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martedì 17 dicembre 2013

Le tasse scontate per la rivalutazione della Banca d'Italia

Il controverso decreto legge che riforma la Banca d’Italia, in di­scussione in questi giorni al Sena­to, non precisa quante tasse dovran­no pagare i soci della nostra Banca centrale sui profitti che otterranno. Non è una variabile da poco. La rifor­ma rivaluta le quote della Banca d’I­talia di 50mila volte, portandone il va­lore complessivo da 156mila a 7,5 mi­liardi di euro. In questo modo il de­creto genera dal nulla un profitto e­norme per quelle banche private che hanno ereditato dal loro passato di i­stituti di credito statali il possesso del 95% delle quote della Banca centrale, e che adesso possono venderle o te­nerle per migliorare i loro bilanci. L’as­senza di chiarezza sulla tassazione di questa generosa rivalutazione era sta­ta segnalata anche come un proble­ma nell’audizione in Senato di Igna­zio Visco, governatore della Banca d’I­talia, e Giovanni Sabatini, presidente dell’Associazione bancaria.

Il governo ha provveduto intervenen­do sulla legge di Stabilità. Un emen­damento introdotto dall’esecutivo al comma 91 della finanziaria stabilisce che su quei 7,5 miliardi di rivalutazio­ne i soci della Banca d’Italia paghe­ranno un’aliquota del 12%, sostituti­va dell’Ires, dell’Irap e di eventuali al­tre addizionali. Il versamento sarà in tre rate, senza interessi, di cui la prima nella prossima primavera.

È un trattamento molto favorevole per le banche che hanno quote nella Ban­ca centrale (a partire da Intesa San­paolo,
 UniCredit e Generali, che as­sieme controllano il 71%). Se su quei 7,5 miliardi di profitti avessero dovu­to pagarci l’Ires, l’imposta sui redditi delle imprese, l’aliquota sarebbe sta­ta più che doppia (al 27,5%) in condi­zioni normali e addirittura tripla l’an­no prossimo, considerato che per il 2014 l’Ires su banche e assicurazioni subirà un’addizionale di altri 8,5 pun­ti percentuali. Per l’Erario si parlereb­be di un incasso di oltre due miliardi e mezzo di euro.

Invece, se l’emendamento passerà, lo Stato dovrà accontentarsi di incassa­re 900 milioni di euro. Poco, conside­rato che fino ai giorni scorsi si parla­va di un gettito superiore al miliardo da ottenere attraverso un’imposta compresa tra il 16 e il 20%. Nel primo caso il gettito sarebbe stato di 1,2 mi­liardi, nel secondo di 1,5 miliardi. Di questi tempi 600 milioni di euro in più da ottenere su questo mezzo regalo alle banche sarebbero potuti essere molto utili per le casse pubbliche.

Un altro aiuto alle banche arriverà dal possibile ritiro dell’emendamento sul­la Tobin Tax. La modifica corregge­rebbe la tassa sulle transazioni finan­ziarie, che ha dato risultati molto al di sotto delle aspettative, abbassando l’a­liquota
 (dallo 0,1 allo 0,01%) ma ap­plicando l’imposta a tutte le transa­zioni finanziarie, escluse quelle sui ti­toli di Stato. Il testo ha trovato un ap­poggio trasversale: tutti i capigruppo della Commissione Bilancio della Ca­mera la hanno sostenuta. Ma il gover­no è contrario e il viceministro dell’E­conomia, Stefano Fassina, ha chiesto di ritirarla: «L’obiettivo è condiviso, ma la portata dell’operazione è molto ri­levante, non è un caso se nessuno Sta­to nazionale ha fatto questa opera­zione prima di noi». I sostenitori del­l’emendamento, a partire da Luigi Bobba, del Pd, primo firmatario del testo, potrebbero accettare il ritiro a condizione che a gennaio il governo riapra, in Italia e in Europa, il dibatti­to sulla tassa anti-speculazione.


lunedì 30 gennaio 2012

Scheda sulle proposte di riforma del lavoro


Repubblica di lunedì 30 gennaio 2012, pagina 3
Il Lavoro - Indennità, reddito minimo e il nodo dei licenziamenti le quattro ricette a confronto
di Ardù Barbara

Il lavoro Indennità., reddito minimo e il nodo dei licenziamenti le quattro ricette a confronto BARBARA ARDU Ci sono almeno quattro proposte per riformare il mercato del lavoro e almeno due questioni spinose: la babele dei contratti atipici e l'eliminazione dell'articolo 18. L'unico a volerlo cancellare, ma solo per i nuovi assunti, è Pietro Ichino, in cambio di un alto livello di protezione, in caso di perdita del lavoro. Sacconi vorrebbe invece salvare i contratti atipici, che le altre proposte tendono a eliminare rendendoli più onerosi per le imprese. Il salario minimo garantito invece trova casa solo nella proposta Boeri-Garibaldi Damiano-Madia Un periodo di prova e poi tutte le garanzie Pietro Ichino Neoassunti senza un termine licenziabili con aiuti triennali CONTRATTO unico sempre a tempo indeterminato ma con la possibilità in ogni momento di licenziamento individuale per motivi economici, tecnici o organizzativi. Indennizzo per i licenziati commisurato agli anni di lavoro. Assegno di disoccupazione, finanziato anche dalle aziende, pari al 90% il primo anno e all'80 e al70%nei due anni successivi. Leimprese si fanno carico anche della formazione e del collocamento dei licenziati: più veloce è la ricollocazione del lavoratori più bassoèil costo dei disoccupati. È questa la flexicurity proposta da Pietro Ichino. Di fatto viene meno la garanzia dell'articolo 18 peri nuovi assunti. Reintegrosoloin caso di licenziamenti di tipo discriminatorio. Contratti a termine permessi solo oltre la soglia di reddito di 40 mila euro.
O RIPRO011210RE RISERVATA LA PROPOSTA Damiano-Madia prevede un contratto unico di inserimento formativo, una sorta di periodo di prova, più lungo di quello attuale, in cui è possibile il licenziamento, ma proprio perché di prova si tratta. Dopo questo periodo (massimo tre anni), si applicano invece tutte le regole previste attualmente, compreso l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La proposta prevede anche una riduzione del costo del lavoro quando questo è a tempo indeterminato, così da alleggerire il carico sulle imprese. Si suggerisce anche di mettere in campo misure per velocizzare il processo per lavoro anche quando di tratta di una vertenza per licenziamento.
*** Boeri-Garibaldi 6 Contratto unico per tutti posto sicuro dopo tre anni NELLA proposta Boeri-Garibaldi, il contratto èunicoeatempo indeterminato, ma diviso in due fasi distinte. Pertutti i neo-assunti (per gli altri non cambia nulla) nei primi tre anni è possibile il licenziamento per giusta causa, anche economica, e non è previsto il reintegro, ma solo un indennizzo. Le tutele sono però crescenti, così che alla fine il licenziamento diventa oneroso per l'impresa. Dopo i tre anni scattala fase di stabilità del contratto, e si applicano le tutele previste dall'articolo 18. Il trattamento di disoccupazi one rimane quello attuale. I contratti atipici diventano contratto unico se il guadagno supera una certa quota, con l'esclusione di lavori stagionali e prestazioni professionali. Prevista anche l'introduzione del salario minimo.
All'estero Maurizio Sacconi "Atipici" tenuti in vita più flessibilità in uscita SI ENTRA nel mercato del lavoro con l'apprendistato, che può durare al massimo tre anni, durante i quali il lavoratore gode di alcune tutele. Nella proposta di Maurizio Sacconi (Pdl), passati i tre anni l'azienda decide se assumere o no. Ma la filosofia di fondo è non cancellare i contratti atipici. Solo alcuni tipi di collaborazioni e quei contratti che nascondono in realtà falsi subordinati vengono eliminati. Esclusa l'idea del salario minimo garantito, mentre il sussidio di disoccupazione viene diviso in due tranche, una uguale per tutti e probabilmente a carico dello Stato, l'altra su base assicurativa e pagata dalle singole categorie. L'assicurazione verrebbe estesa anche a settori e lavori non protetti. Si chiede una maggiore flessibilità in uscita.
Salario minimo garantito e forte sostegno agli espulsi ALL'ESTERO non c'è traccia di articolo 18, almeno nella forma applicata in Italia, ma in molti Paesi c'è il reddito minimo garantito e in alcuni di essi, a cominciare da quelli scandinavi, i lavoratori che vengono licenziati sono aiutati da massicce misure di sostegno finanziario, che durano diversi anni, Inoltre ci sono politiche attive del lavoro che tendono realmente a ricollocare i lavoratori espulsi. Negli Usa la legge stabilisce che il datore di lavoro non può andare sotto una certa paga oraria. In Francia il salario minimo non può scendere sotto i 1350 euro lordi mensili, in Spagna è circa la metà, 600 euro, mentre nella Gran Bretagna è di 960 sterline, circa 1.150 euro.
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