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mercoledì 9 gennaio 2013

Aig vuole i soldi indietro


Robert Benmosche, dal 2009 capo di American International Group, mercoledì scorso ha portato al consiglio di amministrazione la proposta di una causa legale contro il governo per le condizioni del salvataggio dell'azienda. La causa è stata preparata da Starr International, ex grande azionista di Aig nonché società di Maurice R. "Hank" Greenberg, 88enne amico di Benmosche e storico ex amministratore delegato di Aig. L'azienda vuole la restituzione di 25 miliardi di dollari. Aig questa settimana ha fatto partire una campagna di stampa per ringraziare i cittadini americani per l'aiuto pubblico ricevuto e sottolineare che il salvataggio ha fatto guadagnare al governo 22 miliardi di dollari. Starr sostiene che il governo ha applicato al salvataggio un tasso di interesse del 15%, violando la proprietà privata e i diritti costituzionali degli azionisti. Il salvataggio di Aig, iniziato nel settembre del 2008, costò alla Fed e al Tesoro Usa 182 miliardi di dollari.
dal Wsj


martedì 8 gennaio 2013

Come sta Alitalia


Alitalia era partita nel gennaio del 2009 con in cassa 1.169 milioni di euro di capitale. Di questi 323 li aveva versati AirFrance-Klm, gli altri 847 i soci italiani. Nei primi 3 anni ha perso 678 milioni, nei primi nove mesi del 2012 altri 173. Per migliorare il capitale sono state fatte tre cose: si punta sullo scorporo dell'attività delle Millemiglia (con l'ingresso di un nuovo socio); due Boeing 777 sono stati utilizzati per rifinanziamenti (l'azienda aveva quasi chiuso il mutuo e lo ha riaperto per avere liquidi); 3 slot a Heatrhrow sono stati venduti lo scorso settembre (dovrebbero valere 20-30 milioni di euro l'uno). In cassa dovrebbero essere rimasti circa 300 milioni di euro.



Il vaso di Pandora del Libor


«Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti! Ascolta amico, loro sono...sono i tipi...sono quelli che mettono la gente in galera! Perché diavolo vuoi parlargli?». Cominciava a spaventarsi davvero, Tom Hayes: era fine marzo del 2011 e un suo collega trader di Ubs gli stava raccontando che degli investigatori americani avevano contattato la banca per fissare un appuntamento. Volevano interrogarlo, per capire com’è che funzionavano le comunicazioni sui tassi Libor inviate dagli uffici di Ubs a Tokyo, dove i due avevano lavorato insieme. Sospettavano che quelle comunicazioni fossero bugiarde, truccate per aiutare i trader della banca svizzera a guadagnare di più. Il sospetto era fondato, Hayes aveva ragione ad avere paura: a 32 anni e con un figlio in arrivo a breve avrebbe dovuto chiudere la sua strepitosa carriera nella grande finanza per passare alla condizione di carcerato. L’11 dicembre scorso la polizia britannica lo è andato a prendere nella sua villa nell Surrey, appena fuori Londra, per portarlo in galera. Gli Stati Uniti hanno chiesto la sua estradizione ma gli inglesi non lo lasceranno partire: il primo ministro David Cameron ha promesso che il Regno Unito dimostrerà ai suoi cittadini che sa punire con durezza anche i criminali della finanza.
Hayes, assieme a due colleghi della società di brokeraggio RP Martin, Terry Farr e Jim Gilmour, è il primo arrestato nel colossale scandalo del Libor, esploso la scorsa estate e ancora agli inizi. Il Libor è un tasso interbancario che indica, con scadenze che vanno da 1 giorno a 12 mesi, gli interessi a cui le banche si stanno prestando reciprocamente denaro (in particolare sterline, dollari e yen). È un indicatore chiave della finanza mondiale, perché su questo tasso si basano contratti per un valore complessivo stimato attorno ai 350mila miliardi di dollari, cifra pari a cinque volte il Prodotto interno lordo mondiale. Sono contratti di tutti i tipi, dai più banali mutui e prestiti a derivati complessi. Nonostante l’indice sia così delicato, il valore del Libor è fissato secondo un meccanismo rozzo: l’associazione delle banche inglesi ogni giorno chiede a 15 istituti a che tasso contano di ottenere denaro in prestito dalle altre banche il giorno dopo, quindi fa la media e fissa l’indice. Queste modalità presto cambieranno, lo scandalo ha costretto le autorità a studiare una riforma di un meccanismo che si è rivelato pieno di buchi. Perché se gli addetti delle banche si accordano per dare informazioni sballate, il tasso si allontana dalla realtà e favorisce speculazioni sleali. Come quelle di Hayes. Secondo le accuse, già dal 2006 (quando aveva appena 27 anni) il trader d’accordo con Roger Darin, che per Ubs comunicava il Libor sullo yen, e assieme a decine di colleghi di altre banche tentava quasi tutti i giorni di muovere il tasso in maniera anomala per favorire le sue strategie speculative. Gli investigatori americani sostengono che un movimento del Libor di 0,01 punti percentuali a suo favore valesse 2 milioni di dollari di profitti sul suo portafoglio di investimenti. Grazie a questo sistema nei tre anni passati in Giappone Hayes avrebbe fatto guadagnare a Ubs 260 milioni di dollari. Non si sa quanto la banca svizzera abbia premiato il suo ragazzo prodigio – che nel 2009 è passato a Citigroup –, ma visto che nella finanza i bonus sono legati ai risultati è presumibile che Hayes incassasse qualche milione di dollari all’anno. Certo, non era solo.
Sullo scandalo Libor stanno indagando tribunali e organismi di controllo di 10 nazioni diverse, tra America, Asia ed Europa. Le banche coinvolte sono quasi 20 (non ci sono italiane), gli indagati sono decine. Inchieste simili riguardano anche l’Euribor, l’interbancario della zona euro su cui si basano contratti per 150 mila miliardi di euro (compresi i mutui e le linee di credito delle nostre imprese). Sull’Euribor indagano anche a Trani, nella procura dove l’attivissimo pm Michele Ruggiero a novembre ha chiesto il rinvio a giudizio per 7 ex dirigenti delle agenzie di <+corsivo>rating<+tondo> Fitch e Standard & Poor’s. Ma l’Euribor però si forma con le indicazioni di quasi 40 banche, non 15, e quindi è più difficile da manipolare.
Le indagini sul Libor, condotte dalla Fsa inglese e dalla Sec americana, hanno già dato risultati eclatanti. La banca inglese Barclays a giugno è stata la prima ad arrivare a un accordo con le autorità britanniche e americane per chiudere il caso: ha ammesso le sue responsabilità e ha pagato multe per 290 milioni di sterline. Il presidente Marcus Agius e l’amministratore delegato Bob Diamond sono stati costretti ad andarsene. A dicembre è arrivato il turno di Ubs, la banca di Hayes, che ha pagato 940 milioni di sterline. La prossima a "costituirsi" dovrebbe essere Royal Bank of Scotland, che tratta da mesi con le autorità. Poi potrebbe toccare ad altri: in fila ci sono anche i colossi Hsbc, JPMorgan, Deutsche Bank, Citigroup, Lloyds.
Stavolta però le banche rischiano di non riuscire a cavarsela pagando solo una multa, per quanto miliardaria. Perché mentre i loro addetti imbrogliavano rastrellando milioni grazie alle anomali e del Libor c’era qualcuno che quegli strani andamenti del tasso li subiva. Fannie Mae e Freddie Mac, le disgraziate agenzie dei mutui controllate da Washington, dicono di averci perso 3 miliardi di dollari e vogliono un indennizzo. Vogliono rimborsi anche il Comune di New York e quello di Baltimora. E anche Annie Bell Adams, 65enne dell’Alabama che per colpa della crisi dei mutui ha perso la casa e in estate ha avviato una class action. In tanti l’hanno seguita. Le richieste di partecipare alle nuove cause miliardarie contro le banche dell’imbroglio Libor sono così numerose che gli avvocati americani, sempre a caccia di preziose vittime, stanno pubblicando manuali sul contenzioso. Il fatto è che quando chi imbroglia ha giocato con un pilastro della finanza mondiale praticamente chiunque può avere diritto di essere risarcito. Nel caso, i giudici quantificheranno il danno. Ma per certi imperi del denaro l’eccesso di potenza rischia di rivelarsi fatale.
da Avvenire di oggi 

lunedì 7 gennaio 2013

Gestire la bancarotta di Stato

Il Ft oggi ricorda che una legge per gestire il fallimento di uno Stato, in teoria, esiste. Si chiama Sovereign Debt Restructuring Mechanism e lo ha ideato il Fondo monetario internazionale nel 2002. Il suo Chapter 11 prevede proprio il ricorso volontario alla bancarotta. Ma non è mai stato concretizzato perché gli Stati Uniti si sono sempre opposti. I problemi dell'Argentina lo stanno riportando di moda.

domenica 6 gennaio 2013

Gli investimenti del Fondo Italiano

Il fondo di private equity Fii (Fondo Italiano d'investimento) è un classico strumento "di sistema": nell'azionariato lo Stato ha il 25% (12,5 il Tesoro, 12,5 la Cassa depositi e prestiti), l'altro 75% è diviso in 6 quote, sempre da 12,5 punti percentuali, che appartengono a: Abi, Confindustria, Istituto centrale delle Banche popolari, Mps, Intesa Sanpaolo, Unicredit. I soci hanno versato 1,2 miliardi, il fondo ha investito in 48 operazioni. Dieci sono state realizzate nell'ultimo mese del 2012: 11 milioni per avere il 15% di Surgital (piatti pronti), poi ingresso in società in Marsili (macchine bobinatrici ), Turbocoating (deposizione a spruzzo termico), Tecnam (velivoli leggeri), Mesgo (gomma), Sofinnova (venture capitl nel settore biomedico).
dal Corriere

sabato 5 gennaio 2013

Per la Napoleoni la ripresa così è impossibile

Travolti dall’enormità dei loro debiti, certi Stati dell’euro hanno rinunciato a governarsi e si sono affidati ad altri, che li ge­stiscono badando ai propri – legittimi – interessi. Ora sono in un tunnel di recessione il cui sbocco saranno pesanti tensioni sociali. Tra quei Pae­si c’è anche l’Italia. L’econo­mista Loretta Napoleoni lo ha scritto in Democrazia vende­si , un libro che esce oggi ed è un’analisi cupa della crisi del­l’euro. «Non sono cose che penso solo io – avverte subi­to–. Le dicono in tanti, e tra questi ci sono molti premi Nobel. Ad esempio Paul K­rugman o Joseph Stiglitz» Leggerla non è un bel modo per cominciare l’anno che, nelle previsioni, dovrebbe chiudersi con l’inizio di una debole ripresa. 
Il fatto è che per l’Italia, co­me per la Spagna o per la Gre­cia, una ripresa in queste condizioni non è possibile. Il 'fiscal compact' ci impone una ingessatura inevitabil­mente recessiva. Per rincor­rere obiettivi di finanza pub­blica decisi a Bruxelles noi stiamo strozzando le piccole e medie e imprese, l’unico motore rimasto alla nostra e­conomia. Qui a meno di una straordinaria innovazione tecnologica non abbiamo più nulla che possa farci riparti­re. Andiamo verso un impo­verimento che ci riporterà u­na condizione che non vede­vamo dalla fine della guerra. Con un debito pubblico al 120% del Pil l’Italia aveva al­ternative all’austerità? 
Le alternative ci sono ancora, e credo che finiremo per u­sarle, perché ridurre il debito in questo modo è impossibi­le e socialmente insostenibi­le. Abbiamo bisogno di un ta­glio netto e forzato che coin­volga le banche, come quel­lo applicato alla Grecia. Dal punto di vista finanziario è possibile farlo. Lo dovrebbe fare l’Italia ma ne avrebbero bisogno quasi tutti, la Spagna ma anche la Francia... Queste insolvenze non ucci­derebbero l’euro? 
Lo costringerebbero a cam­biare. La moneta unica è sta­ta fatta male, perché tratta al­lo stesso modo sistemi eco­nomici nazionali che sono molto diversi. Favorisce solo i tedeschi e le nazioni del Nord. Dopo questi tagli del debito si dovrebbe ripartire da un 'euro a due velocità', un’ipotesi che infatti già cir­cola da diverso tempo. Le economie in difficoltà però hanno anche problemi che non riguardano i conti pubblici... 
I Paesi della periferia dell’eu­ro hanno da molti anni pro­blemi di competitività che sono peggiorati rapidamen­te dopo la perdita dell’indi­pendenza monetaria. Non è solo 'svalutare la lira'...una moneta è una componente dinamica di un sistema eco­nomico, deve potersi muo­vere assieme agli altri ingra­naggi. Con l’euro abbiamo bloccato la moneta per ade­guarla a esigenze altrui. Stia­mo vedendo che non funzio­na. Lo scenario che descrive as­somiglia a una rivolta del Sud Europa contro la Ger­mania. È realistico?
Ovvio, è difficile. Il problema è che i politici dei Paesi della periferia dell’euro hanno u­na debolezza psicologica che gli impedisce di mettersi as­sieme e condurre le loro bat­taglie; gli manca l’orgoglio degli inglesi, gli unici capaci di non farsi guidare dagli al­tri. In Italia, poi, c’è molta i­deologia e questo ci impedi­sce di metterci assieme an­che al nostro interno quan­do dobbiamo difendere gli interessi nazionali. E io cre­do che l’impoverimento del Paese sia un tema di interes­se nazionale da contrastare mostrandoci uniti. Se la po­litica continuerà a non capir­lo rischiamo pericolose ten­sionisociali. 

da Avvenire

venerdì 4 gennaio 2013

La Spagna si compra Bonos col fondo pensioni

La Spagna sta facendo comprare titoli di Stato anche anche al fondo pubblico con cui garantisce le pensioni.  Il fondo ha investito in Bonos circa il 90% dei 65 miliardi di euro del suo patrimonio. A settembre, per la prima volta nella storia, il governo ha prelevato 3 miliardi dal fondo per pagare le pensioni. A novembre lo ha fatto di nuovo, prelevando 4 miliardo. I due prelievi hanno superato il limite legale annuo, per cui il governo ha dovuto alzare il tetto. Quest'anno Madrid dovrà raccogliere 207 miliardi sui mercati (186 miliardi nel 2012).