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mercoledì 31 ottobre 2012

La tassa di successione negli Stati Uniti

La tassa di successione negli Stati Uniti attualmente prevede un'aliquota del 35% sulle eredità, ma solo sui valori da 5 milioni di dollari in su. Questa soluzione è frutto di un accordo del 2010 tra democratici e repubblicani. Quello stesso accordo prevede che la tassa - quasi eliminata da Bush - ritorni al 55% l'anno prossimo mentre la soglia minima nel frattempo scenderebbe a 1 milione. Non succederà: Romney vuole cancellare la tassa di successione mentre Obama ora propone un'aliquota del 45% dai 3,5 milioni in su. Nel 2011 questa tassa ha generato entrate da 7,4 miliardi di dollari, quest'anno dovrebbe arrivare a 11 miliardi.

martedì 30 ottobre 2012

Perché i mutui diventano impossibili

Pagina allarmata sui mutui, sul Sole di oggi. Le banche fanno di tutto per non concedere più mutui: tengono gli spread al 3%, alzano dal 30 al 40% la quota rata/reddito massima, tagliano dal 100 al 70% il rapporto massimo tra mutuo e valore dell'abitazione. Perché lo fanno? Il Sole non risponde. Ci provo con un'ipotesi banale: prima di tornare a fare prestiti a chi vuole comprarsi una casa, aspettano di capire fin dove dovranno scendere i valori degli immobili. Perché l'impressione è che tra Imu, demografia e calo dei redditi sul mattone ci sia ancora da tagliare parecchio (20-30-40?).

venerdì 26 ottobre 2012

L'auto in ritirata.

La selezione naturale delle fabbriche d’auto europee procede inesorabile. Ford ha annunciato che chiuderà entro la fine del 2014 lo stabilimento di Genk, in Bel­gio, dove oggi con 4.300 addetti costruisce la Mondeo, il Galaxy e il S-Max. Fra due anni questi veicoli finiranno fuori produzione, Ford ha deciso di affidare la costruzione dei nuovi modelli alla fabbrica spagnola di Valencia, do­ve produce la monovolume C-Max con 3.500 operai che, secondo i calcoli degli analisti, co­stano il 75% in meno dei loro colleghi belgi. Il mercato dell’auto europea vive una crisi strut­turale, lo stabilimento spagnolo lavora al 50-60% della sua capacità produttiva. Con i nuo­vi modelli potrà raggiungere quell’80% con­siderato la soglia minima per non lavorare in perdita. La Ford, come la Fiat, oggi perde sol­di in Europa e li guadagna altrove. A Detroit prevedono di chiudere il 2012 con 9 miliardi di dollari di utili. Sarebbero stati 10, ma l’atti­vità europea farà un rosso di 1 miliardo. A o­gni auto costruita nel Vecchio Continente, spiegano i manager, corrisponde una perdita di 1.125 euro; abbandonare il Belgio costerà 1,1 miliardi di dollari ma permetterà di ri­sparmiare ogni anno 730 milioni. Probabil­mente giovedì annunceranno anche la chiu­sura della fabbrica inglese di Southampton, 500 dipendenti.
Quella di Genk, aperta nel 1964, è la quinta fabbrica europea di automobili di cui è stata pianificata la chiusura negli ultimi due anni. La General Motors nel 2010 ha chiuso lo sta­bilimento di Anversa, ancora in Belgio, e pro­getta di fermare nel 2014 la fabbrica tedesca di Bo­chum. L’anno scorso Fiat ha lasciato Termini Ime­rese. Psa, cioè il gruppo Peugeot-Citroën, ha an­nunciato che interrom­perà la produzione ad Aulnay, a una manciata di chilometri da Parigi.
Quest’ultima chiusura però potrebbe essere e­vitata grazie all’intervento dello Stato. Psa è in profonda crisi (in 6 mesi ha perso 819 milio­ni di euro) e ieri, oltre ad annunciare una rafforzamento dell’alleanza con General Mo­tors, ha ufficialmente ottenuto l’aiuto forma­le del governo francese. Lo Stato concederà 7 miliardi di euro di garanzie e 11,5 miliardi di rifinanziamenti al Banque Psa Finance, l’isti­tuto con cui la casa automobilistica finanzia gli acquisti delle sue auto. La banca della Peu­geot all’inizio del mese è stata declassata da Moody’s al livello di 'spazzatura', e senza aiu­ti rischiava di rimanere a corto di liquidità. Il sostegno statale non è gratis: prestiti e garan­zie sono a pagamento, inoltre l’azienda non potrà distribuire dividendi né pagare stock option ai manager e ha dovuto accettare l’in­gresso di un rappresentante dello Stato e di u­no dei sindacati nel suo consiglio di sorveglianza. Probabilmente anche il piano di tagli e chiusure annunciato in estate (gli esuberi previsti sono 10 mila) dovrà essere am­morbidito. Arnaud Mon­tebourg, ministro dello Sviluppo economico di Hollande, lo ha chiesto esplicitamente.
Attenzione, però, perché anche l’auto euro­pea ha i suoi falchi. Falchi, come al solito, te­deschi. David McAllister, primo ministro del­lo Stato della Bassa Sassonia, azionista di Volk­swagen con una quota del 20%, ha già invita­to il governo di Berlino a chiedere alla Com­missione europea di verificare se quelli previ­sti dal piano francese non siano aiuti di Stato illegali. Mentre tutte le case automobilistiche europee sono più o meno in difficoltà Volk­swagen, Mercedes e Bmw sanno come resi­stere. Ieri Volkswagen ha mostrato i conti dei primi 9 mesi: ha fatto 8,8 miliardi di utili, po­co meno di un anno fa, ma conta di chiudere l’anno con 11,3 miliardi di profitti. Fiat-Chry­sler, che presenterà i suoi risultati martedì, nel 2012 potrebbe fare utili per 1,1 miliardi. Die­ci volte meno. Più forti degli altri, i tedeschi comprensibilmente non vogliono che i loro rivali europei in difficoltà siano aiutati. È il mercato. Sergio Marchionne come presiden­te di turno dell’Acea, l’associazione dei pro­duttori europei, ha tentato di ottenere Bruxel­les un piano di sostegno che aiuti il settore a ridurre la capacità produttiva (ad esempio a­gevolazioni per riconvertire le fabbriche), ma Volkswagen è intervenuta per fermarlo. Così, senza una strategia comune, ogni Paese del­l’Unione europea ora va per la sua strada nel­la gestione della crisi dell’auto. E ai manager costretti a chiudere fabbriche rimaste senza mercato tocca sorbirsi le periodiche lezioni di Martin Winterkorn, il numero uno di Volk­swagen. Ieri, in occasione dei conti, il tema è stato 'perché non delocalizzare': «Dove scom­pare la produzione – ha ricordato a tutti il ma­nager tedesco – scompare, a breve o lungo ter­mine, anche lo sviluppo». 

da Avvenire

martedì 23 ottobre 2012

Hyundai anche in Brasil

"Chi sono i concorrenti più pericolosi? La risposta del manager tedesco è netta: «Più dei cinesi, mi preoccupano i coreani». Hyundai ha per ora una quota di mercato dell'1,5%, ma la sua fabbrica a Piracicaba, nella regione di San Paolo, è appena entrata in funzione: la casa coreana punta a produrre 150mila unità l'anno prossimo, con un modello di business particolare: la rete commerciale dei modelli prodotti qui (con la sigla HB, Hyundai Brasil) sarà completamente separata da quelli importati".
Martin Winterkorn di Voliswagen al Sole24Ore

lunedì 22 ottobre 2012

Qualche cifra sugli insegnanti italiani


Secondo i calcoli dell'Ocse gli insegnanti italiani lavorano meno della media dell'area in tutte le classi: 12 ore all'anno in meno alle elementari, 74 in meno alle media, 28 in meno alle superiori. Hanno anche meno studenti degli altri (soprattutto alle elementari) ma in rapporto al compenso di un lavoratore laureato prendono anche stipendi molto più bassi della media Ocse, (e soprattutto al liceo).




giovedì 18 ottobre 2012

La svalutazione del cacaco

I prezzi dei futures sul cacao sono scesi dell'11% dalla fine di agosto. Ora la quotazione è di 1.514 sterline per tonnellata. Di solito il cacaco non è considerato un prodotto ciclico: la gente non risparmia sul cioccolato. Questa caduta potrebbe dimostrare il contrario. Tra gli investitori c'è il sospetto però che le scommesse al ribasso siano eccessive, e quindi il prezzo risalirà con l'avvicinarsi delle feste natalizie.
dal Wsj

mercoledì 17 ottobre 2012

Gli investimenti dei sistemi automatici

Più di 35 anni fa Thomas Peterffy, un immigrato ungherese negli Stati Uniti, assumeva 80 programmatori per scrivere software che riuscissero a trovare profitti sui mercati finanziari più rapidamente degli esseri umani. (la storia qui)
Il lunedì nero di Wall Street - il 19 ottobre del 1987 - mostrò al mondo i rischi del trading computerizzato: i sistemi automatici mandarono Wall Street sotto del 25%.
Recenti casi di anomalie causate dai computer: la collocazione di Facebook rimandata, il flash crash di maggio 2010, quando in pochi minuti le borse bruciarono 860 miliardi di dollari. Dopo quel caso la Sec ha chiesto di creare dei "circuit breakers" in grado di fermare i sistemi automatici quando la situazione va fuori controllo.
In agosto Knight Capital, tra i più grandi fondi attivi a Wall Street, ha rischiato il collasso perché un errore in un codice ha spinto il suo sistema automatico a ripetere in continuazione le stesse operazioni: l'errore ha fatto perdere al fondo 440 milioni in 45 minuti. 
dal Ft

Capitali in fuga dalla Cina?

Secondo un'analisi del Wsj negli ultimi 12 mesi sono usciti dalla Cina 225 miliardi di dollari, cioè il 3% della ricchezza prodotta dal Paese nel 2011. Assomiglia a una fuga di capitali. In teoria un singolo individuo cinese non può portare fuori dal Paese più di 50 mila dollari, mentre le aziende possono scambiare yuan con valute straniere solo per determinati (e autorizzati) affari. In realtà il sistema è molto poroso e le regole sono spesso ignorate. Con questa tendenza in Cina rimangono meno soldi per sostenere la crescita.

Il fondo sovrano dell'Angola

Anche l'Angola si è fatta il suo fondo sovrano, il Fundo Soberano de Angola (Fsdea9. Parte con 5 miliardi di dollari e vuole investirli soprattutto nell'area dell'Africa sub-Sahariana con particolare attenzione a infrastrutture e sanità. Prima dell'Angola in Africa avevano lanciato fondi sovrani la Nigeria e la Tanzania. Secondo una stima dell'istituto Swf i fondi sovrani nel mondo hanno asset per 5.100 miliardi di dollari. Il 58% dei soldi viene dal petrolio o dal gas. Il più grande dei fondi sovrani è sempre quello norvegese, che ha 650 miliardi di dollari.
dal Ft

L'indagine su Ryanair

Secondo i calcoli dell'Inps e della Direzione provinciale del lavoro di Bergamo l'omesso versamento dei contributi per i 220 dipendenti di Ryanair basati a Bergamo ma assunti con contratto di lavoro irlandese è costata all'erario 12 milioni di euro (cifra stimata al ribasso). La tassazione media dei contratti irlandesi è del 12%, la nostra del 37%. Altro problema: i dipendenti assunti in Irlanda si avvalgono però delle prestazioni dell'italiana Inps.
appunti dal Corriere




martedì 16 ottobre 2012

Definitivo il rialzo dell'accisa sulla benzina

L'articolo 12, comma 13, del ddl stabilità stabilisce che gli aumenti dell'accisa sulla benzina legati alle emergenze di Emilia e Abruzzo «restano confermati» dal primo gennaio prossimo. «Resi stabili», chiarisce la Relazione tecnica della Ragioneria. Che poi quantifica questa "stabilizzazione" in entrate aggiuntive per 947 milioni nel 2013, 840 nel 2014 e 863 dal 2015. Si tratta di 2 centesimi e 37 in più su ogni litro di benzina o gasolio: 2 centesimi per l'Emilia e 37 per Abruzzo e gestori.
da Repubblica

Il Nobel agli accoppiamenti


Abbiamo 10 donne e 10 uomini e dobbiamo farli sposare. Come possiamo accoppiare queste persone nel modo migliore, cioè rispettando le loro preferenze individuali e creando una situazione di massima stabilità, dove nessuna coppia si romperebbe perché né il marito né la moglie possono trovare alternative migliori? No, non avventuratevi in schemi o calcoli arditi, tanto non riuscirete a rispondere. L’89enne Lloyd Stowell Shapley si è posto il problema negli anni ’50 e la soluzione trovata è un algoritmo che gli ha aperto la strada del premio Nobel per l’Economia, che gli è stato assegnato ieri in coppia con il 61enne Alvin Eliot Roth.
Nella soluzione che Shapley elaborò assieme al collega David Gale (che avrebbe probabilmente vinto il Nobel anche lui, se non fosse morto 4 anni fa) ogni donna fa la sua proposta di matrimonio all’uomo che più le piace. Ricevute le proposte, ogni uomo si tiene la proposta che più lo convince e scarta le altre. Inizia allora un secondo giro, dove ogni donna "scartata" fa una nuova proposta agli uomini rimasti liberi, che scelgono di nuovo se accettarle o meno, e così via finché ogni donna non sarà stata maritata. Gli accoppiamenti finali saranno i migliori possibili per le 10 donne (non per i 10 uomini, che potrebbero ottenere soluzioni migliori se fossero loro a fare la proposta).
La teoria di Shapley è quella "delle allocazioni stabili e dei piani di mercato". Probabilmente una sua applicazione reale nelle dinamiche matrimoniali produrrebbe milioni di coppie infelici, ma per assegnare dotti agli ospedali, studenti alle scuole o organi donati a malati da salvare l’algoritmo di Gale-Shapley si è rivelato efficiente. Merito anche dell’altro vincitore del Nobel, il più giovane Alvin Roth, che negli anni ’80 ha adottato degli aggiustamenti alla teoria di Gale-Shapley per fare in modo che nell’assegnazione degli studenti di medicina agli ospedali gli istituti sanitari non fossero eccessivamente favoriti (come le donne dell’esempio) e i futuri dottori non potessero falsificare i risultati degli accoppiamenti esprimendo false preferenze in maniera strumentale. Ed è stato sempre Roth, con alcuni colleghi, ad adattare l’algoritmo nel 2003 per abbattere del 90% il numero di studenti americani che finiva in scuole superiori per le quali non aveva espresso nessuna preferenza (e parliamo di 30 mila ragazzi). Altra applicazione efficace è stata quella sull’accoppiamento tra reni e altri organi lasciati da donatori e pazienti in attesa di trapianto: la teoria delle allocazioni stabili ha consentito miglioramenti notevoli al sistema di assegnazione degli organi negli Stati Uniti. Gli studi basati su questi principi stanno andando avanti per inserire all’interno di questa teoria anche la variabile dei prezzi.
«Questo campo di studi continua a crescere e mostra grandi promesse per il futuro» hanno assicurato gli accademici svedesi assegnando il premio (8 milioni di corone svedesi, circa 930 mila euro) ai due studiosi «per i loro continui sforzi nel trovare soluzioni pratiche ai problemi del mondo reale». La teoria delle allocazioni stabili si inserisce nel filone della "teoria dei giochi" di John Nash e dei suoi colleghi, quella che fece vincere il Nobel del 1994 al matematico schizofrenico americano la cui vita è stata resa celebre dal film <+corsivo>A Beautiful Mind<+tondo>. È evidente che agli accademici del Nobel la "teoria dei giochi" piace: dopo il 1994 hanno premiato studiosi di diverse branche di questo stesso filone nel 2005, nel 2007 e quest’anno. Nel caso di Shapley e Roth ciò che conta di più è il loro lavoro sul concetto di "stabilità". Per gli Stati Uniti è una conferma della ricchezza del panorama universitario nazionale: entrambi gli studiosi sono americani, Shapley è emerito a Los Angeles mentre Roth insegna ad Harvard (ma quest’anno è a Stanford) e sembra un tipo simpatico: «Ora i miei studenti staranno più attenti» ha detto accogliendo la notizia della sua premiazione. Il Nobel per l’economia – nome ufficiale Premio della Sveriges Riskbank in Scienze economiche alla memoria di Alfred Nobel – è quasi un’esclusiva a stelle e strisce: dei 72 premiati dal 1969 ad oggi solo 31 non erano cittadini statunitensi. E anche l’unico Nobel per l’economia nato in Italia, il romano Franco Modigliani, quando vinse nel 1985 era cittadino americano da quasi 40 anni.

da Avvenire di oggi

lunedì 15 ottobre 2012

Tasse, i conti di Alesina e Giavazzi

"Le manovre varate negli ultimi 12 mesi, prima dal governo Berlusconi e poi dal governo Monti, si possono così riassumere (prendiamo questi numeri dall'Audizione parlamentare del vicedirettore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi): nell'arco di due anni, 2012 e 2013, le entrate delle amministrazioni pubbliche dovrebbero crescere di 82 miliardi, le spese scendere di 43. Di questi tagli, tuttavia, circa 23 miliardi sono minori trasferimenti a Comuni, Province e Regioni. Se questi enti, come sta accadendo, compenseranno la riduzione dei fondi che ricevono dallo Stato aumentando le tasse locali, il risultato complessivo di queste manovre sarà 105 miliardi di maggiori tasse e 20 di minori spese.
L'esperienza delle correzioni dei conti pubblici attuate negli ultimi 30 anni nei Paesi industriali ci insegna che questa composizione è recessiva. L'aumento della pressione fiscale sposterà ancor più in là la ripresa dell'economia e limiterà il miglioramento dei conti pubblici. Invece le manovre che hanno avuto minori effetti recessivi, e che quindi hanno ridotto più rapidamente il debito, sono state quelle con una composizione opposta rispetto alla nostra: tagli di spesa e minori aggravi fiscali. Se ci limitiamo al caso italiano, l'esperienza degli ultimi 30 anni insegna che le manovre per lo più costruite su tagli di spesa (le poche che sono state fatte) hanno inciso sull'economia in misura trascurabile. Invece quelle attuate per lo più aumentando le imposte hanno avuto un «moltiplicatore» pari a circa 1,5: cioè per ogni punto di Pil (Prodotto interno lordo) di correzione dei conti l'economia si è contratta, nel giro di un paio d'anni, di un punto e mezzo. Stato e amministrazioni locali spendono ogni anno (dati del 2010 e senza contare gli interessi sul debito) circa 720 miliardi. Togliamo i 310 miliardi che vanno in pensioni e spesa sociale: ne restano 410. Una riduzione del 20 per cento di queste spese, senza alcun taglio alla spesa sociale, consentirebbe di risparmiare 80 miliardi e di ridurre la pressione fiscale di 10 punti".
Alesina e Giavazzi sul Corriere di oggi

venerdì 12 ottobre 2012

La soluzione della crisi dell'euro secondo Tsipras

«La soluzione deve essere comune: va convocato un vertice sulla linea di quello di Londra nel 1953, quando venne cancellata una gran parte del debito tedesco e venne concesso alla Germania un rinvio sul pagamento degli interessi. Dopo aver estinto il debito per le nazioni in difficoltà, bisogna lanciare un Piano Marshall, liquidità per far ripartire la produttività e la crescita».
(Alexis Tsipras al Corriere della Sera)

Sarebbe curioso sapere che cosa si dovrà dire a chi ha prestato soldi a questi paesi in difficoltà ("non vi ridiamo niente, ma speriamo che in futuro ci aiuterete" potrebbe essere un'idea), né con quali soldi si dovrebbe fare questo Piano Marshall (quelli dei contribuenti europei? solo i soldi di quelli tedeschi?) e dove questo denaro sarebbe investito. Non sembra che i governi greci, così come quelli italiani degli ultimi decenni, siano molto abili a prendere denaro in prestito e poi investirlo generando "crescita, produttività" e ricchezza diffusa tra la popolazione.


domenica 7 ottobre 2012

Apertura russa sul petrolio dell'Artico

La Russia sta pensando di concedere alle società occidentali le licenze per cercare petrolio nelle acque del'Artico. L'idea, presentata al Ft dal ministro dell'Energia Alexander Novak, è quella di permettere alle compagnie di avere accesso alla produzione e almeno partecipare alle licenze, che oggi sono esclusiva dei gruppi parastatali Rosfnet e Gazprom.

venerdì 5 ottobre 2012

Il potenziale esplosivo delle banche Ue

Le banche europee sono molto più pericolose di quelle americane. Nel 2010 le banche statunitensi avevano asset per 8.600 miliardi di dollari, quelle europee per 42.900 miliardi. Se gli asset delle banche Usa sono pari all'80% del Pil del Paese, quelle dell'Unione europea sono 3,5 volte il Pil. "Se l'Ue fa confusione con le banche può fare esplodere l'economia mondiale".
Martin Wolf sul Ft

giovedì 4 ottobre 2012

Se le banche non capiscono le imprese

Nel rapporto Liika­nen, il documento sulla riforma del si­stema bancario europeo presentato martedì a Bruxelles dagli esperti inca­ricati di elaborare le loro proposte, a un certo punto compare una classifica del­le principali banche della zona euro ordinate in base al rapporto tra i prestiti che concedono e i loro asset. Nelle prime 10 posizioni ci sono 3 banche italiane: Ubs, prima, Mps, seconda, Inte­sa Sanpaolo, decima. I dati dicono che sono 'generose', le banche italiane, anche se questi istituti faticherebbe­ro a trovare qualche cittadi­no (magari imprenditore) disposto a raccontare la sua bella storia di soddisfazioni raccolte in filiale.
Due studiosi del Politecnico di Milano – Anna Florio e Giangiacomo Nardozzi – hanno analizzato il com­portamento e le scelte fatte dalle banche europee tra il 2007 e il 2009 per arrivare a un paio di conclusioni inte­ressanti. La prima, non sor­prendente, è che c’è una spiegazione di analisi eco­nomica alla stretta dei rubi­netti adottata dalle banche i­taliane ed europee in questi anni: la loro posizione fi­nanziaria è molto peggiora­ta, non sono più riuscite a ottenere fondi sul mercato tradizionale e quindi hanno usato le risorse messe a di­sposizione dalla Bce per compensare un’assenza di fondi sul mercato interban­cario piuttosto che avventu­rarsi in rischiosi prestiti alle imprese. Ma è la seconda conclusione quella più inte­ressante: la recessione ha re­so evidente quanto alle ban­che italiane, soprattutto quelle grandi, manchi la ca­pacità di capire davvero se una piccola o media impre­sa sarà in grado di rimbor­sare il denaro che chiede in prestito. Questo perché al di là delle informazioni ufficiali l’istituto di credito avrebbe bisogno di una serie di dati 'informali' sullo stato di sa­lute di un’azienda, elemen­ti che si possono ottenere soltanto grazie a una solida relazione con il cliente. «La flessibilità nell’utilizzo di ra­ting di credito che derivano da modelli standardizzati è limitata» ricordano i due studiosi. Banche che non ca­piscono le imprese faticano a concedere loro prestiti.
Lo studio di Florio e Nar­dozzi apre il 17esimo rap­porto della Fondazione Ros­selli, incentrato sulla crisi del modello della banca com­merciale territoriale italiana. Il rapporto, a cura degli eco­nomisti Giampio Bracchi e Donato Masciandaro, mo­stra come il modello della banca italiana – che racco­glie depositi per fare credito alle imprese mantenendo un rapporto abbastanza sta­bile tra i due elementi – ab­bia resistito bene alla crisi e­conomica internazionale, ma adesso si debba con­frontare con il problema del­la redditività. «Per due de­cenni questo modello è sta­to dopato – spiega Mascian­daro – se volete stabilità non potete volere anche rendi­menti a due cifre. Se si ac­cettano rendimenti a due ci­fre allora bisogna accettare che le banche possano falli­re ». Gli utili delle banche i­taliane si stanno assotti­gliando e questo le costrin­ge a studiare soluzioni per ridurre i costi – a partire da un taglio al numero delle fi­liali – senza rinunciare alla vocazione originaria di ban­che commerciali territoria­li. Sarà uno «sforzo enorme» ricordano gli esperti della Fondazione Rosselli. Per chi volesse vederne una confer­ma concreta basta dare un’occhiata agli ostacoli che sta incontrando il piano in­dustriale elaborato da Ales­sandro Profumo e Giuseppe Viola per il Monte dei Paschi. Un piano a base di tagli per ritrovare l’utile. 

da Avvenire

mercoledì 3 ottobre 2012

Il processo (molto politico) a JPMorgan


Bear Stearns, che prima della crisi era la quinta banca d’America, ha venduto titoli legati a mutui immobiliari spacciandoli per investimenti sicuri, ma sapeva che in realtà non valevano quasi nulla. JPMorgan, che nel 2008 su pressione del Tesoro e della Federal Reserve ha dovuto comprare l’istituto rivale per salvarlo, adesso dovrà rispondere di quei comportamenti. È davvero un anno maledetto per la banca guidata da Jamie Dimon, la più grande degli Stati Uniti: dopo avere subito il caso di Bruno Iksil, il trader basato a Londra che con le sue scommesse ardite e massicce sui derivati le ha fatto perdere più o meno 9 miliardi di dollari, adesso dovrà gestire una complicata vicenda giudiziaria che ha anche un sapore molto politico.
L’indagine è stata annunciata ieri da Eric Schneiderman, procuratore generale di New York, che si è mosso come uno dei cinque co-presidenti del <+corsivo>Residential Mortgage Backed Securities working group<+tondo>, la task force sui titoli legati ai mutui immobiliari creata da Obama a gennaio per indagare sui comportamenti e sulle responsabilità che hanno portato alla crisi dei subprime, origine della sconquasso dell’economia globale. L’accusa riguarda Bear Stearns: tra il 2006 e il 2007 la banca ha venduto titoli basati su mutui ipotecari che si sono rivelati fallimentari causando agli investitori perdite stimate in 22,5 miliardi di dollari. Secondo il procuratore Bear Stearns sapeva che quei titoli avevano un alta probabilità di rivelarsi insolventi, ma li ha comunque raccomandati come investimenti sicurissimi. Visto che la banca "colpevole" non esiste più, il procuratore di New York ha messo sotto accusa JPMorgan, che nel marzo del 2008 (cioè prima del fallimento di LehmanBrothers) ha inglobato la banca a un prezzo irrisorio per evitarne il fallimento. «I clienti di Bear Stearns possono essere sicuri che JPMorgan garantirà il loro rischio di controparte» aveva assicurato il manager Dimon nell’annunciare l’operazione, che gli era stata imposta dalla Federal Reserve e dal Tesoro. Con un simile appoggio sicuramente non poteva immaginare future grane tribunalizie. Ha sottolineato ieri il portavoce della banca: «La causa riguarda interamente la condotta storica di un’entità che abbiamo acquistato nel giro di un fine settimana su ordine del governo americano». Secondo alcune indiscrezioni la vicenda potrebbe chiudersi con un patteggiamento che costerebbe a JpMorgan 2 o 3 miliardi di dollari.
Gli investitori non sono sembrati molto preoccupati: a Wall Street il titolo della prima banca degli Usa ha perso meno dello 0,5%. Probabilmente perché l’accusa potrebbe rivelarsi solo un’operazione elettorale. Schneiderman è di fede democratica, eletto procuratore generale di New York nel 2010 come candidato del partito di Obama. È lo stesso giudice che all’inizio del mese ha accusato di elusione fiscale la Bain Capital, la società di investimenti fondata da Mitt Romney, l’avversario di Obama per la Casa Bianca, lo stesso che domani affronterà il presidente nel primo scontro televisivo. La task force sui mutui di cui fa parte era stata fondata da Obama a gennaio. «Questa squadra ci aiuterà a girare la pagina su un’era di irresponsabilità» aveva detto il presidente, ma da allora la task force non aveva dato nessun risultato. Stasera Obama potrà invece parlare davanti alle telecamere di questa indagine sulle origini della crisi per ammorbidire un po’ la realtà di un tasso di disoccupazione sopra l’8%. E il tutto a scapito dell’amico e sostenitore Dimon, manager di JPMorgan da 23 milioni all’anno (il più pagato degli Usa) che ancora un paio di mesi fa veniva indicato dal presidente come «uno dei più abili banchieri che abbiamo».
da Avvenire di oggi