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lunedì 7 gennaio 2013

Gestire la bancarotta di Stato

Il Ft oggi ricorda che una legge per gestire il fallimento di uno Stato, in teoria, esiste. Si chiama Sovereign Debt Restructuring Mechanism e lo ha ideato il Fondo monetario internazionale nel 2002. Il suo Chapter 11 prevede proprio il ricorso volontario alla bancarotta. Ma non è mai stato concretizzato perché gli Stati Uniti si sono sempre opposti. I problemi dell'Argentina lo stanno riportando di moda.

domenica 6 gennaio 2013

Gli investimenti del Fondo Italiano

Il fondo di private equity Fii (Fondo Italiano d'investimento) è un classico strumento "di sistema": nell'azionariato lo Stato ha il 25% (12,5 il Tesoro, 12,5 la Cassa depositi e prestiti), l'altro 75% è diviso in 6 quote, sempre da 12,5 punti percentuali, che appartengono a: Abi, Confindustria, Istituto centrale delle Banche popolari, Mps, Intesa Sanpaolo, Unicredit. I soci hanno versato 1,2 miliardi, il fondo ha investito in 48 operazioni. Dieci sono state realizzate nell'ultimo mese del 2012: 11 milioni per avere il 15% di Surgital (piatti pronti), poi ingresso in società in Marsili (macchine bobinatrici ), Turbocoating (deposizione a spruzzo termico), Tecnam (velivoli leggeri), Mesgo (gomma), Sofinnova (venture capitl nel settore biomedico).
dal Corriere

sabato 5 gennaio 2013

Per la Napoleoni la ripresa così è impossibile

Travolti dall’enormità dei loro debiti, certi Stati dell’euro hanno rinunciato a governarsi e si sono affidati ad altri, che li ge­stiscono badando ai propri – legittimi – interessi. Ora sono in un tunnel di recessione il cui sbocco saranno pesanti tensioni sociali. Tra quei Pae­si c’è anche l’Italia. L’econo­mista Loretta Napoleoni lo ha scritto in Democrazia vende­si , un libro che esce oggi ed è un’analisi cupa della crisi del­l’euro. «Non sono cose che penso solo io – avverte subi­to–. Le dicono in tanti, e tra questi ci sono molti premi Nobel. Ad esempio Paul K­rugman o Joseph Stiglitz» Leggerla non è un bel modo per cominciare l’anno che, nelle previsioni, dovrebbe chiudersi con l’inizio di una debole ripresa. 
Il fatto è che per l’Italia, co­me per la Spagna o per la Gre­cia, una ripresa in queste condizioni non è possibile. Il 'fiscal compact' ci impone una ingessatura inevitabil­mente recessiva. Per rincor­rere obiettivi di finanza pub­blica decisi a Bruxelles noi stiamo strozzando le piccole e medie e imprese, l’unico motore rimasto alla nostra e­conomia. Qui a meno di una straordinaria innovazione tecnologica non abbiamo più nulla che possa farci riparti­re. Andiamo verso un impo­verimento che ci riporterà u­na condizione che non vede­vamo dalla fine della guerra. Con un debito pubblico al 120% del Pil l’Italia aveva al­ternative all’austerità? 
Le alternative ci sono ancora, e credo che finiremo per u­sarle, perché ridurre il debito in questo modo è impossibi­le e socialmente insostenibi­le. Abbiamo bisogno di un ta­glio netto e forzato che coin­volga le banche, come quel­lo applicato alla Grecia. Dal punto di vista finanziario è possibile farlo. Lo dovrebbe fare l’Italia ma ne avrebbero bisogno quasi tutti, la Spagna ma anche la Francia... Queste insolvenze non ucci­derebbero l’euro? 
Lo costringerebbero a cam­biare. La moneta unica è sta­ta fatta male, perché tratta al­lo stesso modo sistemi eco­nomici nazionali che sono molto diversi. Favorisce solo i tedeschi e le nazioni del Nord. Dopo questi tagli del debito si dovrebbe ripartire da un 'euro a due velocità', un’ipotesi che infatti già cir­cola da diverso tempo. Le economie in difficoltà però hanno anche problemi che non riguardano i conti pubblici... 
I Paesi della periferia dell’eu­ro hanno da molti anni pro­blemi di competitività che sono peggiorati rapidamen­te dopo la perdita dell’indi­pendenza monetaria. Non è solo 'svalutare la lira'...una moneta è una componente dinamica di un sistema eco­nomico, deve potersi muo­vere assieme agli altri ingra­naggi. Con l’euro abbiamo bloccato la moneta per ade­guarla a esigenze altrui. Stia­mo vedendo che non funzio­na. Lo scenario che descrive as­somiglia a una rivolta del Sud Europa contro la Ger­mania. È realistico?
Ovvio, è difficile. Il problema è che i politici dei Paesi della periferia dell’euro hanno u­na debolezza psicologica che gli impedisce di mettersi as­sieme e condurre le loro bat­taglie; gli manca l’orgoglio degli inglesi, gli unici capaci di non farsi guidare dagli al­tri. In Italia, poi, c’è molta i­deologia e questo ci impedi­sce di metterci assieme an­che al nostro interno quan­do dobbiamo difendere gli interessi nazionali. E io cre­do che l’impoverimento del Paese sia un tema di interes­se nazionale da contrastare mostrandoci uniti. Se la po­litica continuerà a non capir­lo rischiamo pericolose ten­sionisociali. 

da Avvenire

venerdì 4 gennaio 2013

La Spagna si compra Bonos col fondo pensioni

La Spagna sta facendo comprare titoli di Stato anche anche al fondo pubblico con cui garantisce le pensioni.  Il fondo ha investito in Bonos circa il 90% dei 65 miliardi di euro del suo patrimonio. A settembre, per la prima volta nella storia, il governo ha prelevato 3 miliardi dal fondo per pagare le pensioni. A novembre lo ha fatto di nuovo, prelevando 4 miliardo. I due prelievi hanno superato il limite legale annuo, per cui il governo ha dovuto alzare il tetto. Quest'anno Madrid dovrà raccogliere 207 miliardi sui mercati (186 miliardi nel 2012).

venerdì 28 dicembre 2012

Come è fatto il fiscal cliff


Gli eroi dei film di azione di Hollywood hanno sempre bisogno di arrivare a un istante dalla catastrofe per dimostrarsi veri intrepidi ed evitarla. Lo fanno anche i meno gloriosi politici dei palazzi Washington. Nell’estate del 2011 l’accordo al Congresso sull’innalzamento del tetto del debito pubblico arrivò il 31 luglio: senza un’intesa il Tesoro due giorni dopo non avrebbe potuto pagare i creditori degli Stati Uniti d’America. Il conto alla rovescia sull’indebitamento di Stato è già ripartito: il tetto del debito, oggi a 16.394 miliardi di dollari, sarà raggiunto il 31 dicembre e Timothy Geithner, il segretario al Tesoro, sta studiando le procedure di emergenza per gestire le casse della prima economia mondiale ancora per qualche settimana, nella speranza che entro marzo i membri del Congresso si mettano di nuovo d’accordo.
Le trattative potranno accelerare a gennaio. Adesso è un altro il timer che tiene in ansia l’America e il resto del mondo. I membri del Congresso hanno meno di 100 ore per trovare un accordo ed evitare che la nazione cada nel baratro fiscale – il "fiscal cliff" – dove ad aspettarla c’è una nuova recessione. Il tempo è letteralmente "contato" perché negli Stati Uniti molte leggi sono state introdotte in via temporanea, con una precisa scadenza. Il 31 dicembre scadono norme che prevedono circa 400 miliardi di agevolazioni fiscali e 100 miliardi di spesa pubblica. L’ufficio bilancio del Congresso, che è un organismo indipendente, prevede che queste brusche scadenze spingeranno l’economia americana di nuovo in recessione: se quest’anno il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti crescerà del 3,1%, nel prossimo la caduta nel baratro si tradurrà in una discesa del Pil dell0 0,5%.
Concretamente le agevolazioni consistono in aiuti ai redditi medi e alti (il taglio alle tasse vale 221 miliardi di dollari), riduzione del 2% dell’aliquota dei contributi per i dipendenti (95 miliardi), agevolazioni per le imprese (65 miliardi). Senza un intervento, inoltre, scatterebbero aumenti di tassazione sugli investimenti finanziari e sui redditi alti (dai 125 mila dollari in su) per raccogliere 18 miliardi di dollari. Dal lato della spesa pubblica salterebbero 64 miliardi di spese (per metà riguardano la difesa, per l’altra metà i servizi, scuole comprese), i sussidi di emergenza per i disoccupati (per 26 miliardi) e gli aumenti di stipendio dei medici (dovranno rinunciare a 11 miliardi). Il tutto avrebbe un invidiabile risultato sul deficit degli Stati Uniti – il passivo del bilancio pubblicosarebbe quasi dimezzato, passando dai 1.128 miliardi di quest’anno (il 7,3% del Pil) ai 641 miliardi del 2013 – ma affosserebbe il Pil, riporterebbe la disoccupazione ben oltre il 9% (ora siamo sotto l’8%) e peggiorerebbe la crisi globale. Un rallentamento della prima economia del pianeta toglierebbe spazi di mercato alle esportazioni europee ed asiatiche, soffocando una ripresa che, per l’Italia e l’Europa, si prevede comunque apatica.
La "catastrofe" sarebbe graduale, perché gli effetti dei tagli di spesa o degli aumenti delle tasse si sentirebbero solo dopo qualche mese. Ma avremmo anche bruschi cataclismi privati: ad esempio gli assegni di emergenza ai disoccupati, in media da 250 dollari a settimana, sparirebbero già dal prossimo martedì. E nel dubbio sul loro effettivo reddito netto per l’anno prossimo molti cittadini hanno già ridotto le spese, mentre le aziende, nell’incertezza fiscale, tengono in sospeso gli investimenti. Wall Street si aspetta una soluzione, ma ora inizia a mostrarsi preoccupata davero (-1% ieri).
Barack Obama, tornato dalle Hawaii, ha chiamato i leader di repubblicani e democratici per spingere la trattativa. Vorrebbe un’intesa "minima", che rinnovasse tutti i tagli fiscali esclusi quelli per chi guadagna 250 mila dollari. John Boehner, repubblicano e presidente della Camera, aveva proposto ai compagni di partito una tetto a 500 mila dollari ottenendo un rifiuto. Larry Reid, leader dei democratici, ieri si è mostrato preoccupato. «Sembra che siamo diretti verso il "fiscal cliff"» ha detto col tono rassegnato di chi, prima di schivare il baratro, vuole aumentare ancora un po’ la suspense.

da Avvenire di oggi

mercoledì 26 dicembre 2012

Appunti sull'alta velocità cinese


Il treno ad alta velocità che collega Pechino a Guangzhou ha debuttato oggi. Percorre 2.298 chilometri in 8 ore, cioè a una velocità media di 287 chilometri orari (ma sarà qualcosa di più, considerate le fermate). Il treno che c'era prima - e che resta in funzione - ci metteva 21 ore. Il progetto è costato 4 mila miliardi di yuan (485 miliardi di euro, al cambio attuale) e ha impiegato 100 mila lavoratori. Un biglietto di seconda classe costa 865 yuan (105 euro). Oggi la  rete di alta velocità cinese è lunga 9.349 chilometri. I voli tra le due città durano 3 ore e 15 minuti.

lunedì 17 dicembre 2012

Il Portogallo vuole tagliare le tasse sul reddito d'impresa

Il governo portoghese ha chiesto alla Commissione europea di portare la sua tassa sul reddito di impresa (l'equivalente dell'Ires italiana, che è al 27,5%) dal 25 al 10% per le nuove aziende. L'idea è che abbassando le tasse si possono attrarre investimenti esteri. E' qualcosa di simile a quello fatto dall'Irlanda, dove la tassa sul reddito delle imprese è al 12%. Un'aliquota al 10 c'è solo a Cipro e in Bulgaria. La media europea è al 22%. Proposte del genere o che almeno vanno in questa direzione  al momento non hanno trovato spazio nei "programmi" dei principali schieramenti politici italiani.