La selezione naturale delle fabbriche d’auto europee procede inesorabile. Ford ha annunciato che chiuderà entro la fine del 2014 lo stabilimento di Genk, in Belgio, dove oggi con 4.300 addetti costruisce la Mondeo, il Galaxy e il S-Max. Fra due anni questi veicoli finiranno fuori produzione, Ford ha deciso di affidare la costruzione dei nuovi modelli alla fabbrica spagnola di Valencia, dove produce la monovolume C-Max con 3.500 operai che, secondo i calcoli degli analisti, costano il 75% in meno dei loro colleghi belgi. Il mercato dell’auto europea vive una crisi strutturale, lo stabilimento spagnolo lavora al 50-60% della sua capacità produttiva. Con i nuovi modelli potrà raggiungere quell’80% considerato la soglia minima per non lavorare in perdita. La Ford, come la Fiat, oggi perde soldi in Europa e li guadagna altrove. A Detroit prevedono di chiudere il 2012 con 9 miliardi di dollari di utili. Sarebbero stati 10, ma l’attività europea farà un rosso di 1 miliardo. A ogni auto costruita nel Vecchio Continente, spiegano i manager, corrisponde una perdita di 1.125 euro; abbandonare il Belgio costerà 1,1 miliardi di dollari ma permetterà di risparmiare ogni anno 730 milioni. Probabilmente giovedì annunceranno anche la chiusura della fabbrica inglese di Southampton, 500 dipendenti.
Quella di Genk, aperta nel 1964, è la quinta fabbrica europea di automobili di cui è stata pianificata la chiusura negli ultimi due anni. La General Motors nel 2010 ha chiuso lo stabilimento di Anversa, ancora in Belgio, e progetta di fermare nel 2014 la fabbrica tedesca di Bochum. L’anno scorso Fiat ha lasciato Termini Imerese. Psa, cioè il gruppo Peugeot-Citroën, ha annunciato che interromperà la produzione ad Aulnay, a una manciata di chilometri da Parigi.Quest’ultima chiusura però potrebbe essere evitata grazie all’intervento dello Stato. Psa è in profonda crisi (in 6 mesi ha perso 819 milioni di euro) e ieri, oltre ad annunciare una rafforzamento dell’alleanza con General Motors, ha ufficialmente ottenuto l’aiuto formale del governo francese. Lo Stato concederà 7 miliardi di euro di garanzie e 11,5 miliardi di rifinanziamenti al Banque Psa Finance, l’istituto con cui la casa automobilistica finanzia gli acquisti delle sue auto. La banca della Peugeot all’inizio del mese è stata declassata da Moody’s al livello di 'spazzatura', e senza aiuti rischiava di rimanere a corto di liquidità. Il sostegno statale non è gratis: prestiti e garanzie sono a pagamento, inoltre l’azienda non potrà distribuire dividendi né pagare stock option ai manager e ha dovuto accettare l’ingresso di un rappresentante dello Stato e di uno dei sindacati nel suo consiglio di sorveglianza. Probabilmente anche il piano di tagli e chiusure annunciato in estate (gli esuberi previsti sono 10 mila) dovrà essere ammorbidito. Arnaud Montebourg, ministro dello Sviluppo economico di Hollande, lo ha chiesto esplicitamente.
Attenzione, però, perché anche l’auto europea ha i suoi falchi. Falchi, come al solito, tedeschi. David McAllister, primo ministro dello Stato della Bassa Sassonia, azionista di Volkswagen con una quota del 20%, ha già invitato il governo di Berlino a chiedere alla Commissione europea di verificare se quelli previsti dal piano francese non siano aiuti di Stato illegali. Mentre tutte le case automobilistiche europee sono più o meno in difficoltà Volkswagen, Mercedes e Bmw sanno come resistere. Ieri Volkswagen ha mostrato i conti dei primi 9 mesi: ha fatto 8,8 miliardi di utili, poco meno di un anno fa, ma conta di chiudere l’anno con 11,3 miliardi di profitti. Fiat-Chrysler, che presenterà i suoi risultati martedì, nel 2012 potrebbe fare utili per 1,1 miliardi. Dieci volte meno. Più forti degli altri, i tedeschi comprensibilmente non vogliono che i loro rivali europei in difficoltà siano aiutati. È il mercato. Sergio Marchionne come presidente di turno dell’Acea, l’associazione dei produttori europei, ha tentato di ottenere Bruxelles un piano di sostegno che aiuti il settore a ridurre la capacità produttiva (ad esempio agevolazioni per riconvertire le fabbriche), ma Volkswagen è intervenuta per fermarlo. Così, senza una strategia comune, ogni Paese dell’Unione europea ora va per la sua strada nella gestione della crisi dell’auto. E ai manager costretti a chiudere fabbriche rimaste senza mercato tocca sorbirsi le periodiche lezioni di Martin Winterkorn, il numero uno di Volkswagen. Ieri, in occasione dei conti, il tema è stato 'perché non delocalizzare': «Dove scompare la produzione – ha ricordato a tutti il manager tedesco – scompare, a breve o lungo termine, anche lo sviluppo».
da Avvenire
Quella di Genk, aperta nel 1964, è la quinta fabbrica europea di automobili di cui è stata pianificata la chiusura negli ultimi due anni. La General Motors nel 2010 ha chiuso lo stabilimento di Anversa, ancora in Belgio, e progetta di fermare nel 2014 la fabbrica tedesca di Bochum. L’anno scorso Fiat ha lasciato Termini Imerese. Psa, cioè il gruppo Peugeot-Citroën, ha annunciato che interromperà la produzione ad Aulnay, a una manciata di chilometri da Parigi.Quest’ultima chiusura però potrebbe essere evitata grazie all’intervento dello Stato. Psa è in profonda crisi (in 6 mesi ha perso 819 milioni di euro) e ieri, oltre ad annunciare una rafforzamento dell’alleanza con General Motors, ha ufficialmente ottenuto l’aiuto formale del governo francese. Lo Stato concederà 7 miliardi di euro di garanzie e 11,5 miliardi di rifinanziamenti al Banque Psa Finance, l’istituto con cui la casa automobilistica finanzia gli acquisti delle sue auto. La banca della Peugeot all’inizio del mese è stata declassata da Moody’s al livello di 'spazzatura', e senza aiuti rischiava di rimanere a corto di liquidità. Il sostegno statale non è gratis: prestiti e garanzie sono a pagamento, inoltre l’azienda non potrà distribuire dividendi né pagare stock option ai manager e ha dovuto accettare l’ingresso di un rappresentante dello Stato e di uno dei sindacati nel suo consiglio di sorveglianza. Probabilmente anche il piano di tagli e chiusure annunciato in estate (gli esuberi previsti sono 10 mila) dovrà essere ammorbidito. Arnaud Montebourg, ministro dello Sviluppo economico di Hollande, lo ha chiesto esplicitamente.
Attenzione, però, perché anche l’auto europea ha i suoi falchi. Falchi, come al solito, tedeschi. David McAllister, primo ministro dello Stato della Bassa Sassonia, azionista di Volkswagen con una quota del 20%, ha già invitato il governo di Berlino a chiedere alla Commissione europea di verificare se quelli previsti dal piano francese non siano aiuti di Stato illegali. Mentre tutte le case automobilistiche europee sono più o meno in difficoltà Volkswagen, Mercedes e Bmw sanno come resistere. Ieri Volkswagen ha mostrato i conti dei primi 9 mesi: ha fatto 8,8 miliardi di utili, poco meno di un anno fa, ma conta di chiudere l’anno con 11,3 miliardi di profitti. Fiat-Chrysler, che presenterà i suoi risultati martedì, nel 2012 potrebbe fare utili per 1,1 miliardi. Dieci volte meno. Più forti degli altri, i tedeschi comprensibilmente non vogliono che i loro rivali europei in difficoltà siano aiutati. È il mercato. Sergio Marchionne come presidente di turno dell’Acea, l’associazione dei produttori europei, ha tentato di ottenere Bruxelles un piano di sostegno che aiuti il settore a ridurre la capacità produttiva (ad esempio agevolazioni per riconvertire le fabbriche), ma Volkswagen è intervenuta per fermarlo. Così, senza una strategia comune, ogni Paese dell’Unione europea ora va per la sua strada nella gestione della crisi dell’auto. E ai manager costretti a chiudere fabbriche rimaste senza mercato tocca sorbirsi le periodiche lezioni di Martin Winterkorn, il numero uno di Volkswagen. Ieri, in occasione dei conti, il tema è stato 'perché non delocalizzare': «Dove scompare la produzione – ha ricordato a tutti il manager tedesco – scompare, a breve o lungo termine, anche lo sviluppo».
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