È bastato che Ben Bernanke suggerisse con molta cautela che forse, se l’economia americana continuerà a migliorare, la Federal Reserve nei prossimi mesi potrebbe iniziare a ridurre il suo massiccio rifornimento mensile di denaro fresco al sistema finanziario (sono 85 miliardi di dollari al mese) per provocare una storica sbandata dei titoli di Stato americani. A giugno, ha comunicato nel giorno dell’Assunta il dipartimento del Tesoro, la quantità di titoli di Stato in mani straniere è diminuita di 57 miliardi di dollari, a 5.600 miliardi totali. Non è stato solo il terzo mese consecutivo di uscita degli investitori internazionali dal debito americano: da quando il ministero diffonde le cifre (e sono 36 anni) una fuga dai titoli del Tesoro come quella di giugno non si era mai vista.
A vendere, e questo è ancora più preoccupante per Washington, sono i suoi due maggiori creditori: la Cina, il cui portafoglio di titoli americani si è ridotto da 1.297 a 1.276 miliardi, e il Giappone, che ha tagliato i suoi investimenti a stelle e strisce da 1.103 a 1.083 miliardi. Da soli i due colossi asiatici valgono il 70% delle vendite di titoli del debito pubblico americano. Peggiora ulteriormente lo scenario il fatto che le vendite non siano concentrate solo sui titoli pubblici. Gli investitori internazionali hanno iniziato quella che sembra una fuga da tutti i tipi di titoli statunitensi: le azioni delle imprese (-26,8 miliardi), le loro obbligazioni (-5 miliardi), i titoli delle agenzie governative (-5,2 miliardi).
Non si può dire che questi numeri siano stati una sorpresa per Bernanke. Già sui mercati secondari i titoli del Tesoro avevano scontato subito l’apertura a una possibile riduzione delle politiche ultra-aggressive. Anche a Wall Street le cadute degli indici azionari erano state fragorose. Per fermare l’emorragia (e qualcuno sospetta su pressione governativa), nelle settimane successive il presidente della Fed ha corretto le posizioni della banca centrale, facendo capire che c’è fretta di uscire dal piano di stimolo. I dati di luglio, che saranno diffusi il mese prossimo, mostreranno se il passo indietro avrà riportato gli investitori a puntare sugli Usa. Se i numeri indicassero che la fuga va avanti, per Lawrence Summers e Janet Yellen, i due candidati alla successione di Bernanke alla guida della Fed, si prospetterebbe un debutto da incubo.
da Avvenire
A vendere, e questo è ancora più preoccupante per Washington, sono i suoi due maggiori creditori: la Cina, il cui portafoglio di titoli americani si è ridotto da 1.297 a 1.276 miliardi, e il Giappone, che ha tagliato i suoi investimenti a stelle e strisce da 1.103 a 1.083 miliardi. Da soli i due colossi asiatici valgono il 70% delle vendite di titoli del debito pubblico americano. Peggiora ulteriormente lo scenario il fatto che le vendite non siano concentrate solo sui titoli pubblici. Gli investitori internazionali hanno iniziato quella che sembra una fuga da tutti i tipi di titoli statunitensi: le azioni delle imprese (-26,8 miliardi), le loro obbligazioni (-5 miliardi), i titoli delle agenzie governative (-5,2 miliardi).
Non si può dire che questi numeri siano stati una sorpresa per Bernanke. Già sui mercati secondari i titoli del Tesoro avevano scontato subito l’apertura a una possibile riduzione delle politiche ultra-aggressive. Anche a Wall Street le cadute degli indici azionari erano state fragorose. Per fermare l’emorragia (e qualcuno sospetta su pressione governativa), nelle settimane successive il presidente della Fed ha corretto le posizioni della banca centrale, facendo capire che c’è fretta di uscire dal piano di stimolo. I dati di luglio, che saranno diffusi il mese prossimo, mostreranno se il passo indietro avrà riportato gli investitori a puntare sugli Usa. Se i numeri indicassero che la fuga va avanti, per Lawrence Summers e Janet Yellen, i due candidati alla successione di Bernanke alla guida della Fed, si prospetterebbe un debutto da incubo.
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