Il governo portoghese ha chiesto alla Commissione europea di portare la sua tassa sul reddito di impresa (l'equivalente dell'Ires italiana, che è al 27,5%) dal 25 al 10% per le nuove aziende. L'idea è che abbassando le tasse si possono attrarre investimenti esteri. E' qualcosa di simile a quello fatto dall'Irlanda, dove la tassa sul reddito delle imprese è al 12%. Un'aliquota al 10 c'è solo a Cipro e in Bulgaria. La media europea è al 22%. Proposte del genere o che almeno vanno in questa direzione al momento non hanno trovato spazio nei "programmi" dei principali schieramenti politici italiani.
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lunedì 17 dicembre 2012
sabato 15 dicembre 2012
La bad bank spagnola
La bad bank spagnola si chiama Sareb e questa settimana ha raccolto i suoi primi investimenti: 430 milioni di euro da 5 banche spagnole. Le stesse banche dovrebbero metterci altri 1,3 miilardi. Il fondo pubblico di salvataggio delle banche, il Frob, contribuirà con altri 397 milioni..
venerdì 14 dicembre 2012
I nuovi aiuti alla Grecia
Con la decisione di ieri l'Eurogruppo presterà 49,1 miliardi alla grecia. Di questi 34,3 miliardi saranno pagati la prossima settimana. E di questi 16 serviranno a ricapitalizzare le banche, 7 per la spesa pubblica, 11,3 per comprare i titoli di Stato ricomprati con il buyback (i titoli ricomprati valevano 34,3 miliardi di debito). L'obiettivo è permettere ad Atene di portare il debito pubblico al 124% nel 2020 e al 110% nel 2022..
lunedì 3 dicembre 2012
Le dimensioni delle Sparkassen
I più accaniti oppositori dell'Unione bancaria in Germania sono le 423 Sparkassen, casse di risparmio pubbliche. Sono piccole banche: la maggiore ha attivi per 40 miliardi di euro, 100 delle Sparkassen più piccole non arrivano a bilanci di 1 miliardo. Tutte assieme, però, hanno un bilancio di 1.098 miliardi e siccome sono una rete vera considerarle come un'unica entità non è così assurdo. Fanno il 38% dei prestiti tedeschi e hanno il 37% dei depositi. Sono anche legate alle sette Lansebanken, le banche regionali (Lbbw, BayernLb, LbBerlin, Hsh Nordbank, Helaba, NordLb, SaarLb) che hanno 1.495 miliardi di asset ed è nel loro giro anche DekaBank, istituto da 134 miliardi di euro. Dicono che la Bce non può fare supervisione su di loro, perché non può capire il loro modo di lavorare.
martedì 27 novembre 2012
Le stime sul Pil italiano
Le previsioni sul Pil dell'Italia, rispettivamente per il 2012 e il 2013:
Ocse: -2,2 e -1%
Tesoro: -2,4% e -0,2%
Bankitalia: -2,4% e -0,7%
Commissione Ue: -2,3% e -0,5%
Fmi: -2,3% e -0,7%
Istat: -2,3% e -0,5%
Confindustria: -2,4% e -0,6%
Abi: -2,4% e -0,4%
Ocse: -2,2 e -1%
Tesoro: -2,4% e -0,2%
Bankitalia: -2,4% e -0,7%
Commissione Ue: -2,3% e -0,5%
Fmi: -2,3% e -0,7%
Istat: -2,3% e -0,5%
Confindustria: -2,4% e -0,6%
Abi: -2,4% e -0,4%
mercoledì 7 novembre 2012
Gli utili della Kfw per cancellare il debito pubblico tedesco
La coalizione cristiano-liberale che governa sulla Germania sta valutando se usare la Kreditanstalt fur Wiedeaufbau (la KfW, la Cassa depositi e prestiti tedesca) per acquistare debito pubblico. L'idea, su cui secondo il Foglio ci sarebbe già un accordo, è quella di considerare come entrate gli utili della KfW (2,6 miliardi nel 2011). Visto che i conti della Kfw non rientrano nella contabilità nazionale questa mossa farebbe sparire dai conti tedeschi fette di debito pubblico. .
venerdì 12 ottobre 2012
La soluzione della crisi dell'euro secondo Tsipras
«La soluzione deve essere comune: va convocato un vertice sulla linea di quello di Londra nel 1953, quando venne cancellata una gran parte del debito tedesco e venne concesso alla Germania un rinvio sul pagamento degli interessi. Dopo aver estinto il debito per le nazioni in difficoltà, bisogna lanciare un Piano Marshall, liquidità per far ripartire la produttività e la crescita».
(Alexis Tsipras al Corriere della Sera)
Sarebbe curioso sapere che cosa si dovrà dire a chi ha prestato soldi a questi paesi in difficoltà ("non vi ridiamo niente, ma speriamo che in futuro ci aiuterete" potrebbe essere un'idea), né con quali soldi si dovrebbe fare questo Piano Marshall (quelli dei contribuenti europei? solo i soldi di quelli tedeschi?) e dove questo denaro sarebbe investito. Non sembra che i governi greci, così come quelli italiani degli ultimi decenni, siano molto abili a prendere denaro in prestito e poi investirlo generando "crescita, produttività" e ricchezza diffusa tra la popolazione.
sabato 25 agosto 2012
La deflazione che manca nella zona euro
Il principale problema della "periferia dell'euro" potrebbe essere che in questi paesi gli stipendi si stanno riducendo, ma i prezzi non scendono. Nel primo decennio dell'euro la periferia della zona euro ha avuto tassi di inflazione superiori a quelli tedeschi, aiutando la Germania a diventare il centro di produzione low cost dell'area. Perché la riduzione dei salari in Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia non danneggi i consumi interni occorre che anche i prezzi scendano, con tassi di inflazione che devono restare sotto quelli della Germania e in alcuni casi, come in Grecia, andare sotto zero. In Grecia, assicura Michail Chalaris, direttore dell'ispettorato nazionale sul lavoro "c'è margine per tagliare i prezzi senza eliminare i profitti. Forse il motivo è molto molto antico: l'avidità".
dal Wsj
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lunedì 30 luglio 2012
"L'auto sconta la crisi"
Cercare un’auto nuova, in questi mesi, può essere un’esperienza gratificante. Costruttori e concessionari si svenano pur di riuscire a piazzare qualche macchina in più, mentre il potenziale acquirente, se la crisi non gli ha svuotato troppo il conto in banca, scopre sorpreso di potersi permettere modelli che fino a poco tempo fa sembravano irraggiungibili. «È un bagno di sangue dei prezzi ed è un bagno di sangue dei margini» ha detto Sergio Marchionne all’International Herald Tribune, irritando i rivali di Volkswagen. I tedeschi negano, ma la disperata guerra degli sconti non è un’invenzione del manager della Fiat. «Ci sono troppi marchi in Europa che competono a prezzi irrazionali» ha spiegato Arndt Ellinghorst, analista del settore auto del Crédit Suisse. Secondo i suoi calcoli, il 60% delle macchine europee sono vendute a prezzi inferiori ai costi di produzione.
Tagliare i prezzi e fare offerte davvero pazzesche è l’unico modo per conquistare clienti in un mercato dell’auto europea tornato ai livelli del 1994. È paradossale che tutto questo avvenga nel momento del boom dell’auto mondiale. Nel 2012 le immatricolazioni di auto nuove a livello globale potrebbero raggiungere il record degli 80 milioni di unità, ma è tutto merito di Cina, India, Russia e Sudamerica, economie emergenti dove ogni anno spuntano decine di milioni di persone diventate abbastanza ricche da potersi comprare una macchina, e fabbriche di automobili pronte ad accontentarle. In Europa le vendite si fermeranno invece sotto i 13 milioni, 3 in meno rispetto all’anno migliore (il 2007) e troppo pochi per fare funzionare le fabbriche, se non quelle di 'lusso' che producono per esportare i veicoli lontano dal Vecchio continente.
Secondo uno studio di AlixPartners le fabbriche di auto europee stanno lavorando al 73% della loro capacità produttiva. In genere, sottolineano gli analisti, la soglia di produttività sotto la quale si lavora in perdita è del 75-80%.
Stanno sopra quella quota Germania e Regno Unito (entrambi all’85%), ci va vicina la Spagna (70%) mentre le fabbriche di Francia (60%) e Italia (54%) sono lontanissime dalla capacità di produrre profitti. Non aspettatevi una ripresa rapida, ha avvertito AlixPartners: i livelli di vendite del 2007 non torneranno prima del 2020. E siccome lavorare in perdita non è un grande affare, diversi costruttori europei stanno studiando il modo per evitare che la disperata guerra al ribasso li faccia fuori. La soluzione che hanno trovato è semplice e brutale: chiudere le fabbriche più problematiche.
Da quando, a dicembre scorso, Marchionne è stato eletto presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili, l’Acea, il manager della Fiat ha insistito su un unico punto: ottenere dall’Europa un piano per la riduzione della produzione di automobili (con l’allegato, non dichiarato, di aiuti comunitari per gestire la chiusura o la riconversione degli impianti). Non ha ottenuto nulla perché il problema della sovracapacità produttiva è soltanto di alcune case e, come abbiamo visto, non di quelle tedesche.
Così la selezione naturale tra le fabbriche va avanti disordinata e spietata. Le 'vittime', per il momento, sono state quattro. La prima è stata la fabbrica di Anversa, dove la General Motors, con il marchio Opel, produceva l’Astra. Ha chiuso a fine 2010, lasciando a casa gli ultimi 2.600 addetti. La seconda è stata Termini Imerese, dove con circa 2 mila operai la Fiat costruiva la vecchia Lancia Y. La fabbrica ha chiuso alla fine dell’anno scorso e la ricerca di nuovi investitori pronti a scommettere sullo stabilimento siciliano procede con molte difficoltà. La prossima a chiudere sarà Aulnay, la fabbrica vicina a Parigi che oggi costruisce la Citroën C3 ma che all’inizio del 2014 sarà abbandonato dal gruppo Peugeot-Citroën, pronto a collaborare col governo Hollande per trovare una nuova occupazione ai 3.200 operai. Nel 2016 arriverà il turno dei tedeschi, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non avevano mai visto chiudere una fabbrica di automobili. Capiterà a Bochum, lo stabilimento della Opel (3 mila addetti) che oggi costruisce la Zafira e sperava di aggiudicarsi la nuova Astra. La General Motors, la casa di Detroit che controlla la Opel, ha preferito affidare la futura Astra alla fabbrica inglese di Ellesmere Port e a quella polacca di Gliwice. Bochum sarà chiusa nel 2016.
Non è finita. Gli analisti calcolano che nella necessaria riorganizzazione del settore dell’auto europea ci sono ancora una dozzina di fabbriche di troppo. Marchionne ha già chiarito che se le vendite non ripartono sono a rischio altre 2 fabbriche italiane su 5. Ford, che usa i suoi impianti al 63%, probabilmente chiuderà lo stabilimento inglese di Southampton o quello belga di Genk. Nel secondo trimestre dell’anno l’azienda americana ha fatto 1 miliardo di dollari di utili, ma in Europa ha perso 404 milioni e prevede di perderne altri 600 da qui a fine anno. L’altra 'Big' di Detroit, Gm, nel Vecchio Continente perde soldi da più di 10 anni. «Ha senso per Gm e Ford continuare a costruire e vendere macchine in Europa?» ha chiesto nel numero di giugno di Automotive News , la rivista di riferimento dell’auto mondiale, il direttore dell’edizione europea, l’italiano Come dire: chi è 'straniero' e può tirarsi facilmente fuori dal «bagno di sangue» dell’auto europea farebbe meglio a non esitare. Gli altri non possono che restare e lottare per sopravvivere. Fino all’ultimo sconto.
mio pezzo su Avvenire di sabato
Tagliare i prezzi e fare offerte davvero pazzesche è l’unico modo per conquistare clienti in un mercato dell’auto europea tornato ai livelli del 1994. È paradossale che tutto questo avvenga nel momento del boom dell’auto mondiale. Nel 2012 le immatricolazioni di auto nuove a livello globale potrebbero raggiungere il record degli 80 milioni di unità, ma è tutto merito di Cina, India, Russia e Sudamerica, economie emergenti dove ogni anno spuntano decine di milioni di persone diventate abbastanza ricche da potersi comprare una macchina, e fabbriche di automobili pronte ad accontentarle. In Europa le vendite si fermeranno invece sotto i 13 milioni, 3 in meno rispetto all’anno migliore (il 2007) e troppo pochi per fare funzionare le fabbriche, se non quelle di 'lusso' che producono per esportare i veicoli lontano dal Vecchio continente.
Secondo uno studio di AlixPartners le fabbriche di auto europee stanno lavorando al 73% della loro capacità produttiva. In genere, sottolineano gli analisti, la soglia di produttività sotto la quale si lavora in perdita è del 75-80%.
Stanno sopra quella quota Germania e Regno Unito (entrambi all’85%), ci va vicina la Spagna (70%) mentre le fabbriche di Francia (60%) e Italia (54%) sono lontanissime dalla capacità di produrre profitti. Non aspettatevi una ripresa rapida, ha avvertito AlixPartners: i livelli di vendite del 2007 non torneranno prima del 2020. E siccome lavorare in perdita non è un grande affare, diversi costruttori europei stanno studiando il modo per evitare che la disperata guerra al ribasso li faccia fuori. La soluzione che hanno trovato è semplice e brutale: chiudere le fabbriche più problematiche.
Da quando, a dicembre scorso, Marchionne è stato eletto presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili, l’Acea, il manager della Fiat ha insistito su un unico punto: ottenere dall’Europa un piano per la riduzione della produzione di automobili (con l’allegato, non dichiarato, di aiuti comunitari per gestire la chiusura o la riconversione degli impianti). Non ha ottenuto nulla perché il problema della sovracapacità produttiva è soltanto di alcune case e, come abbiamo visto, non di quelle tedesche.
Così la selezione naturale tra le fabbriche va avanti disordinata e spietata. Le 'vittime', per il momento, sono state quattro. La prima è stata la fabbrica di Anversa, dove la General Motors, con il marchio Opel, produceva l’Astra. Ha chiuso a fine 2010, lasciando a casa gli ultimi 2.600 addetti. La seconda è stata Termini Imerese, dove con circa 2 mila operai la Fiat costruiva la vecchia Lancia Y. La fabbrica ha chiuso alla fine dell’anno scorso e la ricerca di nuovi investitori pronti a scommettere sullo stabilimento siciliano procede con molte difficoltà. La prossima a chiudere sarà Aulnay, la fabbrica vicina a Parigi che oggi costruisce la Citroën C3 ma che all’inizio del 2014 sarà abbandonato dal gruppo Peugeot-Citroën, pronto a collaborare col governo Hollande per trovare una nuova occupazione ai 3.200 operai. Nel 2016 arriverà il turno dei tedeschi, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non avevano mai visto chiudere una fabbrica di automobili. Capiterà a Bochum, lo stabilimento della Opel (3 mila addetti) che oggi costruisce la Zafira e sperava di aggiudicarsi la nuova Astra. La General Motors, la casa di Detroit che controlla la Opel, ha preferito affidare la futura Astra alla fabbrica inglese di Ellesmere Port e a quella polacca di Gliwice. Bochum sarà chiusa nel 2016.
Non è finita. Gli analisti calcolano che nella necessaria riorganizzazione del settore dell’auto europea ci sono ancora una dozzina di fabbriche di troppo. Marchionne ha già chiarito che se le vendite non ripartono sono a rischio altre 2 fabbriche italiane su 5. Ford, che usa i suoi impianti al 63%, probabilmente chiuderà lo stabilimento inglese di Southampton o quello belga di Genk. Nel secondo trimestre dell’anno l’azienda americana ha fatto 1 miliardo di dollari di utili, ma in Europa ha perso 404 milioni e prevede di perderne altri 600 da qui a fine anno. L’altra 'Big' di Detroit, Gm, nel Vecchio Continente perde soldi da più di 10 anni. «Ha senso per Gm e Ford continuare a costruire e vendere macchine in Europa?» ha chiesto nel numero di giugno di Automotive News , la rivista di riferimento dell’auto mondiale, il direttore dell’edizione europea, l’italiano Come dire: chi è 'straniero' e può tirarsi facilmente fuori dal «bagno di sangue» dell’auto europea farebbe meglio a non esitare. Gli altri non possono che restare e lottare per sopravvivere. Fino all’ultimo sconto.
mio pezzo su Avvenire di sabato
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mercoledì 25 luglio 2012
lunedì 2 luglio 2012
La straordinaria crescita polacca
Secondo un recente studio dell'istituto di ricerca economica francese Coe-Rexecode i polacchi lavorano 1.975 ore all'anno, più dei tedeschi e molto più dei francesi, che si fermano a 1.679 ore all'anno. I tedeschi hanno un'efficienza doppia dei polacchi, ma i salari dei polacchi sono un quindi di quelli tedeschi.
Secondo una ricerca di Nomura, la Polonia sarebbe l'unico Paese europeo a non finire in recessione anche nel caso di uno scioglimento della zona euro. Tra il 2008 e il 2011 il Pil della Polonia è salito del 15,8%, quello dell'Europa è sceso dello 0,5%.
dal Ft
Secondo una ricerca di Nomura, la Polonia sarebbe l'unico Paese europeo a non finire in recessione anche nel caso di uno scioglimento della zona euro. Tra il 2008 e il 2011 il Pil della Polonia è salito del 15,8%, quello dell'Europa è sceso dello 0,5%.
dal Ft
domenica 1 luglio 2012
I debiti delle regioni spagnole
Le regioni spagnole hano un debito di 145 miliardi e quest'anno devono raccogliere 35 miliardi di euro. Non sanno come fare, per questo hanno chiesto aiuto allo Stato centrale, che in cambio del sostegno pretende il rispetto di rigorose regole di bilancio. Madrid ha aperto per loro una linea di credito di 5 miliardi e gli ha prestato 17,7 miliardi per pagare i vecchi debiti. Per ora non può fare di più.
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lunedì 25 giugno 2012
I finti tagli agli statali greci
Il settimanale greco To Vima ha pubblicato alcuni dati di un presunto rapporto elaborato dalla troika dove si accusa il governo greco di non concretizzato il taglio degli statali promesso. Tra il 2010 e io 2011 sono andati in pensione 93 mila dipendenti pubblici ma il numero totale degli addetti è rimasto di circa 692 mila persone. Invece che un assunto ogni 5 pensionati il rapporto entranti-uscenti è stato di 1 a 2.
venerdì 22 giugno 2012
E' il minimo.
(AGI/REUTERS) - Atene, 22 giu. - Il neoministro delle Finanze
greco, Vassilis Rapanos, è stato portato in ospedale dopo
essere svenuto. Lo hanno riferito un funzionario del governo e
una fonte della Banca Nazionale di Grecia, di cui Rapanos è il
presidente onorario. "Ha avuto un giramento di testa ed è
svenuto. Trasportato all'ospedale, gli sono stati somministrati
liquidi per via endovenosa e ora sarà sottoposto a controlli",
ha riferito la fonte della Banca. Rapanos avrebbe dovuto
prestare giuramento oggi come ministro del governo di Antonis
Samaras. (AGI)
giovedì 21 giugno 2012
Cattivi segnali da Londra
Un esperto funzionario europeo ha spiegato al Financial Times che Mario Monti si è fatto la fama di uno che dice ai suoi interlocutori quello che vogliono sentirsi dire, ma poi, quando torna in Italia, non mette in pratica quello che promette..
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mercoledì 20 giugno 2012
Scommettere contro i Bund
Diversi gestori di grandi fondi hedge stanno scommettendo su un rialzo dei rendimenti dei Bund tedeschi. Pià del 50% dei manager di hedge fund riuniti sabato scorso a Monaco prevedono un raddoppio dei tassi dei Bund entro un anno.
I numeri della "austerità" Spagnola
Premessa: negli anni del boom immobiliare il governo spagnolo ha fatto piani di spesa a lungo termine (per finanziare aiuti sociali, infrastrutture e stipendi degli statali) finanziandosi con entrate a breve termine.
La spesa pubblica spagnola nel 2011 è stata del 13% più alta di quella del 2007 e il doppio di quella del 2000.
Il deficit di bilancio pubblico spagnolo è peggiorato di 13,1 punti di Pil tra il 2007 e il 2009 a causa di aumenti di spesa e cali di entrate. L'attuale "austerità" ha migliorato il deficit di soli 2,3 punti.
La spesa del governo in rapporto al Pil è aumentata di 4,4 punti tra il 2007 e il 2011 (in Germania di 2,1 punti).
Il debito pubblico spagnolo è aumentato del 90% tra il 2007 e il 2011.
Il governo Zapatero tra il 2008 e il 2009 implementò uno dei maggiori pacchetti di rilancio economico del mondo, paragonabile solo a quello degl Stati Uniti.
Martin Oro, sul Wsj
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martedì 19 giugno 2012
Le previsioni degli analisti per la Grecia
"La Grecia che, al di là dell'esito elettorale continua ad essere percepita come avviata verso un inevitabile fallimento e all'uscita, prima o poi, dall'euro. Le probabilità di un tale evento, nell'arco di 12-18 mesi, sono date al 20% dai più ottimisti (Credit Suisse), al 35% da Morgan Stanley e tra il 50 e il 75% dagli economisti di Citi".
Walter Riolfi sul Sole 24 Ore.
Walter Riolfi sul Sole 24 Ore.
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lunedì 18 giugno 2012
Le sofferenze delle banche spagnole
La Banca di Spagna ha comunicato che il tasso dei crediti in sofferenza è salito all'8,72% ad aprile dall'8,22% di marzo. E' il livello più alto dal 1994. In Spagna le banche hanno crediti che non vengono rimborsati per 152,7 miliardi di euro.
domenica 17 giugno 2012
Da "I Demoni" di Dostoevskij
"E' possibile che non capiscano, che per avere un'opinione occorre prima di tutto il lavoro, il lavoro proprio, la propria iniziativa in ciò che si fa, la propria esperienza! Senza fatica non si ottiene mai nulla. Se lavoreremo, avremo anche la nostra opinione. Ma siccome non lavoreremo mai, così anche l'opinione l'avranno per noi quelli che invece hanno finora lavorato, cioè sempre gli stessi Tedeschi"
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