Il vecchio Richard Shelby, storico senatore dell’Alabama, glielo aveva detto. Lo aveva avvertito precisamente il 15 novembre 2005, quando Ben Shalom Bernanke si era presentato in Senato per ottenere la conferma della nomina alla guida della Federal Reserve avuta qualche mese prima dal presidente George W. Bush. «Spero che non debba avere a che fare con una crisi da gestire, ma so che le capiterà» aveva detto Shelby introducendo una domanda sulle capacità della Fed di reagire a una crisi. Bernanke aveva risposto di avere fiducia negli strumenti a disposizione della Banca centrale americana. «E farò sicuramente del mio meglio – aveva promesso – per essere preparato a qualsiasi cosa possa incontrare lungo la mia strada. Ma credo che siano stati fatti progressi nel rafforzare il sistema per resistere meglio davanti agli choc».
O Shelby è un gran menagramo o un vero indovino, perché la crisi che aveva pronosticato è arrivata ed è stata gigantesca. Bernanke si era detto pronto a tutto ed è stato servito. Questo geniale ebreo americano della Georgia, nipote di un immigrato polacco e figlio di un farmacista e di una maestra, si è trovato a dovere gestire: il collasso del sistema finanziario americano e forse mondiale, una clamorosa caduta del Pil degli Stati Uniti, l’incapacità di rialzarsi dell’economia globale. È entrato in carica nel febbraio del 2006 e un anno dopo sono arrivati i primi scricchiolii dai mutui subprime.Nell’estate del 2008 la crisi dell’immobiliare americano era già enorme. Il 15 settembre falliva Lehman Brothers e la finanza mondiale finiva nel panico. Bernanke spiegherà che la Fed sarebbe anche intervenuta, ma il Tesoro non poteva salvare Lehman con soldi pubblici e il Congresso si sarebbe probabilmente opposto. Insomma, se lasciare fallire Lehman Brothers è stata una colpa – e questo è tutt’altro che scontato – comunque è una colpa che Bernanke condivide con molti altri.
Più 'sua' è la responsabilità – e anche su questa solo la storia dirà se ha fatto bene o male – di avere tentato di spingere la ripresa guidando la Fed con un’audacia mai vista. Bernanke non si è limitato ad azzerare il costo del denaro (ha ereditato tassi al 4,5% ha provato a portarli sopra il 5% ma ha finito per ridurli bruscamente fino all’attuale 0-0,25%, fissato a fine 2008) ma ha anche usato i soldi potenzialmente illimitati della Fed per gonfiare il Pil degli Stati Uniti. Nel novembre del 2008 la Banca centrale ha avviato il primo quantitative easing ,un piano per rendere ancora più abbondante la disponibilità di denaro non solo usando i tassi ma anche la creazione di moneta. La Fed ha iniziato a comprare miliardi e miliardi di titoli legati ai mutui e obbligazioni del Tesoro. Si è fermata dopo un anno e mezzo di tempo e 1.300 miliardi di spesa, quando sembrava che la ripresa fosse abbastanza forte da resistere senza aiuti. Ma non era vero, e Bernanke – nel frattempo confermato da Barack Obama – è stata costretto a riprendere lo shopping dopo pochi mesi. Il secondo piano diquantitative easing è durato altri sei mesi ed è costato altri 600 miliardi alla Federal Reserve. Anche questa operazione non è stata sufficiente. Nel settembre del 2012 Bernanke ha annunciato che la Fed si sarebbe messa a comprare ogni mese titoli legati ai mutui per 40 miliardi di dollari e a dicembre ha alzato il tiro fino a 85 miliardi. Gli acquisti, ha spiegato la Fed, sarebbero andati avanti finché la ripresa non fosse stata solida. E per ripresa solida, ha chiarito Bernanke, si intende con una disoccupazione al 6,5%. Il tasso oggi è al 7% e il bilancio della Fed in sette anni è cresciuto da 800 miliardi a 4mila miliardi di dollari. Sugli effetti positivi o meno del quantitative easing è aperto il dibattito tra i massimi economisti del mondo. Quelli sondati dal Wall Street Journal si sono divisi equamente tra sostenitori e critici. Dai giornalisti Bernanke sarà ricordato anche come il governatore che ha 'inventato' la conferenza stampa per annunciare le decisioni della Fed. Quella dell’aprile del 2011 è stata la prima nel secolo di storia della banca centrale americana. Quella di ieri è stata l’ultima con Bernanke come protagonista. Se al debutto era stato avarissimo di notizie, all’addio ha regalato ai cronisti l’inizio del tapering. Quasi una galanteria, per evitare che toccasse a Janet Yellen, che da gennaio lo sostituirà alla guida della Fed, l’onere di dare la prima – indispensabile – frenata.
da Avvenire