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sabato 26 maggio 2012

Eurobond, qualche dubbio sull'esempio di Hamilton


Nel chiedere ai tedeschi di intervenire per garantire i debiti degli altri europei si cita spesso l'esempio di Alexander Hamilton che, da primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti, nel suo First Report on the Public Credit propose che il governo federale che stava nascendo si facesse carico dei debiti delle 13 colonie che ne avrebbero fatto parte. Il Congresso approvò la sua idea ed evitò che alcuni degli Stati finissero in bancarotta.
Ma, avverte il Wsj, tra l'Europa di oggi e gli Usa di allora ci sono differenze non piccole. Hamilton non si fece carico dei debiti futuri, ma solo di quelli passati, che erano eredità delle spese sostenute per la guerra che ha permesso a quelle 13 colonie di diventare indipendenti e quindi potersi unire. Messi assieme i debiti del passato, quelli del futuro sarebbero rimasti separati. Difatti qualche stato americano ha poi fatto bancarotta nel Novecento e qualcuno rischia ancora di fallire. La seconda differenza è che Hamilton mise assieme i debiti sul principio che la guerra di indipendenza era una guerra da fare tutti assieme, e quindi i costi sostenuti andavano divisi tra tutti. Invece i debiti degli Stati europei sono stati fatti per interessi sempre domestici, non per qualche esigenza di spesa necessaria per unire sempre di più l'Ue.

I rischi dello sitmolo cinese

Con un grosso piano di stimolo nel 2008 la Cina spese una cifra pari al 15% del suo Pil per rilanciare l'economia. Tra i risultati di quel progetto ci sono sta stati un'inflazione impazzita, la crescita sregolata del mercato immobiliare, la diffusione di pessimi prestiti. Ora Pechino punta a lanciare un nuovo piano per la crescita, che sta rallentando vistosamente (ad aprile si è fermata al +7% rispetto a un anno fa). La strategia è rischiosa. Si consideri che oggi la quota di Pil cinese dedicata agli investimenti è il 50%, nessuna tigre asiatica aveva mai speso tanto. Anche l'efficienza dell'economia cinese e quantomeno discutibile. Secondo le stime di Bp, Pechino lo scorso anno ha consumato energia per 2,4 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente per ottenere un Pil di 5,9 miliardi di dollari. Gli Usa ne hanno consumati 2,3 per un Pil di 14,6 miliardi.

venerdì 25 maggio 2012

Il sensato richiamo di Weidmann

Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, al Monde ribadisce un concetto abbastanza sempre: mettere in comune i debiti non favorisce la crescita, serve solo a rimandare la soluzione del problema, che è la necessità di fare riforme strutturali in grado di mettere le economie più in difficoltà in grado di crescere. Chi parla di Keynes fa finta che gli enormi debiti pubblici non esistono.

Statali, quanti sono e cosa fanno

Due bei grafici da Repubblica di oggi.


Le indagini sull'Ipo di Facebook


Passati cinque giorni dal debutto a Wall Street il titolo Facebook vale 32 dollari, 6 in meno rispetto alla quotazione di partenza. Adesso si capisce perché alcuni dei navigati squali della finanza che erano entrati in società con Mark Zuckerberg tre giorni prima dell’Ipo abbiano deciso di incrementare la quota di azioni da vendere. Questa "aggiuntina" finale ha permesso alla banca d’affari Goldman Sachs, al fondo speculativo Tiger Management e ai russi di DST More di incassare complessivamente 2 miliardi in più venerdì e, considerate le quotazioni attuali, di perdere qualche miliardo in meno dalla svalutazione dei titoli che si sono tenuti in portafoglio.
Forse però anche questa vicenda finirà presto nel gruppone delle inchieste sull’Ipo più cool e più cattiva del 2012. Incassato il record di debutto più ricco di sempre per una società tecnologica, Facebook rischia il primato dell’esordio di Wall Street più sospetto degli ultimi anni. Riepiloghiamo le cause aperte: 3 azioni collettive contro i manager del social network e le banche che hanno curato l’operazione; indagini della Sec, dalla Finra e della commissione Finanza del Senato (cioè le massime autorità americane di vigilanza finanziaria); una denuncia al Nasdaq da parte di un investitore che è stato danneggiato dai problemi tecnici della quotazione. Quest’ultima vicenda è la più semplice: la società dell’indice tecnologico non è stata in grado di gestire un’operazione così grande e tra rallentamenti e risposte lente ha provocato gravi danni a molti investitori. Ora rischia di perdere molti clienti e secondo le ultime voci Facebook, che in questo caso è stato una "parte lesa", starebbe meditando di traslocare al Nyse, il più solido indice di Wall Street.
Più grave è la vicenda su cui stanno indagando Sec, Finra e Senato. Il 9 maggio, una settimana prima della quotazione, Facebook ha comunicato ai mercati che la crescita della pubblicità non aveva lo stesso ritmo di quella del numero di utenti. I dettagli l’azienda li ha dati soltanto a un ristretto gruppo di investitori. Il responsabile finanziario David Ebersman, a cui Zuckerberg ha affidato la quotazione, ha contattato 20 analisti – tra cui quelli di Morgan Stanley, Goldman Sachs, JPMorgan, le principali banche coinvolte nell’Ipo – per consigliare loro di guardare al limite basso dell’intervallo di utili e fatturato 2012 previsti nei documenti che hanno accompagnato la quotazione. Facebook sta andando peggio del previsto ma soltanto certi investitori ne sono stati informati prima del debutto in Borsa. Il dettaglio comunicato da Ebersman alle banche più vicine all’Ipo era «importante»? Sì, verrebbe da dire a caldo, ma toccherà agli investigatori della Sec e delle altre autorità stabilire se l’omissione sia stata o meno un illecito. L’esito delle indagini non è scontato, spiegano gli esperti delle norme di Wall Street, perché la Regulation FD che si occupa delle informazioni «importanti» da dare al mercato prima di un’Ipo è poco specifica e molto interpretabile.

Pietro Saccò su Avvenire del 25 maggio

giovedì 24 maggio 2012

Lo shale gas taglia le emissioni

Di tutte le nazioni analizzate dall'Agenzia internazionale per l'energia, quella che ha ottenuto la migliore riduzione nelle emissioni di gas serra sono gli Stati Uniti, capace di tagliare le emissioni di 450 milioni di tonnellate in cinque anni. Negli ultimi 12 mesi, secondo il Dipartimento Usa per l'Energia, la produzione di elettricità da carbone è diminuita del 19%, quella da gas è aumentata del 38%. E una centrale a gas in genere produce metà delle emissioni serra di una centrale a carbone.

La straordinaria ripresa islandese

L'Islanda, che nel 2008 ha fatto bancarotta per l'implosione del suo sistema bancario, si sta riprendendo. Il Pil è salito del 3% lo scorso anno e dovrebbe fare +2,4% nel 2012. Nel 2009 era caduto del 7% e nel 2010 del 4%. La strategia islandese è stata quella di adottare un percorso autonomo. Il governo ha scaricato sui creditori internazionali le perdite del suo sistema bancario, ha svalutato la sua moneta, la krona, del 50%, ha imposto forti controlli sui capitali per evitare fughe all'estero.

Il risultato è stato un aumento di alcuni costi - come i carburanti, i finanziamenti e in generale i beni importati - e un miglioramento dell'export, che conta per il 54% del Pil del Paese. La disoccupazione è al 6,3%, l'inflazione in 4 anni è stata del 26% e ora il trend sul 2011 è del 4,8%. Gli stipendi sono diminuiti ma sono comunque più alti della media europea: l'equivalente di 10 euro all'ora per i meno qualificati, contro i 20 di prima del 2008.

In questa risalita gli islandesi hanno però qualche vantaggio che li rende poco imitabili: sono molto lontani dal resto d'Europa, per scaldare le case usano l'energia geotermica (un'energia autoctona) e sono solo 320 mila persone.