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venerdì 10 febbraio 2012
E bravo Pertini
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La risposta di Draghi a Deutsche Bank
Feb. 10 (Bloomberg) -- European Central Bank President Mario Draghi lashed out at bankers who said tapping the ECB’s three-year-loan program carries a stigma, after executives including Deutsche Bank AG’s Josef Ackermann said they shunned the loans.
“There is no stigma whatsoever on these facilities,” Draghi said at a press conference in Frankfurt yesterday. “Some have made some sort of statements that I would call statements of virility, namely it would be undignified for a bank, a serious bank, to access these facilities. Now let me say that the very same banks that made these statements access facilities of different kinds -- but still government facilities.”"
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giovedì 9 febbraio 2012
Dal pozzo alla pompa: come si forma il prezzo del pieno
P rendiamo il prezzo di un litro di benzina. Togliamo le tasse, il costo del trasporto, i margini dei petrolieri e quelli dei benzinai. Quello che ci resta è il valore del carburante per chi lo scambia sui mercati all’ingrosso. Parliamo di una cifra che, a gennaio, ammontava in media a 985 dollari alla tonnellata per la benzina e 974 per il gasolio. Tradotti in più concreti euro al litro sono 58 centesimi per la verde e 64 per il diesel. «D’accordo, ma chi ha deciso che i prezzi sono questi?» si chiede giustamente l’automobilista meno docile, che da sempre mentre riempie il serbatoio ha la netta sensazione che qualcuno lo stia fregando.
Chi gli risponde indicando le quotazioni internazionali del petrolio in realtà lo sta depistando. Lo testimoniano per esempio i numeri di gennaio: a un +2,25% del prezzo in dollari del barile di petrolio europeo (la quotazione Brent) è corrisposto un +7,4% del prezzo all’ingrosso della benzina e un +2,1% di quello del gasolio. Infatti è vero che benzina e gasolio si ricavano dal petrolio, ma un conto è la materia prima e un altro è il prodotto raffinato, che ha invece una sua domanda e una sua offerta, e quindi un mercato autonomo. Il mercato dove si stabilisce il prezzo all’ingrosso della benzina preso in considerazione dagli operatori in tutto il mondo, si chiama Platts, ed è ormai abituato ad essere accompagnato da aggettivi tipo 'opaco', 'oscuro', 'sospetto'. Il fatto di appartenere al colosso dell’informazione finanziaria McGraw-Hill (quello che controlla anche l’agenzia di rating Standard & Poor’s e ha tra i suoi azionisti fondi speculativi e grandi banche d’affari) non contribuisce al buon nome del Platts, un’azienda nata più di un secolo fa quando con 2.500 dollari avuti in prestito da una compagnia assicurativa il venticinquenne Warren Cumming Platt si è messo a pubblicare laNational Petroleum News, una pubblicazione periodica sui prezzi del greggio negli Stati Uniti da distribuire ai proprietari dei pozzi e ai loro clienti.
Quello del fondatore non è solo un aneddoto, ma anche un dato importante: prima ancora che mercato, Platts è infatti ancora oggi un’agenzia di informazione economica. È a questa agenzia che i responsabili di oltre 280 aziende attive nel mercato dell’energia (tra gli italiani ci sono produttori come l’Eni, raffinatori come Saras o Erg, banche d’affari come UniCredit) comunicano il prezzo a cui sono disposti a comprare o vendere un carico di carburante attorno a un’area precisa, che per l’Italia è il porto di Genova. La trattativa si svolge sulla piattaforma elettronica eWindow, dove tutti gli operatori abbonati al Platts possono vedere le singole offerte economiche, chi le ha fatte e quali sviluppi ha l’affare. Mettiamo che una compagnia petrolifera abbia una nave con un carico 30 mila tonnellate di carburante che interessa a due compagnie di distribuzione. Il dettaglio del carico, il prezzo fissato dal venditore e quelli offerti dai possibili compratori compaiono su eWindow. Si parte, di solito, da cifre relativamente distanti (nell’ordine di pochi dollari per tonnellata) che si avvicinano gradualmente attraverso piccoli rialzi e ribassi sempre pubblicati sulla piattaforma elettronica. Si va avanti così fino al raggiungimento di un accordo, che naturalmente può anche non arrivare. Il tutto avviene davanti agli occhi degli altri operatori, che possono intervenire nella trattativa in qualsiasi momento. Quando a Londra sono le quattro e mezza del pomeriggio Platts considera chiusa la giornata di scambi, quindi calcola il prezzo medio di giornata per i vari prodotti nei diversi porti e lo trasmette ai suoi abbonati. Ed è tenendo conto di quella quotazione che le compagnie firmano i loro contratti e aggiornano i listini. Anche quando vendono carburanti che non hanno acquistato, perché sono loro fin dall’inizio (come capita a chi copre tutta la filiera, come l’Eni). Non lo fanno per obbligo, ma semplicemente perché non possono permettersi di ignorare quello che succede sul mercato. Per questo sul prezzo 'all’ingrosso' del nostro pieno sembra esserci poco margine di risparmio.
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mercoledì 8 febbraio 2012
Perché a Berlino conviene una debole periferia d’Europa - Corriere.it
Perché a Berlino conviene
una debole periferia d’Europa
Le nuove regole di bilancio europee, il cosiddetto fiscal compact , sono state volute soprattutto da Berlino. L'importanza che la Germania attribuisce all'accordo appena raggiunto non è il risultato di un'analisi sbagliata, come spesso afferma la stampa anglosassone, ma è coerente con i suoi interessi strategici come potenza economica globale.
Secondo i critici del fiscal compact, le nuove regole sono sbagliate perché ispirate da una cattiva diagnosi, quella secondo cui la crisi dell'euro sarebbe dovuta a una mancanza di disciplina di bilancio quando, invece, il vero problema sarebbe lo squilibrio della bilancia commerciale all'interno della zona euro che vede Germania e periferia come immagini riflesse in uno specchio: in sistematico surplus la prima e in sistematico deficit la seconda. Questo squilibro, secondo le analisi più ascoltate, sarebbe causato da una minore competitività del Sud dell'Europa e da una domanda di consumi e investimenti troppo debole in Germania. Sono quindi questi i problemi che andrebbero affrontati con nuove regole comuni. Di conseguenza, la ricetta dovrebbe prevedere non, o almeno non esclusivamente, il rigore di bilancio ma, nella periferia, la prescrizione di riforme strutturali volte all'aumento della produttività accompagnata dalla moderazione salariale e, in Germania, il rilancio della domanda per i consumi. La correzione dello squilibrio che ne deriverebbe sarebbe nell'interesse della stabilità dell'euro e quindi sia del Nord che del Sud dell'Unione.
Se guardiamo ai numeri, tuttavia, la storia appare più complessa e suggerisce piuttosto un'altra interpretazione: gli interessi economici della Germania sono sempre più diversi da quelli del resto dell'Europa. La chiave per capirlo è pensare all'area euro non come a un'economia chiusa agli scambi intra Unione, ma come a un'economia aperta al commercio con il resto del mondo.
Ricordiamo qualche fatto. Il primo è che per la Germania solo il 40% delle esportazioni sono verso l'area dell'euro e, dal 1999, il suo surplus commerciale si è accresciuto soprattutto grazie all'export verso i Paesi extra Unione: Cina, Paesi del Centro ed Est Europa e Paesi produttori di petrolio. Secondo, la perdita di competitività di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (i cosiddetti Giips) rispetto al resto del mondo è dovuta soprattutto all'apprezzamento del tasso di cambio nominale più che alla dinamica dei prezzi. Terzo, dal 1999, il deficit commerciale di questi Paesi si è accresciuto soprattutto nei confronti dei Paesi fuori dall'area euro.
Questi dati suggeriscono che il problema dell'instabilità dell'euro non sia dovuto agli squilibri interni, ma ad una diversa capacità dei Paesi dell'Unione di competere nel mondo. Ma come saranno quindi gli equilibri che si delineeranno nella nuova Europa del fiscal compact? Se con le regole di bilancio e l'aggressivo ruolo della Banca centrale europea sul piano della liquidità si scongiurerà una crisi finanziaria, si può prefigurare una Germania esportatrice sempre più proiettata verso il mondo esterno all'euro e che beneficerà di un tasso di cambio nominale più basso che nel decennio passato. Allo stesso tempo, i Giips saranno condannati ad un tasso di crescita anemico dovuto al drastico aggiustamento di bilancio imposto dalle nuove regole del fiscal compact , ma la minore domanda di importazioni che deriverà dalla contrazione dei consumi che ne consegue non peserà necessariamente sull'export tedesco poiché la Germania è sempre meno dipendente dal mercato dell'Unione. Quella che si prospetta è dunque un Europa sempre più eterogenea al suo interno, con interessi economici e politici potenzialmente divergenti.
Naturalmente i Giips potrebbero anch'essi beneficiare della svalutazione dell'euro, ma per competere sul mercato globale questi Paesi dovrebbero fare anche un salto di competitività, sviluppo tecnologico, aumento della dimensione di impresa. Solo questo li aiuterebbe a recuperare quote di export a scapito di Paesi che tradizionalmente hanno reddito pro capite più basso e quindi anche più basso costo del lavoro. Questo dovrebbe avvenire attraverso politiche nazionali ma anche europee: politiche ambiziose per la crescita e l'innovazione. Ma queste ultime non sono di grande interesse per la Germania, poiché essa trae vantaggi da una periferia dell'euro debole purché naturalmente ne venga preservata la stabilità finanziaria.
Questa è una delle tante ragioni per cui l'Europa deve uscire dalla logica intergovernamentale, che vede il dominio del punto di vista tedesco. Per tornare a pensarsi insieme in negoziati multilaterali. Con incentivi diversi tra Stati membri è difficile immaginare come questo possa accadere.
Lucrezia Reichlin8 febbraio 2012 | 12:07
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martedì 7 febbraio 2012
Una valutazione sul potenziale dello shale gas in Europa - Analisi - Agi Energia
Una valutazione sul potenziale dello shale gas in Europa
mercoledì 1 febbraio 2012
Di Ruud Weijermars* e Crispian McCredie (Consulenti per Alboran Energy Strategy)
Lo shale gas è stato definito la nuova rivoluzione energetica; tuttavia, questa risorsapresenta diversi controversi aspetti legati alla sua incerta economicità e al suo temuto impatto ambientale. Ruud Weijermars e Crispian McCredie, Consulenti per Alboran energy Strategy, spiegano perché è più probabile che lo sviluppo europeo dello shale gas venga guidato da Varsavia e non da Bruxelles.
Lo shale gas è stato da più parti acclamato come una risorsa energetica potenzialmente molto vasta. Ma le compagnie petrolifere potranno rimpiazzare le riserve esistenti, profittevoli ma in declino, con nuove e altrettanto profittevoli riserve di shale gas? Inoltre, se tali risorse sono presenti all’interno di uno Stato sovrano europeo, riusciranno a ridurre il bisogno interno di importare gas così da migliorare la sicurezza energetica?
Nonostante i recenti successi riportati dagli Stati Uniti, la produzione di shale gas è paralizzata da almeno due grandi svantaggi: la sua estrazione non è ancora un’attività profittevole e l’opinione pubblica è scettica circa l’impatto ambientale delle operazioni ad esso relative.
Diversi analisti energetici, primo fra tutti l’istituto statunitense Bernstein Research, hanno ripetutamente sollevato preoccupazioni circa lo status finanziario delle compagnie statunitensi indipendenti che dominano il business del gas non convenzionale negli USA. Un report del 2010 dal titolo “More pain ahead for the 45 operators?”, ha riportato le debolezze dei loro bilanci finanziari. Il rallentamento dei flussi di cassa delle compagnie dedite a questo business viene anche confermato in uno studio accademico indipendente divenuto un punto di riferimento1. Lo studio compara gli utili non distribuiti di ExxonMobil e Chesapeake destinati ad essere reinvestiti nelle compagnie nell’ultimo decennio. ExxonMobil, il più grande produttore mondiale di gas convenzionale, ha riportato 190 miliardi di dollari di utili non distribuiti tra il 2000 e il 2009. Per contro, Chesapeake, uno dei principali produttori di gas non convenzionale negli USA, non ha utili non distribuiti; in effetti, nel 2009 la compagnia ha accumulato un deficit (avendo perso più di quanto ha guadagnato, il valore degli utili non distribuiti della compagnia è negativo) di 1,3 miliardi di dollari.
Prospettive potenziali
Attualmente, il gas intrappolato in scisti rappresenta il 14% dell’offerta domestica di gas negli USA2. Il resto del mondo è desideroso di replicare l’esempio statunitense sperando di incrementare la produzione interna di gas attraverso risorse non convenzionali. La figura 1 illustra l’ammontare di gas tecnicamente recuperabile dalle rocce scistose presenti in diverse aree del mondo, sulla base di quanto recentemente stimato da Advance Resource International in uno studio commissionato dal Dipartimento per l’Energia degli USA3. Questa ricerca pone in evidenza come il potenziale europeo di shale gas, pari a 18 tonnellate di metri cubi, sia di fatto molto limitato rispetto a quello presente in altre regioni del mondo. Tuttavia, se pienamente sviluppate, queste risorse potrebbero consentire forniture di gas all’Europa per altri 25 anni a livelli di consumo stimati oscillare tra 600 e 700 miliardi di metri cubi/anno.
Ma le risorse di shale gas non sono distribuite in modo uniforme in Europa, principalmente concentrate in Polonia e Francia. Gran parte dell’area produttiva dell’Europa Occidentale rientra in licenze di produzione detenute da compagnie che operano nel petrolio e gas convenzionali Nell’Europa Orientale, la situazione è differente. In Polonia, le compagnie petrolifere e piccoli operatori indipendenti si sono accaparrati nuove aree con lo specifico scopo di sviluppare riserve di shale gas e tight gas.
Gli economics dello shale gas in Europa è stata valutata in diversi studi recenti4-5. Un grande vantaggio per i produttori di gas europei è che il prezzo del gas dell’Europa Continentale è molto meno volatile e generalmente più alto di quello degli USA. La ragione risiede nel fatto che gli Stati Uniti consegnano il gas a prezzi spot sulla base di contratti a breve termine, mentre in Europa Continentale i contratti per la fornitura di gas sono prevalentemente indicizzati al petrolio e di lungo termine6. Negli ultimi 3 anni, i prezzi all’ingrosso europei sono stati da due a tre volte superiori a quelli statunitensi.
Ci sono, tuttavia, diversi fattori che ostacolano un rapido sfruttamento dello shale gas in Europa. Dal punto di vista operativo, mancano adeguati impianti di perforazione onshore e strutture flottanti necessarie per il fracking, che devono quindi essere acquistate da fornitori statunitensi, rendendo il loro utilizzo più costoso di quanto non lo sia negli USA. Ma chi scrive ritiene che, in futuro, i prezzi del gas aumenteranno6 mentre il costo della tecnologia associata allo sfruttamento dello shale gas tenderà a ridursi ad un livello che ne permetterà lo sviluppo economico. Se in Europa lo sviluppo di shale gas dovesse arrestarsi, la dipendenza dalle importazioni di gas non potrebbe far altro che aumentare2.
Chi ha interesse nello sviluppo di shale gas
Il successo dello sviluppo dello shale gas in ciascun paese europeo sarà in buona parte determinato dagli stakeholder regionali. I paesi europei differiscono significativamente in termini di mix di energia primaria (Figura 2). Conseguentemente, il livello di interesse nello sviluppo dello shale gas varierà considerevolmente da Paese a Paese. La Polonia è il maggior detentore di riserve di shale gas in Europa (Figura 1) ma è anche il paese in cui carbone copre il maggior peso relativo sul mix di energia primaria (55%, Figura2). La produzione di gas dalle risorse interne di shale gas potrebbe migliorare le performance delle sue centrali elettriche alimentate a carbone, con conseguente riduzione delle emissioni di gas serra e della dipendenza polacca dal gas russo. La Francia possiede il secondo più grande bacino di shale gas (Figura 1) ma l’opposizione locale contro lo sviluppo di questa risorsa è piuttosto forte ed è determinata a mantenere l’opzione nucleare. La Norvegia è il paese maggiormente dotato di risorse energetiche, con il 41% dell’energia primaria proveniente dall’idroelettrico (Figura 2), e resta il maggior produttore ed esportatore di petrolio e gas in Europa anche senza lo shale gas. Pertanto, anche se il paese presenti sostanziali risorse di shale gas (Figura 1) il loro sviluppo potrebbe essere lento. Lo shale gas dovrà poi competere con la molto più profittevole produzione di gas convenzionale della piattaforma continentale norvegese. Al contempo, l’Ucraina possiede il quarto deposito di shale gas più grande d’Europa (Figura 1) ma ha una politica energetica ancora influenzata dalla strategia energetica russa. Ne consegue, uno sviluppo di shale gas politicamente molto più complesso che in Polonia. La Svezia è il minor consumatore di gas d’Europa, con questa fonte che rappresenta solo il 2,6% dell’offerta primaria di energia e non è presente un mercato finale. Lo sviluppo dello shale gas richiederà quindi la creazione di un mercato locale del gas con annessi vincoli infrastrutturali. La Danimarca, la Gran Bretagna, l’Olanda e la Germania sono tutte grandi consumatrici di gas con considerevoli infrastrutture e mercati retail maturi. L’offerta domestica di gas convenzionale è in declino. Questi paesi presentano, pertanto, tutti gli elementi per poter trarre beneficio dallo shale gas ridimensionando le costose importazioni di gas.
Preoccupazioni ambientali
Al di là dei discutibili aspetti economici relativi allo sviluppo dello shale gas, è la battaglia della comunicazione nei confronti dell’opinione pubblica che va vinta. Le attività di perforazione dei primi pozzi di shale gas nel Regno Unito, vicino a Blackpool, sono state recentemente fermate a seguito delle crescenti preoccupazioni sollevate dai residenti secondo cui il fracking aveva causato una piccola scossa di terremoto nel 2010. La perforazione è stata posticipata anche in Olanda, a Boxtel, in attesa della pubblicazione di un rapporto da parte del governo olandese contenente una valutazione dei rischi e le eventuali ulteriori misure politiche da intraprendere. Al contempo, il film statunitense Gasland ha sollevato preoccupazioni circa la contaminazione di una falda acquifera causata da perdite di gas e probabilmente ha giocato un ruolo non da poco sull’imposizione della moratoria francese sullo sviluppo dello shale gas. Il rilascio di gas in atmosfera è un’altra potente fonte di emissioni di gas serra7: già considerevole nelle operazioni relative al gas convenzionale, potrebbe esserlo ancora di più nelle fasi di sviluppo dello shale gas.
La strada davanti
Se lo sviluppo dello shale gas verrà ritardato, si dovranno considerare le principali questioni in gioco. Dati i problemi attualmente connessi all’opzione nucleare in molte regioni, specialmente in Germania e in Svezia, possiamo continuare ad utilizzare il carbone per la produzione di elettricità o dovrà essere presa in considerazione l’opzione Artico per ricercare le future riserve di gas? Continuerà l’Europa ad essere dipendente dal GNL importato e dal gas russo anche ben oltre il 2020?
Una maggiore comprensione e apertura da parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’industria dello shale gas è necessaria per superare l’attuale percezione collettiva. Negli USA si sono verificati alcuni incidenti, ma con oltre 100.000 pozzi di shale gas perforati solo negli ultimi 5 anni i problemi sono stati contenuti e non sembrano endemici all’industria stessa. Rimanere realistici circa i possibili rischi è importante e la creazione di un fondo per i reclami potrebbe inviare segnali positivi sulla serietà dell’industria e sulla sua volontà di adottare misure volte a rimediare eventuali problemi in qualunque luogo si verifichino.
Storicamente, l’industria europea del gas ha fatto scarso ricorso ad azioni di marketing. Questo elemento sta diventando un ostacolo allo sviluppo dello shale gas, considerando che chi critica detta fonte ha già ricevuto notevole attenzione mediatica mentre le compagnie che vi operano sono state tardive nel raccontare il loro punto di vista. Solo in Polonia esiste un supporto statale allo shale gas. Se avrà successo, la politica polacca potrebbe aiutare ad aprire l’arena europea allo shale gas. Non appena la produzione inizierà, i critici dello shale gas potrebbero esprimere la loro opinione o tacerla.
Per le compagnie che operano nel gas non convenzionale rimane altresì critico ristabilire la profittabilità e distribuire utili agli azionisti. Queste devono dimostrare che lo shale gas può essere prodotto generando un ragionevole profitto. Lo sviluppo delle riserve di gas non convenzionale può avere successo solo se gli utili finanziari che hanno inizialmente allettato gli investitori si concretizzeranno il prima possibile.
Gli occhi sono ora puntati sulla Polonia piuttosto che su Bruxelles.
* Lavora anche at Delft University of Technology.
Note
1. Weijermars, R & Watson, S, 2011. ‘Can technology R&D close the unconventional gas performance gap?’ First Break, Vol. 29 (No 5), p89–93.
2. DOE/EIA, 2009. Annual energy review 2009. Projections: National energy modeling system, run REF2011.D120810C.
3. DOE/EIA, 2011. World shale gas resources: An initial assessment of 14 regions outside the United States.
4. Bernstein, 2010. Bernstein commodities & power: What to watch – A timeline of European unconventional natural gas drilling. Oswald Clint et al. Bernstein Research, July 23, 2010; 7 pages.
5. Geny, F, 2010. ‘Can unconventional gas be a game changer in European markets?’ Oxford Institute for Energy Studies, Natural Gas Series, 46, 120 pages.
6. Weijermars, R & McCredie, C, 2011. ‘Gas pricing – Lifting the price.’ Petroleum Review,
Vol. 65, No 770, p14–17.
7. Howarth, R W, Santoro, R & Ingraffea, A, 2011. ‘Methane and the greenhouse gas footprint of
natural gas from shale formations’. Climatic Change, 106, p679–690.
L’articolo è la traduzione di un testo precedentemente pubblicato su Petroleum Review di Ottobre 2011 (disponibile anche online http://www.alboran.com/files/2012/01/Assessing-shale-gas-potential.pdf)
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