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giovedì 4 ottobre 2012

Se le banche non capiscono le imprese

Nel rapporto Liika­nen, il documento sulla riforma del si­stema bancario europeo presentato martedì a Bruxelles dagli esperti inca­ricati di elaborare le loro proposte, a un certo punto compare una classifica del­le principali banche della zona euro ordinate in base al rapporto tra i prestiti che concedono e i loro asset. Nelle prime 10 posizioni ci sono 3 banche italiane: Ubs, prima, Mps, seconda, Inte­sa Sanpaolo, decima. I dati dicono che sono 'generose', le banche italiane, anche se questi istituti faticherebbe­ro a trovare qualche cittadi­no (magari imprenditore) disposto a raccontare la sua bella storia di soddisfazioni raccolte in filiale.
Due studiosi del Politecnico di Milano – Anna Florio e Giangiacomo Nardozzi – hanno analizzato il com­portamento e le scelte fatte dalle banche europee tra il 2007 e il 2009 per arrivare a un paio di conclusioni inte­ressanti. La prima, non sor­prendente, è che c’è una spiegazione di analisi eco­nomica alla stretta dei rubi­netti adottata dalle banche i­taliane ed europee in questi anni: la loro posizione fi­nanziaria è molto peggiora­ta, non sono più riuscite a ottenere fondi sul mercato tradizionale e quindi hanno usato le risorse messe a di­sposizione dalla Bce per compensare un’assenza di fondi sul mercato interban­cario piuttosto che avventu­rarsi in rischiosi prestiti alle imprese. Ma è la seconda conclusione quella più inte­ressante: la recessione ha re­so evidente quanto alle ban­che italiane, soprattutto quelle grandi, manchi la ca­pacità di capire davvero se una piccola o media impre­sa sarà in grado di rimbor­sare il denaro che chiede in prestito. Questo perché al di là delle informazioni ufficiali l’istituto di credito avrebbe bisogno di una serie di dati 'informali' sullo stato di sa­lute di un’azienda, elemen­ti che si possono ottenere soltanto grazie a una solida relazione con il cliente. «La flessibilità nell’utilizzo di ra­ting di credito che derivano da modelli standardizzati è limitata» ricordano i due studiosi. Banche che non ca­piscono le imprese faticano a concedere loro prestiti.
Lo studio di Florio e Nar­dozzi apre il 17esimo rap­porto della Fondazione Ros­selli, incentrato sulla crisi del modello della banca com­merciale territoriale italiana. Il rapporto, a cura degli eco­nomisti Giampio Bracchi e Donato Masciandaro, mo­stra come il modello della banca italiana – che racco­glie depositi per fare credito alle imprese mantenendo un rapporto abbastanza sta­bile tra i due elementi – ab­bia resistito bene alla crisi e­conomica internazionale, ma adesso si debba con­frontare con il problema del­la redditività. «Per due de­cenni questo modello è sta­to dopato – spiega Mascian­daro – se volete stabilità non potete volere anche rendi­menti a due cifre. Se si ac­cettano rendimenti a due ci­fre allora bisogna accettare che le banche possano falli­re ». Gli utili delle banche i­taliane si stanno assotti­gliando e questo le costrin­ge a studiare soluzioni per ridurre i costi – a partire da un taglio al numero delle fi­liali – senza rinunciare alla vocazione originaria di ban­che commerciali territoria­li. Sarà uno «sforzo enorme» ricordano gli esperti della Fondazione Rosselli. Per chi volesse vederne una confer­ma concreta basta dare un’occhiata agli ostacoli che sta incontrando il piano in­dustriale elaborato da Ales­sandro Profumo e Giuseppe Viola per il Monte dei Paschi. Un piano a base di tagli per ritrovare l’utile. 

da Avvenire

mercoledì 3 ottobre 2012

Il processo (molto politico) a JPMorgan


Bear Stearns, che prima della crisi era la quinta banca d’America, ha venduto titoli legati a mutui immobiliari spacciandoli per investimenti sicuri, ma sapeva che in realtà non valevano quasi nulla. JPMorgan, che nel 2008 su pressione del Tesoro e della Federal Reserve ha dovuto comprare l’istituto rivale per salvarlo, adesso dovrà rispondere di quei comportamenti. È davvero un anno maledetto per la banca guidata da Jamie Dimon, la più grande degli Stati Uniti: dopo avere subito il caso di Bruno Iksil, il trader basato a Londra che con le sue scommesse ardite e massicce sui derivati le ha fatto perdere più o meno 9 miliardi di dollari, adesso dovrà gestire una complicata vicenda giudiziaria che ha anche un sapore molto politico.
L’indagine è stata annunciata ieri da Eric Schneiderman, procuratore generale di New York, che si è mosso come uno dei cinque co-presidenti del <+corsivo>Residential Mortgage Backed Securities working group<+tondo>, la task force sui titoli legati ai mutui immobiliari creata da Obama a gennaio per indagare sui comportamenti e sulle responsabilità che hanno portato alla crisi dei subprime, origine della sconquasso dell’economia globale. L’accusa riguarda Bear Stearns: tra il 2006 e il 2007 la banca ha venduto titoli basati su mutui ipotecari che si sono rivelati fallimentari causando agli investitori perdite stimate in 22,5 miliardi di dollari. Secondo il procuratore Bear Stearns sapeva che quei titoli avevano un alta probabilità di rivelarsi insolventi, ma li ha comunque raccomandati come investimenti sicurissimi. Visto che la banca "colpevole" non esiste più, il procuratore di New York ha messo sotto accusa JPMorgan, che nel marzo del 2008 (cioè prima del fallimento di LehmanBrothers) ha inglobato la banca a un prezzo irrisorio per evitarne il fallimento. «I clienti di Bear Stearns possono essere sicuri che JPMorgan garantirà il loro rischio di controparte» aveva assicurato il manager Dimon nell’annunciare l’operazione, che gli era stata imposta dalla Federal Reserve e dal Tesoro. Con un simile appoggio sicuramente non poteva immaginare future grane tribunalizie. Ha sottolineato ieri il portavoce della banca: «La causa riguarda interamente la condotta storica di un’entità che abbiamo acquistato nel giro di un fine settimana su ordine del governo americano». Secondo alcune indiscrezioni la vicenda potrebbe chiudersi con un patteggiamento che costerebbe a JpMorgan 2 o 3 miliardi di dollari.
Gli investitori non sono sembrati molto preoccupati: a Wall Street il titolo della prima banca degli Usa ha perso meno dello 0,5%. Probabilmente perché l’accusa potrebbe rivelarsi solo un’operazione elettorale. Schneiderman è di fede democratica, eletto procuratore generale di New York nel 2010 come candidato del partito di Obama. È lo stesso giudice che all’inizio del mese ha accusato di elusione fiscale la Bain Capital, la società di investimenti fondata da Mitt Romney, l’avversario di Obama per la Casa Bianca, lo stesso che domani affronterà il presidente nel primo scontro televisivo. La task force sui mutui di cui fa parte era stata fondata da Obama a gennaio. «Questa squadra ci aiuterà a girare la pagina su un’era di irresponsabilità» aveva detto il presidente, ma da allora la task force non aveva dato nessun risultato. Stasera Obama potrà invece parlare davanti alle telecamere di questa indagine sulle origini della crisi per ammorbidire un po’ la realtà di un tasso di disoccupazione sopra l’8%. E il tutto a scapito dell’amico e sostenitore Dimon, manager di JPMorgan da 23 milioni all’anno (il più pagato degli Usa) che ancora un paio di mesi fa veniva indicato dal presidente come «uno dei più abili banchieri che abbiamo».
da Avvenire di oggi

giovedì 30 agosto 2012

In vacanza

Il blog resta fermo fino a fine settembre.
Ciao!

Il nuovo capitolo della vicenda Suntech


Nuovi guai italiani per il colosso cinese Suntech. Dopo che a fine luglio l’azienda leader nei pannelli fotovoltaici ha dovuto ammettere che i 560 milioni di Bund tedeschi messi in garanzia da un socio del Global Solar Fund (il Gsf, con cui il gruppo investe in Europa e in Italia) probabilmente non esistono, ieri tramite l’agenzia "Reuters" è emerso che lo stesso fondo è indagato a Brindisi per truffa allo Stato. Le controllate del Gsf avrebbero infatti aggirato la procedura per l’autorizzazione della realizzazione di parchi fotovoltaici con l’obiettivo di ottenere i generosi sussidi offerti dall’Italia. La legge fissa requisiti di un certo tipo per il via libera alla costruzione di parchi di potenza superiore a 1 MW e invece prevede un percorso agevolato per quelli di taglia minore. L’accusa del procuratore brindisino Nicolangelo Ghizzardi dice che le controllate del fondo della Suntech costruivano parchi di grandi dimensioni dividendoli in tanti impianti da 1 MW per ottenere i permessi più rapidamente. In un caso queste aziende avrebbero anche definito realizzato un impianto ancora in costruzione solo per non superare la scadenza prevista per gli incentivi. Se le accuse fossero confermate le controllate del fondo Gsf sarebbero costrette a spegnere i loro 20 MW di impianti fotovoltaici in Puglia, per un danno economico stimato in almeno 80 milioni di euro. Per Suntech, che già fatica a rimborsare gli 1,6 miliardi che deve alle banche e che probabilmente dovrà farsi carico dei 560 milioni di debiti rimasti senza garanzia, è un altro potenziale colpo letale.
da Avvenire di oggi.

martedì 28 agosto 2012

La Apple, la Xerox, la Samsung. E Android


Apple teme che Google le faccia quello che, negli anni '80, le ha fatto la Microsoft. Un po' di storia: Steve Jobs e Bill Atkinson (il disegnatore del Macintosh) crearono il primo Mac prendendo molti elementi dell'Alto, il computer elaborato dal Palo Alto Research Center della Xerox. Quel computer aveva molte novità, compresi il mouse e le finestre pop-up. Jobs visita il centro Xerox nel '79 e due giorni dopo chiede ad Atkinson di disegnare un computer con un mouse. Era l'Apple Macintosh, che debuttò nel 1984. Il computer però non vendeva e nel 1985 Jobs dovette lasciare la Apple. Bill Gates aveva introdotto Windows nel 1983, ma il sistema operativo funzionava malissimo fino alla versione aggiornata nel 1986. Windows aveva molte delle funzioni introdotte dalla Apple. Rapidamente il sistema della Microsoft divenne il re del mercato lasciando ad Apple una quota minima, attorno al 3%. Steve Jobs temeva che Android sarebbe stato per Apple il nuovo Windows. Nell'autobiografia dettata a Isaacson ha detto: "Google...ha fregato l'iPhone, il mercato all'ingrosso ci ha fregati. Se sarà necessario spenderò il mio ultimo respiro e spenderò fino all'ultimo i 40 miliardi di dollari delle casse della Apple per riparare questo torto. Distruggerò Android perché è un prodotto rubato...sarò termonucleare su questo".
dal Wsj

domenica 26 agosto 2012

Gli scioperi alla Hyundai


Alla Hyundai-Kia i dipendenti hanno iniziato a scioperare all'inizio di luglio per chiedere stipendi più alti e migliori condizioni di lavoro, inclusa la fine dei turni di notte. La protesta sta danneggiando la produzione: assieme hanno perso 90 mila auto, per un costo di 1,5 miliardi di dollari. I concessionari americani hanno ormai i parcheggi vuoti.
dal Wsj

sabato 25 agosto 2012

La deflazione che manca nella zona euro


Il principale problema della "periferia dell'euro" potrebbe essere che in questi paesi gli stipendi si stanno riducendo, ma i prezzi non scendono. Nel primo decennio dell'euro la periferia della zona euro ha avuto tassi di inflazione superiori a quelli tedeschi, aiutando la Germania a diventare il centro di produzione low cost dell'area. Perché la riduzione dei salari in Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia non danneggi i consumi interni occorre che anche i prezzi scendano, con tassi di inflazione che devono restare sotto quelli della Germania e in alcuni casi, come in Grecia, andare sotto zero. In Grecia, assicura Michail Chalaris, direttore dell'ispettorato nazionale sul lavoro "c'è margine per tagliare i prezzi senza eliminare i profitti. Forse il motivo è molto molto antico: l'avidità".
dal Wsj