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venerdì 29 marzo 2013

Mutui in via d'estinzione

Racconta Stefano Rossini, am­ministratore delegato della piattaforma online MutuiSu­permarket, che alla fine del 2012 di­verse banche erano pronte a lancia­re «strategie dipricing dei mutui più aggressive» con l’inizio del nuovo an­no. Le banche avevano in mente un taglio degli spread sui nuovi prestiti immobiliari. Potevano permetterse­lo, perché il loro accesso alla liquidità era tornato a buoni livelli e i soldi per fare credito ormai c’erano. Però sono passati tre mesi e questi mutui nuo­vi e più economici non li ha visti nes­suno. «Il problema – spiega ora Ros­sini – è che l’esito delle elezioni ha aumentato l’incertezza. A gennaio c’era molto entusiasmo, la crisi del­l’euro faceva meno paura e sembra­va che l’Italia presto avrebbe avuto un nuovo governo finalmente pron­to a lanciare piani per la crescita. In­vece il governo non c’è ed è tornato il pessimismo, tra le banche ma an­che tra la gente: il problema, in que­sto momento, non è l’assenza del cre­dito per comprare casa, il problema è che manca la domanda».
I dati rilevati dal Crif – il centro di ri­ferimento per le informazioni credi­tizie – dicono che pochissimi italiani oggi hanno il coraggio di chiedere un mutuo. Nel 2012 la domanda di pre­stiti per comprare casa è precipitata, a livello nazionale, del 42%. Dopo u­na caduta del genere il rimbalzo sa­rebbe fisiologico. Invece nei primi due mesi del 2013 le richieste di mu­tuo sono diminuite ancora: -14% a gennaio e -10% a febbraio. A marzo, in attesa dei dati definitivi, la ten­denza non è cambiata.
«Rispetto ai livelli del 2011 ormai sia­mo sotto del 50%» dice Maurizio Liu­ti del Crif. La crisi dei mutui, ricorda Liuti, è iniziata nell’autunno del 2010: «Nei primi anni della crisi finanziaria le famiglie pensavano alla casa come bene rifugio davanti al crollo delle Borse. Sono stati anche anni di forte riduzione dei tassi e quindi c’è stata una forte domanda di mutui di sur­roga e di sostituzione. Poi tutto si è fermato. Adesso domina l’incertezza sull’economia, molti temono di per­dere potere d’acquisto se non addi­rittura il posto di lavoro. Gli immi­grati, che hanno sostenuto il merca­to negli anni passati, sono più in dif­ficoltà degli altri, mentre l’aumento delle tasse sulla casa fa il resto. Non è il momento di fare impegni econo­mici a lungo termine».
Certo, i costi alti non aiutano. Nelle proposte degli istituti sui mutui a tas­so fisso – secondo le rilevazione del Crif riferite al terzo tri­mestre del 2012 – si ap­plica in media un tasso del 5,4%, su quelli varia­bili un 4,1%. Considera­to che l’Euribor a 3 mesi è ai minimi storici, allo 0,2%, il credito potrebbe essere un po’ più a buon mercato.
Come è successo al mer­cato immobiliare, anche quello dei mutui era cresciuto troppo e ora si sta sgonfiando. Non tornerà agli ec­cessi di qualche anno fa. Se ancora nel 2007 c’erano banche che finan­ziavano con il prestito anche il 120% del valore della casa, oggi poche ar­rivano a coprire il 70%. Nessuno pro­pone più rate che vanno oltre il 30-40% del reddito familiare. Nei conti degli istituti le esagerazioni dei primi anni Duemila hanno lasciato come e­redità una quota di insolvenze ele­vata, all’1,9%, e difficoltà a trovare nuove strategie. Difatti le erogazioni non solo hanno rallentato (-50% lo scorso anno) ma hanno iniziato a non compensare più la chiusura dei mutui estinti: l’ammontare totale dei prestiti immobiliari a gennaio si è ri­dotto a 363,9 miliardi, 700 milioni in meno rispetto a dicembre e 2,7 mi­liardi in meno da gennaio.
Al momento nulla fa vedere una ri­presa del mercato. «Serve una svolta nella salute della nostra economia – dice Liuti – finché la gente non sen­te di potere guardare al futuro con un po’ di fiducia i mutui non possono ri­partire ». Rossini, con più ottimismo, spera che a settembre qualcosa pos­sa muoversi: «In questi mesi ho visto migliaia di clienti solidi, quelli che piacciono alle banche, arrivare al punto di chiedere un mutuo e poi prendere tempo. Sono i richiedenti più affidabili, e vogliono riflettere per­ché, dato il momento, hanno dei dubbi. Se, come dicono alcuni indi­catori, con l’estate la situazione po­litica ed economica migliorerà, allo­ra questa clientela potrebbe smette­re di tentennare e dare un po’ di slan­cio al mercato». 

da Avvenire di oggi

venerdì 22 marzo 2013

Il mattone muore di vecchiaia


Ogni mese che passa le case degli italiani valgono un po’ meno. È così ormai da cinque anni, ma ancora non ci si è fatta l’abitudine.Era stato più facile abituarsi a vedere le quotazioni salire, qualche anno fa, anche se – come è successo in Italia tra il 1998 e il 2008 – la salita era la più lunga e la più potente di sempre. Altri tempi. L’Italia oggi si trova con quotazioni immobiliari sopravvalutate e un mercato del mattone bloccato: i 444 mila acquisti del 2012 sono il livello più basso dal 1985.
La Banca d’Italia dal 2009 ha iniziato a guardare con molta attenzione il mercato della casa, raccogliendo ogni tre mesi le impressioni degli agenti immobiliari. Le loro ultime risposte, consegnate a gennaio e riferite agli ultimi tre mesi del 2012, confermano che il mercato è impantanato: per un’agenzia su due sono aumentati gli incarichi di case da vendere, ma una su tre non è riuscita a piazzare nemmeno un appartamento. Perché non si vende? Per quattro ragioni, rispondono gli agenti: non ci sono offerte perché i prezzi sono troppo alti; quando le offerte ci sono non sono all’altezza delle aspettative dei venditori; chi vuole comprare non riesce ad avere un mutuo; chi vuole vendere quando può permetterselo prende tempo in attesa che le quotazioni risalgano. Il fatto è che secondo 7 agenzie immobiliari su 10 i prezzi non risaliranno. Almeno nonnel breve termine. Ma probabilmente nemmeno nel lungo. Nel mercato immobiliare italiano oggi non c’è nessun elemento che faccia intravedere una risalita delle quotazioni, che sono scese del 16% tra il 2007 e il 2011, secondo le rilevazioni di Scenari immobiliari, e del 4,3% solo l’anno scorso, secondo i calcoli di Nomisma.
Mancano i mutui, ma ancora di più mancano i soldi che in altri tempi finivano nel mattone. Pochi giorni fa la Banca d’Italia ha mostrato che il tasso di risparmio degli italiani, cioè la quota di reddito che le famiglie mettono da parte, negli ultimi 30 anni ha subito una caduta progressiva ma pesante: era al 25% a metà degli anni ‘80, si era ridotta sotto il 15% un decennio dopo e nel 2011 è crollata all’8,6%. Se negli ultimi 15 anni la ricchezza degli italiani è quasi raddoppiata – da 75 mila a quasi 150 mila euro pro-capite – quel denaro è però quasi tutto bloccato nelle abitazioni, che rappresentano l’86% della ricchezza complessiva. E le abitazioni appartengono agli italiani più anziani: un quarto dei proprietari ha più di 70 anni, due su tre sono oltre i 50.
Un mercato immobiliare in equilibrio si muove perché le giovani generazioni comprano le case: o quelle nuove o quelle che erano abitate dalle generazioni precedenti. Ma i giovani, in Italia, non sono mai stati così poveri. Non lavorano (la disoccupazione giovanile è al 38,7%, il massimo di sempre) e non guadagnano: una recente ricerca di Almalaurea mostra che un giovane italiano laureato se trova un lavoro a 5 anni dal titolo incassa in media 1.440 euro netti al mese, cioè poco più dei 1.510 euro lordi della pensione di anzianità media. Questo crescente squilibrio generazionale è ancora più evidente in un’altra indagine della Banca d’Italia, dove si spiega che nel ’91 gli italiani sotto i 35 anni avevano il 17% della ricchezza nazionale e quelli sopra i 65 anni il 19,3%. Nel 2010 la quota di ricchezza in mano ai giovani è crollata al 5,2%, quella controllata dagli anziani è volata al 33,1%.
L’impoverimento dei giovani italiani alla fine ha presentato il conto al mercato immobiliare, dove con la fine dei mutui facili dei primi anni dell’euro la domanda e l’offerta sono diventate inconciliabili. Adesso il mercato del mattone deve trovare da solo un nuovo punto di incontro 'generazionale'. La discesa dei prezzi continuerà finché non sarà riuscito a trovarlo.
da Avvenire di oggi

giovedì 21 marzo 2013

Perché Cipro non può riaprire le banche

 Cipro non lascerà riaprire le ban­che finché non avrà trovato u­na soluzione. Non basta vota­re contro il prelievo di 5,8 miliardi dai conti correnti concordato dal premier Nicos Anastasiades con l’Europa: or­mai i soldi messi in banca si sono rive­lati possibili provviste di emergenza del governo, appena ne avranno occa­sione i legittimi proprietari si affrette­ranno a ritirare quel denaro per por­tarlo in rifugi più sicuri. La chiusura delle banche, imposta dal governo ci­priota martedì scorso, è stata quindi prolungata fino a martedì prossimo (sfruttando anche un altro lunedì di vacanza). Per altri cinque giorni nem­meno un euro dei 70 miliardi deposi­tati nei conti delle banche dell’isola po­trà muoversi. Solo quando il salvatag­gio sarà definito bancomat e sportelli torneranno ad essere operativi.
Da qui a martedì il governo di Anasta­siades dovrà trovare una soluzione. Michalis Sarris, il suo ministro dell’E­conomia, è a Mosca per trattare un possibile aiuto dal Cremlino. Ha chie­sto al collega russo Anton Siluanov di prolungare di 5 anni, dal 2016 al 2021, la scadenza del prestito da 2,5 miliar­di che la Russia ha concesso a Cipro due anni fa, di ridurre il tasso di inte­resse di quel finanziamento (oggi al 4,5%) e di aggiungere un nuovo aiuto da 5 miliardi di euro. Sono richieste pesanti, ma Mosca, scrivono i giorna­li ciprioti, potrebbe ottenere in cam­bio quote negli enormi e non sfrutta­ti giacimenti di gas al largo dell’isola, pezzi di società pubbliche privatizza­bili (banche comprese) e proteggere i 20 miliardi di euro depositati a Cipro da cittadini russi.
Mentre il ministro Sarris tratta con i russi su scenari che portano il Paese fuori dall’euro, Anastasiades prosegue il negoziato con l’Europa per non la­sciare la moneta unica. Secondo le in­discrezioni il premier ha proposto alla troika un 'piano B' in cui avrebbe tro­vato 4,2 miliardi spostando intera­mente sui titoli di Stato ciprioti gli in­vestimenti dei suoi fondi pensione ma che includerebbe anche un prelievo sui depositi bancari oltre i 100mila eu­ro. Il piano sarà presentato oggi ai lea­der dei partiti che, se lo approvassero, arriverebbe subito in Parlamento. L’i­dea però non ha convinto i tecnici di Unione europea, Banca centrale e Fon­do monetario, che hanno giudicato la proposta poco praticabile e non suffi­ciente. Ora si sta lavorando a un 'pia­no C'. Nell’attesa la Banca centrale europea resterà ferma: da giugno fornisce alle tre banche di Cipro – Banca di Cipro, Laiki e Hellenic – 8 miliardi attraver­so il programma di emergenza Ela. È una cifra che vale il 50% del Pil ci­priota, senza garanzie sul salvataggio Draghi non farà altre concessioni. La crisi di Cipro nasce proprio dalle dif­ficoltà del suo sproporzionato siste­ma bancario (vale 8 volte il Pil) che dopo avere perso 3,5 miliardi investi­ti su titoli greci ora ha bisogno di 12 miliardi per non collassare.
Nicosia si è cacciata in un guaio che sta facendo emergere pesanti tensioni geopolitiche tra Mosca e Bruxelles, ma la sua economia è comunque poca co­sa: con 17,5 miliardi ha un Pil inferio­re a quello della sola Umbria. Per que­sto gli investitori non sono troppo spa­ventati. Ieri le Borse sono andate be­nissimo, con Milano che, spinta dalle banche, ha guadagnato il 2,2%, facen­do meglio di Parigi (+1,4%), Fran­coforte (+0,7%) e Londra (-0,1%). Più che alle notizie in arrivo da Nicosia, le Borse badavano a quelle che sarebbe­ro venute da New York, dove, a merca­ti europei chiusi, la Federal Reserve ha confermato che andrà avanti con le sue politiche ultra-espansive finché la ri­presa americana non sarà soddisfa­cente.

da Avvenire di oggi

lunedì 18 marzo 2013

I numeri di Cipro

A Cipro ci sono depositi per 68 miliardi di euro. Di questi 43 sono soldi dei ciprioti, 21 sono di cittadini non europei e 5 di cittadini europei. I depositi europei sono soprattutto di cittadini greci che, spaventati per la crisi greca, hanno spostato i soldi nella vicina Cipro contando di metterli al sicuro. Tra le nazioni europee il Regno Unito è quello che può contare più depositi: 1,9 miliardi. Secondo i calcoli delle banche la tassa chiesta da Bruxelles - il 10% sui depositi sopra i 100 mila euro, il 6,7% sotto quella soglia - costerà 2 miliardi di euro ai russi, che sono gli stranieri con la maggiore quantità di depositi a Cipro. E' dalla fine di febbraio che circolavano voci su possibili tasse sui depositi. Nelle ultime settimane tra i 100 e 150 milioni di euro lasciavano Cipro ogni giorno.
dal Ft

sabato 16 marzo 2013

Istituti di credito o istituti di trading?


La Banca centrale europea ce la sta mettendo tutta: tiene il costo del denaro ai minimi storici, finanzia direttamente le banche, compra titoli di Stato e promette che lo farà ancora. Rovescia miliardi di euro sul sistema bancario sperando che i soldi arrivino anche a imprese e famiglie, ma non succede. Nelle economie dell’euro più in difficoltà – come l’Italia e la Spagna – c’è un problema di "trasmissione" della politica monetaria, ammette ormai da mesi Mario Draghi: la massa di denaro a basso costo generata dalla Bce fa bene solo alla casse delle banche, che usano quei soldi per tutti gli scopi possibili (compreso l’acquisto di titoli di Stato, con conseguente e benefica discesa dei tassi) ma non li prestano. Piuttosto se li giocano nelle Borse.
I bilanci 2012 che le tre maggiori banche italiane hanno presentato questa settimana confermano questa situazione. Prendiamo Intesa Sanpaolo, che attraverso le due aste Ltro – quelle con cui la Bce ha prestato alle banche europee mille miliardi al tasso quasi simbolico dell’1% – ha ottenuto 36 miliardi di euro da Francoforte. La banca guidata da Enrico Cucchiani nel 2012 ha ridotto dal 104,7 al 99% il rapporto tra depositi e prestiti: ha incassato 20 miliardi in più dai clienti, e ora ha 380 miliardi di depositi, ma ha tenuto fermi i crediti a 377 miliardi. Nonostante abbia fatto meno "la banca" rispetto a prima, Intesa ha chiuso l’anno passato con il migliore risultato operativo dal 2008: 8 miliardi e 968 milioni. Considerato che il Pil italiano è caduto del 2,4% l’aumento del profitto ottenuto dalla prima banca del Paese è veramente straordinario, soprattutto se si conta anche che le sue due principali voci di entrata sono calate: dagli interessi Intesa ha incassato 9,4 miliardi (-3,6%) e dalle commissioni 5,5 miliardi (-0,3%). A salvare l’utile della banca ci hanno pensato i suoi trader, che sfruttando anche il denaro a basso costo incassato dalla Bce hanno fatto portato profitti da "negoziazione" da 2,2 miliardi, il 130% in più rispetto ai 920 milioni del 2011. Un exploit eccezionale, che resta tale anche se si escludono i 379 milioni di incassi ottenuti attraverso alcune operazioni straordinarie come il riacquisto di debiti o le cessioni delle quote in Prada, Findomestic e London Stock Exchange.
I colleghi di UniCredit, che è la seconda banca d’Italia per capitalizzazione di Borsa, non sono certo rimasti a guardare. La banca ha attinto alle generose aste della Bce per 26 miliardi di euro, ha tagliato i prestiti a famiglie e piccole e medie imprese italiane del 6,3% (a 117 miliardi) e ha compensato con i giochi di Borsa la caduta degli incassi dalle commissioni (-3,2%, a 7,8 miliardi) e dagli interessi (-6,3% a 14,3 miliardi). Le entrate dal trading della banca guidata da Federico Ghizzoni sono passati dagli 1,1 miliardi del 2011 ai 2,3 miliardi dell’anno passato. Senza questa crescita portentosa (è un +110%) l’utile operativo della banca non sarebbe stato di 10 miliardi (+5,1%) ma di 9 scarsi, cioè anche sotto i livelli dell’anno precedente.
Per la più piccola Ubi – che dopo le disavventure di Mps è diventata la terza banca d’Italia per capitalizzazione – la storia del 2012 non è diversa. Anche Ubi non si è tirata indietro davanti all’offerta della Bce, dalla quale ha incassato 12 miliardi, e anche lei ha tagliato drasticamente i prestiti, ridotti dai 99,7 miliardi di fine 2011 ai 92,9 miliardi di dicembre (il rapporto tra depositi e prestiti è calato dal 97 al 94%). L’anno di Ubi si è chiuso un utile operativo di 1,26 miliardi, il 20% in più sul 2011. Merito, anche in questo caso, del trading che ha bilanciato il calo delle entrate da interessi (-7,7%, a 1,86 miliardi) e commissioni (-1%, a 1,18 miliardi). I 257 milioni di euro guadagnati da Ubi con la finanza nel 2012 sarebbero più o meno un 3600% in più rispetto ai soli 7 milioni del 2011. Senza questa strabiliante performance finanziaria il +20% dell’utile operativo 2012 si sarebbe trasformato in un misero -3,8%.
da Avvenire di oggi

mercoledì 13 marzo 2013

Lo squilibrio generazionale. Nuovi numeri di Bankitalia

In uno studio diffuso qualche settimana fa dalla Banca d'Italia (gli autori sono Laura Bartiloro e Cristiana Rampazzi) si vede con chiarezza il rapido peggioramento della condizione economica dei giovani in Italia.
In particolare:

  • nel 1991 gli italiani con meno di 35 anni avevano il 17% della ricchezza. Questa quota è scesa fino al 7,8% del 2006 e al 5,2% del 2010. Nello stesso ventennio la quota di ricchezza in mano ai 35-44enni è scesa dal 19,7 al 15,9% e quella dei 45-54enni si è ridotta dal 25,1 al 21,4%. Nel frattempo la ricchezza dei 55-64enni si è portata dal 18,8 al 24,4% e quella degli ultra 65enni sono balzate dal 19,3 al 33,1%.
  • nel 1991 gli italiani under-35 avevano il 17,6% delle attività finanziarie, quota crollata al 3,9% del 2010 e anche in questo caso sono salite solo le quote dei 55-64enni (dal 17,7 al 29,1%) e quelle degli ultra 65enni (dal 20,6 al 34,5%).
  • stessa dinamica per la ricchezza immobiliare. In questo caso quella degli under 35 si è ridotta dal 15,7 al 5,3%, quella degli over 65 è andata dal 20,9 al 34,5%.
  • altro dato impressionate, il rapporto tra ricchezza e reddito: per gli ultra 65enni è passato da 3,7 a 7,5; per gli under-35 è calato da 2,5 a 1,8.

martedì 12 marzo 2013

Il reddito dei laureati e quello dei pensionati

Dopo una campagna elettorale assurda in cui si parlava di Imu (con lo scandalo tassare le case) ed esodati (grande scandalo restare due anni senza stipendio dopo avere incassato una buonuscita) conviene guardarli bene i dati diffusi ieri da Almalaurea. Dicono che un laureato in Italia se trova un posto guadagna in media appena più di mille euro il primo anno e meno di 1.500 dopo 5 anni, quando dovrebbe avere qualcosa meno di 30 anni. Scrive l'Inps nel suo bilancio sociale 2011 che la pensione di anzianità media è di 1.514 euro: "Nella distribuzione per classi di importo, la metà dei pensionati (52%) presenta redditi pensionistici
inferiori a 1.000 euro mensili e il 24% si colloca nella fascia tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Un ulteriore  13% riscuote pensioni comprese tra 1.500 e 2.000 euro mensili e il restante 11% gode di un reddito pensionistico mensile superiore a 2.000 euro". In questo caso sono redditi lordi, quindi possiamo considerare una differenza media del 20% da quelli dei laureati, che sono netti. Ne emerge così che un laureato (e quindi un lavoratore dal reddito più alto della media) in Italia arriva a guadagnare quanto un pensionato medio solo dopo 3-4 anni di lavoro.
Poi si chiedono perché i giovani italiani scappano via.





giovedì 7 marzo 2013

Lo shale gas mette in crisi la Nigeria

La Nigeria rischia di essere la prima grande vittima dello shale gas americano. Nel 2012 le esportazioni di petrolio nigeriano negli Stati Uniti sono crollate da 1 milione a 405 mila barili al giorno. Bel problema per gli africani, che hanno negli Stati Uniti il loro maggiore acquirente e contano sul petrolio per finanziare il loro sviluppo. Ma la disponibilità di shale gas consente agli Usa di tagliare drasticamente le importazioni. Secondo  gli analisti le difficoltà hanno costretto la Nigeria a vendere qualche cargo di petrolio a prezzi da sconto (40 cent sotto il prezzo ufficiale).
dal Wsj



lunedì 4 marzo 2013

L'euro forte che piace ai tedeschi

L'attuale situazione dell'euro va benissimo per i tedeschi: diverse stime -riportate oggi dal Sole 24 Ore - dimostrano che per la realtà dell'economia tedesca l'euro oggi vale ancora troppo poco. "Deutsche Bank calcola  che per gli esportatori tedeschi, più competitivi la «soglia della  sofferenza» con l'euro forte è a 1,54 sul dollaro, per la Francia a 1,24, per l'Italia a 1,17. Conclusioni analoghe da Morgan Stanley, secondo cui la parità teorica è a 
1,33 per la media dell'area euro, ma all'1,53 per la Germania, a 1,23 per la Francia, a 1,19 per l'Italia. Euro quindi, ai livelli attuali, appunto attorno a 1,33/1,34, ancora sottovalutato nel primo caso, largamente sopravvalutato negli altri due". Nello stesso tempo Berlino continua a chiudere l'anno con enormi surplus commerciali (quelli che, in una situazione normale, rivaluterebbero una moneta). Nel 2012 il surplus è stato di 16,8 miliardi, il più alto di sempre.





I sindacati contro l'austerità dell'Olanda

In un'Olanda assomiglia sempre più a un paese dell'Europa del sud adesso c'è un problema con i sindacati: Il governo centrista di Mark Rutte, in carica da 4 mesi, ha varato nuove misure di austerità da 4 miliardi di euro per raggiungere gli obiettivi europei (l'obiettivo è riportare il deficit sotto il 3% l'anno prossimo, senza tagli sarebbe al 3,4%). In autunno sono state varate misure di austerità per 16 miliardi complessivi. Le nuove misure prevedono il congelamento dei salari degli statali e nuove tasse. Il capo del sindacato Fnv ha definito le misure "stupide e sconsiderate". L'economia dell'Olanda l'anno scorso si è contratta dell'1%. Per quest'anno ci si attende un calo dello 0,5%.