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martedì 9 luglio 2013

Il problema di Fiat: quanto costerà sfilarsi?

Secondo Riccardo Ruggeri la questione di Fiat non è tanto il costo del lavoro, quanto la necessità di procedere a tagli strutturali nelle sue fabbriche europee.

Il costo del lavoro operaio (diretti, indiretti, manutentori, ecc.) in Fiat rappresenta il 7 per cento del costo. L’intero processo di fabbrica, dalla lastro-ferratura al montaggio finale, per una Panda vale 11 ore, assumiamo un costo/operaio di 22 euro/ora, totale 242 euro/auto. In Polonia costerebbe 88 euro (8 euro/ora), in Germania 330 (30 euro/ora). Come si vede, il costo del lavoro è poco significativo. Costruire 200.000 Panda in Italia, di puro costo-lavoro, spendi 48 milioni di euro, in Polonia 18 (in crescita), la differenza di 30 milioni è irrilevante, trascurando gli altri ben noti fattori, qualità percepita compresa. [...] Ora sono di nuovo tutti lì a sfruculiare su argomenti irrilevanti o a interpretare sentenze, solo nello specifico, di scarsa rilevanza. In realtà il problema Fiat-Italia noi investitori l’abbiamo chiaro da tempo: “Fiat Auto ha stabilimenti e personale in esubero in termini strutturali, quanto costerà sfilarsi?”.

lunedì 30 luglio 2012

"L'auto sconta la crisi"

Cercare un’auto nuova, in questi mesi, può essere un’esperienza gratificante. Costruttori e conces­sionari si svenano pur di riuscire a piazzare qual­che macchina in più, mentre il potenziale acquirente, se la crisi non gli ha svuotato troppo il conto in banca, sco­pre sorpreso di potersi permettere modelli che fino a po­co tempo fa sembravano irraggiungibili. «È un bagno di sangue dei prezzi ed è un bagno di sangue dei margini» ha detto Sergio Marchionne all’International Herald Tri­bune, irritando i rivali di Volkswagen. I tedeschi negano, ma la disperata guerra degli sconti non è un’invenzione del manager della Fiat. «Ci sono troppi marchi in Euro­pa che competono a prezzi irrazionali» ha spiegato Arndt Ellinghorst, analista del settore auto del Crédit Suisse. Secondo i suoi calcoli, il 60% delle macchine europee so­no vendute a prezzi inferiori ai costi di produzione.
Tagliare i prezzi e fare offerte davvero pazzesche è l’uni­co modo per conquistare clienti in un mercato dell’auto europea tornato ai livelli del 1994. È paradossale che tut­to questo avvenga nel momento del boom dell’auto mon­diale. Nel 2012 le immatricolazioni di auto nuove a livel­lo globale potrebbero raggiungere il record degli 80 mi­lioni di unità, ma è tutto merito di Cina, India, Russia e Sudamerica, economie emergenti dove ogni anno spun­tano decine di milioni di persone diventate abbastanza ricche da potersi comprare una macchina, e fabbriche di automobili pronte ad accontentarle. In Europa le vendi­te si fermeranno invece sotto i 13 milioni, 3 in meno ri­spetto all’anno migliore (il 2007) e troppo pochi per fare funzionare le fabbriche, se non quelle di 'lusso' che producono per esportare i veicoli lon­tano dal Vecchio continente.
Secondo uno studio di AlixPartners le fabbriche di auto europee stanno la­vorando al 73% della loro capacità pro­duttiva. In genere, sottolineano gli a­nalisti, la soglia di produttività sotto la quale si lavora in perdita è del 75-80%.
Stanno sopra quella quota Germania e Regno Unito (en­trambi all’85%), ci va vicina la Spagna (70%) mentre le fab­briche di Francia (60%) e Italia (54%) sono lontanissime dalla capacità di produrre profitti. Non aspettatevi una ripresa rapida, ha avvertito AlixPartners: i livelli di ven­dite del 2007 non torneranno prima del 2020. E siccome lavorare in perdita non è un grande affare, diversi co­struttori europei stanno studiando il modo per evitare che la disperata guerra al ribasso li faccia fuori. La soluzione che hanno trovato è semplice e brutale: chiudere le fab­briche più problematiche.
Da quando, a dicembre scorso, Marchionne è stato elet­to presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili, l’Acea, il manager della Fiat ha insistito su un unico punto: ottenere dall’Europa un piano per la ridu­zione della produzione di automobili (con l’allegato, non dichiarato, di aiuti comunitari per gestire la chiusura o la riconversione degli impianti). Non ha ottenuto nulla per­ché il problema della sovracapacità produttiva è soltan­
to di alcune case e, come abbiamo visto, non di quelle tedesche.
Così la selezione naturale tra le fabbriche va avanti di­sordinata e spietata. Le 'vittime', per il momento, sono state quattro. La prima è stata la fabbrica di Anversa, do­ve la General Motors, con il marchio Opel, produceva l’A­stra. Ha chiuso a fine 2010, lasciando a casa gli ultimi 2.600 addetti. La seconda è stata Termini Imerese, dove con circa 2 mila operai la Fiat costruiva la vecchia Lan­cia Y. La fabbrica ha chiuso alla fine dell’anno scorso e la ricerca di nuovi investitori pronti a scommettere sullo stabilimento siciliano procede con mol­te difficoltà. La prossima a chiudere sarà Aulnay, la fabbrica vicina a Parigi che oggi costruisce la Citroën C3 ma che al­l’inizio del 2014 sarà abbandonato dal gruppo Peugeot-Citroën, pronto a col­laborare col governo Hollande per tro­vare una nuova occupazione ai 3.200 o­perai. Nel 2016 arriverà il turno dei te­deschi, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non avevano mai vi­sto chiudere una fabbrica di automobili. Capiterà a Bo­chum, lo stabilimento della Opel (3 mila addetti) che og­gi costruisce la Zafira e sperava di aggiudicarsi la nuova Astra. La General Motors, la casa di Detroit che control­la la Opel, ha preferito affidare la futura Astra alla fabbrica inglese di Ellesmere Port e a quella polacca di Gliwice. Bochum sarà chiusa nel 2016.
Non è finita. Gli analisti calcolano che nella necessaria riorganizza­zione
 del settore dell’auto euro­pea ci sono ancora una dozzina di fabbriche di troppo. Marchion­ne ha già chiarito che se le vendite non ripartono sono a rischio altre 2 fabbriche ita­liane su 5. Ford, che usa i suoi impianti al 63%, probabil­mente chiuderà lo stabili­mento inglese di Southampton o quello belga di Genk. Nel se­condo trimestre dell’anno l’a­zienda americana ha fatto 1 mi­liardo di dollari di utili, ma in Europa ha perso 404 milioni e prevede di perderne al­tri 600 da qui a fine anno. L’altra 'Big' di Detroit, Gm, nel Vecchio Continente perde soldi da più di 10 anni. «Ha senso per Gm e Ford continuare a costruire e vendere macchine in Europa?» ha chiesto nel numero di giugno di Automotive News , la rivista di riferimento dell’auto mondiale, il direttore dell’edizione europea, l’i­taliano Come dire: chi è 'straniero' e può tirarsi facilmente fuo­ri dal «bagno di sangue» dell’auto europea farebbe me­glio a non esitare. Gli altri non possono che restare e lot­tare per sopravvivere. Fino all’ultimo sconto.



mio pezzo su Avvenire di sabato

mercoledì 13 giugno 2012

Gm chiude la fabbrica di Bochum

General Motors ha annunciato che programma di chiudere la sua fabbrica di Bochum (dove oggi produce l'Opel Zafira) nel 2016. Gli serve a tamponare le perdite. Ha detto Karl-Friederich Stracke, manager della Opel (la divisione europea di Gm): "Con i volumi di mercato attesi in calo del 20% aspettare ancora sarebbe irresponsabile". Questa settimana Renault ha chiesto aiuto al governo per rilanciare le vendite.
Spiega il Wsj: "Per anni, i sindacati e i governi regionali hanno combattuto la volontà di tagliare la produzione mostrata dalle case automobilistiche. Il risultato è un'industria dell'auto europea sovraffollata e non profittevole".
Sembrano parole di Marchionne.

mercoledì 7 marzo 2012

Diritti Globali - "Sede Fiat già in Usa se potessi"

Se è vero quello che scrive oggi Paolo Griseri su Repubblica, Marchionne a Ginevra ha spiegato perché avrebbe senso spostare la sede della Fiat in America: «Se non avessi vincoli sarebbe già successo perché, purtroppo, l´unico modo per spronare la parte italiana è quello di portare fuori mamma chioccia, il capofamiglia e dire: "Bene, ora sono un investitore straniero in questo paese. Mi credete adesso?" Allora forse capirebbero».

Diritti Globali - "Sede Fiat già in Usa se potessi"