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giovedì 22 agosto 2013

L'incertezza della Fed sull'uscita dal quantitative easing

Ci fosse Esther L. George, al­la guida della Federal Re­serve, la Banca centrale a­mericana avrebbe probabilmente già smesso di pompare ogni mese 85 miliardi nel sistema finanziario statunitense. Invece alla guida del­la Fed, almeno fino a gennaio, c’è Ben Bernanke e George, che è la presidente della Federal Reserve di Kansas City, deve accontentar­si di partecipare alle riunioni del comitato direttivo della Banca cen­trale. Ma lì il 31 luglio questo ban­chiere del Midwest si è fatta senti­re: il suo è stato l’unico voto con­trario al comunicato finale con cui Bernanke non diceva con chiarez­za quando la Fed avrebbe ridotto o meno il suo flusso di acquisti.

La pubblicazione dei verbali del­l’ultima riunione del Federal Open Market Committee non ha aiuta­to gli investitori a capire meglio quali sono le intenzioni della Ban­ca centrale. Nel testo si ripete che i membri del direttivo sono divisi. Alcuni si aspettano che la crescita economica americana accelererà, altri sono più cauti, i primi sotto­lineano anche che la disoccupa­zione sta scendendo rapidamen­te, i secondi notano che comun­que il mercato del lavoro è debo­le. Gli "ottimisti" ritengono sia già arrivato il momento di smetterla di pompare tanto denaro nel si­stema, i 'pessimisti' (che per ora stanno vincendo) chiedono mag­giore cautela. Le divisioni, co­munque, sono forti. Solo la Geor­ge è arrivata a votare contro, ma un numero significativo di altri
 banchieri centrali crede, come lei, che sia arrivato il momento di ini­ziare a ridurre il flusso di acquisti, che a gennaio è stato allargato da 40 a 85 miliardi di dollari al mese. Sono di più gli altri, però, quelli che «hanno sottolineato l’impor­tanza di essere pazienti». L’unica certezza, almeno ufficiale, è che entro la metà del 2014 l’intera ter­za fase del 'quantitative easing' dovrà concludersi con l’elimina­zione di tutti gli 85 miliardi di spe­sa mensile. È sulla base di questo scenario che i grandi fondi in queste ultime set­timane si stanno riorganizzando: ritirano i soldi investiti nei merca­ti più rischiosi (ma anche più red­ditizi) e li spostano verso investi­menti più tranquilli. La rupia in­diana è scesa a un nuovo minimo storico mentre continuano a pre­cipitare anche le valute di Thai­landia, Indonesia, Brasile e Tur­chia. Ed è figlio dell’incertezza il nervosismo che stiamo vedendo sulle Borse. Ieri, per la terza gior­nata consecutiva, i mercati europei hanno chiuso in calo, anche se so­no stati evitati gli scivoloni pesan­ti di lunedì e martedì (Milano ha fatto -0,7%). Continua anche la ri­salita del tasso dei Btp decennali, che sul mercato secondario è sali­to di 6 centesimi, al 4,37% portan­dosi a 250 punti di distanza dai Bund tedeschi. Wall Street, come sempre unica grande Borsa aper­ta quando la Fed ha diffuso il co­municato (alle 20 italiane) era già in ribasso e ha accelerato la disce­sa (ma sotto l’1%). Gli analisti di­cono di aspettarsi a questo punto una piccola riduzione del 'quan­titative easing' nella riunione del­la Fed di metà settembre.


da Avvenire

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