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martedì 14 agosto 2012

Ilva, lo stato della questione

La cronologia
Tutto comincia il 25 luglio, con il sequestro firmato appunto dal Gip Todisco a cui segue, il 7 agosto, la decisione del Tribunale del riesame: i giudici Antonio Morelli, Rita Romano e Benedetto Ruberto, «in parziale modifica del decreto di sequestro preventivo», nominano «custode e amministratore delle aree e degli impianti sequestrati» anche il presidente dell'Ilva Ferrante, revocando Mario Tagarelli nominato in precedenza dalla Todisco. Poi dispongono che «i custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e dell'attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». 
Fine. A molti viene il dubbio se, con queste parole, il Tribunale abbia confermato il blocco degli impianti oppure no, consentendolo solo per la messa in sicurezza dell'Ilva. Bisogna attendere il deposito delle motivazioni. Ma il 10 agosto, a seguito di una richiesta di direttive e indicazioni dei custodi, il Gip dà la sua interpretazione: non è prevista «alcuna facoltà d'uso degli impianti a fini produttivi». Quanto a Ferrante, ne ridimensiona i poteri di custode-amministratore conferitigli dal Tribunale e lo indica come «datore di lavoro» ai sensi della legge sulla sicurezza sul lavoro. A quel punto, un'agenzia Ansa dell'11 agosto, alle 16,43 riferisce che Ferrante «impugnerà immediatamente» il provvedimento. Il Gip la legge, va in ufficio, accende il computer e scrive che «le circostanze rendono manifesta l'incompatibilità del presidente del Cda con l'ufficio pubblico di custode e amministratore delle aree e degli impianti» dell'Ilva sottoposti a sequestro preventivo «stante il palese conflitto tra gli interessi» di cui Ferrante è portatore, in quanto amministratore e legale rappresentante dell'azienda, «e gli obblighi gravanti sui custodi e amministratori dei beni in sequestro». Gli revoca la nomina e rimette Tagarelli, cioè rovescia la decisione del Riesame, senza aspettare di leggerne le motivazioni.

dal Sole

La riqualificazione
Al di là del conflitto giudiziario-politico restano gli obblighi da ottemperare. Prendiamo Tamburi, il quartiere che sorge a ridosso dell'Ilva. È formalmente fuori dai confini dell'azienda. Ma, in realtà, è come se fosse incorporato dentro al gigantesco organismo dell'acciaieria. L'azienda dovrebbe aumentare le barriere fra il quartiere e i parchi minerali, dove si trovano mucchi di minerali così imponenti da essere chiamati "colline". In questo maniera si dovrebbe frapporre un muro fisico più alto alla polvere che si alza da questi enormi mucchi, che sorgono a poche centinaia di metri dalle case. Inoltre, su questi giganteschi cumuli di materiali andrebbe raddoppiata la superficie di "filmaggio", come è chiamata la pellicola chimica che viene condensata sulla loro sommità per tenerli fermi e impedire che i residui vengano portati via dal vento. Peraltro, su questo delicato versante che tanto incide nel rapporto fra la fabbrica e la città, Ferrante si era perfino dichiarato disponibile a spostare altrove le colline artificiali.
Poi, nel ciclo produttivo in via di traumatica rimodulazione aziendal-giudiziaria, dai parchi i minerali vengono portati negli agglomerati, dove subiscono le prime lavorazioni. Qui l'azienda, secondo il gip, dovrà adottare il trattamento a umido dei fumi e realizzare la copertura dello stoccaggio di pet-coke. Quindi, come capita in tutti gli stabilimenti siderurgici caratterizzati dal ciclo a caldo, gli operai trasportano il semilavorato dagli agglomerati alle cokerie, dove si effettua la distillazione del coke e la sua trasformazione in ghisa. Qui occorrerà prendere alcune misure significative: adeguare gli impianti di abbattimento nella produzione di calce, migliorare le procedure di manutenzione degli impianti di cokefazione, ridurre l'impatto emissivo delle batterie numero cinque, sei, nove, dieci e undici, rifare i refrattari dei forni coke che presentano anomalie definite tecnicamente "fessurazioni" e "criccature", attivare la videosorveglianza e realizzare un dispositivo di controllo delle emissioni collegate alle torce, cioè i fumaioli da cui escono i gas.
Nell'area a caldo si trova poi l'altoforno, in cui la ghisa diventa acciaio fuso. In questa parte (strategica) della più grande fabbrica di acciaio d'Europa, andrebbero attuate almeno due misure: ridurre le emissioni inquinanti nel caricamento dei materiali e sostituire i sistemi di abbattimento ad umido con un sistema di abbattimento con filtro a tessuto nelle attività di colaggio della ghisa. L'"agenda Todisco", che ora va letta alla luce del doppio shock di venerdi e di sabato, è dunque molto densa. A questo punto dall'altoforno l'acciaio fuso finisce nelle acciaierie, dove si solidifica diventando bramma, il nome tecnico del primo semilavorato. Nelle acciaierie dovrebbero essere utilizzati i filtri a tessuto, anziché gli elettrofiltri, per la delicata fase della depolverazione secondaria, essenziale per mondare il prodotto dalle impurità. Nell'area a caldo vanno pure adeguate le fasi di trasferimento e di trattamento della ghisa fusa. E, soprattutto, per la Todisco bisognerebbe intervenire sull'acciaieria numero uno, per regolare il soffiaggio dell'ossigeno nel convertitore e migliorare l'aspirazione dei fumi nell'acciaieria.
L'obiettivo, secondo il gip, è evitare (o almeno ridurre al minimo) lo slopping, le nuvole rosse che si vedono qualche volta nel cielo di Taranto. L'acciaio viene poi trasferito nelle fasi a freddo, dove diventa laminato o coils. Un'area della fabbrica che non è sottoposta a sequestro. Intorno a tutto lo stabilimento si dovrebbero aggiungere quattro nuovi rilevatori per il campionamento e il monitoraggio delle diossine, uno dei temi più delicati e controversi. Più la standardizzazione e la tracciabilità delle procedure di manutenzione e gli adeguamenti dei sistemi informatici, in particolare per memorizzare le ispezioni periodiche. I Riva, che dal 1995 hanno investito nell'obsoleto impianto Italsider 4,5 miliardi di euro (1,1 miliardi per l'ambiente), secondo questa impostazione hanno il ruolo di silenti "ufficiali pagatori" di una somma gigantesca che, per ora, nessuno è in grado di stimare.

Dal Sole

Il sistema
Dopo la privatizzazione della siderurgia e con la progressiva chiusura degli altri poli del ciclo integrale, Taranto è rimasto il maggiore stabilimento produttore di acciaio primario in Europa. La sua produzione è sottoposta alle stesse regole ambientali dei concorrenti dell'Europa comunitaria e i suoi prodotti alimentano le seconde lavorazioni sparse in tutta Italia, costituendo un vantaggio competitivo per gli utilizzatori. Se le produzioni a caldo di Taranto dovessero chiudere, sparirebbero anche quelle di prima trasformazione, non soltanto a Taranto, con i relativi posti i lavoro. 
Scendendo ancora nella filiera, l'industria meccanica dovrebbe utilizzare prodotti intermedi di importazione, aggravando ulteriormente la bilancia commerciale e perdendo il vantaggio competitivo di disporre di fornitori vicini in grado di rispondere con tempestività a variazioni quantitative e qualitative negli approvvigionamenti. Basterebbe questo a spiegare l'impegno con cui il ministro dello Sviluppo segue la vicenda. Ma non c'è solo questo.

sempre dal Sole

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