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lunedì 28 gennaio 2013

Toyota torna il primi produttore di auto al mondo


Toyota Motor ha riconquistato la corona di primo produttore in termini di vendite, nel 2012, battendo i rivali General Motors e Volkswagen. Toyota ha venduto 9,75 milioni di auto nel mondo, toccando un livello record, in rialzo del 22,6% rispetto al 2011. Gm ha venduto 9,28 milioni di veicoli, +2,9% su anno, Volkswagen 9,07 milioni +11,2%.

giovedì 17 gennaio 2013

Le vendite di Apple in Cina vanno male davvero

Per risollevarle l'azienda ha deciso di avviare dei piani di finanziamento per i cinesi che fanno acquisti sull'Apple on line store. Un finanziamento a 12 mesi è gratuito, a 18 ha un interesse del 6,5%, a 24 mesi dell'8,5%. Si possono finanziare fino a 30 mila yuan (4.800 dollari).
dal Ft

venerdì 11 gennaio 2013

Il salvataggio di Aig (o quello di Goldman Sachs)


La storia di Aig che faceva causa al governo americano perché salvandola l’aveva imbrogliata era troppo brutta per essere vera. Infatti la clamorosa richiesta di risarcimento è stata scartata: il consiglio di amministrazione della più grande compagnia di assicurazioni del pianeta ha chiarito mercoledì che ha deciso di rifiutare «interamente» la proposta di unirsi alla causa intentata la scorsa estate contro Washington dalla Starr, la società di investimento che era il maggiore azionista del gruppo assicurativo prima che il governo, il 16 settembre del 2008, nazionalizasse Aig prendendo il controllo dell’80% delle azioni.
Denunciare il governo sarebbe stato paradossale, considerato che dal 1° gennaio Aig ha lanciato una campagna pubblicitaria con lo slogan "Thank you America". Negli spot la società, a nome dei suoi 62 mila dipendenti, ringrazia il Paese per avere salvato il gruppo con 182 miliardi di dollari e segnala che si è sdebitata: lo scorso 14 dicembre il Tesoro americano ha finito di vendere le sue azioni Aig, in tutto ha incassato 204 miliardi. Il salvataggio, in sostanza, ha fruttato al governo 22 miliardi.
Rinnegata dalla Aig di oggi, la causa anti-governativa resta comunque in piedi, sulle gambe della Aig che fu. La Starr è infatti la società che il fondatore di Aig, Cornelius Vander Starr, lasciò in eredità al suo pupillo Maurice "Hank" Greenberg nel 1968. Greenberg – classe 1925, figlio di un negoziante di caramelle morto quando lui aveva 7 anni, soldato ebreo per l’esercito americano nella II Guerra mondiale – ha guidato Aig dal 1968 al 2005, quando è stato costretto ad andarsene per accuse di frode (poi mai dimostrate) partite dalla procura di New York. È stato lui a fare della compagnia assicurativa un gigante di Wall Street ed è stato ancora lui, nel 1987, ad ideare la divisione "prodotti finanziari" che 21 anni dopo porterà questo gigante a un passo dalla bancarotta.
Greenberg è la storia di Aig, e adesso vuole indietro i soldi – 25 miliardi di dollari – che, secondo la sua versione, lo Stato gli ha rubato. Ecco, la versione di Greenberg è un racconto intrigante di quello che avvenne nel drammatico settembre del 2008. Non tanto perché il vecchio finanziere accusa il governo di avere violato il 5° emendamento – dove si sancisce che «la proprietà privata non può essere presa per farne un uso pubblico senza un giusto compenso» – o di avere applicato al prestito un tasso del 15%, quasi da usura, ma soprattutto perché Greenberg sostiene che Washington salvò formalmente Aig, ma in realtà stava salvando la solita Goldman Sachs.
La faccenda è intrigante. Il 15 settembre 2008 era fallita Lehman Brothers e il 16 stava per fallire Aig. La compagnia assicurativa falliva per un rapido succedersi di eventi: le agenzie di <+corsivo>rating<+tondo> erano nel panico e le avevano tagliato bruscamente il voto, questo declassamento la costringeva a procurarsi immediatamente 20 miliardi di capitale come garanzie per i contratti di assicurazione contro l’insolvenza (i Cds) che aveva venduto a Goldman Sachs. Goldman infatti era il suo principale partner dal 2002: Aig la proteggeva dal rischio di insolvenza su 20 miliardi di titoli che sembravano sicurissimi. Invece quei titoli si stavano rivelando spazzatura, e nessuno sarebbe stato così pazzo da prestare ad Aig i 20 miliardi di dollari che le servivano per onorare i contratti e non dichiarare bancarotta. Se Aig fosse fallita, Goldman si sarebbe dovuta mettere in fila con gli altri creditori per avere indietro qualche briciola di quei miliardi. Probabilmente sarebbe fallita anche lei. Ma intervenne il governo che nazionalizzò la compagnia assicurativa e la riempì di denaro. Tra le condizioni del salvataggio Washington inserì il rimborso dei Cds a prezzo pieno e la rinuncia ad avviare azioni legali contro una serie di banche. Goldman naturalmente era in quella lista e dalla compagnia assicurativa ottenne il rimborso più ricco, quasi 13 miliardi. Le condizioni del salvataggio, insomma, le garantirono di superare illesa i mesi da incubo di Wall Street. A pensare quel piano fu Henry Paulson, segretario al Tesoro. Fino al 2006 aveva fatto il presidente e l’amministratore delegato di Goldman Sachs. Difficile non capire la rabbia del vecchio Greenberg.
da Avvenire di oggi

mercoledì 9 gennaio 2013

I conti dei bond periferici

L'Italia quest'anno deve raccogliere sul mercato 410 miliardi di euro. La Spagna 121,3 miliardi, l'Irlanda 10.

Aig vuole i soldi indietro


Robert Benmosche, dal 2009 capo di American International Group, mercoledì scorso ha portato al consiglio di amministrazione la proposta di una causa legale contro il governo per le condizioni del salvataggio dell'azienda. La causa è stata preparata da Starr International, ex grande azionista di Aig nonché società di Maurice R. "Hank" Greenberg, 88enne amico di Benmosche e storico ex amministratore delegato di Aig. L'azienda vuole la restituzione di 25 miliardi di dollari. Aig questa settimana ha fatto partire una campagna di stampa per ringraziare i cittadini americani per l'aiuto pubblico ricevuto e sottolineare che il salvataggio ha fatto guadagnare al governo 22 miliardi di dollari. Starr sostiene che il governo ha applicato al salvataggio un tasso di interesse del 15%, violando la proprietà privata e i diritti costituzionali degli azionisti. Il salvataggio di Aig, iniziato nel settembre del 2008, costò alla Fed e al Tesoro Usa 182 miliardi di dollari.
dal Wsj


martedì 8 gennaio 2013

Come sta Alitalia


Alitalia era partita nel gennaio del 2009 con in cassa 1.169 milioni di euro di capitale. Di questi 323 li aveva versati AirFrance-Klm, gli altri 847 i soci italiani. Nei primi 3 anni ha perso 678 milioni, nei primi nove mesi del 2012 altri 173. Per migliorare il capitale sono state fatte tre cose: si punta sullo scorporo dell'attività delle Millemiglia (con l'ingresso di un nuovo socio); due Boeing 777 sono stati utilizzati per rifinanziamenti (l'azienda aveva quasi chiuso il mutuo e lo ha riaperto per avere liquidi); 3 slot a Heatrhrow sono stati venduti lo scorso settembre (dovrebbero valere 20-30 milioni di euro l'uno). In cassa dovrebbero essere rimasti circa 300 milioni di euro.



Il vaso di Pandora del Libor


«Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti! Ascolta amico, loro sono...sono i tipi...sono quelli che mettono la gente in galera! Perché diavolo vuoi parlargli?». Cominciava a spaventarsi davvero, Tom Hayes: era fine marzo del 2011 e un suo collega trader di Ubs gli stava raccontando che degli investigatori americani avevano contattato la banca per fissare un appuntamento. Volevano interrogarlo, per capire com’è che funzionavano le comunicazioni sui tassi Libor inviate dagli uffici di Ubs a Tokyo, dove i due avevano lavorato insieme. Sospettavano che quelle comunicazioni fossero bugiarde, truccate per aiutare i trader della banca svizzera a guadagnare di più. Il sospetto era fondato, Hayes aveva ragione ad avere paura: a 32 anni e con un figlio in arrivo a breve avrebbe dovuto chiudere la sua strepitosa carriera nella grande finanza per passare alla condizione di carcerato. L’11 dicembre scorso la polizia britannica lo è andato a prendere nella sua villa nell Surrey, appena fuori Londra, per portarlo in galera. Gli Stati Uniti hanno chiesto la sua estradizione ma gli inglesi non lo lasceranno partire: il primo ministro David Cameron ha promesso che il Regno Unito dimostrerà ai suoi cittadini che sa punire con durezza anche i criminali della finanza.
Hayes, assieme a due colleghi della società di brokeraggio RP Martin, Terry Farr e Jim Gilmour, è il primo arrestato nel colossale scandalo del Libor, esploso la scorsa estate e ancora agli inizi. Il Libor è un tasso interbancario che indica, con scadenze che vanno da 1 giorno a 12 mesi, gli interessi a cui le banche si stanno prestando reciprocamente denaro (in particolare sterline, dollari e yen). È un indicatore chiave della finanza mondiale, perché su questo tasso si basano contratti per un valore complessivo stimato attorno ai 350mila miliardi di dollari, cifra pari a cinque volte il Prodotto interno lordo mondiale. Sono contratti di tutti i tipi, dai più banali mutui e prestiti a derivati complessi. Nonostante l’indice sia così delicato, il valore del Libor è fissato secondo un meccanismo rozzo: l’associazione delle banche inglesi ogni giorno chiede a 15 istituti a che tasso contano di ottenere denaro in prestito dalle altre banche il giorno dopo, quindi fa la media e fissa l’indice. Queste modalità presto cambieranno, lo scandalo ha costretto le autorità a studiare una riforma di un meccanismo che si è rivelato pieno di buchi. Perché se gli addetti delle banche si accordano per dare informazioni sballate, il tasso si allontana dalla realtà e favorisce speculazioni sleali. Come quelle di Hayes. Secondo le accuse, già dal 2006 (quando aveva appena 27 anni) il trader d’accordo con Roger Darin, che per Ubs comunicava il Libor sullo yen, e assieme a decine di colleghi di altre banche tentava quasi tutti i giorni di muovere il tasso in maniera anomala per favorire le sue strategie speculative. Gli investigatori americani sostengono che un movimento del Libor di 0,01 punti percentuali a suo favore valesse 2 milioni di dollari di profitti sul suo portafoglio di investimenti. Grazie a questo sistema nei tre anni passati in Giappone Hayes avrebbe fatto guadagnare a Ubs 260 milioni di dollari. Non si sa quanto la banca svizzera abbia premiato il suo ragazzo prodigio – che nel 2009 è passato a Citigroup –, ma visto che nella finanza i bonus sono legati ai risultati è presumibile che Hayes incassasse qualche milione di dollari all’anno. Certo, non era solo.
Sullo scandalo Libor stanno indagando tribunali e organismi di controllo di 10 nazioni diverse, tra America, Asia ed Europa. Le banche coinvolte sono quasi 20 (non ci sono italiane), gli indagati sono decine. Inchieste simili riguardano anche l’Euribor, l’interbancario della zona euro su cui si basano contratti per 150 mila miliardi di euro (compresi i mutui e le linee di credito delle nostre imprese). Sull’Euribor indagano anche a Trani, nella procura dove l’attivissimo pm Michele Ruggiero a novembre ha chiesto il rinvio a giudizio per 7 ex dirigenti delle agenzie di <+corsivo>rating<+tondo> Fitch e Standard & Poor’s. Ma l’Euribor però si forma con le indicazioni di quasi 40 banche, non 15, e quindi è più difficile da manipolare.
Le indagini sul Libor, condotte dalla Fsa inglese e dalla Sec americana, hanno già dato risultati eclatanti. La banca inglese Barclays a giugno è stata la prima ad arrivare a un accordo con le autorità britanniche e americane per chiudere il caso: ha ammesso le sue responsabilità e ha pagato multe per 290 milioni di sterline. Il presidente Marcus Agius e l’amministratore delegato Bob Diamond sono stati costretti ad andarsene. A dicembre è arrivato il turno di Ubs, la banca di Hayes, che ha pagato 940 milioni di sterline. La prossima a "costituirsi" dovrebbe essere Royal Bank of Scotland, che tratta da mesi con le autorità. Poi potrebbe toccare ad altri: in fila ci sono anche i colossi Hsbc, JPMorgan, Deutsche Bank, Citigroup, Lloyds.
Stavolta però le banche rischiano di non riuscire a cavarsela pagando solo una multa, per quanto miliardaria. Perché mentre i loro addetti imbrogliavano rastrellando milioni grazie alle anomali e del Libor c’era qualcuno che quegli strani andamenti del tasso li subiva. Fannie Mae e Freddie Mac, le disgraziate agenzie dei mutui controllate da Washington, dicono di averci perso 3 miliardi di dollari e vogliono un indennizzo. Vogliono rimborsi anche il Comune di New York e quello di Baltimora. E anche Annie Bell Adams, 65enne dell’Alabama che per colpa della crisi dei mutui ha perso la casa e in estate ha avviato una class action. In tanti l’hanno seguita. Le richieste di partecipare alle nuove cause miliardarie contro le banche dell’imbroglio Libor sono così numerose che gli avvocati americani, sempre a caccia di preziose vittime, stanno pubblicando manuali sul contenzioso. Il fatto è che quando chi imbroglia ha giocato con un pilastro della finanza mondiale praticamente chiunque può avere diritto di essere risarcito. Nel caso, i giudici quantificheranno il danno. Ma per certi imperi del denaro l’eccesso di potenza rischia di rivelarsi fatale.
da Avvenire di oggi