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giovedì 24 maggio 2012

Lo shale gas taglia le emissioni

Di tutte le nazioni analizzate dall'Agenzia internazionale per l'energia, quella che ha ottenuto la migliore riduzione nelle emissioni di gas serra sono gli Stati Uniti, capace di tagliare le emissioni di 450 milioni di tonnellate in cinque anni. Negli ultimi 12 mesi, secondo il Dipartimento Usa per l'Energia, la produzione di elettricità da carbone è diminuita del 19%, quella da gas è aumentata del 38%. E una centrale a gas in genere produce metà delle emissioni serra di una centrale a carbone.

La straordinaria ripresa islandese

L'Islanda, che nel 2008 ha fatto bancarotta per l'implosione del suo sistema bancario, si sta riprendendo. Il Pil è salito del 3% lo scorso anno e dovrebbe fare +2,4% nel 2012. Nel 2009 era caduto del 7% e nel 2010 del 4%. La strategia islandese è stata quella di adottare un percorso autonomo. Il governo ha scaricato sui creditori internazionali le perdite del suo sistema bancario, ha svalutato la sua moneta, la krona, del 50%, ha imposto forti controlli sui capitali per evitare fughe all'estero.

Il risultato è stato un aumento di alcuni costi - come i carburanti, i finanziamenti e in generale i beni importati - e un miglioramento dell'export, che conta per il 54% del Pil del Paese. La disoccupazione è al 6,3%, l'inflazione in 4 anni è stata del 26% e ora il trend sul 2011 è del 4,8%. Gli stipendi sono diminuiti ma sono comunque più alti della media europea: l'equivalente di 10 euro all'ora per i meno qualificati, contro i 20 di prima del 2008.

In questa risalita gli islandesi hanno però qualche vantaggio che li rende poco imitabili: sono molto lontani dal resto d'Europa, per scaldare le case usano l'energia geotermica (un'energia autoctona) e sono solo 320 mila persone.

Raffinerie a secco


"Lo scorso anno la libica Tamoil ha definitivamente spento la raffineria di Cremona. A fine gennaio la Erg è scesa al 20% nell'isab di Priolo, ora in mano a Lukoil per 1'80%. Il gruppo della famiglia Garrone, in un'audizione alla Camera, ha calcolato che se non avesse ceduto a fine 2008 una prima metà della raffineria
ai russi avrebbe bruciato 600 milioni di euro nei tre anni successivi, «probabilmente causando ti fallimento dell'intera azienda». Nel complesso il sistema italiano pub «lavorare» oggi un centinaio di milioni di tonnellate l'anno di greggio (erano 180 nei 1976) ma i consumi superano di poco i 70 milioni. in questo spazio, si fa
spesso notare, potrebbero «ballare?? (cioè sparire)  4-5 medie raffinerie. Oggi sul territorio nazionale ce ne sono 15, e da un paio di anni a questa parte il toto-chiusura è diventato un gioco un po' funereo ma molto attuale. Non che in Europa lo scenario sia molto diverso. L'ultimo schianto è stato quello di Petroplus cinque raffinerie tra Svizzera, Belgio, Francia, Germania e Regno Unito".

Stefano Agnoli sul Corriere

mercoledì 23 maggio 2012

Il Fatto si dà il dividendo

Giorgio Poidomani lascia il Fatto Quotidiano. Si dice, ma lui nega, che se ne sia andato in polemica con la decisione dei soci di distribuirsi 3,16 milioni di euro di dividendo per l'esercizio 2011, stessa somma distribuita  nel 2010. Al suo posto Cinzia Monteverdi, che ha il 16,2% delle azioni.


I conti del dividendo: "Antonio Padellaro, direttore del quotidiano e in possesso del 16,2%, si è quindi messo in tasca altri 552 mila euro lordi, che sommati ai 552 mila dell'anno prima e ai 138 mila del parziale esercizio 2009, fanno un totale di 1.242.000 euro di soli dividendi (cui aggiungere lo stipendio). L'affare del secolo, insomma, per un investimento iniziale di 100 mila euro. Il vicedirettore Marco Travaglio, che possiede il 4,8%, incassa un dividendo di 165.600 euro, mentre Peter Gomez, direttore della edizione on line, col suo 3,25% ha un dividendo di 110.400 euro. Per l'ex magistrato Bruno Tinti (8,1%) ci sono 276 mila euro, e per il giornalista Marco Lillo (2,43%) quasi 83 mila euro. Gli altri azionisti-imprenditori, titolari, invece, di azioni di tipo A, da Luca d'Aprile alla stessa Monteverdi, da Francesco Aliberti alla casa editrice Chiarelettere, tutti col 16,2%, incassano, infine, ciascuno 480 mila euro"


Claudio Plazzotta su Italia Oggi

martedì 22 maggio 2012

Il motore della crescita tedesca

Oggi a Milano Ludger Schuknecht, direttore generale del ministero delle Finanze tedesco, ha spiegato una cosa semplice: l'unico modo che la periferia europea ha di risolvere la sua crisi è rendersi abbastanza competitivo da tornare a crescere. Una riforma del lavoro che permetta di spostare la forza lavoro dalle imprese improduttive a quelle produttive sarebbe un primo passo. Il secondo è il contenimento dei salari. Nel frattempo tagliare tagliare tagliare la spesa pubblica.



La variazione del costo del lavoro in Germania e nella zona euro tra il 1995 e il 2011, dal Wsj

sabato 19 maggio 2012

Le colpe dello spread

"Bisogna ricordare che dal 1990 al 1995, prima che l’Italia si avviasse verso l’ingresso nell’euro, la media dello spread BTP-Bund era di 500 p.b.. Perché nessuno si lamentava allora? Perché avevamo ancora la lira e, all’occorrenza, era possibile che la lira si svalutasse, ridando fiato alla competitività del made in Italy. Naturalmente, da quando siamo nell’euro, quella possibilità di ridare ossigeno alle tante fabbrichette di casa nostra non c’è più. Però abbiamo avuto grandi vantaggi perché, per quasi quindi anni, abbiamo pagato i tassi tedeschi, o quasi, sui nostri debiti, ivi incluso il debito pubblico. Infatti, con l’avvento dell’euro, e già prima, lo spread si azzerava (o quasi) e rimaneva su quei livelli più o meno fino alla prima parte del 2011. E allora il conto lo si può fare di quanti interessi sul debito pubblico l’euro ci ha risparmiato per circa quindici anni. Calcolando prudenzialmente una riduzione dello spread di 400 p.b. rispetto al periodo pre-euro, si arriva almeno a 60 miliardi di minori interessi all’anno sul debito pubblico italiano. In tutto, se consideriamo il quindicennio nel quale abbiamo goduto del bonus “tedesco” sui tassi di interesse, si cumula un ammontare di oltre 800 miliardi di interessi risparmiati. Insomma, se i nostri politici – di destra e di sinistra – invece di rilassarsi e di accontentare i tanti loro amici avessero usato il bonus tedesco per ridurre il debito pubblico, oggi ci troveremmo con un rapporto debito pubblico/PIL (il valore della produzione di un anno intero) al 70%, anziché al livello attuale del 120%".
Giovanni Ferri, su FirstOnline

Un Brasile quasi europeo

A marzo il Pil del Brasile si è contratto dello 0,35% rispetto a febbraio. Un calo che fa del paese governato da Dilma Roussef la seconda economia più lenta dell'America latina, dopo l'Argentina. Nel primo trimestre la crescita si è quindi fermata all'1,1%, dopo l'1% dell'ultimo trimestre 2011. Già lo scorso anno si era concluso con risultati economici deludenti: il Pil era cresciuto solo del 2,7%.Il real si sta svalutando, è sceso sotto i 50 centesimi di dollaro per la prima volta  da tre anni. Tra  altre economie emergenti, nel primo trimestre la Cina è cresciuta dell'8,1% (+8,9% il Pil di fine 2011), mentre l'India del 6,1% (in calo rispetto al +8% di ottobre-dicembre). Poche settimane fa la banca centrale brasiliana ha tagliato il costo del denaro di 350 punti base, portandolo al 9%. Potrebbe presto annunciare un nuovo taglio, all'8,5%.