mio pezzo su Avvenire di oggi
Lo scandalo del tasso Libor "truccato" si sta allargando al di là di ogni aspettativa, con un effetto valanga che rischia di travolgere l’intera classe dirigente del sistema bancario del Regno Unito. La prima a pagare è Barclays, che venerdì scorso ha chiuso il caso che la riguarda accettando una multa da 290 milioni di sterline imposta dall’Autorità finanziaria britannica (la Fsa), dal dipartimento di Giustizia americano e dalla Cftc, la commissione statunitense che regola il mercato dei derivati. Le indagini riguardano altre 20 grandi banche internazionali – comprese Citigroup, Deutsche Bank e Hsbc – e coinvolgono direttamente Paul Tucker, il vice governatore della Banca di Inghilterra.
Barclays, 322 anni di storia, è una banca senza più una guida. Lunedì si è dimesso il presidente Marcus Agius, nel tentativo di proteggere l’amministratore delegato, l’americano Bob Diamond. Non è servito: ieri, sotto pressione della politica inglese, si è dimesso anche Diamond e se n’è dovuto andare anche il direttore generale Jerry del Missier. «Spero sia un primo passo verso una nuova cultura della responsabilità nel sistema bancario inglese» ha detto David Osborne, cancelliere dello Scacchiere. Oggi Diamond sarà ascoltato dalla commissione di inchiesta parlamentare voluta dal premier David Cameron. Il banchiere, che avrebbe diritto a una buonuscita di 20 milioni di euro (il Cda lo ha però invitato a rinunciare), potrebbe raccontare storie molto sgradevoli sulla Banca centrale inglese.
Al centro di tutta questa vicenda ci sono i tassi Libor che, con scadenze da 1 giorno ai 12 mesi, indicano gli interessi a cui le banche si stanno prestando reciprocamente denaro (soprattutto sterline e dollari, per l’euro il tasso è l’Euribor). Sono indicatori fondamentali per la finanza globale: si basano sul Libor contratti per un valore totale stimato in 350 mila miliardi di dollari, 5 volte il Pil del pianeta. Per fissare questi tassi, la British Banker Association (la Bba) ogni giorno chiede alle banche a che tasso contano di ottenere denaro in prestito dagli altri istituti il giorno dopo, quindi fanno la media. Barclays è stata punita perché da alcune email scambiate tra i suoi dipendenti emerge che gli addetti comunicavano alla Bba tassi diversi da quelli reali. Lo facevano per due motivi: a volte per favorire i trader interni, che speculavano sulle oscillazioni del Libor e promettevano bottiglie di champagne Bollinger ai colleghi disposti a mentire per aiutarli, altre volte per nascondere la sfiducia che le altre banche avevano sullo stato di salute di Barclays.
Questa seconda esigenza, in particolare, sarebbe stata avvallata dalla Bank of England. In una nota interna del 2008 inviata da Diamond (allora responsabile degli investimenti) all’amministratore delegato John Varley, il manager sottolineava che Paul Tucker, allora direttore generale per i Mercati della Banca di Inghilterra, gli aveva fatto presente che al ministero del Tesoro gli chiedevano perché Barclays comunicasse tassi così alti per il Libor. Scriveva Diamond: «Tucker ha assicurato che le chiamate che ha ricevuto dal governo sono di primo piano, e lui è certo che noi non abbiamo bisogno di consigli, che non deve sempre essere per forza il caso di mostrarci così alti (sui tassi Libor, ndr) come abbiamo fatto ultimamente».
L’agenzia Reuters ieri ha evidenziato come almeno 5 volte tra il 2007 al 2009 da alcuni addetti della Barclays e da dipendenti di altre banche siano stati mandati precisi allarmi sull’inattendibilità delle cifre del Libor alla Banca centrale inglese, alla Bba e alla Fsa. Sirene che, evidentemente, sono state poco ascoltate.
È il coinvolgimento degli stessi "vigili" della City a fare del caso Libor una bomba la cui esplosione può annientare i vertici della finanza londinese. Per il primo ministro Cameron, che si vanta di essere il discendente di una famiglia di banchieri, sarà personalmente difficile gestire la vicenda. Già l’opposizione lo accusa di essere troppo morbido. E certe decisioni che nel frattempo si stanno prendendo oltre la Manica non lo aiutano. «Se le 17 nazioni della zona euro fanno un’unione bancaria, e francamente penso che debbano farla, e se sapremo dotarci di meccanismi di salvaguardia, allora per noi non sarebbe un cambiamento fondamentale» ha assicurato ieri un premier britannico poco abile nel nascondere le sue paure: la prospettiva di un’Unione bancaria europea non può che lasciare Londra più isolata e attaccabile.