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mercoledì 27 febbraio 2013

Per domare lo spread, teniamo buona la Merkel

Sbaglia chi dice che i merca­ti stanno punendo l’Italia perché si è rivelata più 'an­ti- Europa' di quanto si pensasse. «Se c’è qualcuno che è sicura­mente poco filo-Europa quelli so­no i trader. È curioso: il problema dell’Europa, per chi la guarda da Londra o New York, è la crescita, non il debito. Gli investitori si chiedono quello che si chiede Paul Krugman: come può il Vec­chio Continente sopportare tut­ta questa austerità?». Alessandro Fugnoli, strategist della società di gestione del risparmio Kairos, in­vita a guardare le cose da una pro­spettiva un po’ diversa.
La Borsa precipita e lo 'spread' si allarga. Se non è una punizio­ne
 sembra quanto meno il sinto­mo di una certa preoccupazio­ne.
L’ingovernabilità spaventa non perché l’Italia potrebbe abban­donare certe misure di austerità, ma perché potrebbe nascere un governo più ostile alla Germania. Il problema, infatti, non sta nei fondamentali, ma in quello che pensa la Germania.

In che senso?

Prendiamo la Spagna. Aveva pro­messo che avrebbe fatto un defi­cit del 4,5%. A un certo punto ha rinegoziato le condizioni e ha ot­tenuto di potere arrivare al 6%. Alla fine il rosso è stato del 10%. Madrid ha mancato clamorosa­mente i suoi obiettivi di bilancio ma sui mercati non c’è stato nes­suno scossone. Sa perché? Perché
 alla Germania andava bene co­munque, la Merkel ha apprezza­to la buona volontà di Rajoy e non ha voluto esasperare le cose. Gli investitori lo hanno capito.
Anche l’Italia può contare su que­sta accondiscendenza tedesca?

Sicuramente, ma serve un gover­no che in qualche modo 'renda o­maggio' all’Europa, un esecutivo
 che non esageri nei toni ostili ver­so la Merkel. Fino alle elezioni te­desche di settembre, Berlino si potrebbe accontentare della no­stra buona volontà. La nuova dot­trina economica europea, non detta ma praticata, dice che gli scostamenti nel bilancio sono ac­cettati ex post. Conta la volontà. Già lo stiamo sperimentando: è passato il criterio che quando parliamo di deficit parliamo di quello 'strutturale', non del de­ficit complessivo. Corretto per il ciclo economico, il concetto di deficit è molto più elastico.
Però lo spread è già balzato sopra i 340 punti. Possiamo sperare che trovi un nuovo equilibrio a que­sti
 livelli?
Sicuramente vedremo più varia­bilità di quella degli ultimi mesi.
 Ma non credo che rivedremo i 500 punti. La nostra situazione, an­che con questa instabilità politi­ca, non è terrificante. Per fare im­pennare lo 'spread' occorrereb­be un governo apertamente osti­le ai tedeschi e all’Europa. A quel punto Berlino saprebbe come al­zare la temperatura con qualche dichiarazione pesante: i governi e Bruxelles sanno bene quali sono le formule giuste per istigare lo 'spread'. I tedeschi teorizzavano proprio l’uso del differenziale in chiave pedagogica...
Pensa che l’Italia dovrà alla fine fare ricorso al salvagente della Banca centrale europea?

Credo che si possa evitare l’ac­cesso al programma Omt. La si­tuazione non è certo terrificante. Ma serve anche la buona volontà
 di capire che non possiamo con­tinuare ad aumentare il nostro debito: non tanto per rispettare i criteri europei, ma per il nostro bene. Non possiamo andare a­vanti senza fare nulla nella spe­ranza che alla fine ci salverà co­munque qualcun altro.
Certo, difficilmente il prossimo governo vorrà essere ricordato come quello che ha invitato l’Eu­ropa a salvare l’Italia.

Sì, c’è uno 'stigma' negativo non indifferente, però l’esecutivo po­trà sempre dare la colpa al gover­no precedente. E ci sono comun­que dei rischi: in questi anni di crisi della zona euro abbiamo im­parato che non c’è niente di irre­versibile, nemmeno i salvataggi.


da Avvenire di oggi

sabato 19 maggio 2012

Le colpe dello spread

"Bisogna ricordare che dal 1990 al 1995, prima che l’Italia si avviasse verso l’ingresso nell’euro, la media dello spread BTP-Bund era di 500 p.b.. Perché nessuno si lamentava allora? Perché avevamo ancora la lira e, all’occorrenza, era possibile che la lira si svalutasse, ridando fiato alla competitività del made in Italy. Naturalmente, da quando siamo nell’euro, quella possibilità di ridare ossigeno alle tante fabbrichette di casa nostra non c’è più. Però abbiamo avuto grandi vantaggi perché, per quasi quindi anni, abbiamo pagato i tassi tedeschi, o quasi, sui nostri debiti, ivi incluso il debito pubblico. Infatti, con l’avvento dell’euro, e già prima, lo spread si azzerava (o quasi) e rimaneva su quei livelli più o meno fino alla prima parte del 2011. E allora il conto lo si può fare di quanti interessi sul debito pubblico l’euro ci ha risparmiato per circa quindici anni. Calcolando prudenzialmente una riduzione dello spread di 400 p.b. rispetto al periodo pre-euro, si arriva almeno a 60 miliardi di minori interessi all’anno sul debito pubblico italiano. In tutto, se consideriamo il quindicennio nel quale abbiamo goduto del bonus “tedesco” sui tassi di interesse, si cumula un ammontare di oltre 800 miliardi di interessi risparmiati. Insomma, se i nostri politici – di destra e di sinistra – invece di rilassarsi e di accontentare i tanti loro amici avessero usato il bonus tedesco per ridurre il debito pubblico, oggi ci troveremmo con un rapporto debito pubblico/PIL (il valore della produzione di un anno intero) al 70%, anziché al livello attuale del 120%".
Giovanni Ferri, su FirstOnline