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martedì 21 febbraio 2012

La tempistica del salvataggio della Grecia


Timeline: Second financing package for Greece

BRUSSELS | Mon Feb 20, 2012 3:20pm EST

(Reuters) - Euro zone finance ministers are expected to approve a second financing package forGreece on Monday, which aims at reducing Greek debt towards 120 percent of gross domestic product by 2020 from 160 percent now.

Approval of the new, 130-billion-euro ($170 bln) financing package, which will come on top of a 110-billion-euro bailout granted in May 2010, will set in motion a debt restructuring that aims to halve Greece's privately held debt.

Below are some of the critical dates and key events coming up that policymakers hope will draw a line under the more than two-year European sovereign debt crisis, which began in Greece.

Feb 20

- Euro zone finance ministers (the Eurogroup) to take a decision whether to grant Greece the second financing program.

- This decision will open the way for euro zone countries to approve higher guarantees for the euro zone's temporary bailout fund, the European Financial Stability Facility (EFSF), which will need to raise money on the market to finance the bailout.

- Preliminary Eurogroup discussion of whether to allow the 440-billion-euro EFSF and the 500-billion-euro permanent bailout fund, the European Stability Mechanism, to run in parallel, nearly doubling the euro zone's bailout capabilities.

Feb 21-22

- If the Eurogroup gives its go-ahead on Monday, Greece will be able to launch a debt restructuring offer, inviting private investors to swap around 200 billion euros of Greek government bonds they hold for new ones worth around half as much.

Feb 23-24

- Finnish parliament likely to debate package in order to approve higher EFSF guarantees.

Feb 24-26

- Finance ministers and central bank governors from the world's 20 biggest economies, meeting in Mexico, to discuss providing more funds for the International Monetary Fund. G20 countries have signaled that they will only agree to increase IMF funds if euro zone countries allow the ESM and the EFSF to run alongside to boost the euro zone's bailout capacity.

Feb 27

- German parliament to vote on bailout package and use of the EFSF to secure new Greek bonds.

March 1-2

- EU summit, which will decide, among other things, whether to allow the ESM and EFSF to run in parallel, boosting the bailout capacity of the euro zone. Leaders may also be give their imprimatur to the second Greek package.

March 8

- The last day to sign up for Greek bond swap offer.

March 9

- Responses from investors concerning the bond swap offer are processed.

March 10-11

- The actual swapping of Greek bonds for new, longer-dated securities with a lower coupon takes place.

March 12-13

- Euro zone and EU finance ministers meet.

March 20

- Greece is due to repay 14.5 billion euros of debt. If the bond swap goes ahead, this would be covered, meaning Athens will avoid defaulting on this payment.

March 30-31

- Informal meeting of euro zone and EU finance ministers and central bank governors in Copenhagen.

April 20-22

- IMF meeting in Washington on bigger IMF resources.

(Reporting By Jan Strupczewski. Editing by Jeremy Gaunt.)





Timeline: Second financing package for Greece | Reuters:
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domenica 19 febbraio 2012

giovedì 16 febbraio 2012

Evasione carosello

"Come spiegano dal Comando generale della Guardia di finanza, le frodi carosello rappresentano un vero e proprio cancro per la società economica: «negli ultimi cinque anni, sottolinea il generale Bruno Buratti, Capo del III reparto operazioni della Gdf, le Fiamme gialle hanno denunciato in media ogni anno 5.500 persone, responsabili di frodi ogni anno per circa 2,5 miliardi di euro di Iva. Si tratta di circa il 40% del totale dell'imposta sul valore aggiunto evasa scoperta annualmente dal Corpo».
"

martedì 14 febbraio 2012

Il flop delle Unioni di fatto

Avvenire, 14.2.2012
​Il caso di Gubbio è l’ultimo finito sotto i riflettori, e bene rappresenta la realtà dei registri delle unioni civili in Italia. Nel comune umbro lo scorso 25 gennaio il registro (attivo dal 2002) è stato cancellato con un voto bipartisan sostenuto dal sindaco, Diego Guerrini (Pd). Il motivo? L’inutilità: dopo quasi dieci anni risultava iscritta soltanto una coppia.

I registri delle unioni civili, a ben guardare, sono soprattutto questo: pezzi di carta spesso intonsi e tuttavia dotati di valore simbolico e politico enorme per chi sostiene la necessità che le “nuove famiglie” siano equiparate a quelle tradizionali. Non a caso la lista di chi li ha (formalmente) istituiti è lunga: basta fare un giro sul sito dell’Arcigay per scoprire che i comuni in cui è stato attivato un registro delle unioni civili sono molti e dislocati un po’ in tutta Italia. E così, cercando comune per comune, è facile imbattersi in plausi e congratulazioni per la decisione di «avvicinarsi all’Europa» aprendo alle coppie di fatto.

La realtà, però, dice che sono pressoché vuoti quasi ovunque. Alcuni casi sono addirittura clamorosi, come quello di Bologna: registro attivo dal lontano 1999, numero di iscritti zero. Lo ha scoperto recentemente una consigliera comunale del Pdl, spulciando nell’anagrafe del comune (sul cui sito, peraltro, il registro è ben sponsorizzato). Dal Pd comunale hanno risposto che è il «valore simbolico» a contare.

Scarse adesioni anche in Trentino Alto Adige: a Trento il registro, attivo dal 2006, conta 23 coppie (solo due si sono iscritte nell’anno passato); a Bolzano (dove le coppie di fatto possono registrarsi all’anagrafe dal 2003) dal Comune fanno sapere che si viaggia su una media di «3 o 4 all’anno», ma la cifra è «ottimistica, visto che non se ne parla e nessuno sa che esista»; nel Comune di Arco (registro attivo dal 2005) resiste una sola coppia, visto che le altre tre hanno deciso di cancellarsi (due si sono sposate, una si è separata). Pisa conta su un registro che ha ormai 15 anni, ma vi aderiscono (il dato è dell’estate 2011) appena 32 coppie, Firenze arriva a 73 in dieci anni, Padova si ferma a 50 (di cui 10 – viene fatto sapere – sono formate da omosessuali).

Torino vede la presenza di un registro, approvato nel 2010, al quale sono iscritte 120 coppie. Numeri che i comuni che hanno istituito il registro in Sardegna nemmeno intravedono: Atzara (mille anime in provincia di Nuoro) e Porto Torres aspettano rispettivamente da sei e due anni domande di iscrizione, e anche Sassari, che si è dotata della lista all’anagrafe l’anno scorso, non ha registrato alcun assalto. Sull’isola sono le stesse sigle omosessuali che lamentano l’assoluta inutilità dei registri che – a detta loro – sono un atto «meramente amministrativo». Ciò non ha scoraggiato il piccolo comune di Tissi (2.300 abitanti), che ha detto sì al registro appena 4 giorni fa. La notizia ha fatto meno rumore di quella di Napoli: nelle prossime settimane sarà curioso confrontare le rispettive, ed effettive, iscrizioni.

Ma le liste rimangono vuote ovunque | Cronaca | www.avvenire.it:

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lunedì 13 febbraio 2012

Il lavoro nella prima metà dell'anno scorso


Spiegano Inps, Istat e ministero del Lavoro che dei 5,3 milioni di nuovi posti di lavoro dipendente nel primo semestre 2011 il 19% è a tempo indeterminato, il 67% sono a tempo determinato, l'8,6% sono contratti di collaborazione e solo il 3% apprendistato.

sabato 11 febbraio 2012

Balle danesi


DI CARLA SIGNORILE COPENAGHEN - Per la riforma del lavoro il premier Mario Monti è stato molto chiaro: «Ci muoveremo con moderazione verso modelli che esistono con successo in Nord Europa a partire dalla Danimarca, che è la più celebrata in termini a flexsecurity (mix tra flessibilità e sicurezza), anche se non diventeremo necessariamente danesi». Quindi tutti a Copenhagen a studiare questo modello di successo, peccato che, negli ultimi anni, sia notevolmente peggiorato e non garantisca più i migliori lavoratori. A dirlo è un italiano che in Danimarca c'è da più di 40 anni, Bruno Amoroso, economista e professore emerito della storica università di Roskilde, a 35 chilometri dalla capitale danese. Partiamo da un punto fermo: il licenziamento in Danimarca avviene senza protezione (non esiste l'articolo 18 che impone il reintegro del lavoratore), ma, subito dopo la perdita del posto di lavoro, interviene la sicurezza sotto forma di sostegno sociale. Che, nel corso degli ultimi anni, è però stato pesantemente eroso. «Fino a otto anni fa il lavoratore poteva godere dell'assegno di disoccupazione fino a 5 anni, praticamente fino a quando non ritrovava una condizione di lavoro per lui soddisfacente», spiega a ItaliaOggi Amoroso, «quindi aveva la libertà di rifiutare proposte non in linea con il curriculum». Già ma quanto prende un disoccupato danese? «Specifichiamo che non è vero che quando si è licenziati si prende il 90% del proprio stipendio, bensì il 90% dello stipendio medio di un lavoratore dell'industria e oggi si parla di 1.600 euro lordi al mese. Quindi semmai è vero che i lavoratori che hanno salari medio-bassi ricevono una quota che si avvicina al loro precedente stipendio, ma indubbiamente per tutti gli altri è una forte riduzione». L'altro aspetto negativo è negli ultimi anni è diminuito l'arco temporale durante il quale si percepisce l'assegno di disoccupazione. «Al massimo si può restare disoccupati per tre anni», ha specificato Amoroso, «dopo il primo anno, però, scattano forti pressioni per accettare nuovi lavori o fare corsi di riqualificazione. Tuttavia, se il lavoratore rifiuta gli viene tolto il sussidio e finisce su quello sociale che equivale alla pensione minima, ovvero un livello molto basso. Facciamo un esempio: un professore universitario oppure un impiegato bancario che resta disoccupato, dopo il primo anno gli viene offerto un qualunque lavoro, per esempio come si usa in Danimarca portare il giornale la mattina nelle case, e se uno rifiuta perde il contributo di disoccupazione». Il peggio è che queste regole non hanno niente a che vedere con il sistema di sicurezza che la Danimarca vantava fino a un decennio fa. «La flexsecurity danese funzionava fino alla fine degli anni '80, poi il concetto è stato ripreso dalle autorità europee e lo hanno completamente stravolto, peggiorandolo», ha proseguito il professore emerito dell'Università di Roskilde. «La flessibilità in Danimarca era considerata come libertà dei lavoratori di scegliere il lavoro che preferivano a seconda delle loro capacità. Gli imprenditori finivano per farsi concorrenza tra loro offrendo migliori condizioni lavorative per attrarre i più capaci. La sicurezza, invece, consisteva nel fatto che durante questi passaggi tra un lavoro e l'altro, oltre a godere dei vantaggi di un sistema efficiente di servizi, il disoccupato veniva indennizzato in modo soddisfacente. Negli ultimi anni è stato ridotto il periodo di disoccupazione, ma è stata tolta anche la scelta del lavoro che si vuole fare». Ma si può importare in Italia questo modello? Questo sistema che oggi funziona in modo zoppo costa in Danimarca circa il 4.5% del pil, mentre in Italia si usa circa 1'1% del pil per gli ammortizzatori sociali. Certo che la Danimarca parte avvantaggiata, in quanto G non esiste il 30-35% del mercato del lavoro e delle attività produttive sommerse, si sa chi lavora e quanto guadagna esattamente. II problema, ha concluso Amo- roso, è che esistono in Italia condizioni obiettive perché molte aziende restano nel sommerso in quanto se emergessero finirebbero per scomparire. O si fanno emergere creando condizioni di crescita economica e di domanda che le facciano sopravvivere, oppure al limite è meglio che esista anche il nero.


Italia Oggi - L'art. 18 in Danimarca non c'è. A chi perde il posto 1.600 € per un anno, poi si deve adeguare - L'articolo 18 non c'è in Danimarca:

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venerdì 10 febbraio 2012

La riforma del lavoro spagnola


(Di Francesco Cerri)
   (ANSA) - MADRID, 10 FEB - Va avanti a passo di carica verso
il risanamento il nuovo governo spagnolo di Mariano Rajoy, che
oggi, a 52 giorni dall'insediamento, ha varato la sua terza
grande riforma strutturale, quella del mercato del lavoro, per
far fronte a una disoccupazione ormai al 22,85%.
   La riforma approvata dal consiglio dei ministri è stata
definita "storica" dalla vicepremier Soraya de Santamaria, la
più importante dalla fine del franchismo: "segna un prima, e
un dopo, nella legislazione del lavoro di questo paese". Il
risultato del lungo braccio di ferro fra l'ala 'socialè del
governo guidata dal ministro delle finanze Cristobal Montoro e
quella 'liberal' che fa capo al titolare dell'economia Luis de
Guindos, ha visto prevalere quest'ultima. L'aspetto di maggior
rilievo è il netto abbassamento del costo dei licenziamenti.
L'indennità passa dagli attuali 45 a 33 giorni per anno di
lavoro, per un massimo di 24 mesi invece di 42. Viene inoltre
semplificata ed estesa la facoltà di ricorrere ai licenziamenti
economici 'low cost', 20 giorni per anno di lavoro per un
massimo di 12 mesi. Potranno farvi ricorso le imprese che
abbiano registrato per nove mesi un calo delle vendite, o lo
prevedano per questo periodo, anche se continua a fare benefici.
    L'obiettivo principale della riforma, ha detto de
Santamaria, è fare diminuire l'esercito dei 5,3 milioni di
disoccupati ereditato dal governo socialista di Josè Luis
Zapatero, e aumentare la flessibilità e la competitività delle
imprese spagnole per rilanciare la crescita. Con le Pmi, che
creano il 90% dell'occupazione in Spagna, in prima linea: la
riforma crea  un contratto a tempo indeterminato per le imprese
con meno di 50 lavoratori, con agevolazioni fiscali di 3mila
euro per l'assunzione di giovani sotto i 30 anni e la facoltà
per il primo anno di usare il 25% dell'indennità di
disoccupazione per completare la retribuzione. Il governo Rajoy
mette in campo anche uno sconto annuale di 3600 euro per tre
anni nei contributi dell' impresa alla Sicurezza Sociale per
l'assunzione di giovani fra 16 e 30 anni e di 4500 euro per i
disoccupati di lungo periodo di più di 45 anni.
   La riforma punta a introdurre la massima flessibilità negli
accordi collettivi. In caso di crisi le imprese potranno
'sganciarsì dagli accordi di categoria e modificare tempi di
lavoro, funzioni dei dipendenti, nelle retribuzioni. Inoltre gli
accordi d'impresa prevarranno su quelli collettivi nazionali o
regionali, e alla scadenza saranno validi ancora solo due anni.
Ieri a Bruxelles de Guindos aveva detto ai colleghi dell'
Eurogruppo che questa riforma sarebbe stata "molto
aggressiva". E all'ultimo Consiglio europeo lo stesso Rajoy
aveva previsto che gli sarebbe costata uno sciopero generale. Le
prime reazioni dell'opposizione socialista e dei sindacati sono
molto negative. Ma Rajoy ora può dire ai partner europei di
avere "fatto i compiti" fino in fondo - fra manovra da 15
miliardi e aumento dell'Irpef a Natale, poi le riforme del
'deficit zerò, del risanamento del mercato bancario, ora del
lavoro - e a tempi di record, in 52 giorni: in cambio chiede
elasticità sull' obiettivo di deficit 2012 (per ora previsto al
4,4%) per disporre di più risorse per fare ripartire l'economia
de paese. (ANSA).