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mercoledì 8 maggio 2013

Il biotech italiano ha bisogno di aiuto

Lo Stato deve 4 miliardi di euro alle imprese farmaceutiche, ma nemmeno il decreto sul pagamento dei debiti della Pubblica ammi­nistrazione farà arrivare quei soldi alle aziende. «Colpa di alcuni tecnicismi» spiega Massimo Scac­cabarozzi, presidente di Farmindustria. La legge prevede come unico strumento per il pagamento dei debiti sanitari che la Regione faccia un’antici­pazione di cassa con oneri a proprio carico: ma l’ente locale non ha nessun obbligo di ricorrere a questa soluzione, quindi sta a lei decidere se pro­cedere o meno con i pagamenti. Farmindustria a­veva sperato che il testo contenesse quantomeno una possibilità di compensare debiti e crediti (per le aziende farmaceutiche, infatti, è normale ogni anno rimborsare in anticipo alle Pubbliche amministrazioni par­te delle cifre da incassare) ma nel decreto non c’è niente del gene­re. Mentre resta in piedi fino a fi­ne anno il blocco delle azioni e­secutive contro gli enti del siste­ma sanitario nazionale introdot­to dal decreto Balduzzi: in so­stanza la legge impedisce alle a­ziende farmaceutiche di muoversi con gli avvoca­ti perché lo Stato paghi quanto dovuto.
Scaccabarozzi solleva il problema del pagamento dei crediti delle aziende farmaceutiche durante la presentazione dei risultati dello studio realizzato dal colosso della consulenza Ernst & Young sullo stato di salute delle biotecnologie in Italia. Non è un caso: il decreto sui debiti della Pubblica ammi­nistrazione è stato un’esemplare dimostrazione di quanto poco l’Italia si preoccupi di creare un am­biente positivo per aiutare le imprese che investo­no. Una trascuratezza confermata in pieno dall’in­dagine.
In 12 anni le imprese italiane che fanno ricerca e svi­luppo in biotecnologie sono quasi triplicate: oggi sono 407 (erano 412 l’anno scorso) e di queste 256 sono 'pure biotech', cioè si occupano esclusiva­mente di biotecnologie. In Europa solo Regno U­nito e Germania hanno più aziende biotecnologi­che di noi. Questo è un settore preziosissimo per il sistema industriale nazionale, perché i risultati del­le sue ricerche si applicano a campi molto diversi: soprattutto la farmaceutica, ma anche l’alimenta­re, l’informatica, l’ambiente, la chimica, l’agricol­tura. Sono aziende che investono tanto (la quota di spese per la ricerca e lo sviluppo è stati pari al 26% dei ricavi nel 2010) e che pur essendo mediamen­te di piccola dimensione si sono organizzate in 'Cluster territoriali' per essere in grado di trasferi­re con efficacia sul mercato i risultati del loro lavo­ro. E soprattutto sono aziende in forte crescita: i da­ti del 2011, gli ultimi disponibili, indicano ricavi in aumento del 6,3% (a 7,1 miliardi di euro). L’aumento del fatturato delle aziende 'pure biotech' è anche più forte (+11%, a 1,4 miliardi). L’occupazione tie­ne: i dipendenti sono rimasti stabili (6.739 gli ad­detti in ricerca e sviluppo nel 2011, con un calo del­lo0,1%). «Eppure andiamo avanti con il freno a mano tira­to » si arrabbia Alessandro Sido­li, presidente dell’associazione di settore Assobiotec, che fa l’e­lenco delle misure a favore del­le ricerca varate altrove: in mez­za Europa hanno detassato gli u­tili che derivano dalla cessione di proprietà intellettuale, in tut­to il mondo (o quasi) è previsto del credito di imposta per l’atti­vità di ricerca e sviluppo, in molti Paesi ci sono a­gevolazioni per i fondi di venture capital che inve­stono su imprese ad alta innovazione. In Italia non c’è niente di tutto questo e anche le leggi che po­trebbero aiutare non funzionano: il Decreto cre­scita 2.0 varato dal passato governo esclude le start­up farmaceutiche, perché hanno tempi troppo lun­ghi (servono tra i 10 e i 12 anni per sviluppare un nuovo prodotto) rispetto a quelle tecnologiche. «Co­sì rischiamo il naufragio» avverte Sidoli, segnalan­do che la quota di aziende biotecnologiche che han­no una disponibilità di cassa inferiore ai sei mesi è raddoppiata dal 22% del 2010 al 45% del 2012.
Molte di queste aziende aspettano dall’Italia il pa­gamento di finanziamenti per la ricerca nazionali ed europei maturati e non ancora erogati. Questi non sono crediti commerciali, quindi sono esclusi dal Decreto sui debiti dello Stato. Ma vanno paga­ti con urgenza, avverte Assobiotec, se vogliamo e­vitare di uccidere aziende che altrimenti godreb­bero di ottima salute.

da Avvenire