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venerdì 10 febbraio 2012

E bravo Pertini

"Una verità difficile da riconoscere, nel caso di Porzûs. Perché in quell'angolo di confine la Resistenza ebbe un doppio volto: uno legato al movimento operaio molto influenzato dai comunisti sloveni (che manovravano il Pci italiano), l'altro rappresentato da uomini delle forze democratiche, laiche, socialiste e cattoliche confluite nel Cln. I primi tendevano a ispirare le loro scelte a quelle dei compagni titini, più che guardare agli interessi nazionali. È in questo contesto di feroce scontro ideologico che Mario Toffanin, il comandante «Giacca» ordinò l'attacco contro i partigiani bianchi acquartierati nelle malghe e nelle cui file c'erano anche Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, e Francesco De Gregori, zio e omonimo del cantautore. A incarico eseguito, «Giacca», condannato in contumacia all'ergastolo per quel «crimine di guerra», fuggì in Jugoslavia e Cecoslovacchia, prima d'essere graziato da Pertini. E mentre un velo di ambigui silenzi calò sulla strage, lui non si pentì mai".
(Marzio Breda, Corriere, 10.2.2012)

Foibe, Napolitano andrà a Porzûs, il luogo del tabù - Corriere.it:

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La risposta di Draghi a Deutsche Bank

Draghi Slams Virility Statements as Bankers Shun ECB Loans - Businessweek: "(Updates with professor comment in ninth paragraph.)

Feb. 10 (Bloomberg) -- European Central Bank President Mario Draghi lashed out at bankers who said tapping the ECB’s three-year-loan program carries a stigma, after executives including Deutsche Bank AG’s Josef Ackermann said they shunned the loans.

“There is no stigma whatsoever on these facilities,” Draghi said at a press conference in Frankfurt yesterday. “Some have made some sort of statements that I would call statements of virility, namely it would be undignified for a bank, a serious bank, to access these facilities. Now let me say that the very same banks that made these statements access facilities of different kinds -- but still government facilities.”"

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I programmi di Squinzi e Bombassei

Libero Quotidiano di venerdì 10 febbraio 2012, pagina 20
Intervista a Giorgio Squinzi - Bombassei e Squinzi: sfida per Confindustria - «Cerco il dialogo con tutti ma non sono una colomba»
di De Stefano Tobia

LE INTERVISTE Bombassei e Squinzi:

sfida per Confindustria TOBIA DE STEFANO e NINO SUNSERI alle pagine 20-21 La corsa atdopo Marcegagtia Giorgio Squinzi «Cerco il dialogo con tutti ma non sono una colomba» L'uomo della chimica si propone per un'associazione più europea, senza articolo 18, con nuove pensioni e un canale aperto pure con Marchionne • Il problema della disoccupazione giovanile trova radici e colpe nelle criticità complessive del nostro sistema, da un collegamento tra scuola e lavoro che andrebbe radicalmente ripensato, anche alla luce di quanto sta accadendo in tutte le economie occidentali. La scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la crisi economica ne ha acutizzato le conseguenze. Le imprese hanno da sempre tutto l'interesse a giovarsi di una forza lavoro giovane GIORGIO SQUINZI ::: TOBIA DE STEFANO Partiti gli endorsement (gli ultimi danno Rocca con Bombassei e la Bracco con Squinzi), avviato il lavoro dei saggi (dovranno sottoporre i nomi dei candidati alla giunta deI 22 marzo), non resta che scoprire i programmi dei due sfidanti allo scranno più alto di Confindustria. Giorgio Squinzi (patron dellaMapei ed ex presidente di Federchimica) è vicino alla Marcegaglia, viene definito una colomba, per i suoi rapporti da sempre dialoganti con i sindacati, e nei pronostici è visto come il portatore degli interessi delle piccole imprese. Nell'intervista a «Libero» racconta la Confindustria che vorrebbe. Da oggi affine marzo il tema nell'agenda del governo è lariforma del mercato dellavoro. Qualè la sua posizione su riforma dell'articolo 18? «La flessibilità in uscita e gli ammortizzatori sociali sono, insieme alla flessibilità in entrata, due temi della riforma strettamente legati tra di loro. Sull'art. 18 condivido la posizione che Confindustria ha espresso ufficialmente: mantenere la possibilità del reintegro solo nel caso di licenziamenti discriminatori o nulli. Confermo però che perla crescita delle nostre imprese al momento abbiamo anche altri importanti problemi da risolvere». Poi c'è il tema degli ammortizzatori sociali? «Nel tempo abbiamo costruito un sistema, largamente finanziato dalle imprese, che in questi annidi crisi ha consentito di dare adeguate risposte ai diffusi problemi occupazionali. Tale sistema deve ora essere implementato e razio - nalizzato in relazione alle nuove esigenze e alla necessità di realizzazione di efficienti ed efficaci politiche attive di ricollocamento». Si è molto discusso anche della riforma delle pensioni». «Relativamente all'innalzamento dell'età pensionabile, sarà opportuno prevedere specifiche misure perii personale "anziano" tenuto in forza e tutele per lo stesso personale che sarà oggetto di crisi occupazionale. Questo tema non deve essere sottovalutato perchè rischia di diventare, se già non lo è, la nuova emergenza sociale dopo quella dei giovani».

*** Il dibattito sulla corsa confindustriale la dipinge come la colomba che ha buoni rapporti con i sindacati contrapposta al falco Bombassei. Cosa significa avere buoni rapporti con la Cgil? Secondo lei in questi anni la Fiom ha rappresentato un freno allo sviluppo industriale del Paese? «Non mi considero né un falco né una colomba: in realtà cerco sempre di essere una perso -narigorosa ed equilibrata. Nelle relazioniindustriali ho sempre rifiutato approcci o scelte che non fossero strettamente legati alla sostanza e al merito dei problemi che erano in gioco. Ho imparato sul campo che è meglio dialogare in modo leale e costruttivo. Ritengo che le relazio - ni industriali debbano essere un fattore di competitività, un veicolo di innovazione, di crescita culturale, di responsabilità sociale. Devono essere uno strumento efficace, utile non solo a risolvere i problemi ma possibilmente a prevenirli. Sono convinto che questo sia il tipo di approccio corretto e utile per realizzare un dialogo capace di conciliare gli interesse delle imprese e quelli dei lavoratori. Questo per me significa avere buoni rapporti con tutti». I buoni rapporti con la Cgil potrebbero precludere un rientro della Fiat nell'associazione confindustriale? «Non vedo come le due questioni siano coincidenti. La vita del sindacato è indipendente dalle scelte interne di un'organizzazione di rappresentanza di interessi generali e viceversa». Ha già un piano per convincere Marchionne a rientrare? «Qualora i miei colleghi mi assegnassero il ruolo di primusinterpares in Confindustria, certamente mi porrò il problema». Una delle grandi questioni evidenziate dalla crisi è la galoppante disoccupazione giovanile (al 30%). Quali sono le colpe delle imprese? «Il problema della disoccupazione giovanile trova radici e colpe nelle criticità complessive del nostro sistema, da un collegamento tra scuola e lavoro che andrebbe radicalmente ripensato, anche alla luce di quanto sta accadendo in tutte le economie occidentali. La scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la crisi economica ne ha acutizzato le conseguenze. Le imprese hanno tutto l'interesse a giovarsi di una forza lavoro giovane, dinamica, altamente motivata e adeguata ai cambiamenti in atto». Cosa dovrebbe chiedere il sistetnaindustriale al governo per migliorare la situazione?

«Il governo dovrebbe garantire ed agevolare le condizioni utili all'ingresso nel mercato del lavoro dei giovani con politiche di incentivazione strutturali, a cominciare da un apprendistato più facilmente fruibile». Confindustria ha bisogno di cambiare? Da anni si dice che dovrebbe uscire dai salotti e dalla politica per tutelare ma ormente gli interessi degli associati, soprattutto delle piccole e medie imprese. Come si fa? «La mia idea di Confindustria è un'idea sobria, centrata sui contenuti. L'Italia ha bisogno di sobrietà e da noi deve arrivare un chiaro esempio. Nella mia vita di industriale ho sempre avuto come obbiettivo primario il perseguimento della crescita Confindustria ha la responsabilità di fare inmodo che siano intantissimi a tornare ad averlo. Sono convinto che l'efficienza del sistema Paese debba diventare ancor di più la priorità di Confindustria nel mercato globale la competitività delle nostre imprese dipende anche dalla competitività del sistema Italia. Per questo ho la certezza che tutte le imprese abbiano bisogno di un sistema asso - ciativo forte come interlocutore, propositivo e ascoltato da parte delle istituzioni». Il suo avversario, Bombassei, ha stilato un decalogo per sintetizzare la Confindustria che vorrebbe. Mi può indicare le sue tre priorità? «Senza una semplificazione normativo-buro - cratica profondissima l'Italia avrà un futuro difficile. Questa è la mia convinzione che si traduce in una priorità che assorbe la quasi totalità dei temi: contribuire a dare efficienza al sistema Paese perché la competitività delle nostre imprese dipende sempre più da questo. Dobbiamo adeguarci agli standard europei, soprattutto nelle normative, nella pubblica amministrazione, nel fisco, nelle infrastrutture, nel credito, nell'energia, nella scuola, nella giustizia e nella ricerca. Non si può richiamare l'Europa solo quando fa comodo». A proposito. Che giudizio ha del governo Monti? Su fisco, liberalizzazioni e semplificazioni si poteva fare di più? «Si può sempre fare meglio ma sono certo che il Presidente Monti ha aperto un lungo cammino che non possiamo abbandonare per il bene e il futuro del nostro Paese. Il mio auspicio è che lo faccia insieme a Confindustria perché ilvissuto quotidiano degli imprenditori può dare alla politica il know-how per prowedimenti concreti e mirati».

*** GIORGIO SQUINZI Sull'operato del governo dice: si può sempre fare meglio ma sono certo che il Presidente Monti ha aperto un lungo cammino che non possiamo abbandonare per il bene del nostro Paese OL Y ***


LE INTERVISTE Bombassei e Squinzi:

sfida per Confindustria TOBIA DE STEFANO e NINO SUNSERI alle pagine 20-21 La corsa atdopo Marcegagtia Alberto Borbassei «Imprenditori, non politici Solo così può salire il Pil» Mr Brembo ha la sua ricetta per il futuro. In Confindustria serve autonomia di rappresentanza perché le aziende costruiscano interessi convergenti • L'apprendistato è un contratto a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed all'occupazione dei giovani. Continua a non passare nell'opinione pubblica l'idea che l'apprendista non è più il "ragazzo di bottega': L'apprendistato è invece una garanzia di lavoro, di tutele, di stabilità e di crescita professionale.

ALBERTO BOMBASSEI ::: NINOSUNSERI Da oggi a fine marzo il grande tema nell'agenda del governo è la riforma del lavoro. Che ne pensa Alberto Bombassei di riforma dell'articolo 18 e di ammortizzatori sodali «La mia posizione è quella che abbiamo condiviso in Confindustria, negli organi direttivi e con gli esperti del sistema associativo: il tema di una riforma del mercato del lavoro è urgente e complesso. Per questo va affrontato senza tabù e con la chiara consapevolezza. Credo allora che ogni ipotesi di riforma debba affrontare i nodi che l' Europa pone quasi quotidianamente all'attenzione del Paese. Dovremo andare verso un'accurata revisione delle norme sulle forme di assunzione, per evitare fenomeni di abuso e situazioni di precarietà. E dovremo anche rivedere le regole per il licenziamento prevedendo, al tempo stesso, un sistema di assicurazione dalla disoccupazione ed un insieme di politiche attive, compresa una formazione vera, in grado di facilitare la ricollocazione delle per-sone». Su un punto sono tutti d'accordo: potenziare l'apprendistato come contratto di ingresso per i giovano nel mondo del lavoro. E' &accordo? In che modo è possibile incentivarne l'utilizzo? «Non c'è dubbio che deve essere la forma principale di ingresso al lavoro per i giovani. Non per niente l' anno scorso, con Governo e sindacati, abbiamo definito un testo unico che rappresenta un significativo passo in avanti. Forse a molti sfugge che, per legge, l'apprendistato è un contratto a tempo indeterminato, fina-lizzato alla formazione ed all'occupazione dei giovani. Di tutti i giovani, anche laureati e diplomati. Continua a non passare nell'opinione pubblica l'idea che l'apprendista non è più il "ragazzo di bottega". L'apprendistato è invece una garanzia di lavoro, di tutele, di stabilità e di crescita professionale. Adesso vedremo nel confronto in corso, come rendere questo contratto immediatamente utilizzabile superando gli ultimi ostacoli procedurali. Certo se si trovasse anche il modo di estendere il regime di totale decontribuzione oggi a favore delle sole imprese con meno di IO dipendenti, si darebbe un ul *** teriore stimolo alle assunzioni di giovani» il dibattito sulla corsa confindustriale la dipinge come un falco nei rapporti sindacali. Cosa ne pensa? «Io sono prima di tutto un imprenditore e mi creda, cinquant'anni di confronto con la competizione internazionale e questi ultimi otto annidi dialogo costante con i miei colleghi grazie al ruolo in Confindustria, mi hanno insegnato una regola fondamentale: stare fermi vuol dire necessariamente perdere posizioni. Per cui c'è sempre il momento in cui, in azienda o in associazione, occorre prendere una decisione. E specie chi fa rappresentanza deve essere capace non già di limitarsi a mediare interessi ma essere in grado di comporre interessi concorrenti verso interessi generali. Ciò non toglie che il dialogo rimane una componente fondamentale, ma alla fine si deve pur trovare il punto di sintesi». I suoi rapporti con la Cgil potrebbero preludere un rientro della Fiat nell'associazione confindustriale? Ila già un piano per convincere Marchionne a rientrare? «Penso che le condizioni per un rientro si possano creare naturalmente nella misura in cui la Fiat riterrà che il nostro sistema di regole sul lavoro e di relazioni sindacali sia in grado di rispondere alle sfide che il mercato mondiale pone loro ogni giorno. Non dimentichiamo che questo è uno dei fattori che contribuiscono a rendere più o meno attrattivo il Paese. Ma la riforma del mercato del lavoro non è la sola su cui concentrarsi; sarà necessario procedere con altre riforme nel solco, doloroso ma necessario, che il governo Monti ha avviato». Uno dei problemi evidenziati dalla crisi è la galoppante disoccupazione giovanile (al 30%). Quali sono le colpe delle imprese? Cosa dovrebbe chiedere il sistema industriale al governo per migliorare la situazione? «Ciclo economico e occupazione sono ovviamente elementi strettamente connessi. Lo sono stati nella "discesa" della crisi economica, in tutta l'Eurozona, e lo devono essere anche nell'inversione della curva. Le misure per sostenere il sistema occupazionale devono quindi essere necessariamente sorrette da interventi per favorire la crescita. In altre parole, i passi verso una ma; ore flessibilità e tutela del lavoro non avrebbero effetti sull'occupazione, se non si supportano gli investimenti e lo sviluppo. Confindustria ha bisogno di cambiare? Da anni si dice che dovrebbe uscire dai salotti e dalla politica per tutelare maggior-men te gli interessi degli associati, soprattutto delle piccole e medie imprese. Lei vorrebbe andare in questa direzione? In che modo? «Ritengo sia semplicemente miope pensare alla posizione dell'Associazione in termini di sostegno o contrasto alla politica, come è accaduto in passato. La base della vera attenzione agli associati è proprio quell'autonomia che consente il dialogo, ma soprattutto la chiara visione delle necessità delle imprese. E il cambiamento, come detto, deve passare anche per il sistema di rappresentanza» Il suo avversario ha stilato quattro punti per sintetizzare la Confindustria che vorrebbe. Mi può indicare le sue 4 priorità? «Stimo Giorgio Squinzi, e mi viene difficile definirlo "avversario". Circa le priorità, oltre quella rappresentata da una nuova "visione" e da un nuovo assetto dell'Associazione, ne indicherei almeno quattro fra le tante che comunque metterei tutte al primo posto: credito, fisco, infrastrutture e internazionalizzazio-ne». Che giudizio ha del governo Monti? Su fisco, liberalicracionie semplificazioni si poteva fare di più? «Il governo ha dovuto fare una manovra sui conti pubblici necessaria ma inevitabilmente recessiva Sta comunque generando una grande spinta riformatrice che spero riesca a ridurre spesa pubblica e debito. Questi sono i presupposti per politiche espansive concrete».

IALBERTO BOMBASSEI Dell'incontro in Assolombarda dice: «è andata benissimo l'atmosfera era assolutamente positivacon un confronto, domande e risposte stimolanti. Penso sia stato positivo per tutti» OLY ***

giovedì 9 febbraio 2012

Dal pozzo alla pompa: come si forma il prezzo del pieno

DA MILANO PIETRO SACCÒ (Avvenire, 9.2.2012)

P
rendiamo il prezzo di un litro di ben­zina. Togliamo le tasse, il costo del tra­sporto, i margini dei petrolieri e quel­li dei benzinai. Quello che ci resta è il valore del carburante per chi lo scambia sui mer­cati all’ingrosso. Par­liamo di una cifra che, a gennaio, ammonta­va in media a 985 dol­lari alla tonnellata per la benzina e 974 per il gasolio. Tradotti in più concreti euro al litro sono 58 centesimi per la verde e 64 per il die­sel. «D’accordo, ma chi ha deciso che i prezzi sono questi?» si chie­de giustamente l’auto­mobilista meno docile, che da sempre mentre riempie il serbatoio ha la netta sensazione che qualcuno lo stia fregando.

Chi gli risponde indi­cando le quotazioni internazionali del pe­trolio in realtà lo sta depistando. Lo testi­moniano per esempio i numeri di gennaio: a un +2,25% del prezzo in dollari del barile di
petrolio europeo (la quotazione Brent) è cor­risposto un +7,4% del prezzo all’ingrosso del­la benzina e un +2,1% di quello del gasolio. Infatti è vero che benzina e gasolio si rica­vano dal petrolio, ma un conto è la materia prima e un altro è il prodotto raffinato, che ha invece una sua domanda e una sua of­ferta, e quindi un mercato autonomo. Il mer­cato dove si stabilisce il prezzo all’ingrosso della benzina preso in considerazione dagli operatori in tutto il mondo, si chiama Platts, ed è ormai abituato ad essere accompagna­to da aggettivi tipo 'opaco', 'oscuro', 'so­spetto'. Il fatto di appartenere al colosso del­l’informazione finanziaria McGraw-Hill (quello che controlla anche l’agenzia di ra­ting Standard & Poor’s e ha tra i suoi azioni­sti fondi speculativi e grandi banche d’affa­ri) non contribuisce al buon nome del Platts, un’azienda nata più di un secolo fa quando con 2.500 dollari avuti in prestito da una compagnia assicurativa il venticinquenne Warren Cumming Platt si è messo a pubbli­care laNational Petroleum News, una pub­blicazione periodica sui prezzi del greggio negli Stati Uniti da distribuire ai proprietari dei pozzi e ai loro clienti.

Quello del fondatore non è solo un aned­doto, ma anche un da­to importante: prima ancora che mercato, Platts è infatti ancora oggi un’agenzia di informazione econo­mica. È a questa agen­zia che i responsabili di oltre 280 aziende at­tive nel mercato del­l’energia (tra gli italia­ni ci sono produttori come l’Eni, raffinatori come Saras o Erg, banche d’affari come UniCredit) comunica­no il prezzo a cui sono disposti a comprare o vendere un carico di carburante attorno a un’area precisa, che per l’Italia è il porto di Genova. La trattativa si svolge sulla piat­taforma elettronica eWindow, dove tutti gli operatori abbonati al Platts possono vedere le singole offerte e­conomiche, chi le ha fatte e quali sviluppi ha l’affare. Mettiamo che una compagnia petrolifera abbia una nave con un carico 30 mila tonnellate di carburante che interessa a due compagnie di distribuzione. Il detta­glio del carico, il prezzo fissato dal vendito­re e quelli offerti dai possibili compratori compaiono su eWindow. Si parte, di solito,
da cifre relativamente distanti (nell’ordine di pochi dollari per tonnellata) che si avvi­cinano gradualmente attraverso piccoli rial­zi e ribassi sempre pubblicati sulla piat­taforma elettronica. Si va avanti così fino al raggiungimento di un accordo, che natural­mente può anche non arrivare. Il tutto av­viene davanti agli occhi degli altri operato­ri, che possono intervenire nella trattativa in qualsiasi momento. Quando a Londra so­no le quattro e mezza del pomeriggio Platts considera chiusa la giornata di scambi, quin­di calcola il prezzo medio di giornata per i vari prodotti nei diversi porti e lo trasmette ai suoi abbonati. Ed è tenendo conto di quel­la quotazione che le compagnie firmano i loro contratti e aggiornano i listini. Anche quando vendono carburanti che non han­no acquistato, perché sono loro fin dall’ini­zio (come capita a chi copre tutta la filiera, come l’Eni). Non lo fanno per obbligo, ma semplicemente perché non possono per­mettersi di ignorare quello che succede sul mercato. Per questo sul prezzo 'all’ingros­so' del nostro pieno sembra esserci poco margine di risparmio.

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Avvenire:

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mercoledì 8 febbraio 2012

Perché a Berlino conviene una debole periferia d’Europa - Corriere.it

Perché a Berlino conviene
una debole periferia d’Europa

Le nuove regole di bilancio europee, il cosiddetto fiscal compact , sono state volute soprattutto da Berlino. L'importanza che la Germania attribuisce all'accordo appena raggiunto non è il risultato di un'analisi sbagliata, come spesso afferma la stampa anglosassone, ma è coerente con i suoi interessi strategici come potenza economica globale.

Secondo i critici del fiscal compact, le nuove regole sono sbagliate perché ispirate da una cattiva diagnosi, quella secondo cui la crisi dell'euro sarebbe dovuta a una mancanza di disciplina di bilancio quando, invece, il vero problema sarebbe lo squilibrio della bilancia commerciale all'interno della zona euro che vede Germania e periferia come immagini riflesse in uno specchio: in sistematico surplus la prima e in sistematico deficit la seconda. Questo squilibro, secondo le analisi più ascoltate, sarebbe causato da una minore competitività del Sud dell'Europa e da una domanda di consumi e investimenti troppo debole in Germania. Sono quindi questi i problemi che andrebbero affrontati con nuove regole comuni. Di conseguenza, la ricetta dovrebbe prevedere non, o almeno non esclusivamente, il rigore di bilancio ma, nella periferia, la prescrizione di riforme strutturali volte all'aumento della produttività accompagnata dalla moderazione salariale e, in Germania, il rilancio della domanda per i consumi. La correzione dello squilibrio che ne deriverebbe sarebbe nell'interesse della stabilità dell'euro e quindi sia del Nord che del Sud dell'Unione.

Se guardiamo ai numeri, tuttavia, la storia appare più complessa e suggerisce piuttosto un'altra interpretazione: gli interessi economici della Germania sono sempre più diversi da quelli del resto dell'Europa. La chiave per capirlo è pensare all'area euro non come a un'economia chiusa agli scambi intra Unione, ma come a un'economia aperta al commercio con il resto del mondo.

Ricordiamo qualche fatto. Il primo è che per la Germania solo il 40% delle esportazioni sono verso l'area dell'euro e, dal 1999, il suo surplus commerciale si è accresciuto soprattutto grazie all'export verso i Paesi extra Unione: Cina, Paesi del Centro ed Est Europa e Paesi produttori di petrolio. Secondo, la perdita di competitività di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (i cosiddetti Giips) rispetto al resto del mondo è dovuta soprattutto all'apprezzamento del tasso di cambio nominale più che alla dinamica dei prezzi. Terzo, dal 1999, il deficit commerciale di questi Paesi si è accresciuto soprattutto nei confronti dei Paesi fuori dall'area euro.

Questi dati suggeriscono che il problema dell'instabilità dell'euro non sia dovuto agli squilibri interni, ma ad una diversa capacità dei Paesi dell'Unione di competere nel mondo. Ma come saranno quindi gli equilibri che si delineeranno nella nuova Europa del fiscal compact? Se con le regole di bilancio e l'aggressivo ruolo della Banca centrale europea sul piano della liquidità si scongiurerà una crisi finanziaria, si può prefigurare una Germania esportatrice sempre più proiettata verso il mondo esterno all'euro e che beneficerà di un tasso di cambio nominale più basso che nel decennio passato. Allo stesso tempo, i Giips saranno condannati ad un tasso di crescita anemico dovuto al drastico aggiustamento di bilancio imposto dalle nuove regole del fiscal compact , ma la minore domanda di importazioni che deriverà dalla contrazione dei consumi che ne consegue non peserà necessariamente sull'export tedesco poiché la Germania è sempre meno dipendente dal mercato dell'Unione. Quella che si prospetta è dunque un Europa sempre più eterogenea al suo interno, con interessi economici e politici potenzialmente divergenti.

Naturalmente i Giips potrebbero anch'essi beneficiare della svalutazione dell'euro, ma per competere sul mercato globale questi Paesi dovrebbero fare anche un salto di competitività, sviluppo tecnologico, aumento della dimensione di impresa. Solo questo li aiuterebbe a recuperare quote di export a scapito di Paesi che tradizionalmente hanno reddito pro capite più basso e quindi anche più basso costo del lavoro. Questo dovrebbe avvenire attraverso politiche nazionali ma anche europee: politiche ambiziose per la crescita e l'innovazione. Ma queste ultime non sono di grande interesse per la Germania, poiché essa trae vantaggi da una periferia dell'euro debole purché naturalmente ne venga preservata la stabilità finanziaria.

Questa è una delle tante ragioni per cui l'Europa deve uscire dalla logica intergovernamentale, che vede il dominio del punto di vista tedesco. Per tornare a pensarsi insieme in negoziati multilaterali. Con incentivi diversi tra Stati membri è difficile immaginare come questo possa accadere.

8 febbraio 2012 | 12:07



Perché a Berlino conviene una debole periferia d’Europa - Corriere.it:

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La corsa delle accise nel 2011

martedì 7 febbraio 2012

Una valutazione sul potenziale dello shale gas in Europa - Analisi - Agi Energia

Una valutazione sul potenziale dello shale gas in Europa


mercoledì 1 febbraio 2012


shalegas


Di Ruud Weijermars* e Crispian McCredie (Consulenti per Alboran Energy Strategy)

Lo shale gas è stato definito la nuova rivoluzione energetica; tuttavia, questa risorsapresenta diversi controversi aspetti legati alla sua incerta economicità e al suo temuto impatto ambientale. Ruud Weijermars e Crispian McCredie, Consulenti per Alboran energy Strategy, spiegano perché è più probabile che lo sviluppo europeo dello shale gas venga guidato da Varsavia e non da Bruxelles.

Lo shale gas è stato da più parti acclamato come una risorsa energetica potenzialmente molto vasta. Ma le compagnie petrolifere potranno rimpiazzare le riserve esistenti, profittevoli ma in declino, con nuove e altrettanto profittevoli riserve di shale gas? Inoltre, se tali risorse sono presenti all’interno di uno Stato sovrano europeo, riusciranno a ridurre il bisogno interno di importare gas così da migliorare la sicurezza energetica?

Nonostante i recenti successi riportati dagli Stati Uniti, la produzione di shale gas è paralizzata da almeno due grandi svantaggi: la sua estrazione non è ancora un’attività profittevole e l’opinione pubblica è scettica circa l’impatto ambientale delle operazioni ad esso relative.

Diversi analisti energetici, primo fra tutti l’istituto statunitense Bernstein Research, hanno ripetutamente sollevato preoccupazioni circa lo status finanziario delle compagnie statunitensi indipendenti che dominano il business del gas non convenzionale negli USA. Un report del 2010 dal titolo “More pain ahead for the 45 operators?”, ha riportato le debolezze dei loro bilanci finanziari. Il rallentamento dei flussi di cassa delle compagnie dedite a questo business viene anche confermato in uno studio accademico indipendente divenuto un punto di riferimento1. Lo studio compara gli utili non distribuiti di ExxonMobil e Chesapeake destinati ad essere reinvestiti nelle compagnie nell’ultimo decennio. ExxonMobil, il più grande produttore mondiale di gas convenzionale, ha riportato 190 miliardi di dollari di utili non distribuiti tra il 2000 e il 2009. Per contro, Chesapeake, uno dei principali produttori di gas non convenzionale negli USA, non ha utili non distribuiti; in effetti, nel 2009 la compagnia ha accumulato un deficit (avendo perso più di quanto ha guadagnato, il valore degli utili non distribuiti della compagnia è negativo) di 1,3 miliardi di dollari.

Prospettive potenziali


Attualmente, il gas intrappolato in scisti rappresenta il 14% dell’offerta domestica di gas negli USA2. Il resto del mondo è desideroso di replicare l’esempio statunitense sperando di incrementare la produzione interna di gas attraverso risorse non convenzionali. La figura 1 illustra l’ammontare di gas tecnicamente recuperabile dalle rocce scistose presenti in diverse aree del mondo, sulla base di quanto recentemente stimato da Advance Resource International in uno studio commissionato dal Dipartimento per l’Energia degli USA3. Questa ricerca pone in evidenza come il potenziale europeo di shale gas, pari a 18 tonnellate di metri cubi, sia di fatto molto limitato rispetto a quello presente in altre regioni del mondo. Tuttavia, se pienamente sviluppate, queste risorse potrebbero consentire forniture di gas all’Europa per altri 25 anni a livelli di consumo stimati oscillare tra 600 e 700 miliardi di metri cubi/anno.
Ma le risorse di shale gas non sono distribuite in modo uniforme in Europa, principalmente concentrate in Polonia e Francia. Gran parte dell’area produttiva dell’Europa Occidentale rientra in licenze di produzione detenute da compagnie che operano nel petrolio e gas convenzionali Nell’Europa Orientale, la situazione è differente. In Polonia, le compagnie petrolifere e piccoli operatori indipendenti si sono accaparrati nuove aree con lo specifico scopo di sviluppare riserve di shale gas e tight gas.

Gli economics dello shale gas in Europa è stata valutata in diversi studi recenti4-5. Un grande vantaggio per i produttori di gas europei è che il prezzo del gas dell’Europa Continentale è molto meno volatile e generalmente più alto di quello degli USA. La ragione risiede nel fatto che gli Stati Uniti consegnano il gas a prezzi spot sulla base di contratti a breve termine, mentre in Europa Continentale i contratti per la fornitura di gas sono prevalentemente indicizzati al petrolio e di lungo termine6. Negli ultimi 3 anni, i prezzi all’ingrosso europei sono stati da due a tre volte superiori a quelli statunitensi.
Ci sono, tuttavia, diversi fattori che ostacolano un rapido sfruttamento dello shale gas in Europa. Dal punto di vista operativo, mancano adeguati impianti di perforazione onshore e strutture flottanti necessarie per il fracking, che devono quindi essere acquistate da fornitori statunitensi, rendendo il loro utilizzo più costoso di quanto non lo sia negli USA. Ma chi scrive ritiene che, in futuro, i prezzi del gas aumenteranno6 mentre il costo della tecnologia associata allo sfruttamento dello shale gas tenderà a ridursi ad un livello che ne permetterà lo sviluppo economico. Se in Europa lo sviluppo di shale gas dovesse arrestarsi, la dipendenza dalle importazioni di gas non potrebbe far altro che aumentare2.

Chi ha interesse nello sviluppo di shale gas

Il successo dello sviluppo dello shale gas in ciascun paese europeo sarà in buona parte determinato dagli stakeholder regionali. I paesi europei differiscono significativamente in termini di mix di energia primaria (Figura 2). Conseguentemente, il livello di interesse nello sviluppo dello shale gas varierà considerevolmente da Paese a Paese. La Polonia è il maggior detentore di riserve di shale gas in Europa (Figura 1) ma è anche il paese in cui carbone copre il maggior peso relativo sul mix di energia primaria (55%, Figura2). La produzione di gas dalle risorse interne di shale gas potrebbe migliorare le performance delle sue centrali elettriche alimentate a carbone, con conseguente riduzione delle emissioni di gas serra e della dipendenza polacca dal gas russo. La Francia possiede il secondo più grande bacino di shale gas (Figura 1) ma l’opposizione locale contro lo sviluppo di questa risorsa è piuttosto forte ed è determinata a mantenere l’opzione nucleare. La Norvegia è il paese maggiormente dotato di risorse energetiche, con il 41% dell’energia primaria proveniente dall’idroelettrico (Figura 2), e resta il maggior produttore ed esportatore di petrolio e gas in Europa anche senza lo shale gas. Pertanto, anche se il paese presenti sostanziali risorse di shale gas (Figura 1) il loro sviluppo potrebbe essere lento. Lo shale gas dovrà poi competere con la molto più profittevole produzione di gas convenzionale della piattaforma continentale norvegese. Al contempo, l’Ucraina possiede il quarto deposito di shale gas più grande d’Europa (Figura 1) ma ha una politica energetica ancora influenzata dalla strategia energetica russa. Ne consegue, uno sviluppo di shale gas politicamente molto più complesso che in Polonia. La Svezia è il minor consumatore di gas d’Europa, con questa fonte che rappresenta solo il 2,6% dell’offerta primaria di energia e non è presente un mercato finale. Lo sviluppo dello shale gas richiederà quindi la creazione di un mercato locale del gas con annessi vincoli infrastrutturali. La Danimarca, la Gran Bretagna, l’Olanda e la Germania sono tutte grandi consumatrici di gas con considerevoli infrastrutture e mercati retail maturi. L’offerta domestica di gas convenzionale è in declino. Questi paesi presentano, pertanto, tutti gli elementi per poter trarre beneficio dallo shale gas ridimensionando le costose importazioni di gas.



Preoccupazioni ambientali


Al di là dei discutibili aspetti economici relativi allo sviluppo dello shale gas, è la battaglia della comunicazione nei confronti dell’opinione pubblica che va vinta. Le attività di perforazione dei primi pozzi di shale gas nel Regno Unito, vicino a Blackpool, sono state recentemente fermate a seguito delle crescenti preoccupazioni sollevate dai residenti secondo cui il fracking aveva causato una piccola scossa di terremoto nel 2010. La perforazione è stata posticipata anche in Olanda, a Boxtel, in attesa della pubblicazione di un rapporto da parte del governo olandese contenente una valutazione dei rischi e le eventuali ulteriori misure politiche da intraprendere. Al contempo, il film statunitense Gasland ha sollevato preoccupazioni circa la contaminazione di una falda acquifera causata da perdite di gas e probabilmente ha giocato un ruolo non da poco sull’imposizione della moratoria francese sullo sviluppo dello shale gas. Il rilascio di gas in atmosfera è un’altra potente fonte di emissioni di gas serra7: già considerevole nelle operazioni relative al gas convenzionale, potrebbe esserlo ancora di più nelle fasi di sviluppo dello shale gas.

La strada davanti
Se lo sviluppo dello shale gas verrà ritardato, si dovranno considerare le principali questioni in gioco. Dati i problemi attualmente connessi all’opzione nucleare in molte regioni, specialmente in Germania e in Svezia, possiamo continuare ad utilizzare il carbone per la produzione di elettricità o dovrà essere presa in considerazione l’opzione Artico per ricercare le future riserve di gas? Continuerà l’Europa ad essere dipendente dal GNL importato e dal gas russo anche ben oltre il 2020?

Una maggiore comprensione e apertura da parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’industria dello shale gas è necessaria per superare l’attuale percezione collettiva. Negli USA si sono verificati alcuni incidenti, ma con oltre 100.000 pozzi di shale gas perforati solo negli ultimi 5 anni i problemi sono stati contenuti e non sembrano endemici all’industria stessa. Rimanere realistici circa i possibili rischi è importante e la creazione di un fondo per i reclami potrebbe inviare segnali positivi sulla serietà dell’industria e sulla sua volontà di adottare misure volte a rimediare eventuali problemi in qualunque luogo si verifichino.

Storicamente, l’industria europea del gas ha fatto scarso ricorso ad azioni di marketing. Questo elemento sta diventando un ostacolo allo sviluppo dello shale gas, considerando che chi critica detta fonte ha già ricevuto notevole attenzione mediatica mentre le compagnie che vi operano sono state tardive nel raccontare il loro punto di vista. Solo in Polonia esiste un supporto statale allo shale gas. Se avrà successo, la politica polacca potrebbe aiutare ad aprire l’arena europea allo shale gas. Non appena la produzione inizierà, i critici dello shale gas potrebbero esprimere la loro opinione o tacerla.

Per le compagnie che operano nel gas non convenzionale rimane altresì critico ristabilire la profittabilità e distribuire utili agli azionisti. Queste devono dimostrare che lo shale gas può essere prodotto generando un ragionevole profitto. Lo sviluppo delle riserve di gas non convenzionale può avere successo solo se gli utili finanziari che hanno inizialmente allettato gli investitori si concretizzeranno il prima possibile.

Gli occhi sono ora puntati sulla Polonia piuttosto che su Bruxelles.

* Lavora anche at Delft University of Technology.

Note

1. Weijermars, R & Watson, S, 2011. ‘Can technology R&D close the unconventional gas performance gap?’ First Break, Vol. 29 (No 5), p89–93.
2. DOE/EIA, 2009. Annual energy review 2009. Projections: National energy modeling system, run REF2011.D120810C.
3. DOE/EIA, 2011. World shale gas resources: An initial assessment of 14 regions outside the United States.
4. Bernstein, 2010. Bernstein commodities & power: What to watch – A timeline of European unconventional natural gas drilling. Oswald Clint et al. Bernstein Research, July 23, 2010; 7 pages.
5. Geny, F, 2010. ‘Can unconventional gas be a game changer in European markets?’ Oxford Institute for Energy Studies, Natural Gas Series, 46, 120 pages.
6. Weijermars, R & McCredie, C, 2011. ‘Gas pricing – Lifting the price.’ Petroleum Review,
Vol. 65, No 770, p14–17.
7. Howarth, R W, Santoro, R & Ingraffea, A, 2011. ‘Methane and the greenhouse gas footprint of
natural gas from shale formations’. Climatic Change, 106, p679–690.

L’articolo è la traduzione di un testo precedentemente pubblicato su Petroleum Review di Ottobre 2011 (disponibile anche online http://www.alboran.com/files/2012/01/Assessing-shale-gas-potential.pdf)


Una valutazione sul potenziale dello shale gas in Europa - Analisi - Agi Energia:

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