Quando i soldi crescono sugli alberi – o sgorgano dal sottosuolo – ci si può anche permettere di spenderli malamente. Per esempio facendo indigestione di azioni delle più grandi banche mondiali pochi mesi prima del crollo di Lehman Brothers. Adia, il fondo sovrano di Abu Dhabi, aveva puntato pesante sulle regine della finanza britannica proprio alla vigilia della grande crisi. Come risultato, secondo uno studio del Council on Foreign Relations, solo tra il 2007 e il 2008 ci ha perso 183 miliardi di dollari. Il fondo sovrano libico Lia, che si era affidato a Goldman Sachs per guadagnare con i derivati di azioni e valute, ha affidato alla leggendaria banca americana 1,2 miliardi. Alla fine dei giochi ha avuto indietro meno di 2 milioni. Qia, Il fondo del Qatar con cui gli sceicchi dell’Emirato si dilettano tra squadre di calcio (il Paris Saint Germain) e prestigiose griffe ( Valentino), ha speso un miliardo e mezzo di sterline per costruire lo Shard, la torre di Renzo Piano che domina Londra. Perfido, il
Daily Mail un mese fa ha scritto che lo spettacolo dello Shard di notte è una tristezza: i prezzi sono troppo alti, la torre semivuota e buia è una macchia nera che stona con le luci degli uffici della City. Piano se l’è presa, ha fatto presente che lo Shard deve essere ancora completato e ha promesso che quando sarà pronto – questo ottobre – il suo grattacielo a forma di scheggia si riempirà.
Vedremo. Per gli emiri del Qatar cambia poco: già un anno fa avevano spiegato che gli piaceva l’idea della torre di vetro, il prezzo e il senso economico dell’operazione non avevano importanza. Perché i soldi dell’emiro, appunto, erompono dal terreno, nella forma del petrolio e del gas che, esportati in tutto il mondo, alimentano queste enormi spese.
Secondo i calcoli del Sovereign Wealth Fund Institute, l’organizzazione che studia più a fondo questo settore, il patrimonio dei fondi sovrani a giugno ammontava a 5.474 miliardi di dollari. Sono 1.500 miliardi in più rispetto a tre anni fa, è quasi la metà del Pil della zona euro. Questa enorme quantità di denaro non viene tutta dalle materie prime: i fondi che vivono di gas e petrolio hanno un patrimonio di circa 3.100 miliardi. Quasi tutto il resto appartiene a quei fondi sovrani che raccolgono i disavanzi commerciali dei loro Paesi. Come il Cic, il China Investment Corporation costruito da Pechino quasi 40 anni fa. Con un patrimonio di 482 miliardi di dollari è il secondo fondo sovrano più grande del pianeta, dietro quello norvegese (alimentato a gas naturale) che ha in gestione 746 miliardi.
Finché il prezzo del petrolio o il commercio internazionale tengono, questi fondi possono continuare a crescere pur chiudendo i conti in rosso. Però per chi li gestisce è sempre più difficile giustificare le perdite. «I fondi sovrani hanno dovuto affrontare critiche pubbliche nei loro paesi a causa di una serie di perdite sugli investimenti esteri alla vigilia della crisi – ha scritto la casa di consulenza inglese TheCityUk in un report diffuso a marzo –. Come risultato le entità delle operazioni sono state ridotte negli ultimi anni». I soldi comunque non mancheranno. È ancora TheCityUk a scrivere che «i fondi potranno vedere un continuo afflusso di capitali nei prossimi anni, con i paesi asiatici, in particolare la Cina, che continueranno a fare scorta di moneta estera e con la domanda di materie prime che crescerà grazie alla ripresa dell’economia globale e alla domanda dei mercati emergenti».
La novità è che, scottati dalle troppe batoste subite giocando a conquistare le grandi banche europee e americane (abbiamo fatto solo qualche esempio, ma potevamo citare tra gli altri i 2 miliardi persi dal coreano Kic con Merrill Lynch, o il caso di Mubadala, sempre di Abu Dhabi, che negli ultimi due anni ha fatto svalutazioni di quasi 4,5 miliardi sui suoi titoli finanziari), i fondi si stanno buttando sull’immobiliare commerciale. Secondo il Sovereign Investment Lab del centro studi bocconiano Paolo Baffi, dei 58,4 miliardi di dollari investiti dai fondi sovrani nel 2012 ben 15 miliardi (il 26%) erano destinati al 'real estate'. È un aumento del 50% rispetto al 2011. Per la prima volta gli investimenti immobiliari hanno superato quelli finanziari. Ne abbiamo visto un esempio anche in Italia, quando a maggio il fondo sovrano del Qatar è entrato, con una quota del 40%, nel progetto immobiliare milanese di Porta Nuova. Più in grande, il cinese Cic ha comprato i quartieri generali di Deutsche Bank a Londra mentre gli arabi dell’Adia hanno preso il controllo di quelli di Amundi a Parigi. Come farebbe un piccolo risparmiatore dopo una brutta esperienza di Borsa, i giganteschi fondi degli Stati ora puntano forte sul mattone. Se hanno perso miliardi per diventare soci dei colossi della finanza, ora sperano di guadagnare affitandogli gli uffici.