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mercoledì 18 aprile 2012
I debiti del mondo, nell'anno 2012
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martedì 17 aprile 2012
I soldi che tornano dall'Opec
Secondo un'analisi dell'Agenzia internazionale dell'energia per ogni dollaro che gli Stati Uniti hanno speso per importare petrolio dai Paesi dell'Opec, nel 2011 sono tornati indietro (attraverso l'acquisto di prodotti made in Usa da parte dei cittadini dei Paesi Opec) 34 centesimi. Il dato è molto inferiore rispetto alla media 1970-2000, che vedeva tornare in Usa 55 centesimi per ogni dollaro dato all'Opec. Ancora peggio il Giappone: tornano 14 centesimi per ogni dollaro, contro una media storica di 43. Va invece benissimo l'Europa, alla quale tornano 80 centesimi per dollaro (come nella sua media storica), e va bene la Cina, con un ritorno di 64 centesimi (in passato non le tornava nulla).
Paulson gioca contro l'Europa
John Paulson, il 56enne titolare del fondo Paulson & Co., avrebbe detto ai suoi cilenti che sta scommettendo contro i titoli sovrani europei e si sta proteggendo con i Cds. Il fondo hedge di Paulson ha in gestione 24 miliardi di dollari e lo scorso anno ha perso il 51% scommettendo sula ripresa americana. Paulson è sicuro che l'euro presto scomparirà.
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domenica 15 aprile 2012
sabato 14 aprile 2012
La caduta delle Borse del 13 aprile
Gli investitori stanno scommettendo pesantemente sul fallimento della Spagna. Dall’inizio di marzo tutti vogliono i credit default swap (Cds) iberici, quei titoli che garantiscono un rimborso nel caso che Madrid non sia in grado di onorare i suoi debiti. All’inizio di marzo assicurarsi contro l’insolvenza spagnola costava 355 dollari per ogni 10 mila dollari di credito, dopo 15 giorni il prezzo è salito fino a oltre i 400 dollari, ieri ha superato i 500, toccando un nuovo record. Quello precedente, 492, era stato segnato lo scorso novembre, nel peggior momento della crisi del debito europeo. In quelle settimane i Cds italiani erano arrivati a superare i 590 punti e l’Italia fino a ieri era l’unica nazione dell’euro che aveva visto i suoi Cds superare quota 500 ma non aveva dovuto chiedere aiuti internazionali (come invece hano fatto Grecia, Portogallo e Irlanda). Adesso i nostri Cds costano 428 dollari, 70 in più rispetto all’inizio di marzo, ma sopra quota 500 c’è appunto Madrid.
Da qualche giorno il governo guidato da Mariano Rajoy è costretto a smentire che la Spagna debba essere salvata, eppure la voce di un imminente piano di salvataggio continua a circolare. Il principale problema è che il governo ha comunicato dati sul debito pubblico che però non comprendono quelli delle Regioni, e senza informazioni più complete l’Europa continua a dubitare dell’efficacia del piano di risanamento dei conti spagnolo. La credibilità del nuovo premier iberico nel mondo finanziario sta scendendo tanto che ieri il <+corsivo>Wall Street Journal<+tondo> gli ha dedicato un duro editoriale. Basta il titolo: «Pollyanna in Madrid». Un dato, poi, ha fatto ulteriormente salire la tensione: a marzo le banche spagnole hanno raddoppiato la loro richiesta di fondi alla Banca centrale europea, ottenendo 227 miliardi di euro sui 361 messi a disposizione da Francoforte. E questo dopo essere state in prima fila nell’attingere alle aste a tasso scontato con cui la Bce ha concesso alle banche mille miliardi tra dicembre e febbraio. Sembra, insomma, che gli istituti di credito iberici, in serissime diffiicoltà per avere gonfiato la bolla immobiliare nazionale, non riescano a raccogliere fondi sul mercato se non chiedendoli alla Bce.
Il nuovo allarme ha spinto in alto di altri 16 punti i tassi dei Bonos spagnoli (al 5,98%), con gli italiani che li seguono a distanza sentendo la tensione (5,52%, 12 punti in più). Il nostro <+corsivo>spread<+tondo> rispetto ai Bund tedeschi è salito da 362 a 379 punti, quello spagnolo è salito fino a 424 punti.
Le Borse sono crollate, anche in vista del probabile taglio di rating delle banche europee da parte di Moody’s, che però è stato rimandato: alle italiane doveva toccare lunedì, ma a mercati chiusi l’agenzia ha annunciato una modifica dell’agenda, rinviando tutti a maggio. I titoli bancari (-6% Unicredit, -4,8% Intesa) hanno affondato Milano, che ha perso il 3,4% bruciando 11 miliardi di capitalizzazione. Giù del 3,6% Madrid, -2,5% Parigi, -2,4% Francoforte e -1% Londra. Male anche Wall Street, che vede peggiorare lo scenario globale: ieri sono arrivati cattivi dati sulla fiducia dei consumatori americani e sulla crescita cinese (il Pil salirà dell’8,1% invece dell’8,4% previsto).
In questo contesto estremamente complesso, per l’Italia c’è anche il altro rischio di perdere il controllo delle aziende, ha avvertito un allarmato Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di Generali: «La Borsa non funziona – ha detto il manager –, bisogna cambiare le regole. C’è troppa speculazione e i prezzi sono preoccupanti, con le aziende sottovalutate in maniera pericolosa e attaccabili dall’estero».
I Benetton e la fine delle idee
Quando una grande azienda rimane senza idee le viene difficile nasconderlo. Se Benetton, che mesta mesta se ne sta andando da Piazza Affari, contava di riuscire a nascondere la sua crisi creativa, ormai è tardi. Ieri il Financial Times, il quotidiano più ascoltato dagli investitori europei, ha chiarito qual è il cattivo stato di salute dell’azienda. Lo ha fatto partendo proprio dalla blasfema campagna pubblicitaria dello scorso novembre, quel fotomontaggio di un bacio tra Benedetto XVI e Ahmed Mohamed el-Tayeb, imam della moschea di Al-Azhar al Cairo. È stata una brutta idea che, scrive l’editorialista Tony Barber, ha mostrato una tale «triste assenza di creatitivà» da diventare un regalo di Natale per i rivali svedesi di H&M o per gli spagnoli di Zara. Quella campagna, aggiunge Barber, «evidenzia quella più generale mancanza di immaginazione che per anni ha schiacciato i profitti e fatto a pezzi il valore azionario di un’azienda una volta ammirata per l’innovazione». La Benetton si trova infatti con un modello di business ormai «obsoleto», i suoi negozi in franchise la tengono più lontana dai clienti e le impediscono di tenere il passo dei più giovani rivali di Zara ed H&M, che invece sono proprietari dei loro negozi. Ora Benetton ha urgente bisogno di una «ristrutturazione» e magari, suggerisce Barber, «sbarazzarsi di pubblicità choc provocatorie rappresenterebbe un buon inizio».
da Avvenire
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