Grafico da un'analisi diffusa oggi di Credit Suisse: il Pil per ore di lavoro dell'Italia è il penultimo tra quelli delle economie avanzate. Peggio di noi solo il Giappone, che sta disperatamente cercando di rilanciarsi, e la Grecia, che è fallita.
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martedì 16 aprile 2013
Le perdite delle navi del petrolio
L'associazione degli armatori di tanker di petrolio calcola che il settore ha perso 26 miliardi di dollari dal 2009 al 2012. Le tariffe sono scese fin sotto i costi operativi: il prezzo di un giorno di trasporto sulla rotta Medioriente-Giappone è di 7.085 dollari (aveva toccato massimi sopra i 300 mila dollari nel 2007) mentre il costo per l'armatore è tra i 10 e i 12 mila dollari.
dal Wsj
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lunedì 15 aprile 2013
Alla Germania mancano lavoratori
Ursula von der Leyen, ministro del Lavoro tedesco, spiega che in Germania c'è il problema del calo della forza lavoro: "La popolazione in età lavorativa della Germania sta calando. Se guardi ai prossimi 15 anni, se non cambiamo il nostro modo di lavorare - e questa è la soluzione - avremo 6 milioni di potenziali lavoratori in meno nel mercato del lavoro, una cifra che vale più o meno la popolazione della Baviera".
dal Ft
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I paradisi fiscali in Europa
Negli anni in cui l’economia europea cresceva, nessuno a Bruxelles si era messo a fare lo schizzinoso con gli Stati dell’Unione Europea che aiutavano i cittadini degli altri a non pagare le tasse. Avere dei paradisi fiscali all’interno dell’Ue è stata considerata, per anni, una cosa normale. Era normale nel 2005 scegliere Jean-Claude Juncker come primo presidente permanente dell’Eurogruppo – il coordinamento dei ministri delle Finanze dell’area euro – e confermarlo per ben tre volte. In questo modo per 8 anni una delle più importanti istituzioni della moneta unica è stata guidata dallo storico primo ministro del Lussemburgo, che è il più visibile paradiso fiscale dell’Ue. Il Lussemburgo vive di finanza e garantisce un totale segreto bancario a chi apre un conto in uno dei suoi sportelli. Questa preziosa riservatezza ha consentito alle banche del Granducato di accumulare depositi da tutto il mondo per un totale che vale circa 23 volte il suo Pil. Ma la pacchia è finita. Qualche giorno fa il governo lussemburghese ha dovuto cedere alle pressioni europee: dal 2015 rinuncerà al segreto bancario. Probabilmente l’Europa lo costringerà ad abbandonare anche la sua altra cattiva abitudine: quella di applicare un bassissimo livello di tassazione sugli incassi finanziari, così da spingere tante multinazionali a basare nel Granducato le loro holding per poi trasferire lì – sotto forma di dividendi o interessi – gli incassi raccolti nel resto d’Europa e nasconderli così al fisco.
Anche nella esemplare Austria c’è un rigoroso segreto bancario. Maria Fekter, ministro delle Finanze austriaco, ricorderà questo suo pessimo fine settimana a Dublino, con i colleghi di tutt’Europa che insistevano per spingerla ad arrendersi come ha fatto il Lussemburgo. Per ora ha resistito, anche se ha finito per difendersi in maniera bambinesca: «Perché – ha attaccato venerdì – il G20 non fa niente per chiudere le lavanderie di denaro nelle isole Cayman o nelle isole Vergini...o in Delaware?». Fekter poteva trovare argomentazioni migliori. Magari fare presente che il successore di Juncker alla guida dell’Eurogruppo è il rappresentante di un altro autorevolissimo paradiso fiscale europeo. Jeroen Dijsselbloem è infatti il ministro delle Finanze dei Paesi Bassi, nazione che si permette di dare lezioni alle economie in difficoltà pur sapendo di danneggiarle direttamente attraverso un sistema di tassazione minima sulle royalties e di trattati bilaterali con isolette esotiche che aiuta tante multinazionali a spedire in Olanda i loro incassi europei e quindi mandare il tutto alle Cayman pagando sull’intera cifra una tassazione ridicola. In questi viaggi di denaro dai Paesi Bassi ai Caraibi si passa spesso per un altro paradiso fiscale europeo, l’Irlanda, che non tassa i guadagni ottenuti all’estero da un’impresa nazionale.Davanti a furbizie così palesi da parte dei suoi membri storici, l’Unione Europea non si è potuta permettere di fare nulla per evitare che al suo interno nascessero altri paradisi fiscali. Come Cipro, che non prevedeva tasse su dividendi, interessi e vendite di azioni e garantiva massima riservatezza su chi portava denaro dall’estero. Sembrava un altro 'paradiso' mediterraneo, ora è un inferno: il piano di salvataggio europeo ha imposto all’isola tasse sui depositi bancari che possono arrivare quasi al 40%, chi aveva fatto la pensata di portare i suoi soldi a Cipro è servito. Altri, invece, sono avvertiti: la punizione inflitta ai ciprioti dovrebbe servire da lezione anche a lettoni e maltesi, che con decisi tagli alle tasse sui profitti finanziari sembrano ambire a diventare i nuovi paradisi fiscali dell’Unione. In realtà, se il piano europeo avrà successo, di paradisi fiscali all’interno dell’Ue nel giro di qualche anno non ne sarà rimasto nessuno. Resteranno paradisi europei fuori dall’Ue: la potente Svizzera, Andorra, il Principato di Monaco le Isole britanniche e il Liechtenstein. Ma sono realtà che si possono stroncare con un po’ di volontà politica. All’Italia sono bastati lo scudo fiscale e l’inserimento nella lista nera del Tesoro per lasciare senza i fondi dei nostri 'furbetti' la Repubblica di San Marino.da Avvenire
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venerdì 5 aprile 2013
La ripresa (ad ostacoli) degli affitti
Siamo nella primavera del 2006, quasi nessuno sa cosa siano i mutui subprime e la recessione globale non è uno scenario immaginabile. Il più lungo boom immobiliare della storia d’Italia sta raggiungendo il suo apice. «L’87,1% degli italiani vive in una casa di proprietà» annuncia il Censis. È un record storico e sembra una notizia bellissima per una popolazione abituata a considerare l’affitto un insensato spreco di denaro.
Non c’era ancora una Imu così pesante, allora, e le quotazioni degli immobili sembravano destinate a crescere a tempo indeterminato. Quasi nessuno faceva notare che nelle economie europee che funzionano meglio della nostra – ad esempio in Germania, Francia, Regno Unito o Paesi Bassi – la quota dei proprietari di casa non supera il 70%.
Sette anni dopo la casa di proprietà è ancora tra le massime aspirazioni degli italiani ma qualcosa è cambiato. Intanto, calcola l’Istat, la quota di proprietari è scesa all’81%. Poi comprare casa è diventato difficilissimo, perché i prezzi sono cresciuti a dismisura e le banche non fanno credito. Il mercato si è bloccato e come risultato sempre più famiglie sono costrette a scegliere, a malincuore, l’affitto. Ma nello stesso tempo tante famiglie sono indaffarate a cercare in tutta fretta qualche inquilino affidabile.«L’offerta di affitti sta crescendo tanto. Era già elevata negli anni del boom immobiliare, perché tanti compravano casa per metterla a reddito, ma negli ultimi mesi per effetti della crisi e dell’Imu il numero di case in cerca di inquilini è aumentato moltissimo» spiega Fabiana Megliola, responsabile dell’ufficio studi di Tecnocasa. «Sul lato della domanda, nella maggioranza dei casi – continua - si va in affitto perché non si riesce a comprare, ma cresce la quota di chi sceglie la locazione per mantenersi flessibile a livello professionale». Nel frattempo sta cambiando il comportamento di inquilini e proprietari: «I proprietari stanno limando i canoni, per andare incontro alla calo della capacità di spesa e non ritrovarsi con la casa sfitta. Mentre gli inquilini si fanno più selettivi: con tanta offerta possono scegliere tra diverse alternative e quindi non si accontentano più così facilmente ». Sono tendenze visibili anche nell’ultima analisi condotta da Nomisma assieme a Solo Affitti, società leader nel settore delle locazioni. I canoni, secondo l’indagine, nel 2012 si sono ridotti in media tra il 5 e il 6%. «La domanda è forte – conferma Silvia Spronelli, presidente di Solo Affitti – ma le normative non aiutano. Chi sta in affitto in una prima casa dovrebbe avere agevolazioni fiscali come chi compra con il mutuo. Mentre ai proprietari servono maggiori garanzie per tutelarsi dagli inquilini morosi». Anche le semplificazioni introdotte di recente, come la cedolare secca, non hanno funzionato: l’imposta unica del 20% sul redditto da affitto lo scorso anno ha dato un gettito di 875 milioni invece dei 3,5 miliardi previsti. Secondo le stime della Cgia di Mestre almeno un milione di abitazioni in Italia sono affittate in nero.Così se il mercato delle compravendite è bloccato per la crisi, quello degli affitti è frenato dalla burocrazia. Putroppo non è un freno solo per il settore immobiliare: «Il tasso naturale di disoccupazione dipende dalla facilità con cui le persone possono spostarsi, di impresa e di luogo di residenza, per trovare un lavoro» spiegava un gruppo di economisti coordinati da Innocenzo Cipolletta in uno studio di qualche tempo fa sull’immobiliare italiano. Può darsi che l’Italia della casa di proprietà fra qualche anno scoprirà che la ripresa economica, ogni tanto, è in affitto.
da Avvenire di oggi
Non c’era ancora una Imu così pesante, allora, e le quotazioni degli immobili sembravano destinate a crescere a tempo indeterminato. Quasi nessuno faceva notare che nelle economie europee che funzionano meglio della nostra – ad esempio in Germania, Francia, Regno Unito o Paesi Bassi – la quota dei proprietari di casa non supera il 70%.
Sette anni dopo la casa di proprietà è ancora tra le massime aspirazioni degli italiani ma qualcosa è cambiato. Intanto, calcola l’Istat, la quota di proprietari è scesa all’81%. Poi comprare casa è diventato difficilissimo, perché i prezzi sono cresciuti a dismisura e le banche non fanno credito. Il mercato si è bloccato e come risultato sempre più famiglie sono costrette a scegliere, a malincuore, l’affitto. Ma nello stesso tempo tante famiglie sono indaffarate a cercare in tutta fretta qualche inquilino affidabile.«L’offerta di affitti sta crescendo tanto. Era già elevata negli anni del boom immobiliare, perché tanti compravano casa per metterla a reddito, ma negli ultimi mesi per effetti della crisi e dell’Imu il numero di case in cerca di inquilini è aumentato moltissimo» spiega Fabiana Megliola, responsabile dell’ufficio studi di Tecnocasa. «Sul lato della domanda, nella maggioranza dei casi – continua - si va in affitto perché non si riesce a comprare, ma cresce la quota di chi sceglie la locazione per mantenersi flessibile a livello professionale». Nel frattempo sta cambiando il comportamento di inquilini e proprietari: «I proprietari stanno limando i canoni, per andare incontro alla calo della capacità di spesa e non ritrovarsi con la casa sfitta. Mentre gli inquilini si fanno più selettivi: con tanta offerta possono scegliere tra diverse alternative e quindi non si accontentano più così facilmente ». Sono tendenze visibili anche nell’ultima analisi condotta da Nomisma assieme a Solo Affitti, società leader nel settore delle locazioni. I canoni, secondo l’indagine, nel 2012 si sono ridotti in media tra il 5 e il 6%. «La domanda è forte – conferma Silvia Spronelli, presidente di Solo Affitti – ma le normative non aiutano. Chi sta in affitto in una prima casa dovrebbe avere agevolazioni fiscali come chi compra con il mutuo. Mentre ai proprietari servono maggiori garanzie per tutelarsi dagli inquilini morosi». Anche le semplificazioni introdotte di recente, come la cedolare secca, non hanno funzionato: l’imposta unica del 20% sul redditto da affitto lo scorso anno ha dato un gettito di 875 milioni invece dei 3,5 miliardi previsti. Secondo le stime della Cgia di Mestre almeno un milione di abitazioni in Italia sono affittate in nero.Così se il mercato delle compravendite è bloccato per la crisi, quello degli affitti è frenato dalla burocrazia. Putroppo non è un freno solo per il settore immobiliare: «Il tasso naturale di disoccupazione dipende dalla facilità con cui le persone possono spostarsi, di impresa e di luogo di residenza, per trovare un lavoro» spiegava un gruppo di economisti coordinati da Innocenzo Cipolletta in uno studio di qualche tempo fa sull’immobiliare italiano. Può darsi che l’Italia della casa di proprietà fra qualche anno scoprirà che la ripresa economica, ogni tanto, è in affitto.
da Avvenire di oggi
martedì 2 aprile 2013
Le condizioni del salvataggio di Cipro, spiegate
L'Europa presterà al governo cipriota 10 miliardi di euro da restituire in 22 anni a un tasso del 2,5%.
La Laiki Bank viene incorporata nella Bank of Cyprus, dove nei conti correnti la cifra che eccede i 100 mila euro sarà così gestita: il 37,5% dei depositi sarà convertito in azioni della banca, un altro 22,5% sarà trattenuto come cuscinetto e potrebbe essere parzialmente o totalmente convertito in azioni se fosse necessario. Ai correntisti resta il controllo sul restante 40% (ma per ora possono gestire solo il 10% di quel denaro).
La Laiki Bank viene incorporata nella Bank of Cyprus, dove nei conti correnti la cifra che eccede i 100 mila euro sarà così gestita: il 37,5% dei depositi sarà convertito in azioni della banca, un altro 22,5% sarà trattenuto come cuscinetto e potrebbe essere parzialmente o totalmente convertito in azioni se fosse necessario. Ai correntisti resta il controllo sul restante 40% (ma per ora possono gestire solo il 10% di quel denaro).
venerdì 29 marzo 2013
Mutui in via d'estinzione
Racconta Stefano Rossini, amministratore delegato della piattaforma online MutuiSupermarket, che alla fine del 2012 diverse banche erano pronte a lanciare «strategie dipricing dei mutui più aggressive» con l’inizio del nuovo anno. Le banche avevano in mente un taglio degli spread sui nuovi prestiti immobiliari. Potevano permetterselo, perché il loro accesso alla liquidità era tornato a buoni livelli e i soldi per fare credito ormai c’erano. Però sono passati tre mesi e questi mutui nuovi e più economici non li ha visti nessuno. «Il problema – spiega ora Rossini – è che l’esito delle elezioni ha aumentato l’incertezza. A gennaio c’era molto entusiasmo, la crisi dell’euro faceva meno paura e sembrava che l’Italia presto avrebbe avuto un nuovo governo finalmente pronto a lanciare piani per la crescita. Invece il governo non c’è ed è tornato il pessimismo, tra le banche ma anche tra la gente: il problema, in questo momento, non è l’assenza del credito per comprare casa, il problema è che manca la domanda».
I dati rilevati dal Crif – il centro di riferimento per le informazioni creditizie – dicono che pochissimi italiani oggi hanno il coraggio di chiedere un mutuo. Nel 2012 la domanda di prestiti per comprare casa è precipitata, a livello nazionale, del 42%. Dopo una caduta del genere il rimbalzo sarebbe fisiologico. Invece nei primi due mesi del 2013 le richieste di mutuo sono diminuite ancora: -14% a gennaio e -10% a febbraio. A marzo, in attesa dei dati definitivi, la tendenza non è cambiata.
«Rispetto ai livelli del 2011 ormai siamo sotto del 50%» dice Maurizio Liuti del Crif. La crisi dei mutui, ricorda Liuti, è iniziata nell’autunno del 2010: «Nei primi anni della crisi finanziaria le famiglie pensavano alla casa come bene rifugio davanti al crollo delle Borse. Sono stati anche anni di forte riduzione dei tassi e quindi c’è stata una forte domanda di mutui di surroga e di sostituzione. Poi tutto si è fermato. Adesso domina l’incertezza sull’economia, molti temono di perdere potere d’acquisto se non addirittura il posto di lavoro. Gli immigrati, che hanno sostenuto il mercato negli anni passati, sono più in difficoltà degli altri, mentre l’aumento delle tasse sulla casa fa il resto. Non è il momento di fare impegni economici a lungo termine».Certo, i costi alti non aiutano. Nelle proposte degli istituti sui mutui a tasso fisso – secondo le rilevazione del Crif riferite al terzo trimestre del 2012 – si applica in media un tasso del 5,4%, su quelli variabili un 4,1%. Considerato che l’Euribor a 3 mesi è ai minimi storici, allo 0,2%, il credito potrebbe essere un po’ più a buon mercato.
Come è successo al mercato immobiliare, anche quello dei mutui era cresciuto troppo e ora si sta sgonfiando. Non tornerà agli eccessi di qualche anno fa. Se ancora nel 2007 c’erano banche che finanziavano con il prestito anche il 120% del valore della casa, oggi poche arrivano a coprire il 70%. Nessuno propone più rate che vanno oltre il 30-40% del reddito familiare. Nei conti degli istituti le esagerazioni dei primi anni Duemila hanno lasciato come eredità una quota di insolvenze elevata, all’1,9%, e difficoltà a trovare nuove strategie. Difatti le erogazioni non solo hanno rallentato (-50% lo scorso anno) ma hanno iniziato a non compensare più la chiusura dei mutui estinti: l’ammontare totale dei prestiti immobiliari a gennaio si è ridotto a 363,9 miliardi, 700 milioni in meno rispetto a dicembre e 2,7 miliardi in meno da gennaio.
Al momento nulla fa vedere una ripresa del mercato. «Serve una svolta nella salute della nostra economia – dice Liuti – finché la gente non sente di potere guardare al futuro con un po’ di fiducia i mutui non possono ripartire ». Rossini, con più ottimismo, spera che a settembre qualcosa possa muoversi: «In questi mesi ho visto migliaia di clienti solidi, quelli che piacciono alle banche, arrivare al punto di chiedere un mutuo e poi prendere tempo. Sono i richiedenti più affidabili, e vogliono riflettere perché, dato il momento, hanno dei dubbi. Se, come dicono alcuni indicatori, con l’estate la situazione politica ed economica migliorerà, allora questa clientela potrebbe smettere di tentennare e dare un po’ di slancio al mercato».
da Avvenire di oggi
I dati rilevati dal Crif – il centro di riferimento per le informazioni creditizie – dicono che pochissimi italiani oggi hanno il coraggio di chiedere un mutuo. Nel 2012 la domanda di prestiti per comprare casa è precipitata, a livello nazionale, del 42%. Dopo una caduta del genere il rimbalzo sarebbe fisiologico. Invece nei primi due mesi del 2013 le richieste di mutuo sono diminuite ancora: -14% a gennaio e -10% a febbraio. A marzo, in attesa dei dati definitivi, la tendenza non è cambiata.
«Rispetto ai livelli del 2011 ormai siamo sotto del 50%» dice Maurizio Liuti del Crif. La crisi dei mutui, ricorda Liuti, è iniziata nell’autunno del 2010: «Nei primi anni della crisi finanziaria le famiglie pensavano alla casa come bene rifugio davanti al crollo delle Borse. Sono stati anche anni di forte riduzione dei tassi e quindi c’è stata una forte domanda di mutui di surroga e di sostituzione. Poi tutto si è fermato. Adesso domina l’incertezza sull’economia, molti temono di perdere potere d’acquisto se non addirittura il posto di lavoro. Gli immigrati, che hanno sostenuto il mercato negli anni passati, sono più in difficoltà degli altri, mentre l’aumento delle tasse sulla casa fa il resto. Non è il momento di fare impegni economici a lungo termine».Certo, i costi alti non aiutano. Nelle proposte degli istituti sui mutui a tasso fisso – secondo le rilevazione del Crif riferite al terzo trimestre del 2012 – si applica in media un tasso del 5,4%, su quelli variabili un 4,1%. Considerato che l’Euribor a 3 mesi è ai minimi storici, allo 0,2%, il credito potrebbe essere un po’ più a buon mercato.
Come è successo al mercato immobiliare, anche quello dei mutui era cresciuto troppo e ora si sta sgonfiando. Non tornerà agli eccessi di qualche anno fa. Se ancora nel 2007 c’erano banche che finanziavano con il prestito anche il 120% del valore della casa, oggi poche arrivano a coprire il 70%. Nessuno propone più rate che vanno oltre il 30-40% del reddito familiare. Nei conti degli istituti le esagerazioni dei primi anni Duemila hanno lasciato come eredità una quota di insolvenze elevata, all’1,9%, e difficoltà a trovare nuove strategie. Difatti le erogazioni non solo hanno rallentato (-50% lo scorso anno) ma hanno iniziato a non compensare più la chiusura dei mutui estinti: l’ammontare totale dei prestiti immobiliari a gennaio si è ridotto a 363,9 miliardi, 700 milioni in meno rispetto a dicembre e 2,7 miliardi in meno da gennaio.
Al momento nulla fa vedere una ripresa del mercato. «Serve una svolta nella salute della nostra economia – dice Liuti – finché la gente non sente di potere guardare al futuro con un po’ di fiducia i mutui non possono ripartire ». Rossini, con più ottimismo, spera che a settembre qualcosa possa muoversi: «In questi mesi ho visto migliaia di clienti solidi, quelli che piacciono alle banche, arrivare al punto di chiedere un mutuo e poi prendere tempo. Sono i richiedenti più affidabili, e vogliono riflettere perché, dato il momento, hanno dei dubbi. Se, come dicono alcuni indicatori, con l’estate la situazione politica ed economica migliorerà, allora questa clientela potrebbe smettere di tentennare e dare un po’ di slancio al mercato».
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