Lo Stato deve 4 miliardi di euro alle imprese farmaceutiche, ma nemmeno il decreto sul pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione farà arrivare quei soldi alle aziende. «Colpa di alcuni tecnicismi» spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. La legge prevede come unico strumento per il pagamento dei debiti sanitari che la Regione faccia un’anticipazione di cassa con oneri a proprio carico: ma l’ente locale non ha nessun obbligo di ricorrere a questa soluzione, quindi sta a lei decidere se procedere o meno con i pagamenti. Farmindustria aveva sperato che il testo contenesse quantomeno una possibilità di compensare debiti e crediti (per le aziende farmaceutiche, infatti, è normale ogni anno rimborsare in anticipo alle Pubbliche amministrazioni parte delle cifre da incassare) ma nel decreto non c’è niente del genere. Mentre resta in piedi fino a fine anno il blocco delle azioni esecutive contro gli enti del sistema sanitario nazionale introdotto dal decreto Balduzzi: in sostanza la legge impedisce alle aziende farmaceutiche di muoversi con gli avvocati perché lo Stato paghi quanto dovuto.
Scaccabarozzi solleva il problema del pagamento dei crediti delle aziende farmaceutiche durante la presentazione dei risultati dello studio realizzato dal colosso della consulenza Ernst & Young sullo stato di salute delle biotecnologie in Italia. Non è un caso: il decreto sui debiti della Pubblica amministrazione è stato un’esemplare dimostrazione di quanto poco l’Italia si preoccupi di creare un ambiente positivo per aiutare le imprese che investono. Una trascuratezza confermata in pieno dall’indagine.
In 12 anni le imprese italiane che fanno ricerca e sviluppo in biotecnologie sono quasi triplicate: oggi sono 407 (erano 412 l’anno scorso) e di queste 256 sono 'pure biotech', cioè si occupano esclusivamente di biotecnologie. In Europa solo Regno Unito e Germania hanno più aziende biotecnologiche di noi. Questo è un settore preziosissimo per il sistema industriale nazionale, perché i risultati delle sue ricerche si applicano a campi molto diversi: soprattutto la farmaceutica, ma anche l’alimentare, l’informatica, l’ambiente, la chimica, l’agricoltura. Sono aziende che investono tanto (la quota di spese per la ricerca e lo sviluppo è stati pari al 26% dei ricavi nel 2010) e che pur essendo mediamente di piccola dimensione si sono organizzate in 'Cluster territoriali' per essere in grado di trasferire con efficacia sul mercato i risultati del loro lavoro. E soprattutto sono aziende in forte crescita: i dati del 2011, gli ultimi disponibili, indicano ricavi in aumento del 6,3% (a 7,1 miliardi di euro). L’aumento del fatturato delle aziende 'pure biotech' è anche più forte (+11%, a 1,4 miliardi). L’occupazione tiene: i dipendenti sono rimasti stabili (6.739 gli addetti in ricerca e sviluppo nel 2011, con un calo dello0,1%). «Eppure andiamo avanti con il freno a mano tirato » si arrabbia Alessandro Sidoli, presidente dell’associazione di settore Assobiotec, che fa l’elenco delle misure a favore delle ricerca varate altrove: in mezza Europa hanno detassato gli utili che derivano dalla cessione di proprietà intellettuale, in tutto il mondo (o quasi) è previsto del credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, in molti Paesi ci sono agevolazioni per i fondi di venture capital che investono su imprese ad alta innovazione. In Italia non c’è niente di tutto questo e anche le leggi che potrebbero aiutare non funzionano: il Decreto crescita 2.0 varato dal passato governo esclude le startup farmaceutiche, perché hanno tempi troppo lunghi (servono tra i 10 e i 12 anni per sviluppare un nuovo prodotto) rispetto a quelle tecnologiche. «Così rischiamo il naufragio» avverte Sidoli, segnalando che la quota di aziende biotecnologiche che hanno una disponibilità di cassa inferiore ai sei mesi è raddoppiata dal 22% del 2010 al 45% del 2012.Molte di queste aziende aspettano dall’Italia il pagamento di finanziamenti per la ricerca nazionali ed europei maturati e non ancora erogati. Questi non sono crediti commerciali, quindi sono esclusi dal Decreto sui debiti dello Stato. Ma vanno pagati con urgenza, avverte Assobiotec, se vogliamo evitare di uccidere aziende che altrimenti godrebbero di ottima salute.
da Avvenire
Scaccabarozzi solleva il problema del pagamento dei crediti delle aziende farmaceutiche durante la presentazione dei risultati dello studio realizzato dal colosso della consulenza Ernst & Young sullo stato di salute delle biotecnologie in Italia. Non è un caso: il decreto sui debiti della Pubblica amministrazione è stato un’esemplare dimostrazione di quanto poco l’Italia si preoccupi di creare un ambiente positivo per aiutare le imprese che investono. Una trascuratezza confermata in pieno dall’indagine.
In 12 anni le imprese italiane che fanno ricerca e sviluppo in biotecnologie sono quasi triplicate: oggi sono 407 (erano 412 l’anno scorso) e di queste 256 sono 'pure biotech', cioè si occupano esclusivamente di biotecnologie. In Europa solo Regno Unito e Germania hanno più aziende biotecnologiche di noi. Questo è un settore preziosissimo per il sistema industriale nazionale, perché i risultati delle sue ricerche si applicano a campi molto diversi: soprattutto la farmaceutica, ma anche l’alimentare, l’informatica, l’ambiente, la chimica, l’agricoltura. Sono aziende che investono tanto (la quota di spese per la ricerca e lo sviluppo è stati pari al 26% dei ricavi nel 2010) e che pur essendo mediamente di piccola dimensione si sono organizzate in 'Cluster territoriali' per essere in grado di trasferire con efficacia sul mercato i risultati del loro lavoro. E soprattutto sono aziende in forte crescita: i dati del 2011, gli ultimi disponibili, indicano ricavi in aumento del 6,3% (a 7,1 miliardi di euro). L’aumento del fatturato delle aziende 'pure biotech' è anche più forte (+11%, a 1,4 miliardi). L’occupazione tiene: i dipendenti sono rimasti stabili (6.739 gli addetti in ricerca e sviluppo nel 2011, con un calo dello0,1%). «Eppure andiamo avanti con il freno a mano tirato » si arrabbia Alessandro Sidoli, presidente dell’associazione di settore Assobiotec, che fa l’elenco delle misure a favore delle ricerca varate altrove: in mezza Europa hanno detassato gli utili che derivano dalla cessione di proprietà intellettuale, in tutto il mondo (o quasi) è previsto del credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, in molti Paesi ci sono agevolazioni per i fondi di venture capital che investono su imprese ad alta innovazione. In Italia non c’è niente di tutto questo e anche le leggi che potrebbero aiutare non funzionano: il Decreto crescita 2.0 varato dal passato governo esclude le startup farmaceutiche, perché hanno tempi troppo lunghi (servono tra i 10 e i 12 anni per sviluppare un nuovo prodotto) rispetto a quelle tecnologiche. «Così rischiamo il naufragio» avverte Sidoli, segnalando che la quota di aziende biotecnologiche che hanno una disponibilità di cassa inferiore ai sei mesi è raddoppiata dal 22% del 2010 al 45% del 2012.Molte di queste aziende aspettano dall’Italia il pagamento di finanziamenti per la ricerca nazionali ed europei maturati e non ancora erogati. Questi non sono crediti commerciali, quindi sono esclusi dal Decreto sui debiti dello Stato. Ma vanno pagati con urgenza, avverte Assobiotec, se vogliamo evitare di uccidere aziende che altrimenti godrebbero di ottima salute.
da Avvenire
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