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venerdì 26 ottobre 2012

L'auto in ritirata.

La selezione naturale delle fabbriche d’auto europee procede inesorabile. Ford ha annunciato che chiuderà entro la fine del 2014 lo stabilimento di Genk, in Bel­gio, dove oggi con 4.300 addetti costruisce la Mondeo, il Galaxy e il S-Max. Fra due anni questi veicoli finiranno fuori produzione, Ford ha deciso di affidare la costruzione dei nuovi modelli alla fabbrica spagnola di Valencia, do­ve produce la monovolume C-Max con 3.500 operai che, secondo i calcoli degli analisti, co­stano il 75% in meno dei loro colleghi belgi. Il mercato dell’auto europea vive una crisi strut­turale, lo stabilimento spagnolo lavora al 50-60% della sua capacità produttiva. Con i nuo­vi modelli potrà raggiungere quell’80% con­siderato la soglia minima per non lavorare in perdita. La Ford, come la Fiat, oggi perde sol­di in Europa e li guadagna altrove. A Detroit prevedono di chiudere il 2012 con 9 miliardi di dollari di utili. Sarebbero stati 10, ma l’atti­vità europea farà un rosso di 1 miliardo. A o­gni auto costruita nel Vecchio Continente, spiegano i manager, corrisponde una perdita di 1.125 euro; abbandonare il Belgio costerà 1,1 miliardi di dollari ma permetterà di ri­sparmiare ogni anno 730 milioni. Probabil­mente giovedì annunceranno anche la chiu­sura della fabbrica inglese di Southampton, 500 dipendenti.
Quella di Genk, aperta nel 1964, è la quinta fabbrica europea di automobili di cui è stata pianificata la chiusura negli ultimi due anni. La General Motors nel 2010 ha chiuso lo sta­bilimento di Anversa, ancora in Belgio, e pro­getta di fermare nel 2014 la fabbrica tedesca di Bo­chum. L’anno scorso Fiat ha lasciato Termini Ime­rese. Psa, cioè il gruppo Peugeot-Citroën, ha an­nunciato che interrom­perà la produzione ad Aulnay, a una manciata di chilometri da Parigi.
Quest’ultima chiusura però potrebbe essere e­vitata grazie all’intervento dello Stato. Psa è in profonda crisi (in 6 mesi ha perso 819 milio­ni di euro) e ieri, oltre ad annunciare una rafforzamento dell’alleanza con General Mo­tors, ha ufficialmente ottenuto l’aiuto forma­le del governo francese. Lo Stato concederà 7 miliardi di euro di garanzie e 11,5 miliardi di rifinanziamenti al Banque Psa Finance, l’isti­tuto con cui la casa automobilistica finanzia gli acquisti delle sue auto. La banca della Peu­geot all’inizio del mese è stata declassata da Moody’s al livello di 'spazzatura', e senza aiu­ti rischiava di rimanere a corto di liquidità. Il sostegno statale non è gratis: prestiti e garan­zie sono a pagamento, inoltre l’azienda non potrà distribuire dividendi né pagare stock option ai manager e ha dovuto accettare l’in­gresso di un rappresentante dello Stato e di u­no dei sindacati nel suo consiglio di sorveglianza. Probabilmente anche il piano di tagli e chiusure annunciato in estate (gli esuberi previsti sono 10 mila) dovrà essere am­morbidito. Arnaud Mon­tebourg, ministro dello Sviluppo economico di Hollande, lo ha chiesto esplicitamente.
Attenzione, però, perché anche l’auto euro­pea ha i suoi falchi. Falchi, come al solito, te­deschi. David McAllister, primo ministro del­lo Stato della Bassa Sassonia, azionista di Volk­swagen con una quota del 20%, ha già invita­to il governo di Berlino a chiedere alla Com­missione europea di verificare se quelli previ­sti dal piano francese non siano aiuti di Stato illegali. Mentre tutte le case automobilistiche europee sono più o meno in difficoltà Volk­swagen, Mercedes e Bmw sanno come resi­stere. Ieri Volkswagen ha mostrato i conti dei primi 9 mesi: ha fatto 8,8 miliardi di utili, po­co meno di un anno fa, ma conta di chiudere l’anno con 11,3 miliardi di profitti. Fiat-Chry­sler, che presenterà i suoi risultati martedì, nel 2012 potrebbe fare utili per 1,1 miliardi. Die­ci volte meno. Più forti degli altri, i tedeschi comprensibilmente non vogliono che i loro rivali europei in difficoltà siano aiutati. È il mercato. Sergio Marchionne come presiden­te di turno dell’Acea, l’associazione dei pro­duttori europei, ha tentato di ottenere Bruxel­les un piano di sostegno che aiuti il settore a ridurre la capacità produttiva (ad esempio a­gevolazioni per riconvertire le fabbriche), ma Volkswagen è intervenuta per fermarlo. Così, senza una strategia comune, ogni Paese del­l’Unione europea ora va per la sua strada nel­la gestione della crisi dell’auto. E ai manager costretti a chiudere fabbriche rimaste senza mercato tocca sorbirsi le periodiche lezioni di Martin Winterkorn, il numero uno di Volk­swagen. Ieri, in occasione dei conti, il tema è stato 'perché non delocalizzare': «Dove scom­pare la produzione – ha ricordato a tutti il ma­nager tedesco – scompare, a breve o lungo ter­mine, anche lo sviluppo». 

da Avvenire

martedì 23 ottobre 2012

Hyundai anche in Brasil

"Chi sono i concorrenti più pericolosi? La risposta del manager tedesco è netta: «Più dei cinesi, mi preoccupano i coreani». Hyundai ha per ora una quota di mercato dell'1,5%, ma la sua fabbrica a Piracicaba, nella regione di San Paolo, è appena entrata in funzione: la casa coreana punta a produrre 150mila unità l'anno prossimo, con un modello di business particolare: la rete commerciale dei modelli prodotti qui (con la sigla HB, Hyundai Brasil) sarà completamente separata da quelli importati".
Martin Winterkorn di Voliswagen al Sole24Ore

domenica 26 agosto 2012

Gli scioperi alla Hyundai


Alla Hyundai-Kia i dipendenti hanno iniziato a scioperare all'inizio di luglio per chiedere stipendi più alti e migliori condizioni di lavoro, inclusa la fine dei turni di notte. La protesta sta danneggiando la produzione: assieme hanno perso 90 mila auto, per un costo di 1,5 miliardi di dollari. I concessionari americani hanno ormai i parcheggi vuoti.
dal Wsj

martedì 24 luglio 2012

Nissan produrrà auto in Corea del Sud

Per la prima volta nella storia dell'industria dell'auto giapponese un produttore nipponico realizzerà vetture in Corea del Sud. Nissan ha scelto di costruire a Busan la nuova Rogue, un suv. Le auto saranno vendute, dal 2014, negli Stati Uniti (ci si aspetta 80 mila auto all'anno). E' una mossa quasi obbligata dallo yen forte. L'impianto di Busan appartiene alla Renault (alleata di Nissan) in joint venture con la Samsung, oggi è utilizzato solo al 60% perché l'azienda fatica a fare concorrenza alla Hyundai.
dal Ft

sabato 23 giugno 2012

La Fiat piace se è americana


Le sorti della Fiat sono sempre più slegate da quelle dell’Italia. Lo confermano con chiarezza due interviste a grandi manager dell’industria dell’auto pubblicate ieri con una curiosa coincidenza. Nella prima, concessa a InterautoNews, Mong-Koo Chung, presidente e manager della Hyundai, spiega che non ha nessuna intenzione di venire a costruire macchine in Italia. A Sergio Marchionne, che ha proposto ai costruttori internazionali di usare le fabbriche europee che la Fiat non sta utilizzando a pieno ritmo, il capo della Hyundai ha risposto di non essere interessato: «Vogliamo concentrarci sulla qualità e questo è possibile soltanto se produciamo dentro i nostri stabilimenti e non in altri perché solo così possiamo avere il controllo totale su quello che facciamo».
Qualcuno che però vuole lavorare con la Fiat c’è. «Se parlate con Marchionne, ditegli di chiamarmi» ha scherzato Stefan Jacoby, amministratore delegato della Volvo, in un’intervista uscita ieri su <+corsivo>Automotive News<+tondo>. La svedese Volvo, che apparteneva all’americana Ford, due anni fa è stata comprata dalla cinese Geely e ora è in cerca di partner. Attenzione, però: anche in questo caso l’Italia non è coinvolta. «In 5 o 6 anni abbiamo bisogno di trovare una soluzione adatta in Nord America – ha spiegato Jacoby –. Costruirci una fabbrica mi sembra un progetto improbabile. Cerco un partner che ci possa aiutare a utilizzare uno stabilimento americano». E allora «Fiat è ovviamente una delle alternative» ha concluso il manager, confermando così che la Fiat che funziona e che attira, oggi, è solo quella a stelle e strisce.

mio pezzetto su Avvenire del 23 giugno 2012

mercoledì 9 maggio 2012

La forza di Hyundai

Tra i punti di forza della Hyundai, il gruppo coreano diventato quarto maggiore produttore di auto del mondo (7 milioni di auto previste per il 2012), una forte catena del valore interna: l'azienda si fa da sola l'acciaio in un impianto da 11 miliardi di dollari della Hyundai Steel, mentre Mobis, la divisione componentistica, assemblea e rifornisce interi moduli, come la scocca. Il presidente-azionista di controllo Chung Mong-koo passa per essere ossessionato dalla qualità. Ha 74 anni, presto potrebbe lasciare il controllo al figlio. Quest'anno l'azienda ha aperto la sua prima fabbrica  sudamericana, in Brasile. Ora copre tutti i principali mercati del mondo.