Ci fosse Esther L. George, alla guida della Federal Reserve, la Banca centrale americana avrebbe probabilmente già smesso di pompare ogni mese 85 miliardi nel sistema finanziario statunitense. Invece alla guida della Fed, almeno fino a gennaio, c’è Ben Bernanke e George, che è la presidente della Federal Reserve di Kansas City, deve accontentarsi di partecipare alle riunioni del comitato direttivo della Banca centrale. Ma lì il 31 luglio questo banchiere del Midwest si è fatta sentire: il suo è stato l’unico voto contrario al comunicato finale con cui Bernanke non diceva con chiarezza quando la Fed avrebbe ridotto o meno il suo flusso di acquisti.
La pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del Federal Open Market Committee non ha aiutato gli investitori a capire meglio quali sono le intenzioni della Banca centrale. Nel testo si ripete che i membri del direttivo sono divisi. Alcuni si aspettano che la crescita economica americana accelererà, altri sono più cauti, i primi sottolineano anche che la disoccupazione sta scendendo rapidamente, i secondi notano che comunque il mercato del lavoro è debole. Gli "ottimisti" ritengono sia già arrivato il momento di smetterla di pompare tanto denaro nel sistema, i 'pessimisti' (che per ora stanno vincendo) chiedono maggiore cautela. Le divisioni, comunque, sono forti. Solo la George è arrivata a votare contro, ma un numero significativo di altri banchieri centrali crede, come lei, che sia arrivato il momento di iniziare a ridurre il flusso di acquisti, che a gennaio è stato allargato da 40 a 85 miliardi di dollari al mese. Sono di più gli altri, però, quelli che «hanno sottolineato l’importanza di essere pazienti». L’unica certezza, almeno ufficiale, è che entro la metà del 2014 l’intera terza fase del 'quantitative easing' dovrà concludersi con l’eliminazione di tutti gli 85 miliardi di spesa mensile. È sulla base di questo scenario che i grandi fondi in queste ultime settimane si stanno riorganizzando: ritirano i soldi investiti nei mercati più rischiosi (ma anche più redditizi) e li spostano verso investimenti più tranquilli. La rupia indiana è scesa a un nuovo minimo storico mentre continuano a precipitare anche le valute di Thailandia, Indonesia, Brasile e Turchia. Ed è figlio dell’incertezza il nervosismo che stiamo vedendo sulle Borse. Ieri, per la terza giornata consecutiva, i mercati europei hanno chiuso in calo, anche se sono stati evitati gli scivoloni pesanti di lunedì e martedì (Milano ha fatto -0,7%). Continua anche la risalita del tasso dei Btp decennali, che sul mercato secondario è salito di 6 centesimi, al 4,37% portandosi a 250 punti di distanza dai Bund tedeschi. Wall Street, come sempre unica grande Borsa aperta quando la Fed ha diffuso il comunicato (alle 20 italiane) era già in ribasso e ha accelerato la discesa (ma sotto l’1%). Gli analisti dicono di aspettarsi a questo punto una piccola riduzione del 'quantitative easing' nella riunione della Fed di metà settembre.
da Avvenire
La pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del Federal Open Market Committee non ha aiutato gli investitori a capire meglio quali sono le intenzioni della Banca centrale. Nel testo si ripete che i membri del direttivo sono divisi. Alcuni si aspettano che la crescita economica americana accelererà, altri sono più cauti, i primi sottolineano anche che la disoccupazione sta scendendo rapidamente, i secondi notano che comunque il mercato del lavoro è debole. Gli "ottimisti" ritengono sia già arrivato il momento di smetterla di pompare tanto denaro nel sistema, i 'pessimisti' (che per ora stanno vincendo) chiedono maggiore cautela. Le divisioni, comunque, sono forti. Solo la George è arrivata a votare contro, ma un numero significativo di altri banchieri centrali crede, come lei, che sia arrivato il momento di iniziare a ridurre il flusso di acquisti, che a gennaio è stato allargato da 40 a 85 miliardi di dollari al mese. Sono di più gli altri, però, quelli che «hanno sottolineato l’importanza di essere pazienti». L’unica certezza, almeno ufficiale, è che entro la metà del 2014 l’intera terza fase del 'quantitative easing' dovrà concludersi con l’eliminazione di tutti gli 85 miliardi di spesa mensile. È sulla base di questo scenario che i grandi fondi in queste ultime settimane si stanno riorganizzando: ritirano i soldi investiti nei mercati più rischiosi (ma anche più redditizi) e li spostano verso investimenti più tranquilli. La rupia indiana è scesa a un nuovo minimo storico mentre continuano a precipitare anche le valute di Thailandia, Indonesia, Brasile e Turchia. Ed è figlio dell’incertezza il nervosismo che stiamo vedendo sulle Borse. Ieri, per la terza giornata consecutiva, i mercati europei hanno chiuso in calo, anche se sono stati evitati gli scivoloni pesanti di lunedì e martedì (Milano ha fatto -0,7%). Continua anche la risalita del tasso dei Btp decennali, che sul mercato secondario è salito di 6 centesimi, al 4,37% portandosi a 250 punti di distanza dai Bund tedeschi. Wall Street, come sempre unica grande Borsa aperta quando la Fed ha diffuso il comunicato (alle 20 italiane) era già in ribasso e ha accelerato la discesa (ma sotto l’1%). Gli analisti dicono di aspettarsi a questo punto una piccola riduzione del 'quantitative easing' nella riunione della Fed di metà settembre.
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