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giovedì 13 giugno 2013

Secondo Pimco il mondo rischia un'altra recessione

L'Europa non può andare avanti ancora a lungo «cavandosela alla bell’e meglio» tra un’economia che non cresce e un’unione monetaria perennemente traballante. Secondo Pimco – colossale fondo di investimento che gestisce più di 2mila miliardi di dollari – nel giro di 3-5 anni il Vecchio Continente arriverà a un bivio. Da un lato ci sarà la strada buona dell’Europa più unita: quindi integrazione fiscale, unione bancaria, riforme per aumentare la flessibilità e più legittimazione democratica per Bruxelles. Dall’altro lato ci sarà la strada cattiva, con l’insolvenza di una grande economia (Spagna o Italia) e la sua uscita dall’unione monetaria. Mentre procede verso quel bivio, l’Europa rischia di ritrovarsi «zombificata»: non cresce, chi presta soldi agli Stati e alle banche rischia di essere chiamato a gestirne il salvataggio (come è successo in Grecia e a Cipro), la Bce prende tempo e le riforme necessarie a rilanciare l’economia creano scontento sociale, alimentando i partiti euroscettici.
Certo, lo scenario disegnato da Pimco nel suo "Secular Outlook" è discutibile, però il fondo ha costruito la sua visione per i prossimi 3-5 anni mettendo assieme le analisi dei suoi migliori manager e contributi autorevoli come quelli dell’ex presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick o di Elena Salgado, ministro delle Finanze spagnolo tra il 2009 e il 2011. Ed è in base a queste previsioni che il fondo sta facendo le scelte di investimento a lungo termine sui soldi che gestisce. Trattandosi di una cifra superiore al Pil italiano, difficilmente ci si può accontentarsi di analisi superficiali.
L’idea di base è che fino al 2006 il mondo avesse trovato uno «squilibrio stabile» con una crescita gonfiata in maniera artificiale. Lo squilibrio si è risolto con la crisi, che ha creato un nuovo equilibrio al ribasso, con il ridimensionamento delle grandi economie e la crescita di nuove potenze. Oggi quell’equilibrio è altamente instabile ed entro il 2018 si risolverà. Forse con un ritorno a una potente crescita mondiale o forse con una nuova recessione. Per Pimco al 60% sarà recessione.
L’Europa, secondo lo studio presentato a Milano dal manager Saumil Parikh, non sarà l’unica ad andare verso un bivio. Lo stesso capiterà al Giappone: da un lato se la politica fiscale e monetaria ultra-aggressiva che sta sperimentando il nuovo premier Shinzo Abe funzionerà Tokyo nel giro di qualche anno tornerà a una crescita equilibrata; dall’altro se l’esperimento nipponico fallirà (e Pimco tende a pensare che andrà così) il Giappone non riuscirà a ritrovare la crescita e a causa del fiume di denaro riversato nel sistema sarà meno competitivo di adesso. Più tranquillo lo scenario per Stati Uniti e Cina. I primi dovrebbero raggiungere una «velocità di crociera» del 2%, ma devono riuscire a passare da una crescita assistita dalla spesa pubblica a una crescita autonoma. A Pechino l’espansione del Pil rallenterà al 6-7,5%. La Cina dovrà riuscire a passare da un modello di crescita export-dipendente a uno basato sui consumi interni. «È la grande sfida dei prossimi 18 mesi» avverte Pimco. L’alternativa è l’esplosione della bolla del credito cinese. Naturalmente è pericolosissima.

mercoledì 12 giugno 2013

Le riserve di shale gas

L'Eia ha aggiornato la sua stima sulla riserve globali di shale gas. Calcola che ci siano 7,3 migliaia di miliardi di metri cubi di gas. Gli Stati Uniti, che più stanno sfruttando questa risorsa, ne hanno meno di Cina, Argentina e Algeria. La Polonia, che avrebbe le maggiori riserve europee, non è tra i primi dieci.


venerdì 7 giugno 2013

La sigaretta elettronica della Camel

Scrive il Financial Times che Reynolds, il gruppo che controlla tra gli altri i marchi Camel e Pall Mall, sta per lanciare la sua prima sigaretta elettronica. Altria, che controlla Marlboro, lancerà la sua entro fine anno. Goldman Sachs calcola che quest'anno il mercato delle sigarette elettroniche varrà 300 milioni di dollari. Alcuni analisti prevedono che raggiunga il miliardo nel giro di un paio d'anni.

venerdì 17 maggio 2013

Se anche giovani cinesi hanno problemi a trovare lavoro

Anche in Cina i giovani iniziano ad avere problemi a trovare lavoro. Secondo il ministro dell'istruzione cinese quest'anno avranno la laurea 7 milioni di studenti, 190mila in più rispetto al 2011. I media cinesi scrivono che per loro questo può essere il "più duro" degli ultimi anni per i neolaureati. Alla fine di aprile solo 3 neolaureati su 10 aveva trovato lavoro a Shanghai, il 10% in meno rispetto all'anno scorso.
dal Ft

giovedì 16 maggio 2013

Facebook può finire in crisi

Gli investitori temono che Facebook interessi sempre meno alle giovani generazioni, interessate piuttosto a reti alternative come Twitter, WhatsApp, Tumblr, Line, Viber, Snapchat. "Una delle più frequenti conversazioni che ho con i miei investitori è quella sul disinteresse delle giovani generazioni per Facebook" dice Mark Mahaney, analisti di Rbc. Comunque oggi ogni giorno 665 milioni di persone usano Facebook.
dal Ft

martedì 14 maggio 2013

Le Borse e le Banche centrali

Nel suo anno e mezzo alla guida della Banca centrale euro­pea Mario Draghi ha tagliato quattro volte i tassi (erano all’1,5% quando è entrato in carica e ora sono allo 0,5%), ha prestato mille miliardi alle banche, ha comprato i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà e ha promesso che se sarà necessario tornerà a comprarli, e in quantità illimitata. Ha riempito di soldi l’Europa come nessuno aveva mai fatto prima, ma quel denaro si ferma nei bilanci di banche troppo spaventate per prestarli alle imprese. Al massimo i soldi finiscono in Borsa. «Siete frustrati per la cautela del­le banche?» gli ha chiesto un giornalista americano nella confe­renza stampa del 2 maggio, dopo l’ultimo taglio dei tassi. «Siamo... sì, frustrati, certamente, ha usato la parola giusta – ha risposto il banchiere italiano –. Il fatto è che noi non andiamo in giro a spar­gere soldi con l’elicottero. In Europa bisogna passare dalle ban­che ». Sono trascorsi 44 anni da quando l’economista Milton Fried­man inventò l’esempio dell’elicottero della banca centrale che get­ta banconote dal cielo su un paesino afflitto dalla deflazione, e quell’immagine è ancora straordinariamente efficace. Quando quel cronista lo ha stuzzicato, a Draghi saranno venuti in mente i suoi due principali colleghi, che hanno fatto già decollare i loro e­licotteri spargisoldi: l’americano Ben Bernanke (non a caso 'Heli­copter Ben', per i critici) e il giap­ponese Haruhiko Kuroda.
L’eccezionale politica monetaria e­spansiva della Bce appare poca co­sa davanti a quello che stanno fa­cendo la Federal Reserve e la Ban­ca del Giappone. Dopo avere azze­rato i tassi e immesso nel sistema 2mila miliardi di dollari compran­do bond del Tesoro e titoli legati ai mutui, la Fed lo scorso settembre ha avviato il suo terzo piano di 'quantitative easing': «Comprere­mo titoli legati ai mutui al ritmo di 40 miliardi al mese», aveva an­nunciato Bernanke, salvo poi raddoppiare la spesa (a 85 miliardi) a dicembre. Bernanke continuerà a rovesciare denaro sull’economia americana finché la disoccupazione non sarà scesa abbastanza: quando ha iniziato il tasso dei senza lavoro era all’8,1%, ad aprile la quota di disoccupati era diminuita al 7,5%, l’obiettivo è scendere ver­so il 6%. Nel frattempo sull’altro lato del Pacifico il nuovo governa­tore giapponese Haruhiko Kuroda sta caricando i suoi elicotteri. Il primo ministro Shinzo Abe lo ha chiamato per aiutarlo a risolleva­re – a colpi di spesa pubblica – un’economia depressa da vent’anni e lui ci vuole riuscire con un piano monetario realmente faraonico: in due anni raddoppierà i soldi in circolazione in Giappone. La ba­se monetaria aumenterà di 130mila miliardi di yen (987 miliardi di euro, ai cambi attuali). «Voglio adottare tutte le misure immagina­bili » ha avvertito l’economista giapponese: comprerà senza molti scrupoli titoli di Stato con scadenze quarantennali, ma anche fon­di comuni di investimento al ritmo di 7 miliardi di yen al mese. Il suo obiettivo è riconquistare un’inflazione stabile al 2%, un mirag­gio desiderabile in un Paese in cui i prezzi sono da anni in discesa e il debito è al 230% del Pil. Se poi, come in effetti sta accadendo, Ku­roda ottiene anche una svalutazione dello yen che può dare una ma­no alle esportazioni, tanto meglio. Anche il Regno Unito è pronto a far decollare il suo elicottero. La cloche è affidata al canadese Mark Carney, che dal 1° luglio prenderà il posto dell’attuale governatore Mervyn King. La Banca d’Inghilterra, che ha tassi allo 0,5% da 4 an­ni, ha già adottato misure estremamente aggressive, comprando ti­toli di Stato per 375 miliardi di sterline (443 miliardi di dollari), ma da Carney – che da governatore del Canada ha protetto il Paese dalla crisi – molti si aspettano mosse più ardite.

Se queste strategie funzioneranno gli studenti di economia delle prossime generazioni troveranno nei loro manuali lunghi capitoli sugli anni in cui la crisi fu affogata in un mare di denaro. Se falli­ranno quelle pagine parleranno di come la recessione fu ulterior­mente peggiorata da una bolla inflazionistica gonfiata da Bernanke, Kuroda e colleghi. Perché un’inflazione galoppante è il naturale ef­fetto collaterale di una politica monetaria troppo espansiva.
Per il momento l’inflazione è sotto controllo, la domanda è debo­le e i soldi freschi non hanno dato grandiosi risultati nell’economia reale. Piuttosto si sono viste grandi cose sui mercati finanziari, che stanno facendo il pieno di nuova moneta. La ricerca di alti rendi­menti ha portato le ondate di liquidità sul mercato dei titoli di Sta­to dell’euro, facendo crollare i tassi dei Btp italiani e dei Bonos spa­gnoli. Con tanti soldi in giro le Borse sembrano avere trovato il Pae­se di Bengodi, con gli indici che abbattono i massimi toccati prima della crisi: a marzo nuovo record storico Wall Street, questo mar­tedì record per Francoforte, mercoledì record per la piccola In­stanbul. Fra qualche settimana potrebbero arrivare anche i record di Londra e Zurigo.
Il rischio è che impreviste interruzioni del flusso di nuova liquidità facciano crollare i listini e rimandino alle stelle gli spread .La spe­ranza è che nel giro di qualche mese si parli anche dei 'record' di ripresa delle aziende e dell’occupazione. Il bello della metafora del­l’elicottero è che la pioggia di soldi aiuta la gente del villaggio a sta­re meglio. La banca e la Borsa non sono menzionate. 
da Avvenire

giovedì 9 maggio 2013

Moleskine non sta bene in Borsa

Come azienda, Moleskine va alla grande. Ieri ha presen­tato i conti del primo trime­stre e i risultati sono ottimi: ricavi in aumento del 15,5%, a 16,4 milioni di euro, un margine operativo lordo cresciuto del 9,7%, a 5,7 milioni, un utile netto di 3,2 milioni (+20,5%). Sono poche le aziende italiane che in questo momento possono mo­strare numeri simili. Il modello in­dustriale, evidentemente funzio­na: taccuini e agende con lo storico marchio francese recuperato da a­bili manager italiani vengono pro­dotti in Cina e quindi venduti in tut­to il mondo (il 46% in Europa, il 39% in America, il 15% in Asia) a prezzi da prodotto di alta moda. Quel mar­gine operativo – più di un terzo dei ricavi – è enorme.
Il problema è Moleskine come tito­lo. Il 3 aprile scorso il debutto a Piaz­za Affari di un’azienda così di moda era stato accolto con entusiasmo. Il fondo Syntegra – attraverso la so­cietà lussemburghese Appunti che aveva comprato il 75% dell’azienda nel 2006 per 60 milioni – e un grup­po di manager tramite la fiduciaria Istifid hanno messo sul mercato il 50,17% delle azioni incassando po­co meno di 245 milioni di euro da u­sare per ridurre il debito. L’opera­zione valutava Moleskine circa 20 volte i suoi utili. Una valutazione al­ta. Come le agende, anche le azio­ni erano un po’ care: Moleskine ve­niva trattata come una società di alta moda o un’azienda tecnologica estremamente innovativa.
L’Ipo ha avuto un successo straor­dinario. Ma chi si è precipitato a comprare il titolo (il 90% dell’offer­ta era riservato agli investitori isti­tuzionali, il 10% ai risparmiatori) per ora non può dire di avere fatto un grande affare. Anzi, per un po’ pro­babilmente se l’è vista brutta. Piaz­zate a 2,3 euro il 3 aprile le azioni Moleskine hanno rapidamente ini­ziato a svalutarsi. Dopo due setti­mane valevano 1,8 euro. Un’altra settimana e l’azione era precipitata a 1,6. Meno trenta per cento in tre settimane. Avranno tremato gli an­ziani del New Jersey: il fondo pen­sione statale ha comprato il 2,6% delle azioni Moleskine, una parte degli assegni di questi vecchi ame­ricani dipende dalle sorti di questi modaioli taccuini neri. Per fortuna quell’1,6 euro è rimasto un minimo. L’azione nella seconda metà di a­prile ha iniziato un recupero che l’ha riportata a quota 2 euro (2 euro ton­di, la chiusura di ieri, con un calo dello 0,5%). Meglio di prima, ma dal debutto la Borsa ha bruciato il 12,7% di capitalizzazione del gruppo. I ti­toli pagati 245 milioni di euro oggi valgono 214 milioni. È passato solo un mese, ma le mitiche agendine di Chatwin, Hemingway e Picasso a Piazza Affari non hanno già più il fascino di una volta. 

da Avvenire