Il controverso decreto legge che riforma la Banca d’Italia, in discussione in questi giorni al Senato, non precisa quante tasse dovranno pagare i soci della nostra Banca centrale sui profitti che otterranno. Non è una variabile da poco. La riforma rivaluta le quote della Banca d’Italia di 50mila volte, portandone il valore complessivo da 156mila a 7,5 miliardi di euro. In questo modo il decreto genera dal nulla un profitto enorme per quelle banche private che hanno ereditato dal loro passato di istituti di credito statali il possesso del 95% delle quote della Banca centrale, e che adesso possono venderle o tenerle per migliorare i loro bilanci. L’assenza di chiarezza sulla tassazione di questa generosa rivalutazione era stata segnalata anche come un problema nell’audizione in Senato di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, e Giovanni Sabatini, presidente dell’Associazione bancaria.
Il governo ha provveduto intervenendo sulla legge di Stabilità. Un emendamento introdotto dall’esecutivo al comma 91 della finanziaria stabilisce che su quei 7,5 miliardi di rivalutazione i soci della Banca d’Italia pagheranno un’aliquota del 12%, sostitutiva dell’Ires, dell’Irap e di eventuali altre addizionali. Il versamento sarà in tre rate, senza interessi, di cui la prima nella prossima primavera.
È un trattamento molto favorevole per le banche che hanno quote nella Banca centrale (a partire da Intesa Sanpaolo, UniCredit e Generali, che assieme controllano il 71%). Se su quei 7,5 miliardi di profitti avessero dovuto pagarci l’Ires, l’imposta sui redditi delle imprese, l’aliquota sarebbe stata più che doppia (al 27,5%) in condizioni normali e addirittura tripla l’anno prossimo, considerato che per il 2014 l’Ires su banche e assicurazioni subirà un’addizionale di altri 8,5 punti percentuali. Per l’Erario si parlerebbe di un incasso di oltre due miliardi e mezzo di euro.
Invece, se l’emendamento passerà, lo Stato dovrà accontentarsi di incassare 900 milioni di euro. Poco, considerato che fino ai giorni scorsi si parlava di un gettito superiore al miliardo da ottenere attraverso un’imposta compresa tra il 16 e il 20%. Nel primo caso il gettito sarebbe stato di 1,2 miliardi, nel secondo di 1,5 miliardi. Di questi tempi 600 milioni di euro in più da ottenere su questo mezzo regalo alle banche sarebbero potuti essere molto utili per le casse pubbliche.
Un altro aiuto alle banche arriverà dal possibile ritiro dell’emendamento sulla Tobin Tax. La modifica correggerebbe la tassa sulle transazioni finanziarie, che ha dato risultati molto al di sotto delle aspettative, abbassando l’aliquota (dallo 0,1 allo 0,01%) ma applicando l’imposta a tutte le transazioni finanziarie, escluse quelle sui titoli di Stato. Il testo ha trovato un appoggio trasversale: tutti i capigruppo della Commissione Bilancio della Camera la hanno sostenuta. Ma il governo è contrario e il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, ha chiesto di ritirarla: «L’obiettivo è condiviso, ma la portata dell’operazione è molto rilevante, non è un caso se nessuno Stato nazionale ha fatto questa operazione prima di noi». I sostenitori dell’emendamento, a partire da Luigi Bobba, del Pd, primo firmatario del testo, potrebbero accettare il ritiro a condizione che a gennaio il governo riapra, in Italia e in Europa, il dibattito sulla tassa anti-speculazione.
Il governo ha provveduto intervenendo sulla legge di Stabilità. Un emendamento introdotto dall’esecutivo al comma 91 della finanziaria stabilisce che su quei 7,5 miliardi di rivalutazione i soci della Banca d’Italia pagheranno un’aliquota del 12%, sostitutiva dell’Ires, dell’Irap e di eventuali altre addizionali. Il versamento sarà in tre rate, senza interessi, di cui la prima nella prossima primavera.
È un trattamento molto favorevole per le banche che hanno quote nella Banca centrale (a partire da Intesa Sanpaolo, UniCredit e Generali, che assieme controllano il 71%). Se su quei 7,5 miliardi di profitti avessero dovuto pagarci l’Ires, l’imposta sui redditi delle imprese, l’aliquota sarebbe stata più che doppia (al 27,5%) in condizioni normali e addirittura tripla l’anno prossimo, considerato che per il 2014 l’Ires su banche e assicurazioni subirà un’addizionale di altri 8,5 punti percentuali. Per l’Erario si parlerebbe di un incasso di oltre due miliardi e mezzo di euro.
Invece, se l’emendamento passerà, lo Stato dovrà accontentarsi di incassare 900 milioni di euro. Poco, considerato che fino ai giorni scorsi si parlava di un gettito superiore al miliardo da ottenere attraverso un’imposta compresa tra il 16 e il 20%. Nel primo caso il gettito sarebbe stato di 1,2 miliardi, nel secondo di 1,5 miliardi. Di questi tempi 600 milioni di euro in più da ottenere su questo mezzo regalo alle banche sarebbero potuti essere molto utili per le casse pubbliche.
Un altro aiuto alle banche arriverà dal possibile ritiro dell’emendamento sulla Tobin Tax. La modifica correggerebbe la tassa sulle transazioni finanziarie, che ha dato risultati molto al di sotto delle aspettative, abbassando l’aliquota (dallo 0,1 allo 0,01%) ma applicando l’imposta a tutte le transazioni finanziarie, escluse quelle sui titoli di Stato. Il testo ha trovato un appoggio trasversale: tutti i capigruppo della Commissione Bilancio della Camera la hanno sostenuta. Ma il governo è contrario e il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, ha chiesto di ritirarla: «L’obiettivo è condiviso, ma la portata dell’operazione è molto rilevante, non è un caso se nessuno Stato nazionale ha fatto questa operazione prima di noi». I sostenitori dell’emendamento, a partire da Luigi Bobba, del Pd, primo firmatario del testo, potrebbero accettare il ritiro a condizione che a gennaio il governo riapra, in Italia e in Europa, il dibattito sulla tassa anti-speculazione.
da Avvenire
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