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giovedì 21 novembre 2013

La Fed che accelera. La Bce che frena

La Federal Reserve continua a spostare in avanti il momento in cui smetterà di spingere l’acceleratore. Martedì sera, al­la cena annuale del club americano degli e­conomisti, il presidente Ben Bernanke ha ri­percorso le motivazioni dietro le scelte fatte nei suoi otto anni alla guida della Banca cen­trale. Ha spiegato che la forward guidance, cioè la scelta di dare ai mercati indicazioni a lungo termine sulle strategie della Fed, rap­presenta un grande passo avanti verso una politica monetaria più trasparente. Poi ha di­feso il quantitative easing : il massiccio ac­quisto di titoli pubblici e legati ai mutui – ha detto Bernanke – sta servendo a tenere bassi i tassi di breve periodo. Quindi il capo della Fed ha fatto capire che questa strategia andrà avanti ancora a lungo: ci vorrà infatti «un po’ di tempo» prima che la politica monetaria a­mericana torni «alla normalità».

Per Bernanke è stato uno degli ultimi discor­si da banchiere centrale. Oggi la Commissio­ne bancaria del Senato americano confer­merà la nomina di Janet Yellen a prendere la
 guida della Fed dal 1 ° febbraio, uno dei pas­saggi finali per la conferma definitiva. Con il cambio di presidenza la Fed potrebbe diven­tare ancora più aggressiva. Rispondendo alle domande di un senatore, Yellen ha sottoli­neato un concetto che Bernanke ha già ripe­tuto un paio di volte negli ultimi mesi: le so­glie non sono meccanismi automatici. Signi­fica che se la Banca centra­le ha detto che i tassi reste­ranno azzerati almeno fin­ché la disoccupazione non tornerà sotto il 6,5%, non è però detto che al raggiungi­mento di quell’obiettivo il costo del denaro tornerà a salire. E lo stesso vale per il quarto piano di quantitive easing: non ci sono automatismi che costrin­geranno al Fed a ridurre gli acquisti di titoli, che da gennaio proseguono al ritmo di 85 mi­liardi di dollari al mese (anche se alla riunio­ne di ottobre i consiglieri della Fed sono tor­nati a parlare della possibilità di tagliare lo shopping nei prossimi mesi).

Sono pessime notizie per i rigoristi della Ban­ca
 centrale europea. Più le altre grandi ban­che centrali sperimentano politiche ultra-ag­gressive più sale la pressione perché la Bce faccia altrettanto. Martedì è stata l’Ocse a da­re un consiglio, non richiesto, a Mario Dra­ghi: «La Bce deve stare molto attenta – ha scrit­to l’organizzazione nel suo rapporto sull’eco­nomia mondiale – ed essere preparata a usa­re misure anche non con­venzionali per eliminare che i rischi di deflazione diven­tino permanenti». Simili ri­chiami non lasciano freddi i responsabili della politica monetaria europea. La set­timana scorsa Peter Praet, capo economista della Bce, ha spiegato che se Fran­coforte vedesse a rischio la sua missione «prenderemo tutte le misure che riterremo di dover prendere per svolgere il nostro manda­to ». Mentre martedì il portoghese Vitòr Con­stâncio ha chiarito che quella del quantitati­ve easingeuropeo è «un’opzione, niente di più». Ma è stata una di quelle mezze smenti­te che si trasformano in conferme. Tanto che Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e leader dei custodi del rigore tedesco all’in­terno del consiglio della Bce, si è fatto inter­vistare dallo Zeit per spiegare che l'attuale po­litica monetaria espansiva è «giustificata» da una prospettiva di inflazione molto bassa e che ora non è il momento di parlare di nuo­ve mosse: «Il consiglio ha appena deciso di tagliare i tassi, dunque non mi sembra sensato mandare immediatamente il messaggio che è pronto a farlo di nuovo».

Eppure già ieri qualcuno da Francoforte ha fatto arrivare all’agenzia
 Bloomberg una nuo­va indiscrezione: la Bce starebbe valutando di portare il tasso sui depositi bancari in ne­gativo, allo -0,1%. Sarebbe un altro passo a­vanti verso una Bce più all’americana. 


da Avvenire

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