Cerca nel blog

martedì 27 marzo 2012

Monti come la Thatcher. Il testo completo


Il pezzo sul Wsj di oggi.

Italian Prime Minister Mario Monti has walked away from negotiations with Italy's labor unions and announced that he is going to move ahead with reforming the country's notorious employment laws—with or without union consent. If Rome is spared the fate that recently befell Athens, mark this as the week the turnaround began.
Italy's labor laws are some of the most restrictive in the Western world. The totemic Article 18 all but bans companies with more than 15 employees from involuntarily dismissing workers, regardless of the severance offered. Mr. Monti has proposed replacing this job-for-life scheme with a generous system of guaranteed severance when employees are dismissed for "economic reasons."
In most of the free world, this would count as a useful, albeit mild, reform. Among other weaknesses, the new law would not affect a worker's right to challenge his dismissal in court when fired for disciplinary reasons—an unreciprocated gift to the unions.
But standing up to Italy's labor unions takes courage, and not only of the political sort. Ten years ago this month economist Marco Biagi was gunned down by left-wing terrorists for his role in designing a previous attempt at labor reform. Mr. Monti's move has prompted calls for a general strike from CGIL, Italy's largest union confederation.


Since coming to power in November, Mr. Monti has passed some measures by emergency decree, bypassing parliament. On Friday, however, he announced that the labor-law changes would be voted through the National Assembly in the normal way.

This, too, is politically courageous. The center-left Democratic Party—an ally of the CGIL and one of the three main political blocs supporting Mr. Monti's grand coalition—has called the reform unacceptable. A split in the coalition could doom both the reform and Mr. Monti's government. The alternative is to pass the law over Democratic Party opposition, which would saddle Mr. Monti with former Prime Minister Silvio Berlusconi's base of right-of-center support.
That prospect probably doesn't thrill Mr. Monti. But holding a vote is also right. Italy's labor laws have been a fixture of economic life for decades. Successful—and lasting—reform won't be accomplished by decree, but by demonstrating that the changes enjoy a popular mandate.
Mr. Monti has three chief advantages over his recent predecessors. He remains popular in Italy. He also says he doesn't intend to run for re-election. This gives him a chance to maintain control over his reforms as they move toward a parliamentary vote.

More importantly, Mr. Monti—a former economics professor—has a rare opportunity to educate Italians on the consequences of opposing reform. This won't require sophisticated explanations of why employers will still employ people even when the law does not force them to do so. He can merely ask Italians to look across the Ionian Sea. If that doesn't scare them sober, then nothing will help.
Postwar Italian politics has chewed up more than a few would-be reformers while career politicians and union leaders enjoy the spoils of power. The difference with Mr. Monti is that he didn't take this job to be a caretaker PM. If he means to make his current reform the first, not last, step in a more ambitious agenda for reviving Italian growth, he could make his one term in office a great one.

lunedì 26 marzo 2012

Cosa spinge i prezzi della benzina e chi ci guadagna

da Avvenire del 25 marzo 2012


1.Perché la benzina a­desso costa quasi 2 euro al litro?

Gli attuali prezzi dei carburanti (1,87 cente­simi al litro in media la benzina, 1,78 il ga­solio, se si considerano i listini al 'servito') sono il risultato di due fattori. Quello do­minante è il fattore fiscale. Lo scorso anno il governo Berlusconi ha alzato per quattro volte le accise su benzina e gasolio, portan­dole rispettivamente da 56,4 e 42,3 a 62,2 e 48,1 centesimi al litro. Il governo Monti ha aggiunto un quinto e più sostanzioso aumento, che ha portato l’accisa sul­la
 benzina a 70,4 centesimi al litro e quella sul gasolio a 59,3 centesimi al li­tro. A settembre, i­noltre, l’Iva (che si calcola sia sul prez­zo industriale della benzina che sull’accisa) è stata portata dal 20 al 21%, producendo così un rialzo linea­re dell’1%. E a gennaio 5 giunte regionali hanno fatto scattare le addizionali locali, o­ra applicate in 10 Regioni su 20. In breve: durante il 2011 le tasse nazionali sul carbu­rante sono salite di 16 centesimi al litro per la benzina e di 20 per il gasolio. L’altro fat­tore dietro gli aumenti è il costo della ma­teria prima, che si è impennato ne­gli ultimi mesi. Il Platts cif Med, l’in­dice delle quotazioni dei carburan­ti sui mercati europei, tra novembre scorso e oggi è salito per la benzina da 52 centesimi a 67 centesimi al li­tro, per il gasolio da 62 a 69 centesi­mi.

1.34


2.
Come mai questo Platts au­menta
 tanto?

La quotazione Platts – elaborata dal­l’omonima agenzia internazionale sulla base degli scambi quotidiani di prodotti petroliferi tra le varie a­ziende della filiera del petrolio – e­sprime il prezzo 'all’ingrosso' della benzina e del gasolio. Su questi va­lori incidono sia la normale dinami­ca della domanda e dell’offerta (di prodotti già raffinati) che la quota­zione
 del prodotto da raffinare, cioè il pe­trolio. La quotazione del petrolio 'europeo', il Brent, tra dicembre e oggi è salito da 104 a 125 dollari al barile (in euro il passaggio è da 75 a 94 euro al barile). La quotazione è e­levatissima, tanto che ieri l’Agenzia inter­nazionale dell’energia ha lanciato l’allarme: a questi prezzi si rischia la recessione. Le tensioni iraniane pesano ma non spiegano questa impennata. Non si capisce cosa ci sia dietro. Lo stesso ministro del Petrolio saudita, Alì al Naimi, ha detto che non ca­pisce cosa stia spin­gendo il prezzo. L’U­nione petrolifera ha detto qualche setti­mana fa che le ban­che stanno facendo salire i prezzi perché investono anche sui

futures
 petroliferi i 1.000 miliardi di eu­ro avuti in prestito agevolato dalla Bce. I tempi dei rialzi, in effetti, coincidono.

3.
Chi sta guadagnando da questi rincari?


Sicuramente ci guadagnano i Paesi espor­tatori che, secondo i calcoli dell’Aie, que­st’anno guadagneranno dal petrolio la cifra più alta di sempre: 1.200 miliardi di dollari. Anche le compagnie petrolifere, che estrag­gono
 e raffinano il greggio più o meno con gli stessi costi di prima, vedono sali­re i loro margini. Fe­steggiano anche al­l’Erario: nei primi due mesi del 2012, secondo i calcoli del centro studi Promo­tor, il Tesoro ha già incassato 5,5 miliar­di dai carburanti, con un aumento del 19,8% rispetto a un an­no fa. E questo nonostante i consumi nel frattempo siano diminuiti del 9,6%. Chi ci perde, infatti, sono evidentemente gli ita­liani, che per fare meno rifornimento han­no comunque già speso in due mesi 10,1 miliardi quest’anno, l’11% in più nel con­fronto con il 2011. Senza contare che i rincari dei trasporti provocano un aumento generalizzato dei prezzi de­gli altri beni che si devono spostare per il Paese. E ci perde anche il ben­zinaio, che ha un margine fisso al li­tro (tra i 4 e i 5 centesimi) ma sta ven­dendo meno carburante di prima.

4.
Anche nel resto d’Europa i prezzi salgono tanto?


Quasi, nel senso che tra lo scorso no­vembre e oggi in Europa il prezzo me­dio della benzina è salito del 9% e quello del gasolio dell’11%, mentre in Italia gli aumenti sono stati del 14% in entrambi i casi. Questo, però, se si considerano le tasse. Al netto delle imposte, il rialzo europeo è del 18% per la verde e del 9% per il diesel, quello italiano è del 15% sulla benzi­na e dell’8% per il gasolio. Senza le nuove tasse, che ci hanno 'regalato' la benzina più cara d’Europa e il se­condo gasolio più costoso, saremmo vicini alla media Ue. Difatti il cosid­detto 'stacco', cioè la differenza, tas­se escluse, tra il prezzo al litro del car­burante italiano e la media europea (calcolato dall’Unione petrolifera) si è ridotto dai 3,6 centesimi medi del 2011 agli attuali 2,5 centesimi. La ten­denza al rialzo è comunque globale. Gli Usa, ad e­sempio,
 sono in al­larme perché in al­cuni Stati la benzi­na ha superato la soglia di 4 dollari al gallone (che ai cam­bi attuali sono 81 centesimi al litro).

5.
Cosa si può fare per fermare gli aumenti?


Sul lato fiscale, se non si vogliono tagliare le tasse, si potrebbe almeno ritentare la strada della sterilizzazione dell’Iva: un meccanismo che riduce l’accisa (e quindi l’imposta) per un certo periodo quando il prezzo della materia prima supera una cer­ta quota. Sperimentata nel 2000 e nel 2008,
 la sterilizzazione ha permesso risparmi modesti, nell’ordine dei 2 centesimi al li­tro. Sul lato industriale si può agire solo su quei 15-16 centesimi al litro che sono il margine lordo di gestori e compagnie. U­na loro riduzione di un terzo vale al mas­simo 5 centesimi. Le liberalizzazioni ap­pena approvate permettono ai benzinai di vendere altri prodotti e di restare sempre aperti, così i gestori hanno una base di gua­dagno più larga e sono meno 'benzina-di­pendenti'. Questo permette loro un con­tenimento del prezzo. Ma tra sconti, fai da te e 'pompe bianche' è inutile sperare in risparmi che vadano oltre i 10-15 centesi­mi al litro.

Pietro Saccò
  

venerdì 23 marzo 2012

La benzina impazzita e l'Eni

Dal 7 dicembre dell’anno scor­so che gli italiani pagano la benzina più cara d’Europa e il secondo gasolio più costoso, dopo quello inglese. Quel giorno il governo fece scattare in anticipo il quinto au­mento delle accise sui carburanti del 2011: un rialzo di 8,2 centesimi per la benzina e di 11,2 centesimi per il ga­solio. Tra accise e Iva il carico fiscale sui carburanti l’anno scorso è salito di 20 centesimi per il gasolio e 16 per la benzina. Quel 7 dicembre la verde volò a 1,68 centesimi al litro, il gaso­lio a 1,67. Ma gli italiani non avevano ancora vi­sto tutto. Nelle settimane seguenti il prezzo del petrolio si è impennato: la quotazione dei contratti futures del Brent (il greggio 'europeo') è passa­ta da 105 a oltre 120 dollari al barile. Colpa delle tensioni sull’Iran e colpa delle banche, che non sapendo dove piazzare i mille miliardi di euro rice­vuti in prestito a prezzi stracciati dal­la Banca centrale europea hanno pensato di investirne un po’ sul pe­trolio. Anche Ali al Naimi, anziano mi­nistro del Petrolio saudita, è rimasto interdetto: «Non riusciamo a capire perché i prezzi del petrolio si com­portino in questo modo – ha spiega­to da Doha lo scorso martedì – gli at­tuali valori non sono giustificati dal rapporto tra domanda e offerta». Il rialzo della materia prima, la cui qu­o­Ètazione in euro è sui massimi storici, si è ovviamente scaricato anche sui carburanti. Il risultato, certificato dal­le ultime rilevazioni europee, è che oggi gli italiani pagano la benzina in media 1,82 euro al litro, 15 centesimi in più della media europea, e il gaso­lio 1,73 euro al litro, 20 centesimi so­pra la media dell’Ue. È una brutta si­tuazione. I dati del Centro studi Pro­motor dicono che gli automobilisti hanno reagito tagliando i consumi (-9,6% nei primi due mesi nel confron­to con un anno fa) ma comunque hanno finito per spendere 10,1 mi­liardi, cioè l’11% in più. Di questi, 5,5 (+19,8%) se li è intascati il Tesoro.

Senza un intervento fiscale il prezzo del carburante difficilmente scen­derà. Se si escludono le tasse, il costo della benzi­na italiana è di soli 2 cen­tesimi superiore alla me­dia Ue, quello del gasolio di 4 centesimi. Anche an­nullando i due 'stacchi' i listini resterebbero a li­velli molto elevati. Il de­creto liberalizzazioni, ap­provato in via definitiva dalla Camera ieri, con­sente però qualche piccolo spazio di risparmio. «Considerate che il margi­ne totale della compagnia petrolife­ra e del gestore è di circa 15 centesi­mi al litro. Noi possiamo agire solo su quello» spiegava ieri Paolo Grossi, vi­ce presidente esecutivo per il 'retail' della divisione Refining & Marketing di Eni. Grossi ha presentato la strate­gia con cui il gruppo petrolifero con­trollato dal Tesoro intende migliora­re la sua offerta sfruttando al massi­mo le opportunità concesse dalle li­beralizzazioni. Le 4.500 stazioni di servizio Eni, ribattezzate 'eni station', saranno gradualmente trasformate. Intanto sarà potenziato il self service, con l’offerta iperself (che offre scon­ti tra i 5 e i 10 centesimi al litro ed og­gi
 è scelta da un cliente su tre) non più limitata agli orari di chiusura ma proposta 24 ore su 24 per sette giorni la settimana. In molte stazioni arri­veranno macchinette automatiche per vendere prodotti di largo consu­mo, come latte fresco, rasoi o aurico­lari per gli stereo (presto arriveranno anche i tabacchi). I 550 bar delle sta­zioni, gli 'eni cafè', resteranno aper­ti più a lungo e offriranno connessio­ne WiFi ai clienti. L’obiettivo è au­mentare le entrate dal cosiddetto 'non oil', unica strada 'industriale' per ammorbidire il rincaro figlio di tasse e mercato. 


da Avvenire del 23 marzo 2012

giovedì 22 marzo 2012

Il gas dell'Alaska verso la Cina

L'Alaska ha 34.800 miliardi di metri cubi di gas naturale, il 13% delle riserve americane. Molto è shale gas. Le stime dicono che però questa cifra potrebbe essere anche di dieci volte superiore. Per anni si è discusso il progetto di una condotta che potrasse il gas dell'Alaska in Alberta, e quindi negli Usa. Non se n'è fatto nulla. La nuova idea è di costruire un rigassificatore nella costa sud, condurre il gas lì con le tubature, quindi trasportarlo in Asia via nave. In Cina il  prezzo del gas è di 15,5 dollari per British Thermal Unit, negli Usa di 2,2 dollari. Il costo dell'intero progetto è compreso tra i 40 e i 50 miliardi di dollari. Ci stanno lavorando Bp, Exxon e Conoco.

http://www.ft.com/cms/s/0/d9ae9142-7343-11e1-aab3-00144feab49a.html

I numeri della grande distribuzione in Italia

mercoledì 21 marzo 2012

L'Arabia saudita promette più petrolio


Ali al Naimi, ministro saudita del petrolio, martedì a Doha ha fatto capire che le quotazioni alte non piacciono nemmeno a loro:  "I prezzi attuali non sono giustificabili sulla base del rapporto tra rifornimenti e domanda. Non riusciamo proprio a capire come mai i prezzi si comportino in questo modo". L'Arabia oggi produce 9,9 milioni di barili al giorno e potrebbe salire anche fino a 12,5 milioni di barili. Sempre che qualcuno glieli compri, perché non sembrano esserci problemi di mercato. "Siamo pronti a immettere altro petrolio sul mercato, ma servono
compratori" ha detto al Naimi.

Air France rinegozierà tutti i contratti


Air France ha firmato un accordo con le organizzazioni dei lavoratori: prevede la rinegoziazione entro il 30 giugno dei diversi contratti. L'obiettivo è migliorare la produttività e tagliare i costi. La compagnia è in rosso da quattro anni.