Cercare un’auto nuova, in questi mesi, può essere un’esperienza gratificante. Costruttori e concessionari si svenano pur di riuscire a piazzare qualche macchina in più, mentre il potenziale acquirente, se la crisi non gli ha svuotato troppo il conto in banca, scopre sorpreso di potersi permettere modelli che fino a poco tempo fa sembravano irraggiungibili. «È un bagno di sangue dei prezzi ed è un bagno di sangue dei margini» ha detto Sergio Marchionne all’International Herald Tribune, irritando i rivali di Volkswagen. I tedeschi negano, ma la disperata guerra degli sconti non è un’invenzione del manager della Fiat. «Ci sono troppi marchi in Europa che competono a prezzi irrazionali» ha spiegato Arndt Ellinghorst, analista del settore auto del Crédit Suisse. Secondo i suoi calcoli, il 60% delle macchine europee sono vendute a prezzi inferiori ai costi di produzione.
Tagliare i prezzi e fare offerte davvero pazzesche è l’unico modo per conquistare clienti in un mercato dell’auto europea tornato ai livelli del 1994. È paradossale che tutto questo avvenga nel momento del boom dell’auto mondiale. Nel 2012 le immatricolazioni di auto nuove a livello globale potrebbero raggiungere il record degli 80 milioni di unità, ma è tutto merito di Cina, India, Russia e Sudamerica, economie emergenti dove ogni anno spuntano decine di milioni di persone diventate abbastanza ricche da potersi comprare una macchina, e fabbriche di automobili pronte ad accontentarle. In Europa le vendite si fermeranno invece sotto i 13 milioni, 3 in meno rispetto all’anno migliore (il 2007) e troppo pochi per fare funzionare le fabbriche, se non quelle di 'lusso' che producono per esportare i veicoli lontano dal Vecchio continente.
Secondo uno studio di AlixPartners le fabbriche di auto europee stanno lavorando al 73% della loro capacità produttiva. In genere, sottolineano gli analisti, la soglia di produttività sotto la quale si lavora in perdita è del 75-80%.
Stanno sopra quella quota Germania e Regno Unito (entrambi all’85%), ci va vicina la Spagna (70%) mentre le fabbriche di Francia (60%) e Italia (54%) sono lontanissime dalla capacità di produrre profitti. Non aspettatevi una ripresa rapida, ha avvertito AlixPartners: i livelli di vendite del 2007 non torneranno prima del 2020. E siccome lavorare in perdita non è un grande affare, diversi costruttori europei stanno studiando il modo per evitare che la disperata guerra al ribasso li faccia fuori. La soluzione che hanno trovato è semplice e brutale: chiudere le fabbriche più problematiche.
Da quando, a dicembre scorso, Marchionne è stato eletto presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili, l’Acea, il manager della Fiat ha insistito su un unico punto: ottenere dall’Europa un piano per la riduzione della produzione di automobili (con l’allegato, non dichiarato, di aiuti comunitari per gestire la chiusura o la riconversione degli impianti). Non ha ottenuto nulla perché il problema della sovracapacità produttiva è soltanto di alcune case e, come abbiamo visto, non di quelle tedesche.
Così la selezione naturale tra le fabbriche va avanti disordinata e spietata. Le 'vittime', per il momento, sono state quattro. La prima è stata la fabbrica di Anversa, dove la General Motors, con il marchio Opel, produceva l’Astra. Ha chiuso a fine 2010, lasciando a casa gli ultimi 2.600 addetti. La seconda è stata Termini Imerese, dove con circa 2 mila operai la Fiat costruiva la vecchia Lancia Y. La fabbrica ha chiuso alla fine dell’anno scorso e la ricerca di nuovi investitori pronti a scommettere sullo stabilimento siciliano procede con molte difficoltà. La prossima a chiudere sarà Aulnay, la fabbrica vicina a Parigi che oggi costruisce la Citroën C3 ma che all’inizio del 2014 sarà abbandonato dal gruppo Peugeot-Citroën, pronto a collaborare col governo Hollande per trovare una nuova occupazione ai 3.200 operai. Nel 2016 arriverà il turno dei tedeschi, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non avevano mai visto chiudere una fabbrica di automobili. Capiterà a Bochum, lo stabilimento della Opel (3 mila addetti) che oggi costruisce la Zafira e sperava di aggiudicarsi la nuova Astra. La General Motors, la casa di Detroit che controlla la Opel, ha preferito affidare la futura Astra alla fabbrica inglese di Ellesmere Port e a quella polacca di Gliwice. Bochum sarà chiusa nel 2016.
Non è finita. Gli analisti calcolano che nella necessaria riorganizzazione del settore dell’auto europea ci sono ancora una dozzina di fabbriche di troppo. Marchionne ha già chiarito che se le vendite non ripartono sono a rischio altre 2 fabbriche italiane su 5. Ford, che usa i suoi impianti al 63%, probabilmente chiuderà lo stabilimento inglese di Southampton o quello belga di Genk. Nel secondo trimestre dell’anno l’azienda americana ha fatto 1 miliardo di dollari di utili, ma in Europa ha perso 404 milioni e prevede di perderne altri 600 da qui a fine anno. L’altra 'Big' di Detroit, Gm, nel Vecchio Continente perde soldi da più di 10 anni. «Ha senso per Gm e Ford continuare a costruire e vendere macchine in Europa?» ha chiesto nel numero di giugno di Automotive News , la rivista di riferimento dell’auto mondiale, il direttore dell’edizione europea, l’italiano Come dire: chi è 'straniero' e può tirarsi facilmente fuori dal «bagno di sangue» dell’auto europea farebbe meglio a non esitare. Gli altri non possono che restare e lottare per sopravvivere. Fino all’ultimo sconto.
mio pezzo su Avvenire di sabato
Tagliare i prezzi e fare offerte davvero pazzesche è l’unico modo per conquistare clienti in un mercato dell’auto europea tornato ai livelli del 1994. È paradossale che tutto questo avvenga nel momento del boom dell’auto mondiale. Nel 2012 le immatricolazioni di auto nuove a livello globale potrebbero raggiungere il record degli 80 milioni di unità, ma è tutto merito di Cina, India, Russia e Sudamerica, economie emergenti dove ogni anno spuntano decine di milioni di persone diventate abbastanza ricche da potersi comprare una macchina, e fabbriche di automobili pronte ad accontentarle. In Europa le vendite si fermeranno invece sotto i 13 milioni, 3 in meno rispetto all’anno migliore (il 2007) e troppo pochi per fare funzionare le fabbriche, se non quelle di 'lusso' che producono per esportare i veicoli lontano dal Vecchio continente.
Secondo uno studio di AlixPartners le fabbriche di auto europee stanno lavorando al 73% della loro capacità produttiva. In genere, sottolineano gli analisti, la soglia di produttività sotto la quale si lavora in perdita è del 75-80%.
Stanno sopra quella quota Germania e Regno Unito (entrambi all’85%), ci va vicina la Spagna (70%) mentre le fabbriche di Francia (60%) e Italia (54%) sono lontanissime dalla capacità di produrre profitti. Non aspettatevi una ripresa rapida, ha avvertito AlixPartners: i livelli di vendite del 2007 non torneranno prima del 2020. E siccome lavorare in perdita non è un grande affare, diversi costruttori europei stanno studiando il modo per evitare che la disperata guerra al ribasso li faccia fuori. La soluzione che hanno trovato è semplice e brutale: chiudere le fabbriche più problematiche.
Da quando, a dicembre scorso, Marchionne è stato eletto presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili, l’Acea, il manager della Fiat ha insistito su un unico punto: ottenere dall’Europa un piano per la riduzione della produzione di automobili (con l’allegato, non dichiarato, di aiuti comunitari per gestire la chiusura o la riconversione degli impianti). Non ha ottenuto nulla perché il problema della sovracapacità produttiva è soltanto di alcune case e, come abbiamo visto, non di quelle tedesche.
Così la selezione naturale tra le fabbriche va avanti disordinata e spietata. Le 'vittime', per il momento, sono state quattro. La prima è stata la fabbrica di Anversa, dove la General Motors, con il marchio Opel, produceva l’Astra. Ha chiuso a fine 2010, lasciando a casa gli ultimi 2.600 addetti. La seconda è stata Termini Imerese, dove con circa 2 mila operai la Fiat costruiva la vecchia Lancia Y. La fabbrica ha chiuso alla fine dell’anno scorso e la ricerca di nuovi investitori pronti a scommettere sullo stabilimento siciliano procede con molte difficoltà. La prossima a chiudere sarà Aulnay, la fabbrica vicina a Parigi che oggi costruisce la Citroën C3 ma che all’inizio del 2014 sarà abbandonato dal gruppo Peugeot-Citroën, pronto a collaborare col governo Hollande per trovare una nuova occupazione ai 3.200 operai. Nel 2016 arriverà il turno dei tedeschi, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non avevano mai visto chiudere una fabbrica di automobili. Capiterà a Bochum, lo stabilimento della Opel (3 mila addetti) che oggi costruisce la Zafira e sperava di aggiudicarsi la nuova Astra. La General Motors, la casa di Detroit che controlla la Opel, ha preferito affidare la futura Astra alla fabbrica inglese di Ellesmere Port e a quella polacca di Gliwice. Bochum sarà chiusa nel 2016.
Non è finita. Gli analisti calcolano che nella necessaria riorganizzazione del settore dell’auto europea ci sono ancora una dozzina di fabbriche di troppo. Marchionne ha già chiarito che se le vendite non ripartono sono a rischio altre 2 fabbriche italiane su 5. Ford, che usa i suoi impianti al 63%, probabilmente chiuderà lo stabilimento inglese di Southampton o quello belga di Genk. Nel secondo trimestre dell’anno l’azienda americana ha fatto 1 miliardo di dollari di utili, ma in Europa ha perso 404 milioni e prevede di perderne altri 600 da qui a fine anno. L’altra 'Big' di Detroit, Gm, nel Vecchio Continente perde soldi da più di 10 anni. «Ha senso per Gm e Ford continuare a costruire e vendere macchine in Europa?» ha chiesto nel numero di giugno di Automotive News , la rivista di riferimento dell’auto mondiale, il direttore dell’edizione europea, l’italiano Come dire: chi è 'straniero' e può tirarsi facilmente fuori dal «bagno di sangue» dell’auto europea farebbe meglio a non esitare. Gli altri non possono che restare e lottare per sopravvivere. Fino all’ultimo sconto.
mio pezzo su Avvenire di sabato
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