Negli anni in cui l’economia europea cresceva, nessuno a Bruxelles si era messo a fare lo schizzinoso con gli Stati dell’Unione Europea che aiutavano i cittadini degli altri a non pagare le tasse. Avere dei paradisi fiscali all’interno dell’Ue è stata considerata, per anni, una cosa normale. Era normale nel 2005 scegliere Jean-Claude Juncker come primo presidente permanente dell’Eurogruppo – il coordinamento dei ministri delle Finanze dell’area euro – e confermarlo per ben tre volte. In questo modo per 8 anni una delle più importanti istituzioni della moneta unica è stata guidata dallo storico primo ministro del Lussemburgo, che è il più visibile paradiso fiscale dell’Ue. Il Lussemburgo vive di finanza e garantisce un totale segreto bancario a chi apre un conto in uno dei suoi sportelli. Questa preziosa riservatezza ha consentito alle banche del Granducato di accumulare depositi da tutto il mondo per un totale che vale circa 23 volte il suo Pil. Ma la pacchia è finita. Qualche giorno fa il governo lussemburghese ha dovuto cedere alle pressioni europee: dal 2015 rinuncerà al segreto bancario. Probabilmente l’Europa lo costringerà ad abbandonare anche la sua altra cattiva abitudine: quella di applicare un bassissimo livello di tassazione sugli incassi finanziari, così da spingere tante multinazionali a basare nel Granducato le loro holding per poi trasferire lì – sotto forma di dividendi o interessi – gli incassi raccolti nel resto d’Europa e nasconderli così al fisco.
Anche nella esemplare Austria c’è un rigoroso segreto bancario. Maria Fekter, ministro delle Finanze austriaco, ricorderà questo suo pessimo fine settimana a Dublino, con i colleghi di tutt’Europa che insistevano per spingerla ad arrendersi come ha fatto il Lussemburgo. Per ora ha resistito, anche se ha finito per difendersi in maniera bambinesca: «Perché – ha attaccato venerdì – il G20 non fa niente per chiudere le lavanderie di denaro nelle isole Cayman o nelle isole Vergini...o in Delaware?». Fekter poteva trovare argomentazioni migliori. Magari fare presente che il successore di Juncker alla guida dell’Eurogruppo è il rappresentante di un altro autorevolissimo paradiso fiscale europeo. Jeroen Dijsselbloem è infatti il ministro delle Finanze dei Paesi Bassi, nazione che si permette di dare lezioni alle economie in difficoltà pur sapendo di danneggiarle direttamente attraverso un sistema di tassazione minima sulle royalties e di trattati bilaterali con isolette esotiche che aiuta tante multinazionali a spedire in Olanda i loro incassi europei e quindi mandare il tutto alle Cayman pagando sull’intera cifra una tassazione ridicola. In questi viaggi di denaro dai Paesi Bassi ai Caraibi si passa spesso per un altro paradiso fiscale europeo, l’Irlanda, che non tassa i guadagni ottenuti all’estero da un’impresa nazionale.Davanti a furbizie così palesi da parte dei suoi membri storici, l’Unione Europea non si è potuta permettere di fare nulla per evitare che al suo interno nascessero altri paradisi fiscali. Come Cipro, che non prevedeva tasse su dividendi, interessi e vendite di azioni e garantiva massima riservatezza su chi portava denaro dall’estero. Sembrava un altro 'paradiso' mediterraneo, ora è un inferno: il piano di salvataggio europeo ha imposto all’isola tasse sui depositi bancari che possono arrivare quasi al 40%, chi aveva fatto la pensata di portare i suoi soldi a Cipro è servito. Altri, invece, sono avvertiti: la punizione inflitta ai ciprioti dovrebbe servire da lezione anche a lettoni e maltesi, che con decisi tagli alle tasse sui profitti finanziari sembrano ambire a diventare i nuovi paradisi fiscali dell’Unione. In realtà, se il piano europeo avrà successo, di paradisi fiscali all’interno dell’Ue nel giro di qualche anno non ne sarà rimasto nessuno. Resteranno paradisi europei fuori dall’Ue: la potente Svizzera, Andorra, il Principato di Monaco le Isole britanniche e il Liechtenstein. Ma sono realtà che si possono stroncare con un po’ di volontà politica. All’Italia sono bastati lo scudo fiscale e l’inserimento nella lista nera del Tesoro per lasciare senza i fondi dei nostri 'furbetti' la Repubblica di San Marino.da Avvenire