Come azienda, Moleskine va alla grande. Ieri ha presentato i conti del primo trimestre e i risultati sono ottimi: ricavi in aumento del 15,5%, a 16,4 milioni di euro, un margine operativo lordo cresciuto del 9,7%, a 5,7 milioni, un utile netto di 3,2 milioni (+20,5%). Sono poche le aziende italiane che in questo momento possono mostrare numeri simili. Il modello industriale, evidentemente funziona: taccuini e agende con lo storico marchio francese recuperato da abili manager italiani vengono prodotti in Cina e quindi venduti in tutto il mondo (il 46% in Europa, il 39% in America, il 15% in Asia) a prezzi da prodotto di alta moda. Quel margine operativo – più di un terzo dei ricavi – è enorme.
Il problema è Moleskine come titolo. Il 3 aprile scorso il debutto a Piazza Affari di un’azienda così di moda era stato accolto con entusiasmo. Il fondo Syntegra – attraverso la società lussemburghese Appunti che aveva comprato il 75% dell’azienda nel 2006 per 60 milioni – e un gruppo di manager tramite la fiduciaria Istifid hanno messo sul mercato il 50,17% delle azioni incassando poco meno di 245 milioni di euro da usare per ridurre il debito. L’operazione valutava Moleskine circa 20 volte i suoi utili. Una valutazione alta. Come le agende, anche le azioni erano un po’ care: Moleskine veniva trattata come una società di alta moda o un’azienda tecnologica estremamente innovativa.
L’Ipo ha avuto un successo straordinario. Ma chi si è precipitato a comprare il titolo (il 90% dell’offerta era riservato agli investitori istituzionali, il 10% ai risparmiatori) per ora non può dire di avere fatto un grande affare. Anzi, per un po’ probabilmente se l’è vista brutta. Piazzate a 2,3 euro il 3 aprile le azioni Moleskine hanno rapidamente iniziato a svalutarsi. Dopo due settimane valevano 1,8 euro. Un’altra settimana e l’azione era precipitata a 1,6. Meno trenta per cento in tre settimane. Avranno tremato gli anziani del New Jersey: il fondo pensione statale ha comprato il 2,6% delle azioni Moleskine, una parte degli assegni di questi vecchi americani dipende dalle sorti di questi modaioli taccuini neri. Per fortuna quell’1,6 euro è rimasto un minimo. L’azione nella seconda metà di aprile ha iniziato un recupero che l’ha riportata a quota 2 euro (2 euro tondi, la chiusura di ieri, con un calo dello 0,5%). Meglio di prima, ma dal debutto la Borsa ha bruciato il 12,7% di capitalizzazione del gruppo. I titoli pagati 245 milioni di euro oggi valgono 214 milioni. È passato solo un mese, ma le mitiche agendine di Chatwin, Hemingway e Picasso a Piazza Affari non hanno già più il fascino di una volta.
da Avvenire
Il problema è Moleskine come titolo. Il 3 aprile scorso il debutto a Piazza Affari di un’azienda così di moda era stato accolto con entusiasmo. Il fondo Syntegra – attraverso la società lussemburghese Appunti che aveva comprato il 75% dell’azienda nel 2006 per 60 milioni – e un gruppo di manager tramite la fiduciaria Istifid hanno messo sul mercato il 50,17% delle azioni incassando poco meno di 245 milioni di euro da usare per ridurre il debito. L’operazione valutava Moleskine circa 20 volte i suoi utili. Una valutazione alta. Come le agende, anche le azioni erano un po’ care: Moleskine veniva trattata come una società di alta moda o un’azienda tecnologica estremamente innovativa.
L’Ipo ha avuto un successo straordinario. Ma chi si è precipitato a comprare il titolo (il 90% dell’offerta era riservato agli investitori istituzionali, il 10% ai risparmiatori) per ora non può dire di avere fatto un grande affare. Anzi, per un po’ probabilmente se l’è vista brutta. Piazzate a 2,3 euro il 3 aprile le azioni Moleskine hanno rapidamente iniziato a svalutarsi. Dopo due settimane valevano 1,8 euro. Un’altra settimana e l’azione era precipitata a 1,6. Meno trenta per cento in tre settimane. Avranno tremato gli anziani del New Jersey: il fondo pensione statale ha comprato il 2,6% delle azioni Moleskine, una parte degli assegni di questi vecchi americani dipende dalle sorti di questi modaioli taccuini neri. Per fortuna quell’1,6 euro è rimasto un minimo. L’azione nella seconda metà di aprile ha iniziato un recupero che l’ha riportata a quota 2 euro (2 euro tondi, la chiusura di ieri, con un calo dello 0,5%). Meglio di prima, ma dal debutto la Borsa ha bruciato il 12,7% di capitalizzazione del gruppo. I titoli pagati 245 milioni di euro oggi valgono 214 milioni. È passato solo un mese, ma le mitiche agendine di Chatwin, Hemingway e Picasso a Piazza Affari non hanno già più il fascino di una volta.
da Avvenire