La Russia sta pensando di concedere alle società occidentali le licenze per cercare petrolio nelle acque del'Artico. L'idea, presentata al Ft dal ministro dell'Energia Alexander Novak, è quella di permettere alle compagnie di avere accesso alla produzione e almeno partecipare alle licenze, che oggi sono esclusiva dei gruppi parastatali Rosfnet e Gazprom.
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domenica 7 ottobre 2012
venerdì 5 ottobre 2012
Il potenziale esplosivo delle banche Ue
Le banche europee sono molto più pericolose di quelle americane. Nel 2010 le banche statunitensi avevano asset per 8.600 miliardi di dollari, quelle europee per 42.900 miliardi. Se gli asset delle banche Usa sono pari all'80% del Pil del Paese, quelle dell'Unione europea sono 3,5 volte il Pil. "Se l'Ue fa confusione con le banche può fare esplodere l'economia mondiale".
Martin Wolf sul Ft
Martin Wolf sul Ft
giovedì 4 ottobre 2012
Se le banche non capiscono le imprese
Nel rapporto Liikanen, il documento sulla riforma del sistema bancario europeo presentato martedì a Bruxelles dagli esperti incaricati di elaborare le loro proposte, a un certo punto compare una classifica delle principali banche della zona euro ordinate in base al rapporto tra i prestiti che concedono e i loro asset. Nelle prime 10 posizioni ci sono 3 banche italiane: Ubs, prima, Mps, seconda, Intesa Sanpaolo, decima. I dati dicono che sono 'generose', le banche italiane, anche se questi istituti faticherebbero a trovare qualche cittadino (magari imprenditore) disposto a raccontare la sua bella storia di soddisfazioni raccolte in filiale.
Due studiosi del Politecnico di Milano – Anna Florio e Giangiacomo Nardozzi – hanno analizzato il comportamento e le scelte fatte dalle banche europee tra il 2007 e il 2009 per arrivare a un paio di conclusioni interessanti. La prima, non sorprendente, è che c’è una spiegazione di analisi economica alla stretta dei rubinetti adottata dalle banche italiane ed europee in questi anni: la loro posizione finanziaria è molto peggiorata, non sono più riuscite a ottenere fondi sul mercato tradizionale e quindi hanno usato le risorse messe a disposizione dalla Bce per compensare un’assenza di fondi sul mercato interbancario piuttosto che avventurarsi in rischiosi prestiti alle imprese. Ma è la seconda conclusione quella più interessante: la recessione ha reso evidente quanto alle banche italiane, soprattutto quelle grandi, manchi la capacità di capire davvero se una piccola o media impresa sarà in grado di rimborsare il denaro che chiede in prestito. Questo perché al di là delle informazioni ufficiali l’istituto di credito avrebbe bisogno di una serie di dati 'informali' sullo stato di salute di un’azienda, elementi che si possono ottenere soltanto grazie a una solida relazione con il cliente. «La flessibilità nell’utilizzo di rating di credito che derivano da modelli standardizzati è limitata» ricordano i due studiosi. Banche che non capiscono le imprese faticano a concedere loro prestiti.Lo studio di Florio e Nardozzi apre il 17esimo rapporto della Fondazione Rosselli, incentrato sulla crisi del modello della banca commerciale territoriale italiana. Il rapporto, a cura degli economisti Giampio Bracchi e Donato Masciandaro, mostra come il modello della banca italiana – che raccoglie depositi per fare credito alle imprese mantenendo un rapporto abbastanza stabile tra i due elementi – abbia resistito bene alla crisi economica internazionale, ma adesso si debba confrontare con il problema della redditività. «Per due decenni questo modello è stato dopato – spiega Masciandaro – se volete stabilità non potete volere anche rendimenti a due cifre. Se si accettano rendimenti a due cifre allora bisogna accettare che le banche possano fallire ». Gli utili delle banche italiane si stanno assottigliando e questo le costringe a studiare soluzioni per ridurre i costi – a partire da un taglio al numero delle filiali – senza rinunciare alla vocazione originaria di banche commerciali territoriali. Sarà uno «sforzo enorme» ricordano gli esperti della Fondazione Rosselli. Per chi volesse vederne una conferma concreta basta dare un’occhiata agli ostacoli che sta incontrando il piano industriale elaborato da Alessandro Profumo e Giuseppe Viola per il Monte dei Paschi. Un piano a base di tagli per ritrovare l’utile.
da Avvenire
Due studiosi del Politecnico di Milano – Anna Florio e Giangiacomo Nardozzi – hanno analizzato il comportamento e le scelte fatte dalle banche europee tra il 2007 e il 2009 per arrivare a un paio di conclusioni interessanti. La prima, non sorprendente, è che c’è una spiegazione di analisi economica alla stretta dei rubinetti adottata dalle banche italiane ed europee in questi anni: la loro posizione finanziaria è molto peggiorata, non sono più riuscite a ottenere fondi sul mercato tradizionale e quindi hanno usato le risorse messe a disposizione dalla Bce per compensare un’assenza di fondi sul mercato interbancario piuttosto che avventurarsi in rischiosi prestiti alle imprese. Ma è la seconda conclusione quella più interessante: la recessione ha reso evidente quanto alle banche italiane, soprattutto quelle grandi, manchi la capacità di capire davvero se una piccola o media impresa sarà in grado di rimborsare il denaro che chiede in prestito. Questo perché al di là delle informazioni ufficiali l’istituto di credito avrebbe bisogno di una serie di dati 'informali' sullo stato di salute di un’azienda, elementi che si possono ottenere soltanto grazie a una solida relazione con il cliente. «La flessibilità nell’utilizzo di rating di credito che derivano da modelli standardizzati è limitata» ricordano i due studiosi. Banche che non capiscono le imprese faticano a concedere loro prestiti.Lo studio di Florio e Nardozzi apre il 17esimo rapporto della Fondazione Rosselli, incentrato sulla crisi del modello della banca commerciale territoriale italiana. Il rapporto, a cura degli economisti Giampio Bracchi e Donato Masciandaro, mostra come il modello della banca italiana – che raccoglie depositi per fare credito alle imprese mantenendo un rapporto abbastanza stabile tra i due elementi – abbia resistito bene alla crisi economica internazionale, ma adesso si debba confrontare con il problema della redditività. «Per due decenni questo modello è stato dopato – spiega Masciandaro – se volete stabilità non potete volere anche rendimenti a due cifre. Se si accettano rendimenti a due cifre allora bisogna accettare che le banche possano fallire ». Gli utili delle banche italiane si stanno assottigliando e questo le costringe a studiare soluzioni per ridurre i costi – a partire da un taglio al numero delle filiali – senza rinunciare alla vocazione originaria di banche commerciali territoriali. Sarà uno «sforzo enorme» ricordano gli esperti della Fondazione Rosselli. Per chi volesse vederne una conferma concreta basta dare un’occhiata agli ostacoli che sta incontrando il piano industriale elaborato da Alessandro Profumo e Giuseppe Viola per il Monte dei Paschi. Un piano a base di tagli per ritrovare l’utile.
da Avvenire
mercoledì 3 ottobre 2012
Il processo (molto politico) a JPMorgan
Bear Stearns, che prima della crisi era la quinta banca d’America, ha venduto titoli legati a mutui immobiliari spacciandoli per investimenti sicuri, ma sapeva che in realtà non valevano quasi nulla. JPMorgan, che nel 2008 su pressione del Tesoro e della Federal Reserve ha dovuto comprare l’istituto rivale per salvarlo, adesso dovrà rispondere di quei comportamenti. È davvero un anno maledetto per la banca guidata da Jamie Dimon, la più grande degli Stati Uniti: dopo avere subito il caso di Bruno Iksil, il trader basato a Londra che con le sue scommesse ardite e massicce sui derivati le ha fatto perdere più o meno 9 miliardi di dollari, adesso dovrà gestire una complicata vicenda giudiziaria che ha anche un sapore molto politico.
L’indagine è stata annunciata ieri da Eric Schneiderman, procuratore generale di New York, che si è mosso come uno dei cinque co-presidenti del <+corsivo>Residential Mortgage Backed Securities working group<+tondo>, la task force sui titoli legati ai mutui immobiliari creata da Obama a gennaio per indagare sui comportamenti e sulle responsabilità che hanno portato alla crisi dei subprime, origine della sconquasso dell’economia globale. L’accusa riguarda Bear Stearns: tra il 2006 e il 2007 la banca ha venduto titoli basati su mutui ipotecari che si sono rivelati fallimentari causando agli investitori perdite stimate in 22,5 miliardi di dollari. Secondo il procuratore Bear Stearns sapeva che quei titoli avevano un alta probabilità di rivelarsi insolventi, ma li ha comunque raccomandati come investimenti sicurissimi. Visto che la banca "colpevole" non esiste più, il procuratore di New York ha messo sotto accusa JPMorgan, che nel marzo del 2008 (cioè prima del fallimento di LehmanBrothers) ha inglobato la banca a un prezzo irrisorio per evitarne il fallimento. «I clienti di Bear Stearns possono essere sicuri che JPMorgan garantirà il loro rischio di controparte» aveva assicurato il manager Dimon nell’annunciare l’operazione, che gli era stata imposta dalla Federal Reserve e dal Tesoro. Con un simile appoggio sicuramente non poteva immaginare future grane tribunalizie. Ha sottolineato ieri il portavoce della banca: «La causa riguarda interamente la condotta storica di un’entità che abbiamo acquistato nel giro di un fine settimana su ordine del governo americano». Secondo alcune indiscrezioni la vicenda potrebbe chiudersi con un patteggiamento che costerebbe a JpMorgan 2 o 3 miliardi di dollari.
Gli investitori non sono sembrati molto preoccupati: a Wall Street il titolo della prima banca degli Usa ha perso meno dello 0,5%. Probabilmente perché l’accusa potrebbe rivelarsi solo un’operazione elettorale. Schneiderman è di fede democratica, eletto procuratore generale di New York nel 2010 come candidato del partito di Obama. È lo stesso giudice che all’inizio del mese ha accusato di elusione fiscale la Bain Capital, la società di investimenti fondata da Mitt Romney, l’avversario di Obama per la Casa Bianca, lo stesso che domani affronterà il presidente nel primo scontro televisivo. La task force sui mutui di cui fa parte era stata fondata da Obama a gennaio. «Questa squadra ci aiuterà a girare la pagina su un’era di irresponsabilità» aveva detto il presidente, ma da allora la task force non aveva dato nessun risultato. Stasera Obama potrà invece parlare davanti alle telecamere di questa indagine sulle origini della crisi per ammorbidire un po’ la realtà di un tasso di disoccupazione sopra l’8%. E il tutto a scapito dell’amico e sostenitore Dimon, manager di JPMorgan da 23 milioni all’anno (il più pagato degli Usa) che ancora un paio di mesi fa veniva indicato dal presidente come «uno dei più abili banchieri che abbiamo».
da Avvenire di oggi
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giovedì 30 agosto 2012
Il nuovo capitolo della vicenda Suntech
Nuovi guai italiani per il colosso cinese Suntech. Dopo che a fine luglio l’azienda leader nei pannelli fotovoltaici ha dovuto ammettere che i 560 milioni di Bund tedeschi messi in garanzia da un socio del Global Solar Fund (il Gsf, con cui il gruppo investe in Europa e in Italia) probabilmente non esistono, ieri tramite l’agenzia "Reuters" è emerso che lo stesso fondo è indagato a Brindisi per truffa allo Stato. Le controllate del Gsf avrebbero infatti aggirato la procedura per l’autorizzazione della realizzazione di parchi fotovoltaici con l’obiettivo di ottenere i generosi sussidi offerti dall’Italia. La legge fissa requisiti di un certo tipo per il via libera alla costruzione di parchi di potenza superiore a 1 MW e invece prevede un percorso agevolato per quelli di taglia minore. L’accusa del procuratore brindisino Nicolangelo Ghizzardi dice che le controllate del fondo della Suntech costruivano parchi di grandi dimensioni dividendoli in tanti impianti da 1 MW per ottenere i permessi più rapidamente. In un caso queste aziende avrebbero anche definito realizzato un impianto ancora in costruzione solo per non superare la scadenza prevista per gli incentivi. Se le accuse fossero confermate le controllate del fondo Gsf sarebbero costrette a spegnere i loro 20 MW di impianti fotovoltaici in Puglia, per un danno economico stimato in almeno 80 milioni di euro. Per Suntech, che già fatica a rimborsare gli 1,6 miliardi che deve alle banche e che probabilmente dovrà farsi carico dei 560 milioni di debiti rimasti senza garanzia, è un altro potenziale colpo letale.
da Avvenire di oggi.
martedì 28 agosto 2012
La Apple, la Xerox, la Samsung. E Android
Apple teme che Google le faccia quello che, negli anni '80, le ha fatto la Microsoft. Un po' di storia: Steve Jobs e Bill Atkinson (il disegnatore del Macintosh) crearono il primo Mac prendendo molti elementi dell'Alto, il computer elaborato dal Palo Alto Research Center della Xerox. Quel computer aveva molte novità, compresi il mouse e le finestre pop-up. Jobs visita il centro Xerox nel '79 e due giorni dopo chiede ad Atkinson di disegnare un computer con un mouse. Era l'Apple Macintosh, che debuttò nel 1984. Il computer però non vendeva e nel 1985 Jobs dovette lasciare la Apple. Bill Gates aveva introdotto Windows nel 1983, ma il sistema operativo funzionava malissimo fino alla versione aggiornata nel 1986. Windows aveva molte delle funzioni introdotte dalla Apple. Rapidamente il sistema della Microsoft divenne il re del mercato lasciando ad Apple una quota minima, attorno al 3%. Steve Jobs temeva che Android sarebbe stato per Apple il nuovo Windows. Nell'autobiografia dettata a Isaacson ha detto: "Google...ha fregato l'iPhone, il mercato all'ingrosso ci ha fregati. Se sarà necessario spenderò il mio ultimo respiro e spenderò fino all'ultimo i 40 miliardi di dollari delle casse della Apple per riparare questo torto. Distruggerò Android perché è un prodotto rubato...sarò termonucleare su questo".
dal Wsj
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