Cameron ha detto chiara­mente che i controlli sul ruolo di Huawei nelle telecomunicazioni in Gran Bretagna sono stati «non sufficientemente robusti».

A inizio settembre Enrico Letta ha ricevuto Sun Yafang, la presidente di Huawei. Dopo l’Inghilterra, l’Italia è il secondo mercato eu­ropeo per questa azienda, che qui collabo­ra con tutti i grandi operatori telefonici, ha 700 dipendenti e investirà un miliardo di dollari in cinque anni. I rapporti tra Roma e Shenzen sono «ottimi», assicura Roberto Loiola, l’italiano responsabile di Huawei per tutta l’Europa occidentale. Se le accuse di Tavaroli «non meritano nemmeno un com­mento, perché la sicurezza è una questione seria», quelle degli Stati Uniti e di altri Paesi secondo Loiola si spiegano con «motivi po­litici ». E il rapporto con Telecom? «Lavoria­mo con Telecom come con altri 500 opera­tori di telecomunicazioni in tutto il mondo. I problemi di sicurezza delle reti non posso­no essere visti in un contesto solo naziona­le, va analizzata tutta la catena: ci sono i di­spositivi, come i telefoni, la rete di accesso, quella di trasporto... è molto complesso. Poi c’è un altro aspetto: temono il fatto che sia­mo cinesi, ma i nostri componenti sono rea­lizzati in tutto il mondo. Abbiamo calcolato che ci sono meno componenti cinesi nei no­stri telefoni che nell’iPhone». Certo, se il fondatore e gran­de capo di Huawei, Ren Zhengfei, non avesse inizia­to la sua carriera lavorando come ingegnere per l’Eserci­to Popolare di Liberazione forse l’azienda sarebbe guar­data con più tranquillità in giro per il mondo. Anche l’as­setto di controllo della so­cietà è un po’ misterioso. Cathy Meng, figlia di Ren, ha spiegato che suo padre con­trolla l’1,4% delle azioni, il re­sto è diviso tra le migliaia di dipendenti. Loiola conferma che è così. In rete però gli ap­passionati di storie di spio­naggio cercano da mesi di re­cuperare la copia di
 Cajing Magazine del settembre del 2012: conteneva un’analisi precisa sulla struttura di con­trollo di Huawei ma ufficiali del governo cinese l’hanno ritirata dalle edicole poche ore dopo la pubblicazione. C’è poi il caso di Shane Todd, a cui il Financial Times ha dedicato un’inchiesta lo scorso febbraio: Todd era un giovane ingegnere america­no, lavorava a Singapore su un progetto tra il centro di ricerca governativo Ime e Huawei. Doveva sviluppare un amplificatore basato sul nitrito di gallio, un semiconduttore ca­pace di resistere a temperature estreme u­sato nell’illuminazione, nelle stazioni te­lefoniche ma anche in apparecchiature mi­­litari, ad esempio come disturbatore di se­gnali radar. Todd è stato trovato impiccato nel bagno di casa sua una settimana prima del suo rientro negli Stati Uniti. La famiglia del ragazzo sospetta dall’inizio che l’inge­gnere sia stato ucciso per evitare che rac­contasse alle autorità degli Stati Uniti i det­tagli di quel progetto. La corte di Singapore ha chiuso il caso definendolo un suicidio e l’ambasciata americana ha accettato que­sta conclusione.La sfida globale a colpi di cavi, intercetta­zioni e modelli di telefonini evidentemente sta dando molto da lavorare ai diplomatici.

da Avvenire

martedì 16 aprile 2013

La produttività in Italia

Grafico da un'analisi diffusa oggi di Credit Suisse: il Pil per ore di lavoro dell'Italia è il penultimo tra quelli delle economie avanzate. Peggio di noi solo il Giappone, che sta disperatamente cercando di rilanciarsi, e la Grecia, che è fallita.








mercoledì 13 marzo 2013

Lo squilibrio generazionale. Nuovi numeri di Bankitalia

In uno studio diffuso qualche settimana fa dalla Banca d'Italia (gli autori sono Laura Bartiloro e Cristiana Rampazzi) si vede con chiarezza il rapido peggioramento della condizione economica dei giovani in Italia.
In particolare:

  • nel 1991 gli italiani con meno di 35 anni avevano il 17% della ricchezza. Questa quota è scesa fino al 7,8% del 2006 e al 5,2% del 2010. Nello stesso ventennio la quota di ricchezza in mano ai 35-44enni è scesa dal 19,7 al 15,9% e quella dei 45-54enni si è ridotta dal 25,1 al 21,4%. Nel frattempo la ricchezza dei 55-64enni si è portata dal 18,8 al 24,4% e quella degli ultra 65enni sono balzate dal 19,3 al 33,1%.
  • nel 1991 gli italiani under-35 avevano il 17,6% delle attività finanziarie, quota crollata al 3,9% del 2010 e anche in questo caso sono salite solo le quote dei 55-64enni (dal 17,7 al 29,1%) e quelle degli ultra 65enni (dal 20,6 al 34,5%).
  • stessa dinamica per la ricchezza immobiliare. In questo caso quella degli under 35 si è ridotta dal 15,7 al 5,3%, quella degli over 65 è andata dal 20,9 al 34,5%.
  • altro dato impressionate, il rapporto tra ricchezza e reddito: per gli ultra 65enni è passato da 3,7 a 7,5; per gli under-35 è calato da 2,5 a 1,8.

venerdì 1 febbraio 2013

Le indennità di disoccupazione in Europa

In Francia bastano 4 mesi di lavoro per avere diritto, per due anni, a un'indennità di disoccupazione pari al 67% dell'ultimo stipendio. In Germania dopo 12 mesi si può avere il sussidio per altri 12 mesi, al 62%, in Italia dopo 12 mesi si può avere, per 8 mesi, un assegno che vale il 47% dello stipendio.
dal Wsj



mercoledì 9 gennaio 2013

I conti dei bond periferici

L'Italia quest'anno deve raccogliere sul mercato 410 miliardi di euro. La Spagna 121,3 miliardi, l'Irlanda 10.

lunedì 17 dicembre 2012

Il Portogallo vuole tagliare le tasse sul reddito d'impresa

Il governo portoghese ha chiesto alla Commissione europea di portare la sua tassa sul reddito di impresa (l'equivalente dell'Ires italiana, che è al 27,5%) dal 25 al 10% per le nuove aziende. L'idea è che abbassando le tasse si possono attrarre investimenti esteri. E' qualcosa di simile a quello fatto dall'Irlanda, dove la tassa sul reddito delle imprese è al 12%. Un'aliquota al 10 c'è solo a Cipro e in Bulgaria. La media europea è al 22%. Proposte del genere o che almeno vanno in questa direzione  al momento non hanno trovato spazio nei "programmi" dei principali schieramenti politici italiani.

venerdì 14 dicembre 2012

Pimco compra titoli italiani

Il fondo di investimento Pimco (la sigla sta per Pacific Investment Management) è il maggiore acquirente di bond del pianeta (ha asset per 559 miliardi di dollari in Europa). Sta comprando titoli di Stato di breve durata di Italia e Spagna, non quelli francesi, che rendono troppo poco. L'incertezza politica sull'Italia, spiega, "non ha colpito l'attrattività dei titoli pubblici italiani che maturano nei prossimi 3 anni". L'Italia prevede di raccogliere 410 miliardi di euro vendendo titoli di Stato nel 2013.

martedì 27 novembre 2012

Le stime sul Pil italiano

Le previsioni sul  Pil dell'Italia, rispettivamente per il 2012 e il 2013:

Ocse:   -2,2 e -1%
Tesoro: -2,4% e -0,2%
Bankitalia: -2,4% e -0,7%
Commissione Ue: -2,3% e -0,5%
Fmi: -2,3% e -0,7%
Istat: -2,3% e -0,5%
Confindustria: -2,4% e -0,6%
Abi: -2,4% e -0,4%

sabato 25 agosto 2012

La deflazione che manca nella zona euro


Il principale problema della "periferia dell'euro" potrebbe essere che in questi paesi gli stipendi si stanno riducendo, ma i prezzi non scendono. Nel primo decennio dell'euro la periferia della zona euro ha avuto tassi di inflazione superiori a quelli tedeschi, aiutando la Germania a diventare il centro di produzione low cost dell'area. Perché la riduzione dei salari in Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia non danneggi i consumi interni occorre che anche i prezzi scendano, con tassi di inflazione che devono restare sotto quelli della Germania e in alcuni casi, come in Grecia, andare sotto zero. In Grecia, assicura Michail Chalaris, direttore dell'ispettorato nazionale sul lavoro "c'è margine per tagliare i prezzi senza eliminare i profitti. Forse il motivo è molto molto antico: l'avidità".
dal Wsj

giovedì 19 luglio 2012

"Casa, ora crollano anche i prezzi"

Il valore delle case italiane sta crollando. Il Crif, leader in Italia nell'informazione creditizia, ha analizzato i dati arrivati dai suoi periti, esperti che le banche arruolano per valutare il prezzo degli immobili prima di concedere un mutuo. Se nel 2011 le quotazioni del mattone erano rimaste quasi ferme nel confronto con l'anno precedente, nel primo trimestre del 2012 sono invece cadute del 9,3%. Il dato, contenuto nel primo numero di "Bussola Mutui" - bollettino trimestrale realizzato in collaborazione dal Crif e dal portale MutuiSupermarket.it -, non è una stima, ma è la media di svariate migliaia di perizie indipendenti effettivamente realizzate. Un mese fa un'altra fonte indiscutibile, l'Agenzia del Territorio, aveva comunicato che in questo primo trimestre in Italia sono state comprate 110 mila abitazioni, il 20% in meno rispetto allo stesso periodo del 2011. Precipitano le vendite, scivolano i prezzi. Se non è l'esplosione di una bolla ci assomiglia molto. Non è strano che ora le quotazioni scendano tanto, è strano che ancora non fossero scese. L'Ance, l'associazione dei costruttori, lo aveva fatto presente nel suo ultimo Osservatorio sull'andamento del settore La storia del mercato immobiliare italiano è fatta di fasi cicliche che iniziano con una contrazione e si concludono quando il prezzo degli immobili tocca un picco. L'ultima fase, scriveva l'Ance, è iniziata nel 1992 e si è conclusa nel 2008: ha visto un'iniziale discesa delle quotazioni, più o meno fino al 1999, e una successiva impennata prodotta da due fattori: la riduzione dei tassi consentita dall'euro e l'espansione del mercato dei mutui, che si è aperto anche a clienti che prima non riuscivano ad ottenere credito. Ora, sempre nell'analisi dell'Ance, siamo entrati in una quinta fase, i cui sviluppi sono ancora da definire. Sicuramente i due motori dell'ultima fase, la disponibilità di denaro a basso costo e i mutui facili, si sono spenti bruscamente. Le tendenze demografiche parlano di un aumento della popolazione italiana permesso soltanto dall'arrivo di immigrati e di una larga sproporzione tra i redditi dei giovani e quelli dei più anziani. Non c'è, all'orizzonte, molto denaro che possa finire nel mattone. Eppure, notava l'Ance, c'è qualcosa di strano, un «aspetto nuovo»: «Nelle fasi precedenti dopo il raggiungimento dei picchi (1975, 1981 e 1992) si era registrato un marcato aggiustamento dal lato dei prezzi, un fenomeno che in questi ultimi tre anni non si è avuto». Mancava, insomma, la caduta dei prezzi delle case. La discesa, almeno fino a pochi mesi fa, era sembrata molto più cauta della salita: 5,3% l'aumento medio annuo dei prezzi tra il 2004 e il 2008 (al netto dell'inflazione) secondo l'Ance, -2,7% il calo nei quattro anni successivi. I numeri diffusi ieri dal Crif dicono che la correzione verso il basso del valore degli immobili negli ultimi mesi ha preso una drastica accelerata. Quando il Censis, lo scorso aprile, ha ipotizzato che, anche per effetto della nuova Imu, i prezzi delle case italiane a fine anno potrebbero ridursi anche del 20% diversi operatori del settore hanno invitato il centro di ricerca guidato da Giuseppe De Rita a non fare allarmismo. Nel presentare la prima "Bussola Mutui", i ricercatori del Crif e i manager di MutuiSupermarket non hanno escluso che il crollo delle quotazioni possa raggiungere quei livelli. La caduta delle domande di nuovi mutui (-44% nel primo semestre di quest'anno) non può che promettere ulteriori discese dei prezzi. In un Paese dove i proprietari di immobili sono più numerosi dei lavoratori attivi (24 milioni contro 23 dice l'Istat) e dove la metà della ricchezza delle famiglie è fatta di mattoni (4.950 miliardi di euro su 9.500 secondo la Banca d'Italia) la fine brusca di una lunghissima e potentissima fase di espansione del mercato immobiliare difficilmente non avrà effetti destabilizzanti. Ma la discesa dei prezzi potrebbe restituire ai più giovani la possibilità di comprarsi una casa e, più in generale, ridare ossigeno a un mercato immobiliare in agonia. Dall'ultima indagine della Banca d'Italia in collaborazione con la Fiaip, la federazione degli agenti immobiliari, risultava che nei primi tre mesi del 2012 un'agenzia immobiliare su tre non ha venduto nemmeno un appartamento. Chiamati a giustificare una simile disfatta, gli agenti immobiliari hanno indicato il motivo più elementare: prezzi troppo alti secondo chi doveva comprare e offerte troppo basse secondo chi doveva vendere.
mio pezzo da Avvenire di oggi

lunedì 16 luglio 2012

In 12 mesi scadono titoli italiani per 337 miliardi



"Vale 337 miliardi di euro l'importo di tutti i titoli di Stato in scadenza negli ultimi sei mesi del 2012 e nei primi sei del 2013. In totale, si tratta di quasi un quinto dell'intero debito pubblico italiano. Lo scadenziario, preparato dal ministero dell'Economia, parla di grandi numeri soprattutto nella seconda parte del 2012 più che nei sei mesi a seguire. Da luglio a dicembre di quest'anno, infatti, lo Stato deve rimborsare ben 218 miliardi: oltre 1'11% di tutto il debito. Sono soldi che inevitabilmente arriveranno soprattutto da nuove emissioni, quindi dalle prossime aste".
dal Corriere

lunedì 25 giugno 2012

Nello Stato un dirigente ogni trenta dipendenti

"I dirigenti pubblici sono circa 230mila, 180mila dei quali dirigenti medici. I dipendenti pubblici sono complessivamente 3.250.000. Sottraendo i 230mila dirigenti, il rapporto è, dunque 3.020.000/230.000, cioè un dirigente ogni tredici dipendenti. Ma, molti dei dirigenti medici in realtà non gestiscono gruppi di lavoro, sicché la media risulta certamente falsata e il rapporto vero dirigenti/dipendenti può stimarsi molto più prossimo a 1/30."
da la Voce

giovedì 14 giugno 2012

I redditi delle famiglie nella zona euro

Secondo i dati a disposizione dell'Ocse, tra il 1997 e il 2010 il reddito medio reale delle famiglie è aumentato dell'1,4% all'anno nell'area dell'euro.In Grecia l'aumento medio annuo è stato del 3,5%, in Spagna del 3%, in Portogallo del 2,1%, in Irlanda del 3,8%. In Italia la crescita dei redditi reali è stata in media dello 0,3% all'anno. In Germania dello 0,8%.

mercoledì 13 giugno 2012

La cosiddetta "spending review"

Considerato che lo Stato italiano spende ogni anno 800 miliardi di euro, risparmi per 5 miliardi sono poco più di niente. Soprattutto se fatti così:

"Tre miliardi verranno recuperati dal taglio della spesa per gli acquisti intermedi delle amministrazioni pubbliche, di cui si è occupato Bondi: la chiave di tutto starà nella centralizzazione degli acquisti presso la Consip e nella fissazione di tetti di spesa, a partire da quella sanitaria. Gli altri due miliardi dovrebbero venire dai tagli alla spesa corrente dei ministeri di cui si è occupato Giarda: su questo punto ieri si è convenuto che le proposte fatte dai singoli ministri sono ancora insufficienti".
dal Corriere della Sera, 13 giugno

martedì 12 giugno 2012

Otto anni di stipendio per una casa

L'ultimo rapporto sull'immobiliare europeo realizzato da Deloitte calcola che in media in Italia servono 8,2 anni di stipendio per comprarsi una casa da 70 metri quadri. L'indice di home affordability ci colloca nella fascia di case "costose". In Germania la casa da 70 metri quadri si compra con 2 anni di stipendio.

martedì 29 maggio 2012

Gli stipendi dei docenti universitari italiani

Il quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung ha fatto un'inchiesta sui compensi dei professori universitari nel mondo. Ne emerge che gli italiani, con 13.677 euro mensili lordi medi, sono i più pagati dell’Unione europea (a parità del costo della vita). Il compenso nel Regno Unito è di 12.554 euro, in Olanda di 10.685, in Germania 9.575.