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venerdì 16 marzo 2012

Lo shale gas cinese


La Cina prevede una crescita della produzione dai suoi depositi di shale gas: oggi non ne estrae niente, nel 2015 punta a ricavarne 230 miliardi di metri cubi. Per il 2020 la previsione è decuplicare questa quantità. La Cina ha appena iniziato le esplorazioni, ma secondo la Us Geological Survey le risorse di shale gas cinese ammontano a 1.275 mila miliardi di metri cubi, cioè il 50% delle risorse stimate per gli Usa. Le compagnie più attive sono Royal Dutch Shell e Petrochina, che hanno già avviato le operazioni. In cerca di alleati Chevron, Total e British. Eni non c'è. Pechino conta di sostituire con lo shale gas parte della sua produzione di energia a carbone. 

giovedì 15 marzo 2012

Il petrolio dell'Iran

La produzione di petrolio iraniano è scesa ai minimi da 10 anni e potrebbe tornare ai livelli della crisi petrolifera dell'inizio degli anni Ottanta. Secondo l'Aie a febbraio la produzione di greggio iraniano si è fermata a 3,38 milioni di barili al giorno, con un calo di 50 mila unità.

La guerra tra le coop

Su Italia Oggi il racconto del durissimo scontro tra la Coop Costruttori, Legacoop, Unipol e Pd...

La crisi esplode tra le coop rosse - PRIMO PIANO - Italiaoggi:

martedì 13 marzo 2012

La storia fiscale (recente) d'italia


La serie storica della pressione fiscale in Italia elaborata dalla Cgia di Mestre su dati Istat (i dati sono in percentuale sul Pil).
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   Anni                Pressione fiscale
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   1980                      31,4
   1981                      31,1
   1982                      34,1
   1983                      36,3
   1984                      34,9
   1985                      34,6
   1986                      35,0
   1987                      35,4
   1988                      36,6
   1989                      37,3
   1990                      38,2
   1991                      39,2
   1992                      41,7
   1993                      42,7
   1994                      40,6
   1995                      40,9
   1996                      41,4
   1997                      43,4
   1998                      42,2
   1999                      41,9
   2000                      41,3
   2001                      41,0
   2002                      40,5
   2003                      41,0
   2004                      40,4
   2005                      40,1
   2006                      41,7
   2007                      42,7
   2008                      42,6
   2009                      43,0
   2010                      42,6
   2011                      42,5

Il caso Mozambico

Un paese con un prodotto interno lordo di 10 miliardi di dollari e che dipende per il 40-45% delle sue entrate dalle donazioni dall'estero sta per ricevere 80 miliardi di investimenti per i progetti su gas e carbone (il gas è quello dell'Eni). Oggi metà degli abitanti del Mozambico vive con meno di 50 centesimi al giorno.

Chi aiuta la Grecia

Nel secondo pacchetto di aiuti alla Grecia, il Fondo monetario mette 20 miliardi, la Germania 32, la Francia 24, l'Italia 21,1, la Spagna 14, l'Olanda 6,7, il Belgio 4,1, l'Austria 3,3 miliardi, la Finlandia 2,1, la Slovacchia 1,2, 600 milioni la Slovenia, 300 l'Estonia e il Lussemburgo , 200 Cipro, 100 Malta.

lunedì 12 marzo 2012

E i soldi della Bce spingono il barile



 da Avvenire, 10 marzo 2012, di Pietro Saccò
Chi volesse sapere dove sono quei mille miliardi  di euro che la Banca centrale europea ha prestato a un prezzo stracciato alle grandi banche con le aste di dicembre e febbraio sbaglierebbe se li cercasse nella malmessa "economia reale". Imprese e famiglie, come potrebbe confermare chiunque sia costretto in queste settimane a passare dalla filale in cerca di credito, continuano a doversi finanziare da sole. Molto di quel denaro è finito certamente sul mercato secondario dei titoli di Stato: in particolare sui Btp italiani e i Bonos spagnoli. Se gli interessi chiesti all'Italia sui suoi titoli decennali sono scesi dal 7% di fine dicembre
all'attuale 4,8% – con un risparmio per il nostro governo quantificabile in 16 miliardi di euro solo quest'anno – è proprio perché le banche stanno comprando molti di quei titoli. È un ottimo affare: gli istituti hanno preso in prestito i soldi stampati dalla Bce pagando un tasso annuo dell'1%, se li investono su qualsiasi cosa garantisca un tasso superiore possono guadagnare sulla differenza. Uno spread più basso (ieri il differenziale tra Btp e Bund ha toccato i 283 punti, il minimo da agosto, per poi chiudere di nuovo sopra i 300) riduce i costi del nuovo indebitamento per tutti, istituti di credito compresi, e quindi queste operazioni che tecnicamente si definiscono di "carry trade" hanno un doppio vantaggio.
Altri miliardi sono sicuramente finiti nelle Borse, che infatti dall'inizio dell'anno stanno segnando recuperi impressionanti. Per esempio Milano, nonostante un gennaio estremamente turbolento, in questo 2012 ha guadagnato il 6,1%. Altri miliardi ancora restano nelle casse elettroniche delle banche, tenuti fermi per rafforzare il patrimonio. Sono spesso gli stessi miliardi che, di notte, vengono parcheggiati nei depositi della Bce, il luogo finanziariamente più sicuro d'Europa, piuttosto che essere scambiati tra una banca e l'altra (il timore di fallimenti improvvisi non è ancora morto). Nella notte tra mercoledì e giovedì le casse della Bce hanno ospitato 827 miliardi di euro, il massimo storico, nella notte successiva altri 816 miliardi.
Quello che però la Bce forse non aveva previsto è che le banche potessero usare quei mille miliardi anche per ostacolare la ripresa mondiale. Invece è proprio quello che stanno facendo, perché coperti di denaro a basso costo gli istituti di credito si sono messi a comprare contratti futures sul petrolio. Lo ha spiegato ieri l'Unione Petrolifera, che ha elencato le ragioni dell'ultima impennata dei prezzi: «Le tensioni geopolitiche legate soprattutto alla vicenda iraniana, qualche rigidità dal lato dei fondamentali e l'enorme liquidità a disposizione del sistema bancario, prevalentemente impiegata sui mercati delle commodities e del petrolio in particolare». Come nota l'Up, i problemi "di mercato" sono contenuti: a causa della crisi è da 8 mesi che l'Agenzia internazionale dell'energia taglia ripetutamente le stime sulla domanda globale di greggio. C'è la questione iraniana, ma non basta. Soprattutto, ci sono le banche, che non sapendo dove mettere il mare di liquidità ricevuto cercano profitti sul caro vecchio petrolio. Il grafico del prezzo del petrolio "europeo", il Brent, lascia pochi dubbi: dopo avere oscillato tra i 100 e i 110 dollari per tutto il 2011, con la fine dello scorso dicembre (la prima asta Bce è stata il 21 dicembre) la quotazione del greggio ha iniziato a salire fino a toccare gli attuali 125 dollari. Paradossalmente i soldi con cui la Bce ha fermato quello che era il principale nemico della ripresa mondiale, la crisi del debito europeo, stanno finendo per creare, nel barile, un nuovo, temibile, avversario.