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lunedì 27 febbraio 2012
Qualche numero sul petrolio
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venerdì 24 febbraio 2012
Quanto chiederanno in prestito le banche alla Bce?
Read more: http://www.businessinsider.com/get-ready-the-second-ltro-is-less-than-a-week-away-2012-2?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+businessinsider+%28Business+Insider%29#ixzz1nJR2mkhh
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mercoledì 22 febbraio 2012
Qualche numero sull'art. 18
Tolti i liberi professionisti, ne restano 21.
Di questi, 3 sono impiegati pubblici, quasi 10 milioni sono occupati in Pmi con meno di 15 addetti contro i quasi 8 in aziende medio grandi a cui si applica pienamente il regime protettivo dell'art.18.
Quindi quando Marcegaglia e Camusso litigano lo stanno facendo su una platea di circa la metà del totale dei lavoratori italiani.
Se poi analizziamo i reintegri in azienda a seguito di contenziosi aperti sulla base dell'art.18, si tratta di numeri infinitesimali: tra le 300 e le 500 posizioni ogni anno rispetto al mare magnum delle 160 mila causa di lavoro totali che ingolfano a getto continuo i nostri tribunali.
Marco Alfieri sulla Stampa di oggi
http://www.swas.polito.it/services/Rassegna_Stampa/dett.asp?id=4028-150880585
martedì 21 febbraio 2012
Il documento riservato europeo sulle sorti della Grecia
There are notable risks. Given the high prospective level and share of senior debt, the prospects for Greece to be able to return to the market in the years following the end of the new program are uncertain and require more analysis. Prolonged financial support on appropriate terms by the official sector may be necessary. Moreover, there is a fundamental tension between the program objectives of reducing debt and improving competitiveness, in that the internal devaluation needed to restore Greece competitiveness will inevitably lead to a higher debt to GDP ratio in the near term. In this context, a scenario of particular concern involves internal devaluation through deeper recession (due to continued delays with structural reforms and with fiscal policy and privatization implementation). This would result in a much higher debt trajectory, leaving debt as high as 160 percent of GDP in 2020. Given the risks, the Greek program may thus remain accident-prone, with questions about sustainability hanging over it.
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La tempistica del salvataggio della Grecia
BRUSSELS | Mon Feb 20, 2012 3:20pm EST
(Reuters) - Euro zone finance ministers are expected to approve a second financing package forGreece on Monday, which aims at reducing Greek debt towards 120 percent of gross domestic product by 2020 from 160 percent now.
Approval of the new, 130-billion-euro ($170 bln) financing package, which will come on top of a 110-billion-euro bailout granted in May 2010, will set in motion a debt restructuring that aims to halve Greece's privately held debt.
Below are some of the critical dates and key events coming up that policymakers hope will draw a line under the more than two-year European sovereign debt crisis, which began in Greece.
Feb 20
- Euro zone finance ministers (the Eurogroup) to take a decision whether to grant Greece the second financing program.
- This decision will open the way for euro zone countries to approve higher guarantees for the euro zone's temporary bailout fund, the European Financial Stability Facility (EFSF), which will need to raise money on the market to finance the bailout.
- Preliminary Eurogroup discussion of whether to allow the 440-billion-euro EFSF and the 500-billion-euro permanent bailout fund, the European Stability Mechanism, to run in parallel, nearly doubling the euro zone's bailout capabilities.
Feb 21-22
- If the Eurogroup gives its go-ahead on Monday, Greece will be able to launch a debt restructuring offer, inviting private investors to swap around 200 billion euros of Greek government bonds they hold for new ones worth around half as much.
Feb 23-24
- Finnish parliament likely to debate package in order to approve higher EFSF guarantees.
Feb 24-26
- Finance ministers and central bank governors from the world's 20 biggest economies, meeting in Mexico, to discuss providing more funds for the International Monetary Fund. G20 countries have signaled that they will only agree to increase IMF funds if euro zone countries allow the ESM and the EFSF to run alongside to boost the euro zone's bailout capacity.
Feb 27
- German parliament to vote on bailout package and use of the EFSF to secure new Greek bonds.
March 1-2
- EU summit, which will decide, among other things, whether to allow the ESM and EFSF to run in parallel, boosting the bailout capacity of the euro zone. Leaders may also be give their imprimatur to the second Greek package.
March 8
- The last day to sign up for Greek bond swap offer.
March 9
- Responses from investors concerning the bond swap offer are processed.
March 10-11
- The actual swapping of Greek bonds for new, longer-dated securities with a lower coupon takes place.
March 12-13
- Euro zone and EU finance ministers meet.
March 20
- Greece is due to repay 14.5 billion euros of debt. If the bond swap goes ahead, this would be covered, meaning Athens will avoid defaulting on this payment.
March 30-31
- Informal meeting of euro zone and EU finance ministers and central bank governors in Copenhagen.
April 20-22
- IMF meeting in Washington on bigger IMF resources.
(Reporting By Jan Strupczewski. Editing by Jeremy Gaunt.)
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domenica 19 febbraio 2012
La bolla immobiliare più devastante della storia d'America
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giovedì 16 febbraio 2012
Evasione carosello
"
martedì 14 febbraio 2012
Il flop delle Unioni di fatto
I registri delle unioni civili, a ben guardare, sono soprattutto questo: pezzi di carta spesso intonsi e tuttavia dotati di valore simbolico e politico enorme per chi sostiene la necessità che le “nuove famiglie” siano equiparate a quelle tradizionali. Non a caso la lista di chi li ha (formalmente) istituiti è lunga: basta fare un giro sul sito dell’Arcigay per scoprire che i comuni in cui è stato attivato un registro delle unioni civili sono molti e dislocati un po’ in tutta Italia. E così, cercando comune per comune, è facile imbattersi in plausi e congratulazioni per la decisione di «avvicinarsi all’Europa» aprendo alle coppie di fatto.
La realtà, però, dice che sono pressoché vuoti quasi ovunque. Alcuni casi sono addirittura clamorosi, come quello di Bologna: registro attivo dal lontano 1999, numero di iscritti zero. Lo ha scoperto recentemente una consigliera comunale del Pdl, spulciando nell’anagrafe del comune (sul cui sito, peraltro, il registro è ben sponsorizzato). Dal Pd comunale hanno risposto che è il «valore simbolico» a contare.
Scarse adesioni anche in Trentino Alto Adige: a Trento il registro, attivo dal 2006, conta 23 coppie (solo due si sono iscritte nell’anno passato); a Bolzano (dove le coppie di fatto possono registrarsi all’anagrafe dal 2003) dal Comune fanno sapere che si viaggia su una media di «3 o 4 all’anno», ma la cifra è «ottimistica, visto che non se ne parla e nessuno sa che esista»; nel Comune di Arco (registro attivo dal 2005) resiste una sola coppia, visto che le altre tre hanno deciso di cancellarsi (due si sono sposate, una si è separata). Pisa conta su un registro che ha ormai 15 anni, ma vi aderiscono (il dato è dell’estate 2011) appena 32 coppie, Firenze arriva a 73 in dieci anni, Padova si ferma a 50 (di cui 10 – viene fatto sapere – sono formate da omosessuali).
Torino vede la presenza di un registro, approvato nel 2010, al quale sono iscritte 120 coppie. Numeri che i comuni che hanno istituito il registro in Sardegna nemmeno intravedono: Atzara (mille anime in provincia di Nuoro) e Porto Torres aspettano rispettivamente da sei e due anni domande di iscrizione, e anche Sassari, che si è dotata della lista all’anagrafe l’anno scorso, non ha registrato alcun assalto. Sull’isola sono le stesse sigle omosessuali che lamentano l’assoluta inutilità dei registri che – a detta loro – sono un atto «meramente amministrativo». Ciò non ha scoraggiato il piccolo comune di Tissi (2.300 abitanti), che ha detto sì al registro appena 4 giorni fa. La notizia ha fatto meno rumore di quella di Napoli: nelle prossime settimane sarà curioso confrontare le rispettive, ed effettive, iscrizioni.
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lunedì 13 febbraio 2012
Il lavoro nella prima metà dell'anno scorso
Spiegano Inps, Istat e ministero del Lavoro che dei 5,3 milioni di nuovi posti di lavoro dipendente nel primo semestre 2011 il 19% è a tempo indeterminato, il 67% sono a tempo determinato, l'8,6% sono contratti di collaborazione e solo il 3% apprendistato.
sabato 11 febbraio 2012
Balle danesi
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venerdì 10 febbraio 2012
La riforma del lavoro spagnola
(Di Francesco Cerri)
(ANSA) - MADRID, 10 FEB - Va avanti a passo di carica verso
il risanamento il nuovo governo spagnolo di Mariano Rajoy, che
oggi, a 52 giorni dall'insediamento, ha varato la sua terza
grande riforma strutturale, quella del mercato del lavoro, per
far fronte a una disoccupazione ormai al 22,85%.
La riforma approvata dal consiglio dei ministri è stata
definita "storica" dalla vicepremier Soraya de Santamaria, la
più importante dalla fine del franchismo: "segna un prima, e
un dopo, nella legislazione del lavoro di questo paese". Il
risultato del lungo braccio di ferro fra l'ala 'socialè del
governo guidata dal ministro delle finanze Cristobal Montoro e
quella 'liberal' che fa capo al titolare dell'economia Luis de
Guindos, ha visto prevalere quest'ultima. L'aspetto di maggior
rilievo è il netto abbassamento del costo dei licenziamenti.
L'indennità passa dagli attuali 45 a 33 giorni per anno di
lavoro, per un massimo di 24 mesi invece di 42. Viene inoltre
semplificata ed estesa la facoltà di ricorrere ai licenziamenti
economici 'low cost', 20 giorni per anno di lavoro per un
massimo di 12 mesi. Potranno farvi ricorso le imprese che
abbiano registrato per nove mesi un calo delle vendite, o lo
prevedano per questo periodo, anche se continua a fare benefici.
L'obiettivo principale della riforma, ha detto de
Santamaria, è fare diminuire l'esercito dei 5,3 milioni di
disoccupati ereditato dal governo socialista di Josè Luis
Zapatero, e aumentare la flessibilità e la competitività delle
imprese spagnole per rilanciare la crescita. Con le Pmi, che
creano il 90% dell'occupazione in Spagna, in prima linea: la
riforma crea un contratto a tempo indeterminato per le imprese
con meno di 50 lavoratori, con agevolazioni fiscali di 3mila
euro per l'assunzione di giovani sotto i 30 anni e la facoltà
per il primo anno di usare il 25% dell'indennità di
disoccupazione per completare la retribuzione. Il governo Rajoy
mette in campo anche uno sconto annuale di 3600 euro per tre
anni nei contributi dell' impresa alla Sicurezza Sociale per
l'assunzione di giovani fra 16 e 30 anni e di 4500 euro per i
disoccupati di lungo periodo di più di 45 anni.
La riforma punta a introdurre la massima flessibilità negli
accordi collettivi. In caso di crisi le imprese potranno
'sganciarsì dagli accordi di categoria e modificare tempi di
lavoro, funzioni dei dipendenti, nelle retribuzioni. Inoltre gli
accordi d'impresa prevarranno su quelli collettivi nazionali o
regionali, e alla scadenza saranno validi ancora solo due anni.
Ieri a Bruxelles de Guindos aveva detto ai colleghi dell'
Eurogruppo che questa riforma sarebbe stata "molto
aggressiva". E all'ultimo Consiglio europeo lo stesso Rajoy
aveva previsto che gli sarebbe costata uno sciopero generale. Le
prime reazioni dell'opposizione socialista e dei sindacati sono
molto negative. Ma Rajoy ora può dire ai partner europei di
avere "fatto i compiti" fino in fondo - fra manovra da 15
miliardi e aumento dell'Irpef a Natale, poi le riforme del
'deficit zerò, del risanamento del mercato bancario, ora del
lavoro - e a tempi di record, in 52 giorni: in cambio chiede
elasticità sull' obiettivo di deficit 2012 (per ora previsto al
4,4%) per disporre di più risorse per fare ripartire l'economia
de paese. (ANSA).
Veh chi c'è, Davide Serra
By NEIL SHAH, Wall street Journal, 10.2.2012
Last fall, as worries about Europe's banks mounted, Davide Serra fretted over the fate of Algebris Investments LLP, his $700 million hedge-fund firm.
Algebris had one-third of its money tied to stocks and bonds of European banks likeBanco Santander SA and Intesa Sanpaolo SpA. The investments tumbled in the final months of 2011, as Spain and Italy were engulfed in Europe's sovereign-debt crisis.
A former bank analyst at Morgan Stanley, Mr. Serra resolved to stand firm—even though his firm's performance was plunging and some clients wanted to exit. On Dec. 1, Mr. Serra told investors at a New York hedge-fund conference that he was confident that "by Christmas, we will have a solution" to Europe's debt troubles.
Three weeks later, the European Central Bank doled out nearly a half-trillion euros in loans to Europe's banks—a striking move that some investors thank for averting a global market crash.
"Things were hard, but we kept saying they won't let the system fail," Algebris's 41-year-old, London-based co-founder recalled.
This year's market rally has caught many investors by surprise. But a few traders who ramped up risky bets while others headed for the exits last year are seeing outsize gains. Their growing confidence suggests Europe's outlook could be improving—at least for now. In the latest sign of progress, Greek political leaders Thursday agreed on key steps that should pave the way for a second bailout from the European Union and International Monetary Fund, and the euro reached its highest level since early December.
Mr. Serra is part of the band of fund managers who bet on Europe during the depths of its financial crisis and survived to tell the tale. The group of contrarian investors, a minority when compared with the large swaths of fund managers who steered well clear of the Continent, is reaping the benefits of the bold moves now.
Algebris, for example, lost 30% in 2011, partly thanks to its European bets. But its flagship fund, which buys stocks of European and global banks, is up 9.7% this year, while a separate fund specializing in risky bank bonds—about one-third European—has gained 24.3%. By comparison, the Standard & Poor's 500-stock index is up 7.5% this year, and the Stoxx Europe 600 index, measured in euros, has climbed 7.8%.
It isn't just Mr. Serra. Last summer, portfolio manager Michael Hasenstab at Franklin Templeton Investments, a U.S. money manager with more than $670 billion in assets, began buying Irish bonds in the belief that the government wouldn't default on its debt. According to Franklin, the bet totaled around €5.5 billion, or about $7.2 billion, as of the end of last year—a large wager given the size of Ireland's bond market, observers said.
“Things were hard, but we kept saying they won't let the system fail”Davide Serra, cofounder of a London hedge fund
Ireland has made more progress dealing with its debt problems than other struggling euro members, Mr. Hasenstab said. Irish 10-year-bond yields, which move inversely to their prices, were at 7.08% on Thursday, from more than 14% at their peak in July.
Sohail Malik, lead portfolio manager of European Credit Management's Special Situations Credit Fund, says a successful bet last December was buying the short-term senior debt of euro-zone banks. Such bonds in Portugal were especially attractive, giving investors yields of 15% to 18%, a level that dropped to 9% in January before rising back to about 11% recently. Mr. Malik said he has been trying to profit from the "momentum" generated by the ECB's recent measures.
Such trades are the latest sign that Europe's banking and debt woes are easing enough for money managers to start picking through the rubble for bargains. Last week, Italy's Intesa Sanpaolo became the first bank from a financially stressed euro-zone country to sell senior, unsecured debt in many months, helping relieve fears of a credit crunch for European banks. In late January, Ireland's government impressed investors by successfully entering the capital markets to extend the maturity of its loans.
Other investors remain on the sidelines or hold negative bets on the euro because of concerns over a European recession and Greece's ability to avoid a disorderly default.
Currency-focused hedge funds, for instance, are unconvinced by the euro's recent rally and have been slow to move their cash out of U.S. dollars—considered a safe haven—into riskier investments. "This has moderately hurt their performance in January," said Luca Avellini of JW Partners, a research and advisory firm that invests in 23 funds with a combined $20 billion under management in currency strategies.
For every George Soros, whose family fund bought about $2 billion in European bonds late last year, there is a Highland Capital Management LP, a $23 billion alternative-investment firm whose co-founder and president, James Dondero, believes Europe will avoid a banking crisis and a euro breakup, but that the Continent's financial assets are too risky.
Instead, he is championing U.S. stocks and high-yield "junk" bonds, risky financial assets whose prices could rise in lock step with European assets but that don't carry the stigma of European investments.
Highland's main credit hedge fund, Highland Diversified Credit Fund, ended last year up 6.4%, according to Hedge Fund Research Inc.
At Algebris, Mr. Serra is placing bets on riskier "subordinated" bonds of European banks. These bonds are riskier because, in the event of a default, holders recoup cash only after senior-bond investors are paid back. In September, Mr. Serra, who in the 1990s took a macroeconomics course from Italy's current prime minister, Mario Monti, bought a two-year bond from Spain's Banco Santander that offered a 16% yield. He also is holding a "contingent convertible" bond from Britain's Lloyds Banking Group PLC. Such "CoCo" bonds are risky because they turn into equity if the bank issuing them depletes a specific amount of capital. While the U.K. government is Lloyds's biggest shareholder, the country isn't part of the euro.
Investors increasingly believe Europe's rally could continue, although many of the region's economic problems remain unsolved. The ECB will offer more loans to banks at the end of the month.
Before the ECB's move last year, "you were guaranteed to have an accident somewhere," Mr. Serra said. "Now the accident is very unlikely to happen."
Write to Neil Shah at neil.shah@dowjones.com
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La conversazione che oggi non piace ai mercati.
E bravo Pertini
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La risposta di Draghi a Deutsche Bank
Feb. 10 (Bloomberg) -- European Central Bank President Mario Draghi lashed out at bankers who said tapping the ECB’s three-year-loan program carries a stigma, after executives including Deutsche Bank AG’s Josef Ackermann said they shunned the loans.
“There is no stigma whatsoever on these facilities,” Draghi said at a press conference in Frankfurt yesterday. “Some have made some sort of statements that I would call statements of virility, namely it would be undignified for a bank, a serious bank, to access these facilities. Now let me say that the very same banks that made these statements access facilities of different kinds -- but still government facilities.”"
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giovedì 9 febbraio 2012
Dal pozzo alla pompa: come si forma il prezzo del pieno
P rendiamo il prezzo di un litro di benzina. Togliamo le tasse, il costo del trasporto, i margini dei petrolieri e quelli dei benzinai. Quello che ci resta è il valore del carburante per chi lo scambia sui mercati all’ingrosso. Parliamo di una cifra che, a gennaio, ammontava in media a 985 dollari alla tonnellata per la benzina e 974 per il gasolio. Tradotti in più concreti euro al litro sono 58 centesimi per la verde e 64 per il diesel. «D’accordo, ma chi ha deciso che i prezzi sono questi?» si chiede giustamente l’automobilista meno docile, che da sempre mentre riempie il serbatoio ha la netta sensazione che qualcuno lo stia fregando.
Chi gli risponde indicando le quotazioni internazionali del petrolio in realtà lo sta depistando. Lo testimoniano per esempio i numeri di gennaio: a un +2,25% del prezzo in dollari del barile di petrolio europeo (la quotazione Brent) è corrisposto un +7,4% del prezzo all’ingrosso della benzina e un +2,1% di quello del gasolio. Infatti è vero che benzina e gasolio si ricavano dal petrolio, ma un conto è la materia prima e un altro è il prodotto raffinato, che ha invece una sua domanda e una sua offerta, e quindi un mercato autonomo. Il mercato dove si stabilisce il prezzo all’ingrosso della benzina preso in considerazione dagli operatori in tutto il mondo, si chiama Platts, ed è ormai abituato ad essere accompagnato da aggettivi tipo 'opaco', 'oscuro', 'sospetto'. Il fatto di appartenere al colosso dell’informazione finanziaria McGraw-Hill (quello che controlla anche l’agenzia di rating Standard & Poor’s e ha tra i suoi azionisti fondi speculativi e grandi banche d’affari) non contribuisce al buon nome del Platts, un’azienda nata più di un secolo fa quando con 2.500 dollari avuti in prestito da una compagnia assicurativa il venticinquenne Warren Cumming Platt si è messo a pubblicare laNational Petroleum News, una pubblicazione periodica sui prezzi del greggio negli Stati Uniti da distribuire ai proprietari dei pozzi e ai loro clienti.
Quello del fondatore non è solo un aneddoto, ma anche un dato importante: prima ancora che mercato, Platts è infatti ancora oggi un’agenzia di informazione economica. È a questa agenzia che i responsabili di oltre 280 aziende attive nel mercato dell’energia (tra gli italiani ci sono produttori come l’Eni, raffinatori come Saras o Erg, banche d’affari come UniCredit) comunicano il prezzo a cui sono disposti a comprare o vendere un carico di carburante attorno a un’area precisa, che per l’Italia è il porto di Genova. La trattativa si svolge sulla piattaforma elettronica eWindow, dove tutti gli operatori abbonati al Platts possono vedere le singole offerte economiche, chi le ha fatte e quali sviluppi ha l’affare. Mettiamo che una compagnia petrolifera abbia una nave con un carico 30 mila tonnellate di carburante che interessa a due compagnie di distribuzione. Il dettaglio del carico, il prezzo fissato dal venditore e quelli offerti dai possibili compratori compaiono su eWindow. Si parte, di solito, da cifre relativamente distanti (nell’ordine di pochi dollari per tonnellata) che si avvicinano gradualmente attraverso piccoli rialzi e ribassi sempre pubblicati sulla piattaforma elettronica. Si va avanti così fino al raggiungimento di un accordo, che naturalmente può anche non arrivare. Il tutto avviene davanti agli occhi degli altri operatori, che possono intervenire nella trattativa in qualsiasi momento. Quando a Londra sono le quattro e mezza del pomeriggio Platts considera chiusa la giornata di scambi, quindi calcola il prezzo medio di giornata per i vari prodotti nei diversi porti e lo trasmette ai suoi abbonati. Ed è tenendo conto di quella quotazione che le compagnie firmano i loro contratti e aggiornano i listini. Anche quando vendono carburanti che non hanno acquistato, perché sono loro fin dall’inizio (come capita a chi copre tutta la filiera, come l’Eni). Non lo fanno per obbligo, ma semplicemente perché non possono permettersi di ignorare quello che succede sul mercato. Per questo sul prezzo 'all’ingrosso' del nostro pieno sembra esserci poco margine di risparmio.
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mercoledì 8 febbraio 2012
Perché a Berlino conviene una debole periferia d’Europa - Corriere.it
Perché a Berlino conviene
una debole periferia d’Europa
Le nuove regole di bilancio europee, il cosiddetto fiscal compact , sono state volute soprattutto da Berlino. L'importanza che la Germania attribuisce all'accordo appena raggiunto non è il risultato di un'analisi sbagliata, come spesso afferma la stampa anglosassone, ma è coerente con i suoi interessi strategici come potenza economica globale.
Secondo i critici del fiscal compact, le nuove regole sono sbagliate perché ispirate da una cattiva diagnosi, quella secondo cui la crisi dell'euro sarebbe dovuta a una mancanza di disciplina di bilancio quando, invece, il vero problema sarebbe lo squilibrio della bilancia commerciale all'interno della zona euro che vede Germania e periferia come immagini riflesse in uno specchio: in sistematico surplus la prima e in sistematico deficit la seconda. Questo squilibro, secondo le analisi più ascoltate, sarebbe causato da una minore competitività del Sud dell'Europa e da una domanda di consumi e investimenti troppo debole in Germania. Sono quindi questi i problemi che andrebbero affrontati con nuove regole comuni. Di conseguenza, la ricetta dovrebbe prevedere non, o almeno non esclusivamente, il rigore di bilancio ma, nella periferia, la prescrizione di riforme strutturali volte all'aumento della produttività accompagnata dalla moderazione salariale e, in Germania, il rilancio della domanda per i consumi. La correzione dello squilibrio che ne deriverebbe sarebbe nell'interesse della stabilità dell'euro e quindi sia del Nord che del Sud dell'Unione.
Se guardiamo ai numeri, tuttavia, la storia appare più complessa e suggerisce piuttosto un'altra interpretazione: gli interessi economici della Germania sono sempre più diversi da quelli del resto dell'Europa. La chiave per capirlo è pensare all'area euro non come a un'economia chiusa agli scambi intra Unione, ma come a un'economia aperta al commercio con il resto del mondo.
Ricordiamo qualche fatto. Il primo è che per la Germania solo il 40% delle esportazioni sono verso l'area dell'euro e, dal 1999, il suo surplus commerciale si è accresciuto soprattutto grazie all'export verso i Paesi extra Unione: Cina, Paesi del Centro ed Est Europa e Paesi produttori di petrolio. Secondo, la perdita di competitività di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (i cosiddetti Giips) rispetto al resto del mondo è dovuta soprattutto all'apprezzamento del tasso di cambio nominale più che alla dinamica dei prezzi. Terzo, dal 1999, il deficit commerciale di questi Paesi si è accresciuto soprattutto nei confronti dei Paesi fuori dall'area euro.
Questi dati suggeriscono che il problema dell'instabilità dell'euro non sia dovuto agli squilibri interni, ma ad una diversa capacità dei Paesi dell'Unione di competere nel mondo. Ma come saranno quindi gli equilibri che si delineeranno nella nuova Europa del fiscal compact? Se con le regole di bilancio e l'aggressivo ruolo della Banca centrale europea sul piano della liquidità si scongiurerà una crisi finanziaria, si può prefigurare una Germania esportatrice sempre più proiettata verso il mondo esterno all'euro e che beneficerà di un tasso di cambio nominale più basso che nel decennio passato. Allo stesso tempo, i Giips saranno condannati ad un tasso di crescita anemico dovuto al drastico aggiustamento di bilancio imposto dalle nuove regole del fiscal compact , ma la minore domanda di importazioni che deriverà dalla contrazione dei consumi che ne consegue non peserà necessariamente sull'export tedesco poiché la Germania è sempre meno dipendente dal mercato dell'Unione. Quella che si prospetta è dunque un Europa sempre più eterogenea al suo interno, con interessi economici e politici potenzialmente divergenti.
Naturalmente i Giips potrebbero anch'essi beneficiare della svalutazione dell'euro, ma per competere sul mercato globale questi Paesi dovrebbero fare anche un salto di competitività, sviluppo tecnologico, aumento della dimensione di impresa. Solo questo li aiuterebbe a recuperare quote di export a scapito di Paesi che tradizionalmente hanno reddito pro capite più basso e quindi anche più basso costo del lavoro. Questo dovrebbe avvenire attraverso politiche nazionali ma anche europee: politiche ambiziose per la crescita e l'innovazione. Ma queste ultime non sono di grande interesse per la Germania, poiché essa trae vantaggi da una periferia dell'euro debole purché naturalmente ne venga preservata la stabilità finanziaria.
Questa è una delle tante ragioni per cui l'Europa deve uscire dalla logica intergovernamentale, che vede il dominio del punto di vista tedesco. Per tornare a pensarsi insieme in negoziati multilaterali. Con incentivi diversi tra Stati membri è difficile immaginare come questo possa accadere.
Lucrezia Reichlin8 febbraio 2012 | 12:07
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